martedì 30 giugno 2015

NELLA MENTE DI TSIPRAS



La Grecia verosimilmente farà default sul pagamento della tranche di di 1,55 miliardi di debito verso l’Fmi dovuto a fine mese, la Banca centrale europea non ha aumentato la sua assistenza nella provvista di liquidità alle banche greche e la Grecia ha ordinato alle banche di non aprire fino a lunedi 6 al fine di evitare ulteriori fughe di capitali. Secondo un editoriale del Wall Street Journal, niente di tutto questo fa scattare automaticamente l’uscita dall'euro della Grecia. Ma è difficile capire come la Grecia possa rimanere nel blocco della moneta a lungo facendo default sul suo debito, rifiutandosi di attuare riforme fiscali ed economiche e, con ogni probabilità, imponendo controlli sui capitali.

Tutto ciò segna una lunga caduta nei cinque mesi di governo di Alexis Tsipras e della sua Syriza. In vista del voto parlamentare di gennaio, l'economia aveva cominciato a crescere di nuovo dopo quattro anni di recessione (con la contrazione di circa il 25% del Pil). Atene nel 2014 ha venduto obbligazioni a investitori privati
​​per la prima volta dal 2010 ed era sul punto di uscire dal programma di salvataggio del 2012.

E’ vero che i salvataggi del 2010 e 2012 erano stati mal progettati, basati come erano su violenti aumenti delle imposte, ma nessuno ad Atene sembra aver pensato a dove il denaro sarebbe venuto per mantenere la spesa pubblica. Syriza ha fatto campagna elettorale in modo esplicito sulla promessa di negoziare un accordo migliore con i creditori. Tale accordo si è rivelato impossibile, anche se non per mancanza di buona volontà da parte dei creditori. Nessuno vuole essere responsabile dell’uscita di un paese dall’euro, sostiene l’editoriale del Wall Street Journal, meno di tutti il
​​cancelliere tedesco Angela Merkel. Questo mese FMI, BCE e i governanti della zona euro hanno offerto obiettivi fiscali e di surplus più indulgenti e più margini di manovra per la Grecia di aumentare le tasse in cambio di riforme pensionistiche più modeste e di altri tagli alla spesa.

Questa è l'offerta più generosa che i creditori potevano ragionevolmente fare, alla luce dei propri vincoli politici e istituzionali. Con tutti i suoi difetti, è anche un piano migliore per l'economia greca rispetto al piano tutto tasse che Syriza vorrebbe al fine di proteggere la spesa sociale. Tsipras ha invece rifiutato l'offerta, proponendo un referendum il 5 luglio sull'ultima proposta dei creditori. Nel migliore dei casi, il voto fornirebbe a Tsipras una copertura politica per accettare l'accordo e attuare le riforme respinte dai membri più radicali di Syriza.


Ma Tsipras stesso ha intenzione di fare campagna contro l'offerta, quindi è più probabile che speri in un voto negativo, in modo da avere nuova merce di scambio con i creditori, o un alibi politico per presiedere una caotica uscita dall'euro. Una uscita che sarebbe una tragedia, soprattutto per i greci. Gli ottimisti sostengono un ritorno ad una dracma svalutata sarebbe un bene per il turismo, ma si accompagnerebbe a un enorme calo del tenore di vita. I greci che devono debiti in euro, ma che incassano redditi in dracme sarebbero schiacciati. Un'altra profonda recessione sarebbe inevitabile.


L'impatto sul resto d'Europa e mercati finanziari mondiali è più difficile da prevedere. Un po’ di contagio finanziario inatteso è possibile, tanto più che i mercati avevano scontato un accordo all’ultimo minuto. Ma l'Europa ha pianificato da mesi come contenere i danni, e le sue economie periferiche sono più forti di quanto non fossero nel 2012. I debiti della Grecia sono ora detenuti principalmente da governi e dall’ FMI e la BCE è in grado di assorbire un eventuale colpo.


