mercoledì 30 luglio 2014

#ILMUROCHECIASPETTA



Ci sono ancora italiani che pensano che le priorità del paese siano la nuova legge elettorale, la riforma del Senato e la riforma del Titolo Quinto della Costituzione (termine pomposo e astratto per indicare la riforma delle autonomie locali). L’attuale governo da quando si è insediato ha sbandierato la necessità delle riforme e l’impegno ad ottenerle in tempi brevi e prestabiliti. Ad oggi sono passati esattamente cinque mesi dalla nomina di Renzi a Presidente del Consiglio e l’Italia si trova esattamente al punto in cui l’ha lasciata Berlusconi con le sue dimissioni a fine 2011. Gli ottanta euro in busta paga per una parte degli italiani (sostanzialmente la base potenziale di voto per il PD) hanno già fatto percepire tutta la loro fugacità: aspettate il prossimo ottobre e vedrete come li restituirete assieme agli interessi. Cinque mesi di governo in cui non si è prodotto nulla di significativo: chi guarda da fuori non vede un Italia in cui valga la pena ritornare o su cui investire. Come disse con franchezza destabilizzante l’ex ministro, Fabrizio Barca, durante l’epico scherzo radiofonico alla Zanzara a metà gennaio, quando la nazione comincerà a capire che “dall’altra parte vi è solo avventurismo e slogan” riferendosi a Renzi come successore di Letta allora il baratro piomberà su di essa. Non manca molto, siamo più vicini di quello che pensate.
Fermatevi un momento a fare questa considerazione, da Monti, passando per Letta, arrivando a Renzi, in due anni e mezzo il debito pubblico italiano, in termini quantitativi, è aumentato praticamente di oltre un 8 %, superando abbondantemente la soglia dei 2.160 miliardi. Sul piano qualitativo, il conteggio è ancora più allarmante in quanto è passato dal 120% sul PIL al 136% (sui dati a consuntivo del 2013, pertanto questo valore è destinato ulteriormente a crescere tra sei mesi). In quasi tre anni nonostante abbiamo avuto l’alternarsi di tre divresi leaders, nessuno di essi è riuscito a fermare il counter clock del debito pubblico almeno a livello quantitativo e soprattutto a fare rewind. Austerity, spending review, risanamento e tutto quello che volete non hanno prodotto alcun tipo di effetto su questa montagna di debito che continua a crescere ora dopo ora. Questa dovrebbe rappresentare non una, ma la prima emergenza nazionale, il buon senso infatti vorrebbe che prima si tappi la falla da cui entra l’acqua in una barca e dopo si filosofeggi su come si dovrà remare, in quale direzione e con che ritmo di vogata. In Italia in questi tre anni nulla si è fatto per la competitività e la flessibilità del lavoro o la tassazione complessiva che grava su chi fa impresa o decide di avviare una nuova attività.
Negli ultimi due anni la maggior parte dei consulti professionali che ho erogato hanno avuto due temi dominanti: in quale paese spostarsi per andare a vivere e lavorare e in quale paese spostare i  propri risparmi e capitali temendo il peggio per l’incerto futuro italiano. Le recenti esternazioni del Ministro Padoan riguardanti la stabilità e sostenibilità delle finanze pubbliche in Italia dovrebbero far suonare la sveglia a casa vostra. Non la sveglia del mattino, ma la sirena di un allarme incendio: la diaspora di italiani che fuggono dal Titanic Italia si accentua continuamente giorno dopo giorno, non si è più disposti ad aspettare il miracolo del cambiamento che non arriverà mai – 8.000 emendamenti per la legge di riforma del Senato – o un nuovo cantastorie. La disoccupazione, il debito, la diminuzione della pressione fiscale e tanto altro si risolvono solo con la crescita, quella che in Italia vi continuano a dire che ci sarà l’anno venturo, quasi fosse un mantra. La crescita, soprattutto quella sul medio e lungo termine, è una variabile economica complessa che scaturisce dal contributo di tre componenti fra di loro disgiunte: il progresso tecnologico, la crescita demografica e l’accumulazione dei capitali. In Italia mancherebbero tutte e tre, se non considerassimo l’attuale apporto demografico che sta producendo l’invasione di clandestini dall’Africa.
Chi rimane in Italia si deve chiedere pertanto sino a quanto può arrivare il clock counter del debito pubblico prima che vengano intraprese manovre e soluzioni non convenzionali: ristrutturazione del debito (hair cut sulle lunghe scadenze), cessione parziale delle riserve auree, ulteriore tassazione sulla prima casa – diventata ormai un bancomat per chi governa il paese – oppure la tanto denigrata e temuta imposta patrimoniale con le sue possibili varianti. L’esito delle elezioni europee di Maggio ha dimostrato che gli italiani sono, presi nella maggioranza di chi ha votato, profondamente conservatori, pertanto non vogliono cambiamenti radicali che modifichino le loro certezze, le loro rendite di posizione e i loro diritti acquisiti. Chiunque abbia buon senso si deve rendere conto che quanto prima il conto qualcuno lo dovrà pagare, qualcuno chiamato ad apportare risorse finanziarie o a vedersi ridimensionato il proprio stile di vita, ad un certo momento questo qualcuno dovrà essere individuato. L’Europa in questi termini non ci abbandonerà, non se lo può permettere: per chi ancora non lo sapesse è a Mario Draghi che deve essere imputata la consistente discesa dello spread durante i Governi Letta e Renzi. Le reti di protezione che sono state istituite in questi ultimi due anni in Europa hanno sì protetto e rafforzato l’euro, ma anche e soprattutto l’Italia che ne ha beneficiato maggiormente in termini di risparmio sugli interessi sul debito. Ma anche a questo ci sarà una fine.
Eugenio Benetazzo - eugeniobenetazzo.com

