venerdì 30 settembre 2011

ELOGIO A RATZINGER

Nonostante le notizie economiche non siano certo di conforto, e la finanza ci riservi una delusione dopo l’altra, sono convinto che sia profondamente ingiusto abbandonarsi al pessimismo o all’umor nero, che sia giusto continuare, nel bene o nel male, tirare diritto, cercare di seguire la propria strada, pur tra mille incomprensioni e disagi. Spesso si ha la tentazione di mollare tutto, di scappare dalle noie del lavoro, dalle preoccupazioni familiari e dedicare più tempo a quello che ci aggrada. Si riparte come sempre dalle piccole cose, per enfatizzarle e riempirle di contenuto. Le nostre passioni, le nostre inclinazioni, per quanto esigue o minuscole, manteniamole e seguiamole con amore, ci daranno una grande consolazione. I rapporti umani, quelli veri, pochi per la verità, in questo mare di simulazioni, coltiviamoli con caparbietà e costanza. E' ovvio che questa contrazione economica è di una gravità tale da condizionare il nostro umore, il nostro lavoro, le nostre relazioni umane. Ma non dobbiamo lasciare che il pessimismo ci travolga o ci disintegri. Lasciamolo alla nostra parte razionale, che saprà come agire nel concreto, e alla nostra emotività dedichiamo più tempo possibile, pensando agli altri, cercandoli, magari aiutando chi è più in difficoltà di noi. Solo questo conta davvero: un rapporto solido, affetti, amicizie, un passatempo che ci rallegri. E, per chi crede, rifondare la propria fede proprio nel momento più difficile, perchè se molte sono le ambasce che dobbiamo superare, ancora più granitica deve essere la n nostra fede nel Padre celeste. Che non ci abbandona, che ha misericordia di questi suoi figlioli, anche quando accadono cose che la nostra mente non può o non sa spiegare. Diverse sere fa ho assistito al penoso dialogo tra un mediocre teologo, Vito Mancuso, e il solito compiacente Fabio Fazio. Il quale, per una volta, non è riuscito più di tanto ad incensare il proprio ospite, dal momento che, presentatosi per promuovere il suo ultimo inutile libro, ha fornito una serie di risposte puerili e approssimative. Queste persone, che faticano vistosamente a rimanere nell'ambito della chiesa cattolica, ma non hanno le capacità o la forza necessaria per voltare pagina, farebbero meglio a continuare il loro insegnamento secondo il magistero cattolico e rimanere nell'ombra. Sono rimasto, viceversa, colpito favorevolmente dalle ultime dichiarazioni di Joseph Ratzinger, che da Berlino non esclude sue eventuali dimissioni allo scoccare degli 85 anni, compatibilmente con le condizioni della sua salute. Le sue affermazioni (riportate anche in una enciclica) circa il limite che un Pontefice non dovrebbe travalicare quando le sue condizioni psicofisiche sono tali da compromettere il suo mandato, suonano come una aperta critica alla lunghissima agonia cui ci ha fatto assistere il suo predecessore, Giovanni Paolo II. Da tutti è stato osannato come un santo: avrebbe fatto meglio ad abdicare. Un papa non è un impiegato della Curia, deve trovarsi nelle condizioni minime per lo svolgimento del suo compito. E poi la comprensione di chi, vittima di sacerdoti pedofili, abbia abbandonato la fede, è una presa di posizione così netta da lasciare stupefatti. In ultimo, il privilegiare un agnosticismo consapevole e sofferto ad una fede solo di facciata, di routine, fatta di partecipazioni passiva alla messa rispondendo meccanicamente al sacerdote delle stanche formule, ebbene, sinceramente questa asserzione da parte di Ratzinger non me la sarei aspettata. E' di una portata non dico rivoluzionaria, ma, considerando il personaggio, alquanto riottoso all'innovazione, è una affermazione della massima importanza e di tutto rispetto. Onore al merito, dunque.
Posso solo aggiungere, sperando di non risultare patetico, di non concentrarsi mai troppo su se stessi, di guardarsi attorno, per vedere meglio gli altri e il mondo circostante. Focalizzare la nostra attenzione su qualcosa di bello e di utile, solo questo ci è concesso, ma non è poco. Mi capita spesso di ripensare a Claudio l'amico così tragicamente scomparso cui ho dedicato il post “A spasso per i Campi Elisi”, lui adesso è morto, ed io sembro vivo. Ciononostante, anche per gli amici come Claudio che, credo, ritroveremo un giorno, sotto altri cieli e sopra altri mari, andiamo avanti, non lasciamoci scoraggiare dalla tragedia economica presente, dai piccoli o grandi problemi familiari, la vita va vissuta, anche se fosse peggio. Mi tornano alla memoria le semplici parole di un cantautore rimpianto e mai ricordato, Stefano Rosso: “E non sarò un poeta / ma anche se la vita  / fosse peggio / non la tradirei.





mercoledì 28 settembre 2011

LA CRISI DEL DEBITO SOVRANO E IL MINISTRO INESORABILE (ovvero: come aggirare la crisi e vivere felici)


Pubblico con un sorriso sardonico il bellissimo articolo di Vittorio Malagutti per Il Fatto. Si tratta di una impietosa fotografia del Ministro Tremonti e dei suoi affari di famiglia. C’è da ridere, è vero, ormai non ci scandalizza più nulla, abbiamo fatto il callo a ben altro. C’è da ridere, dicevo, ma si ride amaro. Questa panoramica sugli affari personali del super ministro dell’economia, più che sorprendere, è sconsolante. Vuole dire che uno degli uomini che, sebbene capace solo a fare il Ragioniere dello Stato, uno dei più considerati e quotati a livello internazionale, è solo un politicante come tutti gli altri, ne più, né meno. Così, a dispetto delle acute analisi dell’Economist e del Washington Post, rimane il ritratto di un uomo mediocre, che di economia capisce poco, lui, un tributarista che sa fare molto bene il suo mestiere, lo sappiamo bene, di fiscalista. Un uomo come tutti i suoi compagni di scranno, che non si differenzia in nulla dai suoi compagni di casta. Uno che più che al paese pensa agli affari suoi e soprattutto alla sistemazione dorata dei suoi congiunti. Sembra tutto normale, ne convengo, ma da un ministro dell’economia (che assomma quindi finanze, tesoro e bilancio) francamente, ci saremmo aspettati qualcosa di meglio. Da un signore che invita (o meglio, obbliga) il paese a stringere la cinghia, a sacrifici, introducendo imposte dirette e indirette, tagliando linearmente, come solo lui sa fare, ci saremmo aspettati un profilo più basso, una sobrietà più britannica. Siamo dei sentimentali? Degli utopisti? Può darsi. E’ difficile rassegnarsi ad essere governati da una consorteria di politicanti votati unicamente alla coltivazione dei propri interessi personali: è l’unica occupazione che la nostra classe politica segue con assiduità e competenza. Il paese può andare al macello, chi se ne frega, noi ce ne stiamo al calduccio con i nostri risparmi, magari meditando, se le cose dovessero mettersi male, una partenza alla volta del Costarica, o delle Isole Figi. Che triste spettacolo offre Montecitorio, che triste paese è l’Italia!