Accontentare le richieste di Syriza potrebbe tradursi invece in un rapido contagio politico in Spagna, Portogallo e altri paesi che potrebbero pensare di evitare le riforme e comunque essere salvati. Una tregua last-minute è possibile, ma se non arriva i greci si suicideranno per non aver voluto ignorare la realtà economica. Gli elettori in Europa, Giappone e gli Stati Uniti, prendano nota, conclude il Wall Street Journal.

lunedì 29 giugno 2015

PER COLPA DI UN GIOVANE CIALTRONE LE BORSE BRUCIANO MILIARDI DI EURO



Il Premier greco Alexis Tsipras è completamente andato fuori di melone, ormai le sue esternazioni sono deliranti, chiaramente non è sua la colpa se oggi la Grecia è ad un passo dal disastro, il Paese era già sull’orlo del precipizio, lui ha dato solo la spinta finale.
Ed ora rilascia dichiarazioni e scrive tweet che dimostrano, se ancora ce ne fosse stato bisogno, che non poteva essere lui la persona giusta per cercare di rimettere in carreggiata un Paese assolutamente allo sbando.
Tsipras è un politico improvvisato, senza personalità, senza qualità, insomma la persona meno adatta a governare una situazione più che scottante, un politico incapace di assumersi responsabilità e che dopo aver “giocato” a fare lo statista si è scoperto per ciò che è: una nullità!
Ma ribadisco, la colpa non è di Tsipras, poverino, ma del popolo greco!
La Grecia aveva bisogno di una Thatcher ed invece ha votato uno Tsipras!
Ed il Premier ellenico trovatosi di fronte alle difficoltà si è lasciato andare al “pianto greco”.
Ed ecco una serie di sue esternazioni:
“Faccio appello alla calma, i depositi sono al sicuro”
Eh! Come no! Sono proprio al sicuro. Le banche greche sarebbero tutte fallite da anni se non ci fosse stata la Bce a rifornirle continuamente di liquidità!
“Ogni tentativo di cancellare il processo democratico è un insulto e una vergogna per le tradizioni democratiche europee. Sto ancora aspettando una risposta alla richiesta di estendere gli aiuti alla Grecia”    
Questa poi è una perla, da decenni i greci vengono mantenuti dagli altri Paesi europei, da anni si chiede loro, non di restituire i prestiti ricevuti, ma di non sperperare continuamente gli aiuti che gli continuano a pervenire, e per Tsipras è addirittura una “vergogna” che l’Europa non voglia “estendere” cioè “aumentare” ancora le sovvenzioni alla Grecia?
Naturalmente, però, la “perla” viene alla fine, quando Tsipras ha il coraggio di dire:
“Le recenti decisioni di Bce ed Eurogruppo hanno un solo obiettivo: tentare di soffocare la volontà del popolo greco …”
Questo qui è davvero partito con il cervello! Ma qual è la “volontà” del popolo greco? Quella di farsi mantenere dagli altri popoli europei che lavorano e pagano le tasse?
‘A Tsipras, ma che … dici? Ah sì, scusate, dovrei essere più comprensivo con una persona che ha evidentemente perso il lume della ragione, perché, sentite come conclude:
“… non ci riusciranno: accadrà l’esatto opposto. Il popolo greco resisterà con ancor più caparbietà”
Siamo arrivati alla “resistenza”. Caro Tsipras, anziché cantare “Bella ciao” dì al tuo popolo che per mangiare, bisogna lavorare, e non andare in pensione a 56 anni.  (source)

Alla fine dei conti, parliamoci chiaro, per le bizze di un giovanotto senza arte nè parte, imbottito di utopie leniniste e chimere maoiste, tutti noi, noi che abbiamo un gruzzolo più o meno cospicuo nelle nostre banche, vediamo in questi giorni i rendimenti cui abbiamo affidato i nostri investimenti, arretrare paurosamente. I mercati azionari, obbligazionari, delle commodities, dei corporate, dei futures, il forex, crollano in questi giorni sotto il peso della fuga da panico (panic selling) dei grandi investitori internazionali, che non guardano più all'euro come ad una moneta sicura, duratura, irreversibile. Sia che siamo grandi investitori o piccoli risparmiatori, tutti perdiamo qualcosa e lo dobbiamo unicamente ad un incapace che non saprebbe amministrare neppure un condominio. Grazie, caro Tsipras, i nostri 40 miliardi teli sei già giocati, che altro ci verrai a domandare domani?

domenica 28 giugno 2015

LA GRECIA VA IN DEFAULT. E ORA CHE SUCCEDERA'?