lunedì 28 luglio 2014

E' IN ARRIVO UN'ALTRA LETTERINA...



Che il terzo presidente del Consiglio (nominato da Napolitano) Matteo Renzi, ami giocarsi tutto e subito, è cosa nota a quanti lo conoscono, quel volto sorridente che buca lo schermo, elargendo positività, in quantità industriale, entra nelle nostre case, nelle radio, nel nostro quotidiano. Uno si gusta, un’incontro della ns Nazionale di pallavolo, ed ecco che spunta lui, con moglie, figli e scorta al seguito. Viene inaugurata la A-35, ed eccolo sorridente in primo piano, vediamo l’arrivo della Concordia, in quel di Genova (Non era proprio possibile, vincere il braccio di ferro, col ministro Pinotti, e farla smontare a Piombino?) ed ecco che su una lancia, con l’inconfondibile giacchetto, spunta di nuovo lui, ‘prezzemolo’ Renzi. E’ sempre stato cosi’ per lui, presenziare, ad ogni costo, a tutte quelle ‘iniziative positive’, che inevitabilmente finiscono con l’abbinare la sua presenza, a cose costruttive. Da sindaco, non si è perso nemmeno l’inaugurazione di un semplice fontanello, lasciando ad altri, il compito di eventi, meno appariscenti e piu’ dolorosi. Renzi di promesse ne ha fatte tante, probabilmente era convinto che il suo vedere, una pronta risposta e relativa soluzione, ad ogni problema, unito al suo carisma, avrebbero potuto essere, la metà dell’opera. Cosi’,ovviamente non è, e ci troviamo a dover fare i conti, con una situazione economica pazzesca. Non tarderà ad arrivare, la famosa ‘letterina’ che la Bce, inviò a Berlusconi il 5 agosto del 2011, lettera che generò un’immediata ( 13 agosto) manovra da 64 miliardi. Il pil, allora, aveva il segno positivo e la disoccupazione era all’8,8%, il debito pubblico era al 120,7%, i poveri erano poco piu’ di 8.000.000, la pressione fiscale al 42,5%. Indicatori pessimi, che non lasciavano presagire nulla di buono, infatti grazie a politiche socioeconomiche scellerate, il duo degli altri due nominati (sempre da Napolitano) uniti a quel poco che è riuscito a fare Renzi, hanno fatto salire la disoccupazione al 12,8%, il debito pubblico è lievitato al 135,2%, la pressione fiscale al 44%, mentre i poveri sono oltre 10.000.000.debito pubblico a ritmi vertiginosi. Quando Berlusconi lasciò il debito pubblico viaggiava intorno agli otto miliardi mensili, con l’arrivo di Monti le quotazioni salirono subito a dodici miliardi per arrivare all’ultima stima del governo Renzi che nel solo mese di maggio ha fatto venti miliardi di euro di debiti. La povertà continua a crescere, dall’inizio dell’anno il debito e’ aumentato di 96 miliardi, con una crescita del 4,7 per cento. Nonostante ciò crescono ancora le tasse: nei primi cinque mesi dell’anno, infatti, le entrate tributarie sono cresciute dell’1,6 per cento (pari a un gettito di 2,2 mld di euro). A maggio si conta un’entrata di 31 mld (+2,9%). E’ un disastro, quello dei ns conti, da marzo a maggio, del 2011 il debito pubblico aumentò di 29 miliardi, pazzesco vero? Vabbè col mago  Monti, nello stesso arco del 2012, arrivò a 39, ok per 39? Nemmeno per sogno, Letta, negli stessi tre mesi del 2013, arrivò a 57 miliardi di debiti.E’ servito il miglior Renzi per riuscire a passare quota 59 miliardi. Una bella letterina, a questo punto, non possiamo che aspettarcela, posti di lavoro zero, consumi in picchiata, tasse da capogiro, che aspettano a scriverla?  (source)