Azioni? Obbligazioni? Titoli di Stato? Macché, quando si tratta di investire il gruzzolo di casa, la famiglia Tremonti gira alla larga dai mercati finanziari e va sul sicuro. Anzi, sul mattone. Lo rivelano i bilanci delle società controllate dal ministro dell’Economia e dai suoi parenti stretti, moglie e figli.
C’è l’Immobiliare Crocefisso srl, (si chiama proprio “Crocefisso” (N.d.R.) che due anni fa, come il Fatto Quotidiano ha già raccontato, si è comprata un intero palazzo d’epoca (tre piani) nella centralissima via Clerici a Milano. Quest’ultimo acquisto è andato ad aggiungersi agli uffici di via Crocefisso, pure questi nel centro di Milano, dove ha sede lo studio tributario fondato da Tremonti e ora affidato ai suoi storici collaboratori Enrico Vitali, Dario Romagnoli e Lorenzo Piccardi.
La vera sorpresa arriva però da un’altra società. Si chiama Nitrum e risulta intestata ai due figli del ministro, Luisa, 33 anni, e Giovanni, 26. Anche Nitrum, come vuole la tradizione di famiglia, ha puntato sul mattone. Tra l’altro possiede un intero piano di uno dei palazzi più alti di Milano, un grattacielo costruito negli anni Cinquanta in piazza Repubblica a Milano, vicino alla stazione Centrale. Ebbene, chi ha preso in affitto i locali degli eredi di Tremonti? Le carte ufficiali consultate dal Fatto rivelano che in quelle stanze si è insediata un’azienda pubblica, l’Autostrada Pedemontana lombarda.
Proprio lì, al sesto piano del grattacielo milanese, si trovano gli uffici della società che sta realizzando una delle opere più costose e discusse degli ultimi anni. Una nuova autostrada che tagliando il varesotto e poi la Brianza dovrebbe diventare una nuova arteria di collegamento veloce tra il nordovest della Lombardia e Bergamo. Nel 2007 i vertici della Pedemontana, all’epoca presieduta da Fabio Terragni, hanno deciso di cambiare sede. E la scelta per i nuovi uffici, 650 metri quadrati in tutto, è caduta proprio sull’immobile di proprietà della famiglia Tremonti .
Risultato: i figli del ministro dell’Economia, tramite la società Nitrum, incassano l’affitto, che ammonta ad alcune centinaia di migliaia di euro l’anno, da una società a controllo pubblico. L’ufficio stampa della Pedemontana, contattato dal Fatto Quotidiano, ha ritenuto di non commentare né di rispondere alla richiesta di dettagli.
Sta di fatto che da principio quel sesto piano era di proprietà di un istituto di credito, la Banca Carige. Nel 2001 arriva la Nitrum che all’inizio si accontenta di un leasing del valore complessivo di 3,8 milioni di euro. Nel 2009, alla scadenza del contratto, l’immobile è stato riscattato dalla società dei figli di Tremonti. Nel frattempo, a metà del 2007, gli uffici sono stati presi in affitto dalla Pedemontana, che nel suo bilancio ha spiegato il trasloco con l’esigenza di avvicinarsi alle “sedi delle istituzioni”.
In effetti, non lontano da piazza della Repubblica si trova anche la sede della Regione Lombardia. La quota di maggioranza della società Autostrada Pedemontana è di proprietà della Milano Serravalle, proprio la società tornata alla ribalta in questi mesi per lo scandalo che ha travolto Filippo Penati, ex presidente della Provincia di Milano, fino a pochi mesi una dei più importanti esponenti del Pd al Nord. La Serravalle, a sua volta, ha come soci principali Provincia e Comune di Milano.
Azionisti a parte, la Pedemontana è però legata a filo doppio al mondo politico. I finanziamenti pubblici per la nuova autostrada lombarda arrivano grazie al Cipe, il Comitato interministeriale per la programmazione economica di cui Tremonti, come ministro dell’Economia, è vicepresidente.
Ma oltre a questa relazione istituzionale c’è, come abbiamo visto, anche una connection familiare: la Pedemontana paga l’affitto ai figli del ministro, Luisa e Giovanni. Gli eredi di Tremonti hanno comprato la Nitrum, che già possedeva un importante patrimonio immobiliare, a metà del 2006. Un affare tutto in famiglia. A vendere è stata la signora Tremonti, cioè la mamma degli acquirenti. Che se la sono cavata con poco: 37 mila euro.
Vittorio Malagutti per Il Fatto









VERDI COLLINE D'IRLANDA

E' difficile di questi tempi trovare elementi di ottimismo sui mercati finanziari, ci sembra quindi interessante portare all'attenzione degli investitori un caso che, almeno parzialmente, può fornire qualche speranza. Si tratta dell'Irlanda, che circa un anno fa piombò nella crisi di fducia degli investitori che sta oggi colpendo l'Italia.
Trascinata verso il baratro dagli eccessi del settore bancario, l'Irlanda ha avuto bisogno del sostegno della BCE prima e dei prestiti garantiti dall'Europa attraverso l'EFSF poi, per continuare ad essere solvibile (cioè in pratica pagare stipendi e garantire i servizi pubblici).
In termini di prezzo, i suoi titoli di stato hanno raggiunto i minimi pochi mesi fa (vicino a 50 per quelli con scadenza decennale). Tuttavia nelle ultime settimane, nonostante l'aggravarsi della crisi, le quotazioni invece di continuare a scendere o languire vicino ai minimi assoluti, hanno recuperato in maniera abbastanza significativa, senza, tra l'altro alcun "aiuto" esterno da parte della BCE.
Anche i Credit Default Swaps (CDS), che indicano il costo di assicurarsi contro il possibile fallimento di un emittente, trattano ben al di sotto dei massimi di qualche mese fa, in netta controtendenza rispetto a tutti gli altri paesi europei coinvolti nella crisi.
Certo, quotazioni dei titoli di stato e costo dei CDS sono ancora nettamente più elevati di quelli italiani e indicano una probabilità di default ancora estremamente elevata. E' tuttavia la tendenza al miglioramento, tra l'altro in una fase di caos e pessimismo estremo, che ci sembra particolarmente significativa. Cerchiamo quindi di approfondire le motivazioni di questa tendenza, ricordando che l'Irlanda ha adottato, senza indugi e con grande tempestività, fortissime misure di austerità e riduzione della spesa circa un anno fa.
Verificando l'andamento dei principali dati macroeconomici emerge una situazione non del tutto negativa.
Il Prodotto Interno Lordo è in ripresa (a differenza p.es. della Grecia), nonostante le misure fiscali fortemente restrittive decise circa 12 mesi fa. Certo, quotazioni dei titoli di stato e costo dei CDS sono ancora nettamente più elevati di quelli italiani e indicano una probabilità di default ancora estremamente elevata. E' tuttavia la tendenza al miglioramento, tra l'altro in una fase di caos e pessimismo estremo, che ci sembra particolarmente significativa. Cerchiamo quindi di approfondire le motivazioni di questa tendenza, ricordando che l'Irlanda ha adottato, senza indugi e con grande tempestività, fortissime misure di austerità e riduzione della spesa circa un anno fa.
Verificando l'andamento dei principali dati macroeconomici emerge una situazione non del tutto negativa.
Il Prodotto Interno Lordo è in ripresa (a differenza p.es. della Grecia), nonostante le misure fiscali fortemente restrittive decise circa 12 mesi fa. A livello di vendite al dettaglio l'andamento è leggermente negativo; anche considerando l'impatto recessivo della manovra dello scorso anno però, il fatto che non ci sia stato un tracollo può a nostro avviso essere letto positivamente. Venendo invece ai dati meno positivi, la disoccupazione resta su livelli altissimi, anche se non si può certo affermare che questo rappresenti un'eccezione in Europa. Tuttavia il livello vicino al 15% rappresenta uno dei più elevati delle economie occidentali. Infine, dato forse più negativo di tutti, il calo della produzione industriale è stato netto e non accenna per il momento ad arrestarsi. Un dato che mette in parte in discussione l'attendibilità e sostenibilità della ripresa del PIL. Da quanto precede emerge una situazione economica con diverse ombre, ma nel contesto attuale non avrebbe potuto essere altrimenti, ma anche con qualche elemento di speranza e ottimismo.
Se il calo della produzione industriale dovesse assestarsi o addirittura invertire rotta, potrebbe confermare che nonostante la crisi internazionale e nonostante le misure fiscali fortemente restrittive adottate circa un anno fa, l'economia iralndese non è "collassata" come quella greca, offrendo speranze di sostenibilità economica e solvibilità finanziaria.
Se la crescita economica si manterrà sufficientemente positiva, il rapporto Debito/PIL si dovrebbe assestare vicino al 100% e l'economia irlandese continuerebbe ad essere favorita dal buon livello di competitività, come dimostrato dal dato positivo della bilancia commerciale. Proprio quest'ultimo elemento (la competitività) rappresenta attualmente l'elemento di distinzione fondamentale rispetto agli altri paesi più colpiti dalla crisi, che rischia di rendere l'Irlanda una mera "eccezione". Volendo vedere l'aspetto positivo però, se questo "risorgere" dell'Irlanda dovesse essere confermato, potrebbe indicare la strada da seguire agli altri paesi in crisi, dimostrando tra l'altro ai mercati che la cura delle Autorità europee e del Fondo Monetario può essere vincente.
Dal punto di vista degli investitori obbligazionari comunque è ancora presto per considerare i titoli di stato irlandesi diversamente da un investimento ad altissimo rischio, tuttavia è a nostro parere interessante seguirne l'andamento. Senza l'intervento della BCE i titoli di stato Italiani e Irlandesi tratterebbero già oggi, con tutta probabilità, su livelli abbastanza vicini. In un futuro non troppo lontano potrebbe addirittura verificarsi, chissà, un'inversione di ruolo tra le due "I" dei PIIGS.
Fonte: soldionline






lunedì 26 settembre 2011

ANCHE SE FOSSE PEGGIO

Desidero formulare una doverosa precisazione relativa al presente post, doverosa dal momento che, al di là delle mie intenzioni, è stato interpretato non correttamente. I riferimenti contenuti nella prima parte del post non corrispondono alla realtà: si è trattato di una digressione fantastica, di un viaggio dell'immaginazione che non ha riscontri con la verità dei fatti. Non ho sottolineato con sufficiente chiarezza questo aspetto, che mi ha permesso di introdurre la seconda parte, altrettanto intimistica e giocata sull'emotività. In conclusione, non esiste alcun riferimento a fatti o persone realmente esistenti.