E adesso? Ora che i timori di un’uscita della Grecia dall’Eurozona si fanno più consistenti sono in molti a domandarsi quali possano essere le conseguenze di una rottura per il nostro Paese.
Innanzitutto bisogna considerare di quale rischio stiamo parlando. Da una parte bisogna considerare le conseguenze di breve-medio periodo che uno shock come l’uscita della Grecia dall’Eurozona potrebbe portare sui mercati, con il probabile rialzo dei rendimenti dei titoli di Stato e quindi degli spread, e il relativo maggior costo per il bilancio dello Stato, dall’altro bisogna considerare i rischi legati all’esposizione diretta e indiretta del nostro Paese sul debito pubblico ellenico. Da ultimo si possono ipotizzare i rischi più immediati per risparmiatori, banche e imprese italiane.
  • Il boom dei rendimenti. Più spese per interessi. Meno risorse per lo Stato.
La prima conseguenza di un ipotetico Grexit, o almeno quella più immediata, potrebbe avere le sue prime anticipazioni già lunedì, alla riapertura dei mercati. Nei momenti di maggiore instabilità i rendimenti dei titoli di Stato salgono perché gli investitori tendono a considerare più rischioso l’investimento sul debito di un Paese, e quindi a chiedere per questo un premio più alto. Per le casse pubbliche l’aumento dei rendimenti (che si riflette nel cosiddetto spread, cioè un indice che confronta il rendimento dei nostri titoli decennali con gli equivalenti bund tedeschi), significa un maggior costo per il servizio del nostro debito pubblico, cioè maggiori spese per interessi da sostenere durante l’anno. Secondo Il Sole 24 Ore un rialzo permamente di 2 punti percentuali dei rendimenti costerebbe circa 4/5 miliardi all’anno.
Proprio l’abbassamento dei tassi aveva portato il nostro governo a mettere in conto una sorta di “dividendo spread”, cioè di risparmi assicurati dai bassi rendimenti ipotizzati per l’anno. Questo dividendo, cioè queste minori spese, rischiano di erodersi se non di prosciugarsi. Per l’esecutivo significa dovere reperire le risorse altrove: tagliando le spese o aumentando le tasse. A cascata, quindi, un impatto diretto sulla vita dei cittadini.
L’antitodo: A differenza di alcuni anni fa, la zona Euro è ora dotata di meccanismi di protezione in grado di contenere e arginare shock macoreconomici. L’ultimo e il più importante è proprio il Quantiative Easing della Bce, cioè il massiccio piano di acquisto di titoli sul mercato secondario dei Paesi dell’area Euro. L’intervento dell’Eurotower infatti può infatti, in sintesi, limitare l’aumento dei tassi. Tamponando per tempo i possibili rischi appena elencati.
  • I Crediti italiani con la Grecia
Anche se in qualità di Stato, la Grecia non è diversa da un comune debitore. L’abbandono, eventuale, della moneta unica non la esonererebbe automaticamente dagli obblighi legati al proprio enorme debito pubblico. Come ha spiegato qualche settimana fa il presidente dell’Eurogruppo Dijsselbloem, “se un Paese lascia l’Eurozona il suo debito resta”. Certo è tutto da vedere se e in che modo sia in grado di onorarlo. Sempre il Sole 24 Ore oggi fa i conti di questa esposizione totale. Si tratta – va ribadito – non di una perdita secca in caso di Grexit, ma della somma di tutte le possibili “somme” in periciolo. Il totale, calcola il quotidiano economico, vale 65 miliardi di euro. Si parte innanzitutto dai prestiti bilaterali concessi dal governo italiano a quello di Atene e ammontano a 10 miliardi di euro. La fetta più consistente dei soldi concessi alla Grecia è arrivata attraverso i due fondi salva stati Efsf e Esm. L’Italia contribuisce pro-quota a questi fondi quindi il mancato rimborso a queste due istituzioni varrebbe, rispettivamente, 23,3 e 14,2 miliardi di euro. Si parla, va ricordato, di perdita teorica, visto che in pochi immaginano che un default di Atene significhi un azzeramento dei propri debiti. C’è poi il capitolo più complesso della Banca Centrale Europea, che in questi anni ha anch’essa prestato soldi alla Grecia. Attraverso la Banca d’Italia, il nostro Paese detiene il 12,3% del capitale dell’Eurotower ed è esposta per 6,6 miliardi circa, a cui secondo Il Sole 24 Ore bisogna aggiungere 10,94 della quota della linea di liquidità Ela concessa ad Atene, che però non rappresenta un’esposizione diretta della Bce, visto che è innanzitutto la Banca Centrale greca a farsi carico dei 95 miliardi concessi alle banche greche. Solo in ultima istanza la Banca Centrale Europea potrebbe dovere “ripianare” questa somma.
  • Quindi? Quale impatto per banche, risparmiamiatori e imprese italiane
Rispetto al passato si è ridotta sensibilmente la quota di titoli di stato greci nel portafoglio degli Italiani. Quindi un possibile default greco, se parliamo di impatto diretto e immediato, avrebbe conseguenze molto meno pesanti rispetto al passato. Anche l’esposizione delle nostre banche sul debito ellenico è sensibilmente diminuita. Come ha mostrato uno studio del think tank Bruegel è di appena 800 milioni di euro, su un debito complessivo di circa 315 miliardi, cifre confermate oggi anche dal presidente dell'Abi Antonio Patuelli.
Rischi un po’ più rilevanti, almeno più diretti, non riguardano la salute finanziaria dello Stato greco, ma a cascata quella dell’intero Paese. Per le nostre aziende esportatrici un default greco vorrebbe dire mettere in pericolo i rapporti commerciali in atto e i relativi crediti. Tuttavia, ricorda il Corriere della Sera, citando il capo economista di Intesa San paolo Gregorio De Felice, la quota di esportazioni italiane nel Paese vale solo lo 0,9% del totale, lo 0,2% del Pil. Una cifra, quindi, relativamente molto bassa. (source)