venerdì 25 luglio 2014

GOVERNO RENZI: FINE DI UNA ILLUSIONE

Non basta essere giovani e circondarsi di un gruppo di ancelle, le vestali del bullo di Firenze. Non basta la giovinezza e la la facile loquela a governare un paese affetto da una crisi così profonda da essere, nell'eurozona, paragonabile solo a quella greca. Entro il 2014, secondo il parere dei più grandi esperti del mondo in economia e finanza, ci ritroveremo con il segno meno davanti al PIL, nuovamente in recessione. Altro che crescita. Il bullo di Firenze è arrivato a Montecitorio con il preciso scopo di far debiti e ci è riuscito benissimo. Quanto alla crescita non se ne parla neppure. Ci vuole esperienza, competenza e serietà per amministrare una tragedia sociale come quella italiana: la gioventù e la favella, da sole, non sono sufficienti. Renzi ci ha perso la faccia, noi italiani il portafoglio. Probabilmente è andata peggio a noi.



Che le cose non stiano andando bene lo si capisce dall’intervista di ieri del premier Matteo Renzi a La7, dove ha ammesso che sarà difficile centrare l’obiettivo di crescita del governo dello 0,8% per quest’anno. Tuttavia, il premier ha aggiunto che una crescita dello 0,4%, 0,8% o dell’1,5% sarebbe indifferente, perché nulla cambierebbe nella vita ordinaria delle persone. Se a fare la battuta non fosse il capo di un governo, ci sarebbe da ridere. Difficile immaginare che per un’economia, il cui pil è del 9% più basso di quello del 2007 e che presenta una disoccupazione prossima al 13%, una crescita zero o una dell’1,5% sia uguale.
Comunque sia, si è trattato della prima ammissione del premier, seguita all’ennesima smentita (tutti “gufi”?) anche da parte del Fondo Monetario Internazionale, che ha stimato la crescita italiana a non più dello 0,3%. Per Bankitalia e Confindustria non andremo oltre lo 0,2%. Anche l’Istat avverte che la ripresa potrebbe non esserci stata nemmeno nel secondo trimestre.
Crescita giù, conti pubblici a rischio. Ormai non esiste un serio analista che non preveda la necessità di una manovra correttiva a settembre. Per JP Morgan e Mediobanca sarà nell’ordine di 20 miliardi di euro, che è anche la stessa cifra di cui si parla a porte chiuse nel PD, il partito del presidente del consiglio. Una stangata, insomma, tanto che si vocifera che il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, stia pensando a un prelievo sugli assegni pensionistici oltre i 3 mila euro all’anno. Peccato che non si è riusciti ad oggi a toccare le tasche dei pensionati d’oro, ossia di quanti percepiscono assegni mensili spropositati, rispetto ai contributi versati.
La profezia di De Bortoli
Ieri, poi, alcuni organi di stampa hanno ripreso una presunta affermazione resa in privato agli amici da parte di niente di meno che del direttore del Corriere della Sera, Ferruccio De Bortoli, il quale avrebbe definito Matteo Renzi “la rovina d’Italia”. De Bortoli avrebbe confidato agli amici che il governo sarà costretto a varare ad ottobre una manovra da 20 miliardi, che sarebbe in arrivo un prelievo forzoso, e che dopo arriverà la Troika (UE, BCE e FMI). E pare che il banchiere Giovanni Bazoli – presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa-Sanpaolo, a sua volta azionista in Rcs (il gruppo editoriale che controlla il Corriere) – condividerebbe le idee del direttore. 
Potremmo declassare le affermazioni di De Bortoli a semplice sfogo, a boutade, a esagerazioni del tutto personali e senza fondamento. Ma stiamo parlando non solo del numero uno del principale quotidiano italiano, bensì di colui che gestisce l’organo di informazione dei salotti buoni italiani, che ha perfetta percezione di cosa pensi la finanza nazionale e internazionale. Se De Bortoli arriva ad affermare che ci sarà una maxi-manovra da 20 miliardi, che sarà effettuato un prelievo forzoso e che alla fine arriverà la Troika, significa che verosimilmente ha informazioni che lo spingono a esternare simili frasi.
Renzi è isolato
L’isolamento di Renzi è crescente in Europa. Il governatore della BCE, Mario Draghi, lo ha attaccato già tre volte indirettamente e senza mai citarlo, a conferma che negli ambienti finanziari internazionali si starebbe ipotizzando un prossimo attacco dei mercati contro l’Italia, che è oggi l’unica economia a non mostrare segnali di ripresa e di miglioramento e insieme alla Francia è l’unico paese a non avere fatto le riforme.
Sarà pure un caso, ma la minaccia del premier di andare ad elezioni anticipate, nel caso in cui non passassero le riforme istituzionali, potrebbe essere la spia della paura di dovere affrontare una nuova crisi finanziaria, che stavolta sarebbe micidiale, intervenendo su un’economia già collassata. Renzi sa  che nei prossimi mesi rischia una fortissima impopolarità, un destino simile a quello che toccò nel novembre del 2011 all’amico avversario Silvio Berlusconi, che uscì da Palazzo Chigi travolto dai fischi. E pensare che allora l’economia italiana si trovava pure in uno stato invidiabile, rispetto a oggi. (source)

