domenica 27 novembre 2011

E' TEMPO DI RIMPIANTI


Soffermiamoci un momento, in questa domenica di fine novembre, questa giornata di pausa prima della caduta, prendiamoci un momento per qualche rimpianto. Molti penseranno che non è giusto, che bisogna andare oltre, che crogiolarsi nella malinconia non può che far male. Non è vero. Esiste un tempo per ogni cosa: domani riprenderemo la solita vita solo in apparenza, ben coscienti che nulla sarà più come prima, ma faremo ugualmente finta di nulla e ci dedicheremo alle solite quisquilie quotidiane. Oggi è tempo di rimpianti, di quello che avremmo potuto fare, e non abbiamo fatto, di come le cose sarebbero potute andare, invece di prendere la piega cui assistiamo. Lasciamo libero, dunque, questo spazio al rimpianto che non deve necessariamente essere malinconico: è solo una presa d’atto di quello che ci siamo, irrimediabilmente, lasciati alle spalle.
Rimpianto dunque, ma di che cosa? Rimpianto di aver perduto due o tre anni in case di Montecarlo, in squinzie dell’Olgettina, in Ruby Rubacuori, in lodi Schifani e Alfano, in processi brevi, in lotte alle intercettazioni, in processi Mills. Tutte cose che, francamente, a noi cittadini ben poco ne cale. Abbiamo inseguito un premier alla frutta, tutto dedito ai suoi passatempi e ai suoi guai giudiziari, che ci ha nascosto la crisi nella sua reale entità, fino all’ultimo: sono i mercati che sbagliano, noi siamo un paese sano, sono pieni i ristoranti, in aereo non si trova posto. Rimpianto di aver aderito all’Euro, ora lo possiamo dire, è stato l’errore più grave e madornale della storia repubblicana. Aver aderito all’Unione Europea, propagandata come la salvezza per le economie che ne facevano parte, foriera di una unione, chissà, anche politica, uno scudo contro la speculazione internazionale. Rimpianto di aver fatto parte di una istituzione costosa, mastodontica e inutile come il Parlamento Europeo, un organismo puramente decorativo, che si riunisce per deliberare sul nulla. Le regole dei mercati non sono cambiate, la finanza ha avuto le briglie sciolte, totalmente deregolata, il capitalismo si è auto cannibalizzato, divorando se stesso e chi vi aderiva. Uno dei presupposti del liberismo è appunto la crescita dei consumi indefinita, ma ad un certo punto, una società vecchia e malata come la nostra smette di crescere, dopo aver consumato tutto il consumabile, e allora comincia la curva discendente della campana gaussiana del capitalismo, sino a toccare il punto più basso, quello attuale. E’ nella logica stessa del liberismo, che ha implicitamente già scritta dal suo interno la sua stessa fine. L’odiato marxismo, applicato nella rivoltante realtà del socialismo decreta il suo fallimento, cade il muro di Berlino e le società si globalizzano. I paesi emergenti non sono più emergenti: hanno costi del lavoro infinitamente inferiori ai nostri, mantenendo però lo stesso livello di know how. I loro mercati interni, immensi, hanno un potenziale enorme. Mandano in pensione la vecchia Europa del Valzer. E allora, quando le cose si mettono male, nell’Unione europea che percorre la breve parabola di un solo decennio, si aprono le prime crepe, i primi distinguo: ci sono paesi virtuosi, che non hanno debiti pubblici smisurati e che storcono l naso davanti alle cicale del mediterraneo. Comincia la guerra mai dichiarata del tutti contro tutti. Si salvi chi può, del resto me ne infischio. L’Europa muore lentamente perché non si è saputa dare una unione politica ma neppure economica, il colmo della stupidità. Ha solo una moneta, un tenue collante che si sta squagliando. I più ricchi, i più “virtuosi” resisteranno qualche mese di più, forse qualche anno, prima di cadere anche loro nella depressione economica. C’è il rimpianto di essere entrati nell’UE e nell’Euro alle condizioni dei tedeschi, che da subito non hanno fatto mistero del ruolo che avevano intenzione di svolgere (non a caso, dall’inizio, la sede della Banca Centrale è Francoforte), li abbiamo lasciati colpevolmente fare, loro hanno cambiato il marco con l’euro alla pari, noi abbiamo bruciato 1936,27 lire, che nella realtà e nella vita di ogni giorno sono diventate mille lire per un euro. Rimpianto di non essere stati più avveduti, più incisivi nelle politiche comunitarie: una figura come quella di Prodi era troppo sbiadita per competere con Chirac o Helmut Kohl, eravamo destinati al naufragio. Rimpianto di aver avuto per due decenni una classe politica inetta, incapace e corrotta, scaturita da una legge elettorale che è una aberrazione giuridica. Gli inglesi, prudentemente, ci hanno mandato avanti: ancora una volta avevano ragione loro. Non sono entrati subito nell’Euro, hanno pensato andate avanti voi, poi vedremo. Hanno visto. E adesso si fregano le mani perché se è vero che il collasso dell’Euro e il probabile fallimento dell’Italia produrrà delle inevitabili conseguenze anche a loro, non saranno mai paragonabili a quelle che toccheranno a noi, poveri imbecilli che pensavamo di avere messo a punto una macchina da guerra imbattibile. Rimpianto di essere stati obbligati a licenziare una marea di lavoratori, che, in assenza di ammortizzatori sociali veri, come quelli francesi o tedeschi, si trovano adesso in mezzo ad una strada o alla mensa dei frati. Abbiamo gettato migliaia di famiglie nella disperazione, nella vana illusione che l’Europa ci avrebbe salvati, perché siamo “troppo grandi per fallire”. E invece falliamo lo stesso, comunque vadano le cose da domani in poi. Si potranno creare due Euro, si tornerà forse alle valute nazionali, non lo sappiamo adesso. Sappiamo che non servirà: un Euro1 in mano a tre paesi non va da nessuna parte, un Euro2 per tutti gli altri è l’anticamera del default. Rimpianto di aver per troppi anni vissuto al disopra delle nostre magre possibilità: l’Italia è il paese delle piccole e medie imprese, non abbiamo Microsoft, non potevamo sperare in una compensazione di un debito che si allargava sempre di più. Siamo stati penalizzati quando siamo entrati nell’Euro, lo saremo ancora di più, adesso, che ne usciamo. La nostra povera lira, si stima, subirà, rispetto all’euro , una svalutazione del 50 – 60%, vale a dire che siamo intorno ad un Euro per 5.000 lire. Vanno in fumo i nostri risparmi, la speculazione internazionale, una volta riprese le contrattazioni dopo una pausa di assestamento indispensabile, farà il resto. L’inflazione, o peggio, la deflazione ci farà entrare a pieno titolo nel nuovo medioevo. Guerre sociali, conflitti, instabilità enormi, a questo siamo. Ma sopra a tutto, a dominare tutto, c’è il rimpianto di aver dato credito ad un paese che si è reso tristemente protagonista, per tutto il secolo scorso, di eventi catastrofici per l’Europa e per il mondo: la Germania. Un alleato che non può essere un alleato perché parte dal principio di essere più forte e più lungimirante di tutti gli altri, è quella vena niciana o wagneriana che da sempre circola nel sangue dei tedeschi e ne è una caratteristica ineliminabile. Ci hanno spezzato ancora una volta, ancora una volta ci hanno fatto rotolare nella polvere, quella stessa polvere che (ma è una magra consolazione) tra poco assaggeranno anche loro.
Va bene, abbiamo esaurito, per adesso,  l’enumerazione dei rimpianti. Confidiamo che l’attuale governo si sappia fermare in tempo e sappia evitare manovre lacrime e sangue che ci invischierebbero solo ancor più nella crisi. Facciamo come Angela Merkel, guardiamoci un attimo ancora intorno per cercare qualche appiglio, e se proprio non lo troviamo, facciamo in modo di cadere in piedi, cercando di limitare al massimo i danni. Ogni paese europeo, d’ora in poi (ma in fondo come sempre) se ne andrà per i fatti suoi, non ci lega più niente e nessuno. Da  dopodomani, o quando avverrà, ricominciamo, si riparte da zero, perché avremo ben poco in cascina. Ci siamo risollevati da un conflitto mondiale che ci ha visto perdenti, sapremo risorgere anche da tutto questo.





