martedì 29 marzo 2011

GLI ULTIMI FUOCHI


La rivoluzione non è un pranzo di gala; non è un’opera letteraria, un disegno, un ricamo; non la si può fare con altrettanta eleganza, tranquillità e delicatezza o con altrettanta dolcezza, gentilezza, cortesia, riguardo e magnanimità. La rivoluzione è un’insurrezione, un atto di violenza con il quale una classe ne rovescia un’altra.
Mao Tse Tung, 1964

Nella sua parabola discendente, il capitalismo (nella odierna versione di liberismo avanzato) sta mostrando il suo volto peggiore. Come è ovvio per tutti i sistemi politici, economici e sociali, anche il capitalismo conoscerà la sua fine. Tutto, nella storia, ha avuto un inizio, una durata e un termine. Mi rendo conto che, odiernamente, ai nostri occhi di uomini e donne del presente, possa sembrare impossibile concepire un sistema socioeconomico differente, eppure è proprio così. La crisi economico finanziaria, che crisi non è, come più volte ribadito non solo dallo scrivente, me da ben più autorevoli autori, è solo il sintomo più evidente che il sistema capitalistico, così come lo conosciamo, ha imboccato il suo ultimo, lunghissimo, percorso. Facciamo un passo indietro. La nostra, la mia generazione, ha creduto  nelle illusioni del marxismo, semplicemente perché il capitalismo, in tutte le sue accezioni, è un recipiente senza contenuto, non ha una ideologia politica alle spalle, non è che un sistema economico basato sul profitto dell’impresa, nel migliore dei casi con un occhio di attenzione a quello che oggi si chiama “welfare”, giusto per garantire la pace sociale. Dagli anni settanta al primo scorcio degli anni ottanta, i giovani sia di destra che di sinistra erano irresistibilmente attratti da ideologie positive, animate da tensioni ideali e aneliti progressisti, il capitalismo era roba da reazionari revisionisti, da portare in soffitta. Così come l’estrema destra, pur mantenendo di fondo l’idea, tutta evoliana, di una differenza degli esseri umani fondata più che sulla razza sullo spirito, aveva ripreso gli ideali del primo periodo fascista, quello sansepolcrista, o quello della carta di Verona e dell’ultima esperienza delle repubblica sociale, anche gli estremisti di sinistra guardavano al marxismo come ad un sistema equo, egualitario, nel quale ognuno di noi, una volta realizzato e materializzato nella politica, poteva liberamente espandersi nel mondo secondo le sue inclinazioni e le sue abilità. L’estinzione finale dello stato, che chiude la monumentale opera di Marx “Il Capitale”, vagheggiava appunto una situazione del genere, una sorta di Eden nel quale gli uomini, una volta edificato il comunismo, avrebbero potuto fare a meno di una forma stato, e si sarebbero autogestiti autonomamente. Si trattava, come è ovvio, di utopie, ma allora pochi ne erano pienamente consapevoli. Il capitalismo allora, nel nostro paese, aveva il volto della Democrazia cristiana, un partito di cemento, granitico, incrollabile, che amministrava il potere senza strafare, era corrotto e concusso con discrezione, con senso della misura. Ma era un partito senza ideologia, senza aneliti o tensioni verso l’avvenire, un partito che si limitava a controllare il suo vero fine: la conservazione dello status quo, cioè del capitalismo. Gli anni a venire hanno dimostrato a tutti che il marxismo è stata una magnifica utopia, un sistema che, quando applicato nella realtà, si faceva dittatura, creava una nomenclatura di privilegiati all’interno del partito unico, e livellava gli uomini appiattendoli verso il basso: uguali sì, ma solo più poveri. Così, una volta crollato il muro di Berlino, una volta soppressi i blocchi contrapposti est-ovest, il capitalismo ha dilagato, finalmente, in tutto il mondo. Una volta globalizzato, il liberismo senza freni e senza correttivi, ci ha trascinato nella rovina. Finalmente il marxismo è stato sconfitto, una volta per tutte. Ma c’è da vergognarsi. Doveva essere, era stato concepito come il migliore dei sistemi possibili, e la sua applicazione nella realtà ha messo in risalto, ha rivelato il vero volto dell’uomo, la sua fragilità, la sua incurabile propensione per la corruzione e l’egoismo. I testi sacri del marxismo, a cominciare dagli scritti giovanili di Marx, i “Grundrisse”, fino agli scritti di Engels, a quelli di Lenin, come il “Che fare?”, o le citazioni del Presidente Mao Tse Tung (il famoso libretto rosso), sono, sotto un profilo teorico, ineccepibili. Peccato che, divenuti socialismo reale, si traducano in una serie di privilegi per la classe dominante e la riduzione in povertà del resto della popolazione. Sia come sia, il capitalismo lasciato a se stesso, diventato sistema dominante del mondo, è arrivato all’implosione preconizzata da Marx stesso. Il liberismo sfrenato, abbandonato a se stesso e alle alchimie dei grandi speculatori mondiali, hanno dato un pesante contributo all’inizio della presente crisi. Senza il capitalismo l’Irlanda non avrebbe potuto mettere in piedi una tigre di cartapesta, basata sul nulla dell’economia dell’Eire, che non poteva, col tempo, che condurre alla totale rovina dello stato. Senza il capitalismo una intera classe politica, come quella greca, non avrebbe potuto arrivare a vertici di corruzione mai visti prima, senza il capitalismo una leadership come quella di Berlusconi sarebbe stata impensabile: l’uomo più ricco del paese non avrebbe potuto scendere in politica e fare ingresso nell’incubo dal quale non siamo mai usciti del conflitto di interessi. Senza il capitalismo non si sarebbero create delle disparità nel mondo talmente profonde da non essere praticamente quantificabili: in quanti paesi speranza di vita è al di sotto dei quarant’anni? E’ possibile che ancora oggi un continente intero, quello africano, soffre i mali endemici della fame e della denutrizione? Una volta sconfitte le socialdemocrazie, che erano in grado, segnatamente quelle scandinave, di apportare correttivi ai mercati e ai giochi funambolici dei finanzieri creativi, stabilendo dei paletti invalicabili ai giochi delle borse, il liberismo ha potuto dilagare al punto di autodistruggersi. La bolla immobiliare americana, dalla quale ha preso le mosse la crisi mondiale, è il prodotto dell’ultima fase del capitalismo, la peggiore, la più dura, la più spietata. Non sappiamo ancora che cosa verrà dopo, il tunnel è ancora troppo lungo, ma sappiamo che quasi certamente si comporrà un sistema economico e sociale più giusto, più umano. Il trapasso è ancora lento, è appena iniziato, siamo costretti a mantenere in vita un sistema già morto e sconfitto, per il semplice fatto che dalla crisi non si esce se non mantenendo le attuali condizioni, solo dopo, sarà possibile pensare ed edificare un mondo diverso che conoscerà una dottrina economica che non pone alla sommità di ogni valore il profitto, ma, insieme a quest’ultimo, affiancherà lo sviluppo e l’equità sociale. Ma in crisi siamo, e ci resteremo per un pezzo, e dobbiamo per questo utilizzare le armi che possediamo, che questo sistema ci fornisce. Non possiamo fare altro: restare uniti, almeno nella moneta che ci tutela e ci protegge dai pescicani internazionali; in un futuro lontano (passeranno forse due generazioni) il capitalismo che ha ridotto in povertà nazioni intere, che ha fatto la fortuna di pochi sciacalli spietati, che ha permesso e incoraggiato il colonialismo e l’imperialismo, che ha impoverito le nostre case e privato di un futuro i nostri figli, lascerà il posto ad un sistema che ci auguriamo sia figlio di una ideologia e non faccia esclusivamente appello al nostro naturale egoismo, che non soddisfi semplicemente e non assecondi i nostri più bassi istinti, ma, facendoci usare la ragione ed il sentimento, metta in luce le contraddizioni più stridenti tra gli esseri umani, e sia in grado, Dio volesse, di costruire un mondo in cui il bisogno non spinga più un essere umano a modificare le proprie abitudini, a divenire disonesto, a delinquere, e a farsi ingoiare nel nulla della criminalità organizzata. Il mio più grande rammarico è appunto quello di non vivere abbastanza per vedere quello che verrà, di non poter provare il sottile piacere di pensare al capitalismo e a tutto quello che ha portato con sè come ad un lontano, disgustoso, ricordo.

Nella foto la locandina di "Taxi driver", con l'indimenticabile interpretazione di Robert De Niro. Lo stesso attore sarà protagonista anche del successivo "Gli ultimi fuochi", dal romanzo lasciato incompiuto da Francis Scott Ftzgerald.