mercoledì 23 luglio 2014

PERCHE' IL RAPPORTO DEBITO/PIL E' IMPORTANTE PER LA NOSTRA VITA



Ciò che forse sfugge agli italiani che sono ferocemente tartassati e che da anni stanno facendo sacrifici immani, è che nel contempo il debito pubblico continua ad aumentare.
La domanda da porsi, quindi, è:
Quali sacrifici dovrebbero fare per cominciare a vedere diminuire il debito pubblico?
La politica dà una risposta di questo tipo: non è tanto l’ammontare del debito che preoccupa, quanto il suo rapporto rispetto al Pil. La Germania, infatti, ha un debito pubblico superiore, come ammontare, al nostro, ma avendo un Pil molto superiore si può dire che la sua situazione finanziaria non desta preoccupazione.
Il fatto è che da noi il Debito Pubblico non solo aumenta in valore assoluto, ma anche nel rapporto con il Pil, Eurostat (l’Istat europeo, tanto per intenderci) ha appena pubblicato i dati relativi al primo trimestre di quest’anno e, neanche a farlo apposta, sono negativi.
Ma negativi è dir poco, sono allarmanti, visto che abbiamo superato la soglia del 135%, arrivando, per la precisione al 135,6%. In parole più chiare abbiamo un debito pari al 135,6% di quanto riusciamo a produrre in un anno. Naturalmente questo è solo quello dello Stato, poi ci sono le Regioni, le Provincie ed i Comuni che non stanno meglio, anzi, in alcuni casi sono alla bancarotta.
L’escalation è impressionante, soltanto tre mesi prima eravamo al 132,6% ed un anno fa al 130,2%.
Insomma ci abbiamo messo nove mesi, nel 2013, per peggiorare del 2,4% e nei primi tre mesi di quest’anno quel rapporto si è deteriorato del 3,0%! Se ne stanno rendendo conto gli italiani? Sanno la gravità di un dato così preoccupante?
Presumo proprio di no, troppo impegnati a cercare di “sbarcare il lunario” o, se preferite, di arrivare a fine mese.
Per gli italiani tutto ciò che non riguarda “il sopravvivere”, perlomeno in maniera dignitosa, è un argomento di secondaria importanza, quindi gli unici argomenti ai quali prestano attenzione sono come guadagnare o risparmiare di più.
Certo, lo sanno tutti, non serve essere economisti per capire che i bisogni primari hanno l’assoluta precedenza rispetto a qualsiasi altra necessità, ma occorre anche comprendere che questi argomenti, il Pil, il debito pubblico ecc., sono proprio attinenti ai bisogni primari, anzi stiamo proprio parlando di come cercare di “dar da mangiare” agli italiani.
Non è vero che il Pil “non si mangia”, nel Pil c’è dentro anche il nostro pane!
Insomma cosa debba accadere perché gli italiani capiscano che la strada che stiamo percorrendo, al di là delle manifestazioni di ottimismo dell’attuale Governo, è solo in discesa?
Non dobbiamo scendere meno rapidamente, dobbiamo risalire, e se la strada che stiamo percorrendo è solo in discesa come facciamo?
Quando capiremo che dobbiamo assolutamente cambiare strada? E rapidamente? (source)