sabato 26 novembre 2011

MOLTO DOPO MEZZANOTTE


Diventa ogni giorno più difficile razionalizzare, economicamente o politicamente, la posizione del cancelliere Merkel sulla crisi finanziaria e congiunturale che attanaglia l'Europa. Da un lato, insiste su politiche di austerità così estreme che finiscono per essere controproducenti, perché inducono l'economia a contrarsi quasi altrettanto rapidamente di quanto non scendano deficit e debiti.
Dall'altro riafferma ad ogni occasione e con assoluta intransigenza la sua opposizione (che poi equivale a un veto, visto il ruolo speciale della Germania nella costituzione materiale delle istituzioni monetarie europee) all'intervento della Bce nel ruolo di prestatore di ultima istanza, l'unico ormai che a giudizio dei più può prevenire l'implosione del sistema finanziario, con la conseguente probabile dissoluzione dell'unione monetaria. L'isterica reazione dei mercati, con gli spread italiani tornati verso i massimi storici, è la diretta conseguenza dell'apparente cupio dissolvi tedesco.
Siccome la speranza è l'ultima a morire, fra gli economisti e gli operatori finanziari ha cominciato a circolare la seguente consolante interpretazione. Merkel sa che i Paesi periferici fanno le necessarie riforme di bilancio e della struttura dell'economia solo quando sono sotto attacco dai mercati. Nel momento in cui la "disciplina di mercato" è rimossa, lo spirito riformatore si affloscia e si ritorna all'usuale lassismo finanziario e difesa degli interessi particolari nella gestione dell'economia. Perciò Merkel usa i mercati per costringere i Paesi periferici a fare le riforme, riservandosi però in cuor suo di rimuovere la catena che imbriglia la Bce proprio all'ultimo momento utile a prevenire il disastro. In questa intepretazione, la Bce salverà l'euro, ma solo dopo che la Germania avrà estratto tutto l'estraibile (compatibilmente con il non disfacimento dell'Unione) in termini di riforme alla periferia.
Se questo è veramente il gioco di Merkel è un gioco assai pericoloso, sia economicamente che politicamente (oltre ad essere chiaramente dannoso alla salute coronarica di chi segue gli eventi). Economicamente, perché se c'è una cosa che la crisi ci ha insegnato è che la politica si muove molto più lentamente dei mercati. Illudersi di poter scegliere il momento giusto (non un minuto troppo presto, non un minuto troppo tardi) per salvare l'euro sarebbe un esempio perfetto della catastrofica hubris, aggravata da incapacità di imparare, cui i politici europei ci hanno purtroppo abituati. Politicamente, perché dopo aver per due anni raccontato al pubblico tedesco che tutto si risolverebbe se solo i Paesi periferici facessero più austerità, e che un salvataggio da parte della Bce servirebbe solo a generare un'inflazione da Repubblica di Weimar, un'improvvisa inversione a U la condannerebbe a una catastrofe elettorale.
Siccome non crediamo che di questo Merkel non si renda conto, c'è da temere che l'interpretazione del salvataggio all'ultimo minuto sia troppo ottimistica. Ne offriamo quindi un'altra. Dato che, come abbiamo visto, la posizione tedesca conduce inevitabilmente al collasso finanziario e al probabile disfacimento dell'unione monetaria, pare naturale desumere che a Berlino si sia giunti alla conclusione che l'unione monetaria non è salvabile. O, più precisamente, che non sia possibile salvare l'euro e al tempo stesso venire rieletti dai cittadini tedeschi. Questo per la ben nota irriducibile ostilità dell'elettorato tedesco all'uso della Bce come prestatore di ultima istanza.
Se dunque l'euro deve comunque morire, il cancelliere vorrà che questo avvenga nel modo meno dannoso possibile per le proprie prospettive di rielezione. A questo scopo bisogna fare tutto il possibile perché agli occhi del pubblico tedesco la colpa sia degli altri. Di qui l'insistenza tambureggiante su sempre più dure misure di austerità. Il gioco è di poter dire ai propri elettori che l'euro è fallito perché i Paesi periferici non hanno voluto o saputo fare le riforme.
Certo questa interpretazione implica che Merkel non sia disposta a immolarsi politicamente per salvare l'euro. Di più, implica anche che, pur di migliorare le sue chance di rielezione, sia disposta a peggiorare la recessione nei Paesi periferici con il suo continuo rilancio su politiche sempre più aggressivamente recessive. Non ci pare ciò renda la nostra ipotesi meno realistica. Non sarebbe certo lei l'unico leader di un Paese europeo che ha inflitto costi gravissimi al suo Paese e al resto dell'Europa per il proprio tornaconto politico e personale.
Francesco Caselli per “Il sole 24 ore”. ©Riproduzione riservata