venerdì 23 settembre 2011

RIMETTIAMOCI IL MAGLIONE (i tempi stanno per cambiare)

Gli analisti del Credit Suisse si sono chiesti cosa potrebbe accadere qualora si dovesse verificare uno smembramento dell’area euro provocato dalla crisi del debito.
La risposta a questo interrogativo ha portato a delineare un quadro piuttosto devastante, visto che le future valute dei Paesi periferici quali Portogallo, Spagna, Irlanda e Grecia, si svaluterebbero di circa il 50%, con un calo del 40% dei crediti statali e privati.
Conseguenze molto pesanti si avrebbero anche per il sistema bancario visto che le principali banche europee subirebbero delle perdite nell’ordine di 300 miliardi di euro. Per gli istituti di credito dei Paesi periferici, ad eccezione dell’Italia, si avrebbero perdite per 630 miliardi di euro, con un buco di 150 miliardi per la Banca centrale europea.
Gli analisti del Credit Suisse segnalano inoltre che nei default disordinati, storicamente si registra un crollo del Prodotto Interno Lordo del 9%, con sofferenze in aumento di oltre il 20%.
Inevitabili gli impatti anche sul versante societario, visto che gli utili per azione calerebbero del 40% a livello globale, e le banche europee potrebbero perdere ancora terreno dal 20% al 40%. Sotto pressione finirebbero i mercati azionari periferici coinvolti, mentre l’indice americano S&P500 rischierebbe di ritornare in area 750 punti, oltre il 30% più in basso dei valori attuali. E se da una parte i grandi esportatori europei sarebbero destinati  a soffrire, potrebbero trarne vantaggio i piccoli che avrebbero ricadute positive dalla svalutazione competitiva delle rispettive valute, sebbene le esportazioni potrebbero faticare ugualmente a crescere, in un quadro di rallentamento delle maggiori economie mondiali.
La banca elvetica però ritiene che ci sia solo il 10% di probabilità che si verifichi un simile scenario, ma il rischio salirebbe al 20% in caso di downgrade della Francia. L’idea è che sarebbe più conveniente salvare i Paesi periferici dell’area euro, perchè un salvataggio avrebbe un costo comunque inferiore per l’Europa rispetto al default.
Quest’ultimo non viene neanche preso in considerazione per la Spagna e per l’Italia, e con riferimento al nostro Paese il Credit Suisse ritiene che il rischio maggiore sia rappresentato non tanto da un fallimento, ritenuto improbabile, quanto da una sua volontaria uscita dall’Euro che potrebbe essere invocata da un partito politico.
A corredo di questa analisi piuttosto allarmante, la banca elvetica ha fornito però anche alcune alternative allo scioglimento dell’area euro. Una delle opzioni possibili è che la Grecia abbandoni volontariamente Eurolandia, anche se questo avrebbe conseguenze drammatiche sull’Unione monetaria. Quest’ultima però potrebbe sopravvivere solo se gli Eurobond fossero già in circolazione o se l’Efsf, il fondo salva-Stati, venisse trasformato in una banca.
Una seconda ipotesi potrebbe essere la creazione di un euro a due velocità, che avrebbe da una parte la Germania, l’Austria, l’Olanda e il Lussemburgo, e dall’altra la Francia, con l’Italia, il Belgio, la Spagna e gli altri Paesi periferici. Un’opzione di questo tipo però porterebbe ad una situazione molto simile a quella registrata dopo il fallimento di Lehman Brothers, con possibile congelamento dei depositi, guerra commerciale e forte contrazione del mercato dei prestiti bancari. Infine, l’alternativa più interessante è quella che vede l’uscita volontaria dell’Italia dalla zona euro, anche se questo potrebbe portare il resto dell’Europa periferica al centro di una imponente pressione deflazionistica, che, lo ricordiamo per gli smemorati, rappresenta uno spauracchio ben peggiore dell’inflazione, in quanto prelude ad un periodo di medio lungo termine di depressione economica.
Fonte: trend-online.com

martedì 20 settembre 2011

IL MONDO DI STANDARD & POOR'S

Il giudizio di Standard & Poors di un declassamento (da A+ ad A) con outlook negativo, era largamente prevedibile (tanto è vero che i mercati non hanno subito sussulti particolari), il problema vero, adesso, è quello, assai più particolareggiato, di Moody’s, che si esprimerà ad ottobre. Moody’s ha messo sotto osservazione lo stato, le società partecipate dal Tesoro, gli enti locali e i 16 maggiori gruppi bancari. Tale giudizio, che sappiamo fin d’ora negativo, avrà delle ricadute ben più pesanti di quello odierno di S&P. E’ vero che le borse hanno reagito assorbendolo come già assimilato il downgrade di S&P, ma è anche vero che il livello di spread (oggi a 388 punti) e soprattutto quello dei Credit default Swap (le assicurazioni sui rimborsi dei titoli a difficile esigibilità) raggiungono livelli assolutamente pericolosi (sopra i 520 punti). Qualcuno penserà che si sta verificando un accanimento, un fumus persecutionis nei confronti del nostro paese, i cui fondamentali (un elevato debito pubblico, una crescita stentata se non anemica) rimangono non troppo dissimili a due o tre anni fa, siamo famosi nel mondo per la capacità di gestione del debito pubblico. E allora, l’unica motivazione che rimane plausibile è la debolezza politica e le scelte sbagliate di questo esecutivo. I mercati non possono dare fiducia ad un governo che vara una manovra fatta di soli tagli e imposizioni con 314 voti a favore e 300 contrari. Sapendo che quei 14 voti con i quali questa armata brancaleone continua a recitare la sua stucchevole commedia sono quelli dei peones di Scilipoti. Un nome, una garanzia. L’immagine di Berlusconi, quelle trasmessa da tutti, dico tutti i media del mondo è quella di un satiro sul viale del tramonto. Una persona che governa a tempo perso, preda com’è delle sue incontrollabile pulsioni sessuali. Ma a noi i fatti personali del premier non interessano. Potrebbe “farsi” 40 ragazze a notte, buon per lui, quello che gli domanda il mondo, ma non l’Italia, è semplicemente di lasciare il posto a qualcuno cui i problemi di questo paese stiano più a cuore. La scomparsa di Berlusconi dalla scena politica non sarà risolutiva: potrebbe però, come verificatosi in Spagna, trasmettere ai mercati e agli investitori un segno di discontinuità, un segnale di voglia di cambiamento e di propensione a mettere finalmente mano a quelle riforme strutturali che questo governo non vuole attuare, e soprattutto legiferare in modo da stimolare la crescita e lo sviluppo economico del paese. Sembra impossibile, ma non lo è: se il Belgio, da due anni senza un governo, è riuscito, partendo da una situazione paragonabile alla nostra, a mantenere il suo outlook stabile, conoscendo una crescita intorno al 2,4%, anche per noi sarebbe possibile varare una manovra non recessiva come quella attuale, ma che possa incentivare l’economia. Berlusconi (e con lui tutto il nostro paese) è disprezzato dal mondo intero per la sua vita dissoluta che non si concilia con il suo ruolo istituzionale, se non si toglie di mezzo in tempi brevi, il nostro paese rischia il default selettivo, magari senza uscita dall’Euro, ma sempre di fallimento si tratterebbe. Riporto di seguito il parere di due giornalisti economici, Flavia Scarano e Andrea Mazzalai, le loro analisi ci aiuteranno a capire meglio quello che sta accadendo. Riporto, allo scopo di far meglio comprendere il sistema e la classificazione del rating, la tabella utilizzata dalle tre maggiori agenzie del settore: vi invito a consultarla, siamo all’ultimo gradino prima delle tre “B”, l’ambito dei titoli speculativi a rischio elevato. Non aggiungo altro.