sabato 19 luglio 2014

SPAGNA BATTE ITALIA 7-1



La locuzione “sette sorelle” è stata coniata per la prima volta a metà degli anni Quaranta da Enrico Mattei, Presidente allora dell’Agip, riferendosi alle compagnie petrolifere che si erano aggiudicate i diritti di estrazione in Iran dopo la deposizione per opera della CIA di Mohammed Mossadeq, il primo ministro iraniano che aveva invece voluto la nazionalizzazione dell’industria petrolifera. Le sette sorelle, rispettivamente Standard Oil of New Jersey (oggi Exxon), Royal Dutch (oggi Shell), Anglo Persian Oil Company (oggi British Petroleum), Standard Oil of New York (oggi Mobil), Texas Fuel Company (oggi Texaco), Standard Oil of California (oggi Chevron) e la Gulf, costituirono un consorzio per la gestione delle esportazioni iraniani in regime di monopolio, condizionando in questo modo tutto il mercato petrolifero dei successivi trent’anni. Mattei cercò in tutti i modi di far entrare l’Agip all’interno di questo consorzio: sappiamo com’è andata a finire. Ancora oggi il termine “sette sorelle” viene utilizzato impropriamente per definire i grandi attori dell’industria petrolifera mondiale non sapendo che il contesto mondiale è profondamente cambiato a seguito di fusioni strategiche, ad esempio ExxonMobil o ChevronTexaco, ed all’entrata con prepotenza di tre nuovi colossi che cinquant’anni fa nessuno conteggiava: Petrobras (Brasile), Gazprom (Russia) e CNPC (China National Petroleum Corporation).
Dopo Malta, Svizzera, San Marino e Dubai, un altro paese che conosco in profondità per le opportunità di delocalizzazione tanto professionale quanto finanziaria è rappresentato dalla Spagna, in cui vivo regolarmente quasi un mese ogni anno tra vacanze e impegni professionali. Al momento attuale la Spagna rappresenta la nazione con uno dei più alti potenziali in Unione Europea tanto per l’attrazione degli investimenti quanto per i fenomeni di insediamento imprenditoriale a seguito dei nuovi benefici fiscali recentemente introdotti per rendere più frizzante e dinamico il mercato spagnolo. Anche la Spagna in questo momento ha le sue sette sorelle, rappresentate dalle sette grandi istituzioni bancarie che hanno beneficiato dell’intervento del Banco Malo, il Sareb, acronimo di Sociedad de Gestión de Activos Procedentes de la Reestructuracion Bancaria: stiamo parlando del Banco Santander, BBVA, Banco Sabadell, Banco Popular, Bankia, Banesto e Caixa Banca. Queste banche sono elencate per attivi detenuti, presenza sul territorio e opportunità di investimento in ambito immobiliare. La crisi finanziaria ed immobiliare in Spagna che ha impattato pesantemente su tutta l’industria bancaria ha obbligato il governo ad intervenire prontamente istituendo una bad bank.