Che cosa si può aggiungere? Così, per completare un quadro già poco edificante, possiamo dire che la richiesta di “fare presto” da parte dei paesi ex virtuosi dell’UE, fare presto a varare riforme drastiche che, messe in atto in un periodo di crisi acutissima, non possono sortire altro risultato che deprimere ulteriormente l’economia dei paesi già in recessione, suona persino grottesco. Una delle leggi più spietate dell’economia è appunto questa: una politica di tagli alla spesa pubblica, di restrizioni a pensioni, consumi, immobili ecc. se effettuata su paesi che già versano in una pericolosa crisi del debito dinanzi ad una crescita zero hanno il solo effetto di traghettare il paese in questione dalla recessione alla depressione, l’ultimo stadio dell’economia. Risulta chiara la strategia di paesi come la Germania, l’Olanda o la Finlandia: cercare di succhiare tutto quello che è possibile dall’Euro e dall’Unione Europea, trarre vantaggio dalla depressione economica dei paesi periferici costringendoli a politiche ulteriormente restrittive, fatte di macelleria sociale ed impoverimento, poi, una volta arrivati al capolinea, che nel nostro caso potrebbe essere costituito dal fallimento dell’Italia, uscire dall’Euro, spezzare l’Unione Europea e tornare alla loro valuta nazionale con qualche vantaggio in più rispetto agli altri paesi, spremuti sino in fondo. Questo, sospettiamo sia il gioco sporco che nasconde l’aria trasecolata di una Merkel sempre più vicina ad uno stato stuporoso della personalità. Fanno la parte, e la fanno pure male. Nessuno, nel mondo intero, prende più sul serio i proclami di viscerale amore per l’Euro che stancamente la cancelliera tedesca va ripetendo. I mercati, che vanno più veloci della politica, hanno perfettamente compreso dove andremo a parare entro il 2012 e quale strategia si nasconda dietro la cancelliera. Spiace vedere il povero Sarkozy, premier di un paese talmente correlato al nostro da non poter evitare la nostra stessa sorte, cercare affannosamente una sponda favorevole da parte della Merkel, che lo tratta con la sufficienza che si riserva ai servi sciocchi. Gli Stati Uniti, il Regno Unito, la Cina stessa, stanno effettuando in questi giorni degli stress test per considerare il loro livello di resistenza all’impatto con la scomparsa dalla scena valutaria dell’Euro. In pratica, per dirla tutta, i mercati e gli investitori danno già per scontata la fine dell’Euro e dell’Unione Europea. Il tormentone sta andando avanti da molto tempo, talmente tanto che dalla simulazione prima o poi si passerà alla realtà. Si tratta di un processo di natura psicologica definito come “la prescrizione del sintomo”, in parole povere, ci si attende con timore e tremore un evento considerato come probabile, lo si paventa, lo si ipotizza per cercare di neutralizzarne le conseguenze, ma, così facendo, si finisce per farlo materializzare. E’, più o meno, quello che sta accadendo. Se poi aggiungiamo che le cose che si devono fare ora, non domani, ma adesso: pieni poteri alla BCE, creazione di un soggetto prestatore di ultima istanza, emissione di eurobond, allargamento dell’Efsf, istituzione di un ministero dell’economia unico dell’Eurozona, istituzione di una agenzia di rating europea, creazione di nuove regole della finanza, tutte cose che i signori Merkel, Juncker, Van Rompuy, Barroso non hanno la minima intenzione di fare, il quadro è completo. Lo stesso Draghi, ostaggio dei tedeschi, è, in pratica paralizzato. Sempre le stesse “autorità europee”, richiedono interventi pesanti sulle banche, ovviamente quelle dei paesi più vulnerabili: devono procedere a forti aumenti di capitale, proporzionalmente assai maggiori rispetto alle più deboli e indebitate banche tedesche, austriache, francesi. Per istituti di credito già in grave crisi di liquidità, questi provvedimenti significano una sola cosa: il credit crunch, la stretta creditizia, a imprese e privati. Con il solo risultato di accentuare la paralisi del paese e incrementare la recessione. Non vi basta? Bene. Allora diciamo che il governo Monti si è rivelato all’Italia e la mondo per quello che è: un governo inutile. Non ha solo il passo lento, è privo di idee che non siano i soliti tagli, i soliti risparmi di spesa. I vitalizi dei parlamentari saranno aboliti, ma solo dalla prossima legislatura e solo per i nuovi eletti, perché non si possono toccare i diritti acquisiti. Siamo alle comiche. E i diritti acquisiti dei cittadini italiani costretti ad andare in pensione a 70 anni con il sistema contributivo?
Per chi volesse approfondire l'eventualità di un default italiano: leggi

Il Telegraph riferisce che il Foreign Office ha diramato un messaggio a tutte le ambasciate inglesi dell’eurozona, affinché preparino «piani d’aiuto in caso di collasso dell’euro e possibili, conseguenti sommosse popolari». Sempre ieri, l’Economist rappresentava la moneta unica come una meteora infuocata in caduta libera. Secondo il settimanale inglese, «l’euro si potrebbe distruggere in poche settimane. L’evento scatenante può essere il fallimento di una grande banca, la caduta di un governo, un altro flop in un’asta di titoli».

Queste notizie sono il preludio ad una decisione obbligata che dovra' essere diffusa prima dell'apertura dei mercati lunedi', da parte delle autorita' di Unione Europea, Bce, Fmi. Cosa decideranno? Ci vuole coraggio e visione. Ma i leader europei non hanno ne' l'uno ne' l'altra, per cui e' lecito essere pessimisti.