Alla fine la scure sul debito italiano è arrivata. Ma non quella che ci si attendeva. Mentre tutti gli sguardi erano puntati alla prossima mossa di Moody's, ad azionare la ghigliottina sull'Italia è stata l'altra importante agenzia di rating statunitense. Standard & Poor's durante la notte italiana, tra la chiusura di Wall Street e l'apertura dei mercati asiatici, ha tagliato il rating sul debito sovrano italiano di breve e lungo termine di un notch, da A+ a A, con outlook negativo. Questo in sostanza vuol dire che senza un cambiamento delle attuali tendenze saranno più probabili nuovi interventi e quindi un nuovo declassamento.
Motivi? "E' nostra convinzione - spiegano gli analisti di S&P - che le misure di risanamento fin qui adottate faranno ben poco per migliorare la performance economica dell'Italia , soprattutto sullo fondo delle difficoltà finanziarie crescenti e davanti al programma di austerità fiscale adottato dal governo". Questi i retroscena dietro alla decisione di S&P. Non solo. "La fragile coalizione di governo e le differenze politiche continueranno a limitare l'abilità dell'esecutivo a rispondere con decisione ad un contesto macro-economico interno ed esterno difficile", concludono gli esperti.
Il downgrade italiano si va ad aggiungere alle altre tante preoccupazioni che stanno destabilizzando i questi giorni l'Europa. Ieri è stata un'altra giornata di passione per i mercati europei in scia ai timori per un rinnovato default greco. Dalla teleconferenza tenutasi ieri da tra il governo di Atene  e i rappresentanti del Fondo Monetario, Commissione e Bce per discutere sul via libera alla sesta tranche di aiuti, non si è cavato un ragno dal buco. E mentre Il Fmi insiste verso questa direzione, dalla Germania, il presidente della Bundersbank annuncia che un default greco "non è da escludere".
La giornata si presenta piena di nubi all'orizzonte, anche se nei primi minuti di scambi a Piazza Affari il Ftse Mib arretra dello 0,88% a 13.962 punti, stesso calo per il Ftse All Share a quota 14.383. Anche le maggiori piazze europei viaggiano su ribassi che si aggirano sul mezzo punto percentuale: -0,30% per il tedesco Dax, -0,28% il francese Cac, mentre a Londra il Ftse100 cede intorno allo 0,20 per cento.
(flavia scarano - Riproduzione riservata)
 
Il declassamento, spiega S&P in un comunicato, «riflette la nostra visione di prospettive di crescita indebolita» per il Paese. Inoltre, spiega l'agenzia di rating, «la fragile coalizione di governo e le differenze politiche all'interno del Parlamento continueranno probabilmente a limitare l'abilità dell'esecutivo a rispondere con decisione a un contesto macroeconomico interno ed esterno difficile».(Sole24Ore)
 (...)In un'analisi pubblicata oggi sulla capacità dell'Italia di invertire la tendenza del debito pubblico, che ha ripreso a crescere rispetto al Pil a causa dalla peggiore recessione dalla seconda guerra mondiale, Moody's riconosce all'Italia la capacità di sapersi muovere entro gli spazi limitatissimi dell'elevata spesa per interessi sul debito. L'Italia, (...) è divenuto un paese professionista della gestione dell'alto debito pubblico in un contesto di crescita bassa, pagando sempre puntualmente e integralmente gli interessi e il rimborso dei titoli di Stato.
Rileggetevi riga per riga queste dichiarazioni, rileggetevele e non venitemi a dire che qualcosa è cambiato in negativo perchè dal punto di vista puramente finanziario l'Italia era ed è il paese al mondo che a subito meno questa crisi e esibiva un surplus di bilancio primario invidiabile!
Ma di cosa stanno parlando oggi quelli di Moody's, signori siamo o no in grado di comprendere che è grazie alle dichiarazioni di questi signori e alle idiozie scritte e dette dai giornali anglosassoni e da pseudo economisti e analisti che è partita questa valanga sul nostro paese.
Sveglia speudo editorialisti e pseudo economisti di facciata, lo sappiamo tutti da anni che questo Paese è un Paese dove la crescita è anemica, il debito strutturale, la burocrazia paleozoica, la politica un museo delle cere autoreferenziale e parassita, un paese di mafiosi ed evasori, elusori ed ora di nani e di prostitute che si vantano pure del loro corpo e del loro potere perchè non hanno un briciolo di cervello.
Non voglio assolutamente generalizzare, credo nella gente di tutti i giorni, non in questo museo delle cere che quotidianamente riempie le pagine dei giornali e delle televisioni.
Finiva Moody's con il dire che ...«L'Italia è riuscita in passato a gestire le limitazioni di bilancio connaturate al contesto di elevato debito pubblico e bassa espansione economica», sostiene Alexander Kockerbeck, senior credit officer autore del rapporto e analista per il rating sovrano dell'Italia, che resta confermato alla "Aa2" con prospettive stabili. «Riteniamo che l'entità dello sforzo richiesta al Paese per tenere sotto controllo il debito pubblico complessivo e i costi del suo finanziametno sia relativamente moderata rispetto ad altri Paesi Ue e non incompatibile per i trascorsi storici».Sole24Ore
Invece oggi, Standard & Poor's inoltre aggiunge nella sua "opinione" che ...«la fragile coalizione di governo e le differenze politiche all'interno del Parlamento continueranno probabilmente a limitare l'abilità dell'esecutivo a rispondere con decisione a un contesto macroeconomico interno ed esterno difficile».
Chissà forse in questo hanno ragione, forse è meglio non avere proprio un governo come sta accadendo in Belgio un paese con alto debito al quale recentemente è stato rinnovato un giudizio di stabilità.
Che serve la politica se invece di avere uomini e donne che pensano al Paese, fanno i mercanti di voti e gli speculatori della politica, aumentano a dismisura i loro privilegi e usano lo Stato e le istituzioni per i loro interessi a destra al centro e a sinistra?
Vogliamo uscire una volta per tutte dal nostro orticello per accorgerci in realtà di quello che sta accadendo non solo nel nostro Paese ma a livello mondiale, per sentire il vento di questa immensa socializzazione delle perdite, di questo immenso trasferimento di diritti e ricchezze, per essere consapevoli sino in fondo di questo momento epocale, di come molto dipende anche da noi.
Andrea Mazzalai – Trend-online.com

sabato 17 settembre 2011

PERCHE' NON SONO CATTOLICO

Mi pervengono, da qualche tempo, diverse domande sulle motivazioni delle mie scelte religiose, destando qualche meraviglia il fatto che, pur avendo studiato e lavorato, nella mia prima giovinezza, in ambito cattolico, io abbia compiuto la scelta di abiurare la fede nella chiesa romana. Intendiamoci, abiura è una parola grossa, degna di ben altra figura rispetto alla modesta mia, ma, insomma, si è trattato comunque di un ripudio della fede avita. Ora, è fin troppo chiaro che un discorso esaustivo sull’argomento necessiterebbe di ben altra sede ed altro spazio, ma cercherò, in ogni modo, di esporre il più sinteticamente e semplicemente possibile, i capisaldi della mia scelta in materia di fede. Ricordo brevemente a tutti di aver studiato teologia prima in Seminario, poi presso un istituto affiliato ad una facoltà Pontificia, conseguendo il cosiddetto “baccalaureato” in Teologia. In seguito, oltre all’insegnamento della Religione cattolica nelle scuole, ho prestato la mia opera nella Curia Arcivescovile della mia città. Ho conosciuto la Chiesa, dunque, non solo sotto l’aspetto metafisico, ma anche sotto quello pratico, “dal di dentro”.

IL PRIMATO DEL PONTEFICE
Può apparire un argomento secondario, tuttavia il primo impulso che diede vita al mio percorso al di fuori del cattolicesimo fu proprio il ruolo del Pontefice romano. Egli, prima del Conclave, si trovava ad essere un uomo come tutti gli altri, un cardinale, certo, degno del massimo rispetto, ma una creatura come noi. Dopo l’elezione del conclave, che il magistero cattolico ci suggerisce ispirato dal Padre stesso, ne esce un uomo profondamente cambiato, glorificato dall’elezione, quasi un semidio degno non di culto, ma di venerazione. Egli è il vicario di Cristo, il figlio di Dio, l’intermediario in questa terra tra noi e l’assoluto. Quando decide (il che per la verità accade raramente) di parlare “ex cathedra” la sua parola diviene vincolante per tutti i fedeli, entra a pieno titolo nel catechismo per gli adulti, diventa essa stessa parte della “tradizione” della chiesa. A me pareva ovvio tutto il contrario: l’uomo uscito eletto da conclave rimaneva identico a quello entrato nel conclave, non avveniva in lui alcuna trasformazione. Uomo era e uomo restava, con tutti i pregi e i difetti di una creatura umana. Nessun uomo, anche il più dotto e il più pio può considerarsi vicario di Cristo: una creatura non è in grado di rappresentare una divinità, neppure simbolicamente. Trovavo ovvio considerare il Concilio ecumenico al di sopra di un solo uomo: eppure, dal concilio di Trento in poi si è stabilito che il Pontefice ha prerogative maggiori di un concilio. Ma è talmente grande il divario tra la perfezione del Padre e la nostra finitudine che un uomo che si consideri il rappresentante del verbo di Dio dovrebbe essere considerato eretico. E tali considerai da allora in poi i pontefici romani.