sabato 27 giugno 2015

VAROUFAKIS BUTTATO FUORI DALL'EUROGRUPPO



È rottura definitiva tra Grecia e creditori. Al termine dell'Eurogruppo i ministri delle Finanze dell'Eurozona hanno deciso di non accogliere la richiesta del governo greco di estendere l'attuale programma di salvataggio in scadenza il 30 giugno di alcune settimane e hanno deciso di riunirsi nuovamente senza la delegazione greca e il ministro Yanis Varoufakis.
Un gesto senza precedenti in queste settimane e che segna la fine del negoziato tra Atene e le istituzioni. Con parole durissime il presidente dell'Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem ha criticato la "negativa" decisione del governo ellenico di indire un referendum per il prossimo 5 luglio sulle proposte dei creditori. Il programma di aiuti "per quanto triste, si concluderà martedì sera", ha sottolineato Dijsselbloem, spiegando che la nuova riunione senza i rappresentanti greci serve "per prepararci a tutto quello che è possibile fare per preservare la stabilità e la solidità dell'Eurozona".
Con la decisione di tenere una consultazione popolare sull'ultima proposta da parte dell'Ue, «la Grecia ha deciso di concludere unilaterlamente i negoziati», ha affermato il ministro delle Finanze della Germania, Wolfgang Schaeuble. «Il programma di aiuti si concluderà martedì (30 giugno, ndr)», ha aggiunto.
ROTTURA SUL REFERENDUM. Negativo anche il commento del presidente dell'Eurogruppo, Jereon Dijsselbloem: «Sono sorpreso molto negativamente dalla decisione dei greci. Hanno apparentemente respinto l'ultima proposta dei creditori e deciso di indire un referendum con una indicazione negativa». «Si tratta di una decisione triste di chiusura» di fronte ad una porta che invece per parte europea restava aperta.
Sulla stessa linea il commissario europeo agli Affari economici, Pierre Moscovici: le trattative con la Grecia erano proseguite fino alla serata di venerdì 27 giugno, ha detto, ma ora «sono state di fatto interrotte dall'annuncio di referendum. Ora sta all'Eurogruppo prendere la responsabilità di valutare se un accordo è ancora possibile».
Totale chiusura nei confronti di Atene è stata invece espressa dal ministro delle Finanze finlandese Alexander Stubb: con la decisione della Grecia di tenere un referendum, ha detto Stubb all'arrivo all'Eurogruppo straordinario, il «piano B» su un non accordo, con conseguente insolvenza della Grecia e possibile uscita dall'euro, «è diventato il piano A».
FMI: «CONTINUIAMO A LAVORARE PER UN ACCORDO». La direttrice del Fondo monetario internazione, Christine Lagarde, ha a sua volta affermato che l'istituzione continuerà a lavorare per cercare un accordo che consenta di aiutare la Grecia. Ma questo poggia su «due pilastri»: da parte dei greci servono «riforme strutturali e risanamento», da parte dei suoi partner europei, ha affermato Lagarde giungendo all'Eurogruppo serve «sostegno finanziario e operazioni sul debito per renderlo sostenibile».