Un sollievo di breve termine potrebbe venire da un taglio dei tassi dello 0,50% da parte della Banca Centrale Europea. Non e' nemmeno da escludere che un annuncio del neo-presidente della Bce Mario Draghi possa arrivare entro domenica sera, prima che aprano i mercati asiatici (la mossa apparirebbe "disperata" anche se giustificata in termini macro dalle previsioni di una recessione nell'eurozona per il 2012 che il credit cruch potrebbe accentuare).

Draghi sa che un allentamento della politica monetaria Ue oltre a far calare l'euro in zona $1.15-20 farebbe prender tempo per arrivare in settimane e non mesi, a successive decisioni riguardanti l'acquisto massiccio da parte della Bce di bond dei paesi in difficolta' (Italia e Spagna in testa). Un tipico "QE - quantitative easing" in stile Federal Reserve. In seguito eventualmente anche se appare improbabile visto l'atteggiamente della Germania, Draghi passerebbe allo stampaggio "pesante" di moneta e all'emissione di euro-bond, garantite chissa' dalla modifica dei trattati Ue il prossimo 8 dicembre.

Ma torniamo all'articolo del Telegraph. "Mentre il governo italiano fa fatica a trovare credito e la Spagna sta considerando di chiedere un salvataggio internazionale - scrive il Telegraph - alcuni ministri del governo britannico in privato hanno dato l'allarme sul fatto che un collasso dell'euro, un tempo quasi impensabile, e' adesso plausibile".

Recenti istruzioni del Foreign e Commonwealth Office alle ambasciate e consolati del Regno Unito nell'eurozona richiedono piani di emergenza in caso di "scenari estremi" comprese rivolte e proteste a livello popolare. I diplomatici inglesi si stanno preparando ad aiutare i britannici all'estero in caso di un collasso bancario e persino sommosse derivanti dalla crisi del debito. Il Tesoro inglese ha confermato all'inizio di questo mese che la pianificazione di emergenza per un eventuale crack dell'eurozona è in corso. Un ministro senior ha rivelato il grado di preoccupazione del governo, dicendo che la Gran Bretagna sta preparandosi e che un crollo dell'euro è ormai solo questione di tempo. "E' nel nostro interesse che si continui a rinviare perché questo ci dà più tempo per prepararci", ha confermato il ministro al Daily Telegraph.

Secondo il quotidiano, "la Grecia ha gia' vissuto diversi episodi di disordini e violenze di piazza, dopo che il governo ha impostato un duro piano di rientro dai suoi enormi debiti. I funzionari britannici pensano che scene simili non si possano escludere in altre nazioni Ue se l'euro crolla".

"Alla diplomazia UK e' stato anche detto di prepararsi ad aiutare decine di migliaia di cittadini britannici nei paesi della zona euro per le conseguenze di un collasso finanziario che non gli darebbe la possibilita' di accedere a conti bancari o anche prelevare contanti".

Ad alimentare le paure dei mercati finanziari per l'euro, sono le notizie secondo cui a Madrid ieri che il nuovo governo Partito Popolare potrebbe cercare un bail-out (salvataggio) sia dal fondo europeo di salvataggio dell'Unione europea o dal Fondo Monetario Internazionale.

Secondo l'Economist, questo situazione non può andare avanti per molto più tempo. Senza un drastico cambiamento di mentalita' da parte della BCE e dei leader europei, la moneta unica potrebbe collassare nel giro di poche settimane. Qualsiasi evento possibile, dal fallimento di una grande banca alla caduta di un governo al flop di altre aste di bond, potrebbe causare la sua fine. "Nell'ultima settimana di gennaio - nota il settimanale inglese - l'Italia deve rifinanziare più di € 30 miliardi ($40 miliardi) di titoli di stato in scadenza. Se i mercati non comprano i Btp, e la BCE si rifiuta di andare in aiuto del Tesoro italiano, il terzo più grande debitore sovrano del mondo potrebbe essere spinto in default".
Fonte: Wallstreetitalia.com

Qualcuno pensa ancora seriamente che io sono pessimista? Il Foreign Office del Regno Unito non è un circolo di canasta e possiede informazioni ben più attendibili e complete delle mie. Se lo scenario previsto è quello che avete letto, possiamo essere certi che, con buona approssimazione, sia quello giusto.
In conclusione, è la fine dell’Euro, il mondo intero si prepara a questo  evento, il mondo tranne noi. Non facciamo inutili manovre che ammazzano il welfare e annientano lo stato sociale, non facciamo il gioco sporco dei tedeschi. Da troppe settimane non lo spread, che non ha più senso seguire, dal momento che i bund tedeschi non se li fila più nessuno, ma i rendimenti che deve rimborsare il Tesoro sono troppo elevati. Tra qualche settimana, di questo passo , dovremo per forza dichiarare bancarotta. O stipendi e pensioni o interessi  e rimborsi dei titoli di stato , il Tesoro non potrà più fare entrambe le cose. Ma uscire dall’Euro in condizione di default è la cosa peggiore che può capitarci: è la ristrutturazione del debito, che significa un cospicuo  haircut dei nostri stessi risparmi. Non sappiamo a quanto potrebbe ammontare, ma siamo certi che, in un simile scenario, è il minimo che ci possiamo attendere. Piuttosto che cadere così malamente, sarebbe meglio abbandonare la nave fin d’ora, e smetterla di assecondare l’ignobile tattica del nostro nemico prussiano.