LA GIUSTIFICAZIONE
Altro capitolo fondamentale del mio percorso, argomento di difficile trattazione, è quello che riguarda il modo nel quale possiamo, nonostante le nostre innumerevoli lacune, essere giustificati al cospetto di Dio. Il problema della giustificazione nasce dall’esigenza di trovare una risposta umana al tema della salvezza eterna: come possiamo meritare un’anima immortale se i nostri peccati e la nostra malvagità caratterizzano per grande parte la nostra natura? In base a cosa Dio ci elegge, decreta la nostra salvezza, ci redime e ci rende immortali? La dottrina cattolica ci insegna che alla Grazia di Dio, veicolata dai sacramenti, noi possiamo rispondere collaborando al disegno divino, stringendo la mano che ci viene tesa dal Padre. Di qui la meritorietà delle opere. Dio, dal canto suo, ci predispone alla salvezza, a noi compete la scelta se aderire o meno a questo disegno, con la preghiera, con la fede, e anche con le buone opere. Alla fine della nostra esistenza, ci viene insegnato, Dio, come il grande ragioniere dell’universo, fa un conto profitti e perdite della nostra esistenza, e, sulla base di quanto abbiamo compiuto in questo mondo, della sincerità o meno della contrizione che abbiamo provato in punto di morte, decide se precipitarci nel fuoco inestinguibile dell’inferno, farci stazionare per qualche secolo nel Purgatorio, o spedirci direttamente in Paradiso in mezzo agli angioletti. Io non la pensavo così. La natura umana, pensavo, è irrimediabilmente corrotta e propende naturalmente alla malvagità. Per malvagità intendo il puro egoismo, il tornaconto personale ancorchè spirituale. Ma, mi si dirà, ci sono uomini che compiono il bene! E’ vero. Ma il bene va compiuto come norma universale di comportamento, come imperativo categorico, svincolato dal credo religioso cui si appartiene. Molti cattolici, inconsciamente, compiono il bene in vista di un premio finale, il paradiso, per compensare una malefatta, per farsi belli agli occhi degli altri. L’egoismo si manifesta anche nella materia spirituale: se faccio opera di carità in vista di un tornaconto metafisico  è come se non la facessi. La natura umana è talmente imperfetta e degradata da rendere impossibile, di fatto, una collaborazione col disegno divino. Dio ci salva non per le opere, che non contano nulla a livello salvifico, ma per il solo mezzo della fede. Dio ha decretato da sempre, dall’eternità, la nostra salvezza, non è in nostro potere nulla che possa fargli mutare parere. Solo la fede in Cristo ci conferma che alla fine del cammino terreno troveremo un tenero Padre che ci accoglie tra le sue braccia e ci ristora e consola dopo le fatiche terrene. Le buone opere non sono che una conseguenza della fede, chi ha fede in Dio non può che fare il possibile per mitigare quella naturale propensione all’egoismo che alberga in ognuno di noi. Questa è la differenza fondamentale tra la predestinazione relativa (cattolica) e quella assoluta (protestante). Per quanto possiamo sforzarci non possiamo modificare il decreto divino, e non esistono, ovviamente, paradisi o purgatori. Esiste la riassunzione della nostra anima nel nostro principio, del quale non siamo che emanazioni. Tornare a Dio è il nostro fine ultimo e il nostro scopo. 

I SACRAMENTI
Altro spinoso capitolo, che cercherò di esporre brevemente. I sacramenti sono il veicolo della Grazia di Dio, sono il segno tangibile della sua opera nelle nostre anime. Gli unici due sacramenti istituiti direttamente da Cristo, secondo le scritture, sono due: il battesimo e l’eucarestia. Tutti gli altri (cresima, ordine sacro, matrimonio, confessione, estrema unzione) sono stati istituiti molto dopo la sua scomparsa e fanno parte della cosiddetta “tradizione” cattolica. Ora, appare chiaro anche ad un profano che pensare che il matrimonio – una promessa solenne davanti a Dio di fedeltà al coniuge – non può essere considerato un segno della Grazia di Dio, e tantomeno la confessione, che altro non è che una preparazione spirituale all’eucarestia. Tuttavia, la tradizione cattolica li ha voluti considerare tali, per motivi fin troppo ovvii. Conservare una importante prerogativa sul matrimonio o sulla unzione degli infermi costituiva e costituisce tuttora un elemento di presenza e di penetrazione nella società, un modo per conservare e propagandare il proprio verbo.  I sacramenti sono il battesimo, di cui diffusamente si narra nei Vangeli, e la santa cena, o eucarestia, istituita da Cristo medesimo nell’ultima cena. Da notare, tra l’altro, che mentre il sacerdote cattolico, un gradino sopra il fedele, può accostare le labbra al calice del vino, e al fedele non resta che cibarsi del pane sotto forma di ostia, nel mondo protestante la comunione avviene sotto le due specie: i fedeli, a turno, spezzano il pane e dividono il vino, perché non esiste differenza di grado tra pastore e comunità dei fedeli, ma solo di funzione. Il pastore ha il compito di divulgare ed illustrare la parola di Dio, ma ognuno di noi è sacerdote di se stesso: è il “sacerdozio universale dei fedeli”.

LA LITURGIA
Nel mondo protestante il fasto e la pompa della curia romana sono tuttora incomprensibili. Per secoli questa ostentazione di ricchezza, concretatasi nella realizzazione di opere monumentali come chiese, opere statuarie e pittoriche, di alto valore artistico ma di nessun valore spirituale, è stata motivata come la celebrazione della grandezza e della divinità del Cristo. La verità, temo, è ben diversa. Il potere temporale dei papi ha compiuto i disastri e le dissolutezze che ben conosciamo. La Santa Cena protestante, a differenza della Messa cattolica, è massimamente sobria: non ci sono immagini se non il crocefisso, la chiesa è spoglia, austera, il pastore parla dal pulpito non recitando una omelia, ma invitando i fedeli a riflettere su questo o quell’argomento. Largo spazio è lasciato ai canti, una parte fondamentale della coralità della comunità dei fedeli. Nella messa cattolica sopravvive una formula che già il Concilio vaticano II accennava a sostituire: la ripetizione di formule stanche e monocordi, cui i fedeli dovrebbero rispondere con altrettante frasi mandate a memoria e ripetute meccanicamente. Nel protestantesimo non c’è iconoclastia: le immagini non sono bandite in quanto ritenute strumento del demonio, ma semplicemente perché l’unico oggetto del culto, nel monoteismo assoluto, è Dio e il suo Figlio unigenito. Nel tabernacolo, una volta consacrata l’ostia, per i cattolici è realmente presente il corpo ed il sangue di Cristo. E’ quella che si chiama transustanziazione. Noi esseri umani vediamo gli accidenti del pane e del vino, ma nella realtà il corpo ed il sangue sono là, davanti a noi. Secondo la dottrina di Zwingli, il riformatore zurighese, la presenza di Cristo è puramente simbolica, spirituale. La santa cena non è che un memoriale del suo sacrificio per noi. Per i cattolici, ogni volta che si ha la consacrazione (prerogativa del solo sacerdote) si rinnova ogni volta il sacrificio. La posizione di Lutero fu più accomodante rispetto a quella di Zwingli, motivando così una prima spaccatura tra il luteranesimo e il calvinismo che fu sempre ispirato dall’opera del primo riformatore svizzero. Può apparire un sofisma, lo ammetto, ma è una differenza fondamentale. Se veramente noi crediamo che nel tabernacolo sia presente il Cristo in corpo e sangue, possiamo credere a qualsiasi altra cosa, come vedremo più avanti. Più razionali e sobri, i protestanti preferirono aderire al puro simbolismo del memoriale del sacrificio del Golgota.

CULTO E INTERCESSIONE DEI SANTI
Una delle differenze più profonde ed irrimediabili è costituita dal culto dei santi e della Madonna. I cattolici hanno ereditato dal mondo pagano ellenistico, l’olimpo dei santi attorno a Dio Padre. La loro intercessione non è altro che, tradotta in termini volgari, la richiesta di una raccomandazione a favore di un povero mortale da parte del santo prediletto. In determinate circostanze, poi, come il giubileo, chiunque si rechi a Roma, faccia penitenza, versi possibilmente un obolo a San Pietro, può beneficiare di una indulgenza plenaria, e vedersi mondato da ogni peccato. Non siamo al traffico delle indulgenze, ma è il concetto stesso di “indulgenza”ad essere profondamente anticristiano. Il culto dei santi è stato assecondato dalla chiesa romana per un ovvio motivo di controllo sociale, di propaganda di una fede distorta, che sconfina quasi sempre nella superstizione e nella idolatria. Il culto stesso della Vergine, privo di alcun senso teologico, è stato portato avanti per fornire una consolazione, una compensazione alle donne, da sempre escluse dal sacerdozio. La madre di Cristo è degna di tutto il rispetto possibile, me non può e non deve essere oggetto di culto, non avendo conseguito, in quanto madre di Cristo, dei meriti particolari. Il fatto, poi, che le donne, nel 2011, siano ancora escluse dal sacerdozio ha semplicemente dell’incredibile. 