Gli aiuti ricevuti dall’Unione Europea, mediante il ESM, che ha concesso prestiti per 100 miliardi al sistema bancario spagnolo sono stati condizionati alla costituzione dello stesso Sareb, il fondo immobiliare strategico che ha assorbito dalle sette sorelle spagnole gli immobili tossici, in buona sostanza quelli su cui gravavano prestiti ormai inesigibili o che avevano subito una profonda contrazione di valore. Da questo punto di vista sono stati conferiti nel portafoglio di questo fondo immobiliare tanto appartementi residenziali, quanto stabili e fabbricati commerciali assieme a ville e residenze di prestigio ubicate in regioni della Spagna a spiccata vocazione turistica. Il conferimento è stato effettuato a titolo oneroso a fronte di titoli di stato spagnoli che le varie banche hanno ricevuto in cambio della cessione degli immobili periziati e valutati per il loro effettivo possibile controvalore di realizzo. Successivamente alla fase di funding, il governo spagnolo ha provveduto alla vendita di quote di partecipazioni all’interno del Sareb a potenziali investitori, tanto che oggi il 55% del fondo è detenuto da investitori privati ed il 45% dal Frob, acronimo di Fondo de reestructuración ordenada bancaria. Quest’ultimo costituisce un ente di stato a capitale pubblico che ha lo scopo di spingere le banche maggiormente in crisi a fondersi tra di loro per risolvere internamente le loro difficoltà.
La fusione di due o più istituti infatti produce rafforzamenti patrimoniali e ridimensionamento dei costi di esercizio, pensiamo alla chiusura delle filiali ed ai programmi di licenziamento del personale: Bankia rappresenta un caso di studio in questi termini. Presso il database del Sareb hanno iniziato ad essere disponibili sia aste che programmi di dismissione di immobili a prezzi con sconti anche del 60% rispetto ai livelli pre-crisi. Chi in questo momento sta cercando paesi in cui delocalizzarsi non solo finanziariamente ma anche imprenditorialmente dovrebbe iniziare a guardare alla Spagna come opportunità di investimento, visto e considerato anche il suo appeal per lo stile di vita che consente. Costituire una società per l’esercizio di un’attività commerciale o professionale è particolarmente attraente in considerazione della nuova aliquota che grava sul reddito di impresa, 15% sino a 300.000 euro di fatturato per i primi due anni. Gli oneri di costituzione sono decisamente invitanti, appena 3.000 euro per una SL (sociedad limitada), comprensivi di atto notarile, iscrizione al registro di commercio, partita via ed altri vari adempimenti tributari, mentre gli oneri di amministrazione contabile possono essere ricondotti a 150/200 euro mensili. Di certo la Spagna si riprenderà molto più velocemente degli altri paesi in Europa che continuano a piangersi addosso o a essere vittime del loro stesso immobilismo politico, Italia in pole position da questo punto di vista.
Eugenio Benetazzo - eugeniobenetazzo.com