venerdì 25 novembre 2011

CI STANNO CARTOLARIZZANDO IL FUTURO


Nessuna concessione sugli eurobond. Per non parlare di una modifica del mandato della BCE per renderla prestatore di ultima istanza. Angela Merkel non ha ceduto di un millimetro sulla propria linea su come affrontare la crisi dei debiti sovrani. Giusta o sbagliata che sia, la strategia della cancelliera tedesca qualche risultato concreto lo ha conseguito. Per l'Eurozona? No per le casse di Berlino.
Dallo scoppio della crisi infatti la Repubblica Federale ha risparmiato la bellezza di 20 miliardi di euro in minori costi di rifinanziamento del debito. La stima, riportata dal New York Times, è del think tank Re-Define e si riferisce al periodo tra il 2009 e il 2011.
Dallo scoppio della crisi greca sui mercati si è assistito a una fuga dai titoli dei paesi periferici, di pari passo con una corsa al bund. Il termine tecnico per definire questo fenomeno è «flight to quality». Letteralmente volo verso la qualità, gli asset più sicuri. Detto in parole più semplici: ci si disfa dei titoli a rischio (Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna e Italia) e si comprano titoli della Repubblica federale. Anche se rendono poco o nulla, i bund sembrano essere una certezza (pur mostrando in questi giorni qualche debolezza inattesa nei confronti del Gilt inglese).
Questo ha portato a un abbattimento dei rendimenti dei titoli decennali tedeschi. A metà del 2008 garantivano interessi del 4,7% ora appena il 2%, cinque punti percentuali in meno dei titoli italiani che ora rendono il 7%. Non è solo la Germania ad essersi avvantaggiata di questa situazione. Un altro paese virtuoso, l'Olanda, secondo una stima del quotidiano De Volksrant, ha risparmiato con la crisi 7,5 miliardi in minori costi di rifinanziamento del debito.
Insomma, se i tedeschi persistono nella loro rigidità su eurobond e Bce qualche ragione ce l'hanno. Una ragione da 20 miliardi di euro verrebbe da dire. La situazione però è cambiata radicalmente proprio in questi giorni. L’asta decennale dei bund tedeschi è andata praticamente deserta (il 35% dei titoli è rimasto invenduto) è un segnale chiaro: anche la Germania rischia di essere contagiata dalla crisi.
Andrea Franceschi

Ma andiamo oltre e continuamo ad osservare quello che sta accadendo nella impaurita Germania di una Merkel sempre più orientata alla ricerca del consenso elettorale.
Abbiamo già parlato di come la politica sia in grado di manipolare le regole contabili, nessuna svalutazione per prodotti strutturati subprime, obbligazioni corporate e derivati, ma per un titolo sovrano si, quello assolutamente si, specialmente se serve per mostrare la fragilità delle nostre banche rimaste ai margini della speculazione internazionale…
Mentre la Commissione Finanze della Camera ha chiesto di poter svolgere un’audizione del presidente dell’EBA, Andrea Enria, con lo scopo, ha spiegato il presidente della Commissione, Gianfranco Conte, di approfondire le questioni inerenti ai criteri di ricapitalizzazione delle banche europee, le banche tedesche hanno chiesto all’Autorità bancaria europea di posticipare la scadenza per la consegna dei piani di ricapitalizzazione dal 25 dicembre al 13 gennaio.
E’ quanto hanno dichiarato gli stessi istituti in una lettera inviata all’Eba, consultata dall’agenzia Dowjones Newswires. Dal documento emerge che le banche della Germania hanno bisogno di più tempo per potersi adeguare alle nuove regole sui requisiti patrimoniali. La nuova proroga darebbe il tempo alle banche tedesche di chiudere i bilanci prima di adottare le nuove misure.
L’autorità bancaria europea a ottobre aveva dichiarato che il sistema bancario tedesco dovrebbe essere ricapitalizzato per più di 5 miliardi di euro per raggiungere un Core Tier 1 al 9% entro fine giugno 2012 e che, in particolare Commerzbank e Deutsche Bank, avevano bisogno rispettivamente di 2,9 miliardi di euro e 1,2 miliardi di euro…
L’Eba ha anche detto che con molta probabilità rivedrà tali stime al rialzo, tanto che Commerzbank potrebbe aver bisogno di una cifra superiore, ovvero di 5 miliardi di euro. Alla Borsa di Francoforte, dopo la richiesta dell’associazione bancaria tedesca, il titolo Deutsche Bank sale del 3,76% a 25,12 euro e Commerzbank segna addirittura un +8,46% a 1,269 euro, ma risulta il peggiore dell’indice Dax di Francoforte da inizio anno con una perdita superiore al 70%.
Fonte: finanza.com

In conclusione, se dopo la giornata nera dei bund tedeschi invenduti Angela Merkel, come un disco rotto, continua a ripetere (dimostrando, tra l’altro, di avere poca fantasia) la solita litania, che gli eurobond non sono una soluzione, che ciascun paese membro deve risanare i propri bilanci (come se in questo momento fosse possibile!), che la BCE va bene così come è, che l’unica cosa cui si potrebbe pensare è una politica fiscale comune (come se ci volesse un giorno a costruirla!) e altre amenità del genere, è giocoforza arrivare alla conclusione che o il cancellier tedesco non è un’aquila, oppure temporeggia per arrivare all’implosione dell’Euro. Non c’è un minuto da perdere. Non c’è più tempo, il tempo è finito. Non è il problema di un paese piuttosto che un altro. Il Belgio è stato appena declassato, ci mancherebbe altro, l’Austria sarà il prossimo, come pure la Francia. Gli unici paesi che, al momento, non sono in pericolo immediato, sono l’Olanda e la Finlandia. Un pò poco. La Germania stessa è il cuore del problema. Vorremmo tanto che il prof. Monti comprendesse l’elementare verità che mettere mano in questo momento ad una manovra pesante ed iniqua è solo un inutile suicidio. L’Europa è il problema. Se la BCE non si dota da subito di nuovi poteri (emissione di eurobond in grado di assorbire parte dei debiti sovrani, possibilità di stampare moneta, costituzione di un prestatore di ultima istanza), se l’UE non crea da subito un ministero dell’economia e delle finanze europeo, se non la finiamo con i teatrini dei direttori bilaterali, se non la finiamo di inseguire la chimera di un “uber” euro (che al punto in cui siamo potrebbero adottare solo tre paesi su 17), insomma se non si decidono subito cambiamenti importanti, tanto vale abbandonare subito l’Euro. Il Bundestag deve a breve decidere se modificare o meno la norma secondo la quale un paese può uscire dall’euro e restare contemporaneamente nell’UE. Anche questo, la dice lunga. La convinzione che la maggioranza degli analisti hanno maturato è che la cancelliera tedesca, facendo un torto alla propria intelligenza, si sta preoccupando più della sua rielezione che della sorte dell’economia europea e quindi mondiale. Ci stanno cartolarizzando il futuro, questi politicanti mediocri dell’UE. Abbiamo a ragione criticato la classe politica di casa nostra. Ma se osserviamo e soprattutto ascoltiamo le parole di personaggi come Olli Rehn, Juncker, Van Rompuy, Barroso e, dobbiamo dirlo, lo stesso Draghi, ci rendiamo conto che non fanno che ripetere le stesse monotone litanie: è un’arte combinatoria, secondo la quale si dicono le stesse cose con parole diverse. Questi signori continuano a cantare e a ballare correndo dietro il pifferaio magico tedesco, che ci sta conducendo, cantando e ballando, in fondo al dirupo.
Facciano, pure. Se non altro, abbiamo intuito di non essere i soli a non capire un bel nulla. Ci fa compagnia l’élite intera dell’Unione Europea. In quanto a ottusità, cecità ed incapacità fanno a gara con i politici di casa nostra. Pazienza, cerchiamo di tenere duro, di prepararci, di fare in modo, e lo diciamo soprattutto alle nostre banche, di non trovarci impreparati all’appuntamento con il futuro. Non sarà troppo gradevole, ma è l’unico che ci aspetta. Pensano di essere furbi, di avere capito tutto, di prevedere tutto. E invece cadranno con noi, più di noi, solo in quel momento potremo aggiustare i conti e conservare la memoria del passato.