I COSTUMI, LA MORALE
Il solo fatto che esista ancora oggi il celibato dei sacerdoti costituisce una insanabile contraddizione, che provoca spesso distorsioni inaccettabili (omosessualità, pedofilia, rapporti clandestini)e che non ha alcun valore teologico. Il rifiuto dell’aborto in ogni caso (comprese le violenze sessuali), una prima cauta apertura alla contraccezione, il rifiuto netto a qualsiasi forma di eutanasia, l’inviolabilità del matrimonio (salvo l’annullamento da parte della Sacra rota dietro lauti compensi), il rigetto del divorzio, sono tutti aspetti che collocano la chiesa di Roma al di fuori del tempo e dello spazio. Per troppi secoli i Pontefici hanno avuto delle prerogative temporali e politiche tali da ravvisarne le conseguenze ancora oggi. Il solo fatto che esiste una Banca vaticana è una contraddizione in termini. Le gerarchie cattoliche di oggi hanno preso il posto del tribunale del sinedrio e dei farisei dei tempi di Cristo, e hanno fatto di una fede viva un insieme di norme morte. Spesso i protestanti sono accusati di aver una visione pessimistica dell’uomo e della sua sorte. Un classico esempio è costituito dalla filmografia di Ingmar Bergman. Non si tratta di pessimismo, ma di guardare impietosamente dentro le nostre anime, di scandagliare le nostre coscienze. Vedremo poca pietà, poco amore, molta durezza, uno smisurato egoismo. C’è altresì una gioia nello scoprirsi cristiani, finalmente liberi delle pastoie rituali e liturgiche del cattolicesimo, è la ”libertà del cristiano”. La fede ci sorregge, ne siamo felici e fieri, proviamo gioia nello scoprirci parte di tutto , di quel Dio che ci ha generato, ci sentiamo liberi di peccare, qualche volta, ma di confidare pure nella misericordia divina. Non significa autoassolversi. Gli ipocriti trovano sempre scappatoie e facili assoluzioni. Significa essere consapevoli in ogni momento di quello che siamo e che compiamo, ma con davanti a noi, ai nostri occhi, al termine della nostra esistenza terrena, quell’anelito che ci ha fatto muovere i primi passi e che si conclude solo con la nostra morte e il nostro passaggio a Colui che ci ha generato e di cui siamo una piccola ma non trascurabile particella.

lunedì 12 settembre 2011

LA BORSA O LA VITA

Ci si domanda che cosa deve ancora accadere affinchè questo governo (e questa classe politica) tolgano l'incomodo e lascino spazio ad un governo tecnico. Mentre scrivo queste righe la borsa di Milano sta perdendo il 4% e il differenziale con i bund tedeschi è balzato a 380 punti, ai livelli dello scorso luglio, quando si era raggiunta la soglia di attenzione. Ma non sono solo questi gli indicatori di una crisi irreversibile: i punti dei CDS (Credit Default Swap), le polizze assicurative da applicare ai titoli a rischio, hanno toccato i massimi storici (505 punti), e domani il Tesoro gioca il tutto per tutto cercando di collocare il numero massimo di BOT, possibilmente senza dover sborsare interessi vicini al fatidico 7%. Il burocrate Stark si è dimesso dall'Eutotower perchè in disaccordo con la politica di acquisizione di titoli di stato dei paesi in difficoltà e contrario all'ampliamento del fondo salva-stati (Efsf). Tutto questo lascia pensare che, anche all'interno della BCE, non ci sia una armonia di vedute, tutt'altro. La manovra non ha ancora concluso il suo percorso parlamentare, e l'UE ci chiede fin d'ora misure aggiuntive strutturali, come una riforma profonda del sistema pensionistico e l'introduzione di una patrimoniale. Non abbiamo ancora finito una manovra che ce ne richiedono un'altra! Siamo alla pochade. Sembra di essere in un racconto di fantasy. La Germania prende per la prima volta in seria considerazione l'ipotesi di abbandonare la Grecia al proprio destino, con il ritorno alla valuta nazionale, ma questo significherebbe un immediato effetto domino, ed i primi contagiati sarebbero Irlanda, Portogallo. Italia e Spagna. Stiamo camminando sull'orlo di un vulcano in eruzione, che altro deve accadere? Il problema, come detto più volte, non è solo Berlusconi. Tutto il ceto politico di questo paese deve autosospendersi per manifesta incapacità nella gestione della crisi nella sua fase più acuta. Abbiamo capito una buona volta che si sta rischiando il fallimento, il ritorno alla lira, con le drammatiche conseguenze che si porta dietro un default? Una ulteriore perdita di posti di lavoro, chiusura di aziende e imprese, taglio agli stipendi degli statali e delle pensioni, una paurosa inflazione, una svalutazione della nostra moneta del 60%, un ritorno all'imbarbarimento della povertà. A nulla servirebbe la creazione di un Euro a due velocità, che spiazzerebbe solo i mercati, sarebbe di difficile gestione da parte della BCE e costituirebbe solo l'anticamera del ritorno alla moneta nazionale. Un vero pasticcio. Angelino Alfano, il prestanome di Berlusconi tuona che la politica degli stati non la determinano i mercati. E invece è proprio così, e solo la sua ottusità non glielo fa comprendere. Quando il gioco si fa duro e serio, devono scendere in campo gli esperti, possibilmente svincolati dai partiti, e cercare, se non altro, di limitare le perdite. I leghisti continuano ad urlare che sono stati eletti democraticamente dal popolo, ma in certe particolari e ben definite situazioni, come il rischio del collasso di un paese intero, le prerogative della democrazia vanno temporaneamente sospese. Non per fare un golpe, ma per mandare a casa una casta politica (governo e opposizioni) che non è in grado di governare la crisi, ancorata com'è alle proprie rendite di posizione, timorosa com'è di perdere il consenso elettorale. Solo economisti ed esperti in scienza delle finanze possono cercare di fare in modo che si cada senza romperci tutte le ossa. Tremonti stesso, per quanto sappia fare bene solo il tributarista, non è libero di compiere delle scelte, condizionato com'è dai lacciuoli del suo stesso partito e dalla Lega. Occorre gente seria, esperta, e indipendente dai diktat del partito. Il PD, l'Italia dei Valori, l'UDC continuano ad auspicare un governo di larghe intese, sembrano non comprendere che non servono larghe intese perchè in Parlamento quattro o cinque persone capiscono qualcosa di economia. Bisogna che se ne vadano, che sgomberino il campo e lascino a Napolitano il compito di aprire una crisi di governo, allo scopo di avviare consultazioni con tecnici di provata affidabilità. Se questo non accadrà (e infatti non accadrà), finiremo col sforare il tetto massimo dello spread tra BTP e bund, i CDS saliranno alle stelle, le prime banche, magari le più piccole cominceranno ad annunciare la propria insolvibilità, sino al fallimento. A questo punto il default è assicurato, non ci sono risorse per salvarci e il solo fatto di trascinare con noi nella rovina l'intera Europa, Germania compresa, sarà una ben magra consolazione. Va bene, Berlusconi vuole andare fino in fondo, vuole rotolare nella polvere con tutto il paese. Dovrebbe subire un processo anche per questo, un processo ben più pesante rispetto alle sue marachelle con prostitute o ruffiani ricattatori. Ricordiamo però sempre che la maggioranza degli italiani ha effettivamente eletto quest'uomo. E lo ha fatto nonostante tutto, ben conoscendolo. Se il nostro paese ha perduto qualsiasi tipo di credibilità, tanto da essere rampognato persino dallo spagnolo Zapatero, vuol dire che noi italiani abbiamo qualcosa nel nostro DNA di nazione che non funziona a dovere. Abbiamo democraticamente eletto un personaggio che da solo incarna il conflitto di interessi, lo stiamo seguendo fino in fondo, giù nel precipizio. Non siamo stati neppure capaci di organizzare dei comitati spontanei di “indignatos”, come hanno fatto gli spagnoli. Falliremo tra l'indifferenza generale, con quelli che al bar dicono “ma io ho un posto fisso, non ho niente in banca, a me che me ne frega?” Eh no, caro, te ne deve fregare. Perchè chi ha qualcosa perderà molto, chi non ha nulla perderà quel poco che ha per sopravvivere. Teniamo bene a mente che il ritorno alla lira ed il default in generale provocheranno tagli dei salari ed enorme perdita del potere di acquisto degli stipendi. Quelli del bar che dicono che non gliene frega niente non avranno neppure più gli spiccioli per entrare in un bar. Se ne staranno rintanati nella loro casuccia, a contare quello che gli resta, ammesso che ne posseggano una di casuccia.  

