Un funzionario della Commissione europea ha riferito al Wall Street Journal che il premier italiano Matteo Renzi avrebbe investito eccessivo capitale politico sulla questione della flessibilità del Patto di stabilità, ma riceverà “noccioline”. In sostanza, il governo Renzi si starebbe imbarcando in una clamorosa sconfitta sul piano politico in Europa, nonostante sia uscito trionfante dalle elezioni europee di maggio e abbia goduto inizialmente dei favori della Germania.
In poche settimane, però, Renzi sarebbe riuscito nel disastro di dissipare il patrimonio politico che si era costruito dal suo arrivo a Palazzo Chigi e che era stato rafforzato dall’esito elettorale del 25 maggio. La sintonia con la Germania di Angela Merkel è un pallido ricordo e non solo perché continua a chiedere più flessibilità (tradotto: più debiti per un’Italia alle prese con un debito pubblico al 135% del pil), ma anche perché a quattro mesi dal suo arrivo al governo, di riforme presentate e implementate non vi è traccia.
Niente
deroghe senza riforme
E’ vero quanto va ripetendo il
ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, che non serve chiedere
modifiche al Patto di stabilito – quello che impone il tetto massimo del 3% di
deficit sul pil – perché tale trattato consente già ai governi di deviare
temporaneamente dai limiti previsti, ma a condizione che si approvino e si
implementino riforme strutturali, il cui impatto di medio-lungo termine
sui conti pubblici del paese sia verificabile. Ossia, quello che la coppia
Renzi-Padoan continuano a non capire è che prima devono fare
le riforme e dopo potranno ottenere un pò di flessibilità.
Anche perché giorni fa è stato lo
stesso Corriere della Sera a scrivere che sotto gli ultimi tre
governi, il Parlamento ha approvato ben 812 riforme, che non sono state, però,
attuate. Insomma, la furbizia all’italiana di dire “dateci più flessibilità e
faremo le riforme” è stata compresa già da tempo a Bruxelles. Non è un caso che
l’Italia non abbia alleati nella sua richiesta. Nemmeno Spagna e Portogallo
sostengono Renzi, perché ritengono di avere portato avanti molte più riforme di
Italia e Francia e di non dovere concedere nulla al nostro paese.
La stessa Francia del pavido e
pallido François Hollande teme che schierarsi con Renzi a viso aperto
possa portare a una bocciatura dei mercati e si tiene alla larga da alleanze
tout court.
Arriva la
manovra
E le cattive notizie arrivano anche
e soprattutto dal fronte interno per il governo Renzi. Ieri, il dato sulla produzione
industriale ha lasciato di stucco un pò tutti: -1,2% a maggio su aprile e
-1,8% su base annua. L’attesa era per una crescita mensile dello 0,1%. Si
conferma il timore dell’Istat su un pil in calo anche nel secondo trimestre
dell’anno. L’unica ricetta contro il debito è la crescita, ha spiegato ieri
Padoan all’assemblea dell’Abi. E, infatti, in Italia non c’è crescita, ragione
per cui arriverà in autunno una nuova ed ennesima stangata, la tristemente
famosa manovra correttiva dei conti pubblici.
Anche JP Morgan valuta le misure
necessarie per mantenere ordinati i conti pubblici in 10 miliardi di euro, lo
0,6% del pil. Stessa cifra per gli analisti di Mediobanca, mentre in politica
si vocifera sotto-voce di 20 miliardi. Il punto è che siamo dinnanzi a una
quasi certezza. Renzi e Padoan negano, ma sanno di mentire. Il guaio è un
altro: l’Italia non potrà permettersi una nuova manovra, perché la crescita
zero potrebbe trasformarsi nella terza terribile recessione in soli 6
anni, qualora fossero imposte nuove tasse o attuati nuovi tagli. Per questo
Renzi cerca una sponda a Bruxelles, che non potrà mai trovare. Né il prossimo
presidente della Commissione, probabilmente Jean-Claude Juncker, né la
“generosità” dei tedeschi potrebbero togliergli le castagne dal fuoco. Dovrà
fare le riforme e pure la manovra correttiva. Le battute e le chiacchiere da
ottimo oratore consumato non gli serviranno a nulla. (source)