mercoledì 23 novembre 2011

FATE PRESTO (ad uscire dall'Euro)


Dopo l’ennesima giornata negativa, con le borse che cadono una dopo l’altra, le tensioni formidabili sui titoli di stato e le nostre banche, sulle quali continuano a piovere le vendite, ci si domanda da più parti quanto deve ancora durare questa lenta agonia, ma soprattutto quando la Germania scoprirà una volta per tutte le sue carte, terminando questa abominevole  politica attendista che, per ovvie ragioni, non potrà andare avanti per molto. Mi domandano, da più parti, una spiegazione chiara e semplice che possa motivare le ragioni per le quali una nazione che a parole si è sempre detta favorevole all’Unione europea e alla sua moneta unica, sta assumendo comportamenti che ci stanno portando in fondo al crepaccio. Credo sia ormai chiaro per tutti che la fine dell’Euro è vicina. Dirò di più. Considerando che l’intenzione che appare più probabile da parte della Germania è quella di uscire dall’Euro e tornare alla sua valuta nazionale (l’altra opzione, quella di un euro e due velocità è di fatto inattuabile, non esistono più paesi europei da tripla A), ci auguriamo tutti che lo faccia prima possibile, prima cioè che lo sciagurato governo “tecnico” Monti vari delle manovre inique ma soprattutto inutili. Dal momento che una uscita della Germania dall’euro sancirà anche la fine della valuta europea, l’impatto con il ritorno alla lira sarà certamente assai duro e difficile. Una lira debole, svalutata, preda di speculazioni finanziarie, in presenza di una grave spirale inflattiva, causerà inevitabilmente sacrifici pesanti, in particolar modo per i primi anni. E allora, visto che ci attendono anni difficili, visto che l’estinzione dell’euro è ormai data per certa, non potremmo aspettare di uscire dall’Euro per affrontare una politica di lacrime e sangue? Dobbiamo per forza cominciare a piangere sin d’ora? Monti può fare non una ma mille riforme e manovre, in questo preciso momento storico e in questa congiuntura, continuare con la politica dei tagli non servirebbe certo né a rimettere il paese in pista, né a sanare i nostri conti pubblici. I tedeschi si macchieranno di una colpa non paragonabile a quella dell’olocausto, come è ovvio, ma si prendono una responsabilità sulle spalle di gravità incommensurabile. Per l’ennesima volta nella storia si stanno macchiando di un’onta inemendabile: la fine dell’ euro e dell’Unione europea avrà delle conseguenze inaudite non solo nei confronti dei 17 paesi membri, ma provocherà il collasso della finanza globale, con conseguenze imprevedibili che ricadranno sul mondo intero. Potrebbe essere la fine dei mercati così come li conosciamo, potrebbe provocare una paralisi delle borse e degli scambi commerciali, oltre che finanziari. Il mondo intero piomberebbe nella miseria, almeno per qualche tempo. Oggi, 23 novembre, l’asta dei bund tedeschi è stata un flop: il 35% è andato invenduto. E’ una notizia clamorosa: ci dice che lo spread, questo maledetto spread non ha più senso, che le Cassandre come Roubini farebbero meglio a tacere invece di propagandare balle spaziali, ci dice che non esistono più paesi virtuosi, che la Francia, l’Austria, l’Olanda e la Germania stessa non sono più in grado di controllare il loro stesso debito. Invece di dotare la BCE di poteri maggiori, interventi sulla politica monetaria, battere moneta, assorbire buona parte del debito dei paesi in maggiore sofferenza con l’emissione di eurobond, istituire una governance unica economico finanziaria, si è scelta, da parte della Merkel, una politica esitante e contraddittoria che sta paralizzando tutte le istituzioni europee. Il ministro Schaeuble parla di politica fiscale comune: una inaudita fesseria, inutile e irrealizzabile.
Va bene, volete uscire dall’euro e tornare al vostro amatissimo marco, fate pure, ma fate presto: i sacrifici, se proprio dobbiamo farli, vorremmo affrontarli una sola volta, senza avvitarci in una manovra finanziaria dopo l’altra, senza andare in pensione a 75 anni, senza fare pagare altre imposte, dirette e indirette (l’IVA al 23%!). Di sacrifici, con il ritorno alla lira, saremo costretti a farne anche troppi.
Vediamo allo di chiarire, come dicevo, le ragioni neppure troppo oscure, che inducono la Germania ad affondare l’Euro e a mettere fine all’Unione europea:

Il ministro Schaeuble sta ripetendo ciò che Juergen Stark (che a settembre ha lasciato il suo posto alla BCE perché contrario all’acquisto di  bond governativi) ha dichiarato durante una conferenza all’inizio del mese: “Dobbiamo procedere con coraggio verso l’unione fiscale”.
“Dobbiamo andare oltre e creare un’unione finanziaria: la crisi dimostra che serve più Europa.”
Dichiarazioni scottanti, sopratutto se si considera che la Merkel è convinta che gli Eurobond non siano “una proposta ragionevole”. Come interpretare allora l’ambivalenza delle dichiarazioni tedesche sull’integrazione europea?
Si possono prendere alla lettera, oppure provare a dare un’interpretazione diversa: forse che la Germania stia soltanto prendendo tempo?
Consideriamo la prima ipotesi, ovvero che le dichiarazioni dei leader tedeschi vadano prese alla lettera: la Germania teme che la BCE monetizzi il debito sovrano. Il divieto esplicito che impedisce la BCE di comprare bond governativi in maniera diretta (articolo 123 del Trattato di Lisbona, ma non solo), non ha di fatto impedito l’acquisto sul mercato di bond greci, portoghesi, irlandesi, italiani e spagnoli, nel tentativo di ridurne i rendimenti. La strategia non ha funzionato, quindi il passo successivo più logico sarebbe di comprare il debito direttamente.
Chi è a favore di questa mossa sostiene che sia l’unico modo credibile di fermare la crisi, visto che la BCE ha fondi illimitati (ovvero:  il debito acquistato viene incluso nel bilancio della Banca Centrale che poi ha il potere di stampare euro per pagarlo). Qualsiasi decisione diversa sarebbe un invito aperto per attacchi speculativi ai mercati dei bond.
La Germania però non accetta questa possibilità, a causa dello spettro dell’iperinflazione di Weimar che ancora influenza sentimenti e decisioni. Non che l’alternativa, cioè l’unione fiscale, sia invece particolarmente gradita. Però a fronte di una scelta tra monetizzazione del debito o unione fiscale, la Germania propenderebbe per quest’ultima.
Tutto ciò vale se si prendono alla lettera le dichiarazioni della Germania.  L’unione dell’Eurozona è in serio pericolo, lo sappiamo tutti. Quello che non si considera è quanto tale pericolo sia vicino.
Fonte: soldionline.com



martedì 22 novembre 2011

PIC NIC SUL CIGLIO DEL BURRONE


Mi tocca, per dovere di cronaca, riportare due articoli che affrontano lo stesso argomento, pervenendo alla medesima conclusione: entro un anno non ci sarà più l’Euro. Le due analisi in questione, una di fonte Cls Bank, il principale organismo al mondo nello scambio di valute, l’altra nientemeno che di Credit Suisse, affrontano il problema da diverse angolazioni, ma il risultato, ahimè, è sempre lo stesso. Siamo, per il momento, nel rango delle ipotesi, ma la percentuale di probabilità che l’evento possa avverarsi stanno crescendo di giorno in giorno, di caduta in caduta. Siamo di nuovo di fronte ad un spread intorno ai 500 punti, lo avevamo previsto, l’effetto Monti è solo fittizio, il suo governo non presenta nessun tipo di discontinuità dal precedente (e d’altra parte non poteva che essere così), torna l’incubo portoghese, il paese lusitano necessita in tempi brevi di almeno una tranche da 25 miliardi di euro, la Spagna arriva a rendimenti sui “bonos” intorno all’8%, non parliamo della Grecia. Ma anche paesi come il Belgio, con un spread sopra i 350 punti, ed una situazione politica nuovamente in stallo: continua ad essere un paese senza un esecutivo. O il caso della Francia, con un sistema bancario allo stremo delle forze e lo spread in rialzo, l’Austria stessa non versa in buone acque. E poi noi, le vendite sui bancari piovono tutti i giorni, siamo alla paralisi del sistema, il cosiddetto “credit crunch”. Negli Stati Uniti, è in arrivo il downgrade, dal momento che repubblicani e democratici non hanno trovato un accordo sulla soluzione del debito. A questi livelli, senza una politica seria, a livello europeo di deleveraging, non possiamo fare molta strada. La Germania ha la gravissima colpa di impedire qualsiasi tipo di riforma: dell’Efsf, di alcune clausole dei trattati, del ruolo della BCE, dell’immissione sui mercati degli eurobond. Alla Germania, lo ripetiamo ancora, vada il nostro sentito ringraziamento per affondare coscientemente l’Euro. Quando torneremo alle rispettive 17 valute nazionali, vedremo che cosa sapranno fare con il loro marco. Da parte nostra, lo vado ripetendo da mesi, non facciamoci illusioni: l’importante è non fallire, il ritorno della lira sarà traumatico, non c’è  dubbio, ma cominciamo a metterci in quell’ordine di idee per non arrivare impreparati all’appuntamento della fine della moneta unica. Lo diciamo soprattutto ai cosiddetti “tecnici”, sarà una bella onda d’urto, puntelliamoci bene, potrebbe portarci via una folata di vento.
Le big bank si preparano alla fine dell'euro. E il mercato più liquido al mondo, quelle delle valute, fa gli stress test sul proprio sistema informatico. Il punto è capire se sia in grado di reggere all'onda d'urto che si abbatterebbe sul mercato con un disfacimento della valuta unica e il contestuale ingresso di 17 monete nazionali, quelle dei Paesi attualmente agganciati all'euro.
Lo ha annunciato alla Dow Jones una fonte vicina a Cls Bank, definita «la spina dorsale del mercato mondiale delle valute». E in effetti lo è, visto che si tratta del principale organismo al mondo che assicura la regolarità degli scambi di valute effettuate dalle piattaforme delle 63 banche globali consorziate (che con Cls effettuano il 70% dei trading valutari in 17 Paesi nel mondo). Cls Bank, per meglio capire di che cosa stiamo parlando, è supervisionata dalla Federal Reserve e da altre 23 banche centrali del mondo che consigliano agli intermediari valutari di utilizzare la piattaforma di compensazione di Cls, seppure l'adesione sia a partecipazione volontaria.
Insomma, che la stanza di compensazione più grande del mercato finanziario più grande al mondo (quelle delle valute con 4 trilioni di dollari di volumi al giorno) abbia avviato uno stress test per individuare se sarebbe pronta a fronteggiare un disfacimento dell'euro, non pare proprio una notizia confortante per l'Unione europea. Inoltre, ci sarebbero già dei rumor sui risultati di questi stress test. Una fonte vicina alla notizia - che preferisce restare anonima - indica che per implementare nuove valute europee sul sistema sarebbe necessario «almeno un anno».
Del resto, sulla possibilità che l'euro salti ci sono ormai anche dichiarazioni ufficiali. Venerdì scorso la banca giapponese Nomura ha definito «davvero reale» un crac della moneta pubblica avvertendo gli investitori a controllare tecnicismi legali sui bond in euro, fra cui se vi sono indicazioni se nel contratto è contemplata l'ipotesi di conversione in un'altra valuta.
Notizie poco confortanti arrivano anche dal mercato dei titoli di Stato dove oggi abbiamo assistito al testacoda della curva dei rendimenti con i titoli a breve scadenza pagare di più rispetto alle scadenze più lunghe. Nel dettaglio i BTp a 2 anni hanno superato la soglia del 7% mentre i "cugini" a 10 anni viaggiano intorno al 6,8%. Non vanno meglio le cose in Spagna che oggi ha assegnato bond a tre mesi al tasso record del 5%, addirittura peggiore delle ultime aste su questa scadenza di Grecia e Portogallo.
Sembra che siamo entrati negli ultimi giorni dell'euro come noi oggi lo conosciamo. Inizia così uno studio di Credit Suisse il cui titolo non lascia adito a dubbi: "The last days of the euro". La banca d'affari elvetica sottolinea che questo non significa che la rottura dell'eurozona sia molto probabile, ma probabilmente entro la metà di gennaio diverranno necessari interventi straordinari "per prevenire la chiusura progressiva di tutti i mercati dei titoli di stato dell'eurozona, potenzialmente accompagnata dall'escalation di attacchi speculativi anche alle banche più forti".