venerdì 9 settembre 2011

RITRATTO DI UN BUROCRATE

Pubblico questa volta il bell’articolo di Giancarlo Marcotti che tratteggia un bel ritratto professionale ed umano di un personaggio, tale Jurgen Stark, che grazie alla sua lungimiranza e alla sua scelta dei tempi, ha causato il tonfo odierno (uno dei tanti, a dire il vero) di tutte la borse europee, che hanno visto bruciarsi decine di miliardi di euro. Ma chi è questo signore? Jurgen Stark è un oscuro burocrate, il rappresentante tedesco nell’Eurotower, la BCE, ma la caratteristica che lo contraddistingue è il viscerale attaccamento alle regole della burocrazia ed un sesto senso che gli ha fatto presagire che gli aiuti, in termini di acquisizione di titoli di stato, ai paesi periferici dell’Europa, non fosse conciliabile con la sua coscienza di patriota teutonico con tanto di elmetto chiodato posato sul capo. Germania uber alles. Questo formidabile prussiano ha annunciato le sue dimissioni alla chiusura odierna dei mercati. Peccato che l’annuncio sia avvenuto a mercati ancora aperti, motivando una brusca virata di tutte le borse europee verso il basso. Anche sulle motivazioni ci sarebbe da obiettare all’oscuro signor Stark (che da oggi fortunatamente rientrerà nell’oscurità che lo ha generato) che la Germania non ha nulla da guadagnare dal fallimento di Spagna e Italia. Perché Spagna e Italia, in caso di default, non trascinerebbero con sé solo l’Europa, ma gli Stati Uniti e il mondo intero. Inoltre, se l’Italia fallisce, la Germania andrebbe automaticamente in recessione, contagiata dalla Francia, la prima a cadere dopo di noi. L’apparente crescita della Germania, se non lo avesse ancora capito questo signore, è dovuta anche alla presenza nella moneta unica di un paese come il nostro, sul cui malessere i teutonici come il signor Stark poggiano il loro apparente e transitorio benessere. Raramente ho visto concentrate tante cattive qualità in un solo essere umano.
“E così è diventato famoso anche Jurgen Stark, fino ad oggi quasi sconosciuto burocrate, membro tedesco della Bce che ha avuto la brillante idea, a mercati aperti, di annunciare che, a mercati chiusi, avrebbe dato le dimissioni.
Ciò che ci chiediamo è, ma perché non lo ha fatto prima?
La motivazione è legato al dissenso del Sig. Stark con il piano di salvataggio dei Paesi in crisi da parte della Bce. Un piano che, è bene ricordarlo, la Corte Costituzionale del suo Paese soltanto due giorni fa ha ritenuto legittimo.
Il risultato?
Semplice tutte le Borse europee, in particolare della zona euro, hanno avuto fortissimi ribassi, tutte sì, ma tranne una, e quale?
La Grecia!
Il cui default, dato a questo punto per certo, inguaierà le Banche tedesche in particolare che non prenderanno più il becco di un quattrino, al punto che la Sig.ra Merkel dovrà senza dubbio predisporre un piano di emergenza.
Anche i nostri titoli bancari hanno subito perdite consistenti oggi in Borsa, ma noi riteniamo che il contraccolpo, vista la contenuta esposizione verso i titoli ellenici, possa ritenersi tutto sommato non particolarmente penalizzante per i nostri Istituti.
Certo ora occorre chiedersi quale possa essere il futuro dell’euro, non si può più escludere, a questo punto, se non proprio la scomparsa della moneta unica, almeno la scissione in due: una moneta forte del nord ed una debole del sud. Ma non addentriamoci, al momento, in questi argomenti.
Forse però sarebbe bene che qualcuno spiegasse al Sig. Spark che se saltasse l’euro e si tornasse alle monete nazionali, il marco tedesco potrebbe anche andare a 3.000 lire italiane, ma in una simile evenienza Volkwagen, o chi per lei, non venderebbe più neppure una vettura in Italia, mentre Fiat triplicherebbe le vendite in Germania. Ma non solo, dato che “l’euro del nord” si sovravaluterebbe la Volkwagen (e Bmw e Audi e Opel e Porsche) avrebbe molte difficoltà a vendere le proprie auto anche nel resto del mondo.
Confidiamo (vero Sig.ra Merkel?) che qualcuno spiegherà queste cose al Sig. Spark, perché ad andare al disastro non sarebbe soltanto l’industria tedesca qualche altro settore soffrirebbe ancora di più, avete inteso vero?
Cosa succederebbe, infatti, alle centinaia di miliardi di debito pubblico italiano in mano alle banche tedesche? Gli Istituti teutonici, già con i piedi di argilla, si vedrebbero in un nano-secondo dimezzare il loro credito nei nostri confronti, saprebbero reggere all’urto?
Temo per loro di no! Comunque non resta che provare e … vedere un po’ l’effetto che fa!
Capito Sig. Spark?”
Giancarlo Marcotti per Finanza In Chiaro.

giovedì 8 settembre 2011

VOGLIA DI LIRA (il sogno sbagliato)

Qualche tempo fa avevo dedicato un post ad una possibile uscita dall’Euro da parte dell’Italia con il conseguente ritorno alla valuta nazionale. Avevo cercato di analizzare sommariamente i pro e i contro, pervenendo ad una conclusione leggermente favorevole al ritorno alla lira. Sbagliavo in pieno. Si trattava solo di una forzatura emotiva, dovuta allo stillicidio continuo al ribasso di borse e mercati. Dobbiamo abituarci a convivere con una borsa di Piazza Affari perennemente in affanno, perché sarà la normalità, d’ora in poi. Saranno possibili sempre dei rimbalzi positivi, sull’onda di qualche rarissima buona notizia, ma la tendenza ribassista diventerà la norma dei mercati per i prossimi anni. Probabilmente, per chi non esercita la professione di trader, sarebbe bene non consultare neppure tutti i giorni i listini, abbiamo esaurito i giorni della settimana contraddistinti dall’aggettivo “nero”: lunedi nero, martedi nero, ecc. Rassegnamoci dunque, tenendo presente che un fallimento dell’Italia e del suo sistema bancario rimane in ogni caso una ipotesi possibile, d’accordo, ma comunque improbabile. L’Europa e gli USA non ci lasceranno fallire per il semplice fatto che siamo talmente grandi da trascinare Europa, USA e mondo intero nel nostro stesso baratro. E’ piuttosto probabile, come dicevo nel post precedente, una sorta di “commissariamento” da parte della BCE che, una volta uscito di scena Berlusconi, potrà governare indirettamente la nostra crisi attraverso un governo tecnico. Non facciamoci inutili illusioni: questa manovra non serve ad esaurire i problemi: altre ce ne vorranno, dovremo fare tutti un passo indietro, verso la povertà. Non ci sono alternative per un paese che deve ridurre fino ad estinguerlo il proprio debito pubblico e che allo stesso tempo non solo non cresce economicamente, ma va in recessione. Dal momento in cui i rubinetti della BCE saranno chiusi, ci troveremo con uno spread pericolosamente sopra i 400 punti, e il governo Berlusconi sarà obbligato a dimettersi. Questo non farà migliorare magicamente le cose, ma se non altro ci impedirà di fare altre sciocchezze, troppe ne abbiamo commesse. E cerchi di tenere la lingua a freno Zapatero e il suo inconsistente programma: se la Spagna perde nel comparto industriale il 2,8% non è colpa dell’Italia e della Grecia: è colpa del suo dilettantismo. Per tornare alla lira, riporto di seguito il bell’articolo di Massimiliano Volpe (Finanza.com), che ben rappresenta lo scenario possibile in assenza dell’Euro. Io, prudenzialmente, stimavo la svalutazione della lira intorno al 50%, più verosimilmente Volpe la considera al 60%. Mi pare che sia sufficiente a pregare ogni sera il Padreterno che ci faccia rimanere sotto l’ombrello della moneta unica.

L’uscita dall’euro non è la soluzione ai problemi dei Paesi europei in crisi. Anzi, gli effetti di una tale scelta sarebbero catastrofici.

Nelle ultime settimane molti osservatori hanno proposto come rimedio alla difficile condizione dei conti pubblici l’uscita dall’Euro dei Paesi dell’Ue e il ritorno alla vecchia moneta. Un’operazione che avrebbe l’obiettivo finale di favorire la svalutazione della Paese per rendere più appetibili le merci sui mercati internazionali, aumentando l’export e riducendo l’onere del debito pubblico. La svalutazione delle vecchie monete è stata ipotizzata nell’ordine del 20-25% rispetto dell’attuale quotazione dell’euro.
Un report di Ubs smentisce l’esistenza di facili ricette, delineando uno scenario drammatico nel caso in cui si dovesse giungere ad una situazione del genere. Gli analisti ritengono troppo ottimistica una svalutazione del 20% sottolineando che nessun Paese farebbe un passo del genere per ottenere un aggiustamento tanto modesto della propria posizione. Facendo un parallelo con quanto già successo in Argentina e in Uruguay, Ubs ritiene che la nuova valuta nazionale, dracma, Peso o Lira che sia, dovrebbe valere almeno il 50-60% in meno dell’euro.
I vantaggi della svalutazione verrebbero completamente annullati in un lasso di tempo brevissimo. Per l’Ubs l’abbandono dalla moneta unica provocherebbe in rapida sequenza il default dei titoli di stato e quello dei bond societari. I debiti emessi in euro rimarrebbero denominati in tale valuta e pertanto a maggior ragione non si disporrebbe delle adeguate risorse finanziarie necessarie per fare fronte al pagamento degli interessi e al rimborso dei titoli in circolazione divenuti nel frattempo più onerosi. La fiducia del Paese tra gli investitori sarebbe poi definitivamente compromessa rendendo così difficile collocare nuovi titoli sui mercati internazionali.
Anche la competitività dei prodotti commercializzati nella nuova valuta verrebbe meno. Il trattato di Maastricht non ha regolamentato l’uscita di un Paese dall’euro ma secondo l’Ubs è difficile immaginare che l’Ue rimanga indifferente. Prima di tutto la decisione di abbandonare l’euro implicherebbe anche l’uscita dall’Unione monetaria che tra i suoi obiettivi ha proprio quello di favorire l’integrazione economica. Una reazione da parte dell’Ue potrebbe essere quella di introdurre delle sanzioni economiche: ad esempio dei dazi sulle importazioni di un ammontare pari alla svalutazione della moneta, rendendo così difficile l’export verso i paesi del Vecchio Continente.
Ubs ha quantificato le ricadute economiche di un’uscita dall’euro da parte di uno dei Paesi Pigs. Durante il primo anno si avrebbero dei costi compresi tra i 9.500 e 11.000 euro a persona. Negli anni successivi i costi ammonterebbero tra i 3.000 e i 4.000 euro a persona. Solo nel primo anno l’impatto dei costi è stimato tra il 40-50% del valore del Pil.