venerdì 26 giugno 2015

FASSINA HA LASCIATO UN PD CHE E' DIVENTATO IL Partito della Destra



Stefano Fassina ha scelto di uscire dal Pd per percorrere una strada che sembra lunga e piena di ostacoli. Sono le caratteristiche tipiche delle strade che portano ai traguardi più alti. Per percorrerle occorrono coraggio, visione, intelligenza, strategia e passione. Doti molto rare nella politica di oggi e che dovrebbero essere le prime virtù di un leader.
La scelta si è consumata dopo che il governo Renzi ha posto la fiducia sul decreto scuola. È stata la goccia che ha fatto traboccare un vaso già pieno di tanta acqua che era difficile mandare giù: l'abolizione dell'articolo 18, l'offesa permanente al sindacato, l'attacco al mondo del lavoro, la riforma del Senato, l'Italicum. Una deriva di destra cui neanche il Berlusconi dei tempi migliori era riuscito a portare il nostro Paese.
Sulla scelta di Fassina, però, si deve dire il contrario: non è Fassina che esce dal Pd, è il Pd che esce da Fassina e abbandona con lui i tanti elettori e militanti che si erano riconosciuti in un progetto diverso. I cittadini che nel 2012 votarono per Bersani alle primarie, contro Renzi, e che nel 2013 diedero, seppur di poco, la maggioranza alla coalizione Italia bene comune, lo fecero su un programma, su valori, su personalità totalmente diverse da quelle che oggi ha imposto con forza e arroganza il gruppo dirigente renziano.
Poco più di due anni fa quel popolo, già sfiancato dalla crisi economica e dalla pessima gestione del governo Monti, che il Pd avrebbe dovuto far cadere prima, aveva riposto fiducia in una scelta di cambiamento, dopo più di dieci anni passati sotto Berlusconi e la Lega, a eccezione della breve parentesi del governo Prodi. Quei cittadini, che avevano resistito al richiamo delle sirene populiste, credevano fosse possibile rimediare alle macerie della Seconda Repubblica costruendo un sistema politico plurale, che valorizzasse la partecipazione delle persone e promuovesse la leadership collegiale, non un sistema plebiscitario e cesaristico. Credevano fosse possibile tornare a investire sulla scuola e sulla ricerca (nessuno parla più di ricerca e università in Italia), cioè investire sul futuro, e invece il mondo della scuola si è trovato investito, o asfaltato, da questa pessima riforma. Credevano fosse giunto il momento che anche i ricchi e gli evasori pagassero la crisi, e invece il governo va a braccetto con la Confindustria e i poteri forti contro i già pochi diritti dei lavoratori.
Questo Pd ha tradito da tempo i suoi elettori e i suoi iscritti. Chi se ne va, come Fassina, non vuole essere un traditore delle proprie idee e per questa si avventura in questa strada. Si dirà che fallirà. Forse. Ma avrà sicuramente più dignità Fassina quando girerà per le strade della sua città e del suo Paese che non i tanti giovani arrivisti del suo partito che, nati e cresciuti professandosi socialdemocratici, hanno fatto una carriera lampo e oggi votano tutte le riforme di destra di Renzi pur di non perdere i lauti emolumenti parlamentari e la sicura ricandidatura alle prossime elezioni.
Si dirà anche che non ha la statura del leader, la solita ossessione. Bisognerebbe allora ricordare che per capire se un politico ha doti di leadership non contano solo gli slogan, i tweet, le barzellette, l'ostensione della (presunta) forza. Occorre soprattutto la credibilità.
Con questo suo gesto, coerente con la sua storia e la sua cultura politica, Stefano Fassina dimostra di averne tanta di credibilità e di potersi presentare alle persone a testa alta. Con il garbo e la gentilezza che lo caratterizzano, senza prepotenza e arroganza.
Non se n'è andato dal Pd quando Renzi lo offese con una battuta ("Fassina chi?") se n'è andato dopo l'ennesimo voto di fiducia sulla scuola. A dimostrazione che gli altri vengono sempre prima di se stessi. (source)