Massimiliano Volpe – finanza.com














martedì 6 settembre 2011

IL GOVERNO CHE VERRA'

Giorno dopo giorno, almeno dalla scorso giugno, da quando, per essere precisi, l’agenzia internazionale di rating “Moody’s” ha deciso di mettere l’intero paese (stato, aziende partecipate dal Tesoro, enti locali, banche) sotto osservazione, la situazione economico-finanziaria non solo italiana, ma europea e occidentale tout court, si sta progressivamente deteriorando. Fermo restando che Moody’s ha una reputazione, a questo punto, paragonabile a quella di una fanciulla di facili costumi, e che, di conseguenza, il suo giudizio avrà un valore puramente simbolico, resta il fatto che tutto sembra congiurare affinchè si arrivi ad una sorta di resa dei conti finale. Non dico che il giudizio di Moody’s possa essere a priori sbagliato, dico semplicemente che non è titolata ad emettere pareri su di uno stato sovrano. Ma  a parte questo, vediamo di capire qualcosa di più e oltre i quotidiani crolli di borse e mercati. La manovra che sta per essere approvata in Parlamento, ancora una volta ricorrendo al voto di fiducia, è una manovra fiscale, quindi depressiva. Il governo, dopo un indecoroso balletto di disposizioni annunciate e ritirate 12 ore dopo, ha dato piena dimostrazione (se ancora ce ne fosse bisogno)della totale ed assoluta incapacità di governare il paese e la crisi. O meglio: non si tratta di governo ma di classe politica, opposizioni comprese. La mancanza di idee, il pressapochismo, la faciloneria, il dilettantismo dimostrati in questi ultimi mesi sono tali da restare allocchiti. Siamo sui social network di tutto il mondo, i giudizi della stampa estera sono al vetriolo, si fanno beffe di noi anche in Burkina Faso. Ma adesso che le cose si stanno mettendo male per davvero, adesso che siamo sull’orlo del precipizio costituito dal nostro default che provocherebbe a catena, il crollo dell’Europa intera, probabilmente degli USA, e il rischio di uno shock sistemico mondiale (ricordiamo sempre che le nostre dimensioni in economia sono tali che una nostra caduta coinvolgerebbe, chi più chi meno, il mondo intero – non esistono risorse per salvarci), le cose dovranno necessariamente prendere un’altra direzione. Una prima forma di commissariamento l’ha messa in atto la BCE nel dettare i tempi e i contenuti (poi disattesi) della manovra finanziaria. Si è trattato solo di una prova d’orchestra, tanto per avere una conferma della nostra inettitudine e insipienza. La conferma è pienamente arrivata, la manovra è divenuta fiscale, solo tagli e imposizioni, nulla che si possa paragonare ad un provvedimento volto allo sviluppo e alla crescita economica. Di conseguenza,  l’Europa e il mondo intero sono obbligati a passare alla fase due. Fallito, nella sostanza, il primo commissariamento, occorre porre fine al governo Berlusconi. Il nostro premier si trova nella curiosa situazione di essere più inviso all’estero che in patria. Il mondo politico intero, senza eccezioni (non si è udita una sola voce, all’estero, dalla parte di Berlusconi), gli opinionisti, gli economisti e gli esperti di finanza, i giornalisti, tutti concordano sulla necessità di mandare a casa il nostro premier. E dal momento che noi italiani non siamo sati capaci di farlo, la squadra di peones capitanata da Scilipoti, un personaggio fumettistico degno di miglior fortuna, almeno nel mondo dello spettacolo, hanno fornito l’indispensabile supporto al premier per consentirgli di aver i numeri sufficienti per tirare a campare in parlamento, va da sé che l’intervento decisivo, la spallata finale, deve arrivare dall’esterno. A questo punto, considerata la nostra incapacità di liberarci di questo ingombrante fardello, il ragionamento della BCE e dell’Unione europea intera è il seguente: facciamo in modo che lo spread tra i titoli di stato italiani e i bund tedeschi superi la quota dei 400 punti, fino a che i rendimenti dei nostri titoli si accostino pericolosamente alla soglia del 7%, magari superandola, portando di conseguenza il paese sull’orlo del fallimento. A questo punto, ad un passo dal baratro, Berlusconi sarebbe costretto alle dimissioni, e si potrebbe finalmente instaurare un governo tecnico svincolato dalla politica. Sono molti mesi che andiamo ripetendo la stessa litania: la manifesta incapacità della nostra classe politica impone, in questa situazione di assoluta emergenza,  una sola soluzione: un governo tecnico. La BCE ha il potere di fare quanto su esposto: basta che cessi l’acquisizione dei nostri titoli di stato. Da un giorno all’altro lo spread balzerebbe intorno ai 400 punti, e se Berlusconi non di dimette, finirebbe col superare tale soglia, per andare ben oltre. Il fallimento è assicurato. Allora, e solo allora, con un governo dimissionario, i tecnici a loro volta ispirati da Bruxelles potrebbero scendere in campo e governare la crisi. A questo punto siamo arrivati, così in basso sono scese la nostra reputazione, la nostra dignità, il nostro decoro di nazione sovrana. Non ce la sentiamo neppure di addossare tutte le responsabilità al Cavaliere, qui c’è una nazione intera che non è riuscita a liberarsi di questo signore, da sempre costituente una anomalia mondiale, un conflitto di interessi vivente che ha del paradossale. Se non lo possiamo fare noi, altri penseranno a mettere in pratica l’unica soluzione possibile per uscire dal presente empasse. Non ne usciamo molto bene, è vero, ma una soluzione siffatta ci eviterebbe il peggio, un default sicuro di stato e banche, e una timida, iniziale, lenta crescita economica. Ricordiamo, d'altro canto, per un doveroso senso di equità, che l'ultima persona titolata a dare lezioni al nostro paese è il leader stracotto spagnolo Zapatero. Se la Spagna si trova in una condizione anche peggiore della nostra è perchè le scelte politiche di quel paese si sono rivelate fallimentari e la politica delle banche spagnole in fatto di mutui immobiliari è paragonabile a quella americana. Zapatero, prima di indicare la Grecia e l'Italia quali responsabili del fallimento spagnolo farebbe bene a guardarsi allo specchio e andare a nascondersi. Raramente si è visto un leader onesto sì, ma di una inarrivabile mediocrità come la sua. In ogni caso, non è vero che non esistono alternative a Berlusconi, solo perché è stato democraticamente eletto e possiede, avendoli comprati, i numeri in parlamento. Nelle situazioni di emergenza, allo scopo di evitare il ritorno alla valuta nazionale, che sarebbe la sciagura più grande che si potrebbe abbattere sul nostro paese, alcune regole della democrazia  possono e debbono essere sospese. La genesi comica di questa manovra è tale che non c’è bisogno di ulteriori prove per stigmatizzare l’inettitudine dei nostri parlamentari. Un commissariamento da parte dell’UE attraverso un governo tecnico è una soluzione possibile e costituirebbe il male minore, impedendo una caduta nostra e dell’Europa intera, estinzione dell’Euro compresa. E’ triste, lo capisco, è anzi umiliante. Ma non possiamo fare altro che prendere atto che davanti ad un ceto politico così insulso, il governo che verrà non può e non deve essere costituito da personalità politiche, le stesse che hanno negato la gravità della crisi solo sei mesi fa. Non si possono commettere errori così macroscopici. Non sappiamo esattamente da chi sarà composto il governo che verrà. Non potrà, però,  di sicuro, far peggio di quello presente.