Credit Suisse rimarca che tale scenario può apparire eccessivamente pessimistico ma riflette l'inesorabile logica degli investitori che semplicemente non possono ritenersi sicuri su cosa stanno detenendo o acquistano sul mercato dei bond dell'eurozona. Nel breve termine la questione non può essere risolta né dalla Bce né dai nuovi governi in Grecia, Italia e Spagna. I mercati vogliono "segnali credibili" sulla forma di unione fiscale e politica molto prima che abbiano luogo le modifiche del trattato. Questo significherà per Germania e Francia mettere in atto misure più drastiche e risolutive di quanto al momento i due Paesi sono disposti a tollerare. Solo allora, secondo CS, sarà il turno della Bce di fornire "il ponte finanziario necessario per prevenire un collasso sistemico".

Il dibattito su un'unione fiscale probabilmente entrerà nel vivo già questa settimana con la presentazione da parte della Commissione Ue delle tre proposte per gli Eurobond garantiti vicendevolmente dagli stati. Proposta che fino ad oggi è stata osteggiata principalmente da Berlino. Discussione che continuerà al summit europeo del 9 dicembre.

Titoli di stato italiani e spagnoli oltre il 9%, possibili pressioni anche sui Bund
Fino a quando non si giungerà a conclusioni concrete le tensioni sui mercati si manterranno molto alte e Credit Suisse ipotizza un deciso incremento dei rendimenti dei titoli di stato. Le attese, in uno scenario di acuirsi della crisi del debito sovrano, sono pertanto di un aumento delle pressioni sui titoli di stato dei Paesi periferici e non solo. I rendimenti dei titoli di stato italiani e spagnoli sono visti da Credit Suisse salire oltre il 9%, quelli francesi al 5% e anche i Bund tedeschi potrebbero vedere i propri rendimenti salire nella fase più critica della crisi.

Possibile un sell-off simile a quello di inizio 2009, rifugio nei Treasury
Di contro i rendimenti dei titoli di stato Usa dovrebbero scendere ancora - o almeno non salire - nonostante il rafforzamento dei dati sulla congiuntura Usa nella parte finale dell'anno. Per quanto concerne i mercati azionari la previsione è di un sell-off simile a quello che caratterizzò il primo trimestre del 2009, ma di entità inferiore,  fino a quanto non si perverrà a una soluzione politica della crisi.
"Il destino dell'euro sta per esser deciso - conclude il report del Credit Suisse -  e la pressione per arrivare ai necessari passi in avanti sul piano politico arriverà con ogni probabilità dagli investitori alla ricerca di una protezione contro le conseguenze assolutamente catastrofiche di un collasso dell'euro".

(Titta Ferraro - Riproduzione riservata)



lunedì 21 novembre 2011

GERMANIA: UN PASSATO CHE NON PASSA


Non sono bastate due guerre mondiali perdute, con i conseguenti terribili costi in vite umani e danni relativi al conflitto: non sono bastate alla Germania per comprendere che, ogni volta che si mette di traverso contro tutto il resto dell’Europa è destinata a fare una triste fine. I conflitti, nel mondo evoluto, si sono spostati nel mondo dell’economia. La storia occidentale non ha mai registrato un periodo così lungo privo di conflitti armati. La trasposizione della guerra dal piano bellico a quello finanziario è una realtà. Per la terza volta nel giro di un secolo (dal 1915 ad oggi)i tedeschi, preda di un vero e proprio delirio di onnipotenza, trascineranno non solo se stessi, ma il mondo intero nel Medioevo prossimo venturo. Vediamo meglio.
Non è un mistero che la prima economia dell’Europa, nonostante l’arresto della sua crescita, l’utilizzo disinvolto della leva finanziaria delle sue banche, un livello di indebitamento superiore a quello italiano, (sembra strano ma è così), nonostante non si tratti di un paese in condizioni floride, almeno non quanto vorrebbe far credere, si adoperi  ostinatamente per il  mantenimento dello status quo, al continuo rinvio di decisioni che hanno il carattere dell’urgenza, si crogiuoli tuttora nell’idea di in impossibile Euro a due velocità. Tutti sappiamo che la BCE e l’Unione Europea, con tutto il rispetto per Draghi, Von Rompuy, Juncker e Barroso, sono ostaggi della Germania e delle sue decisioni politiche ed economiche. Lo stesso Fondo monetario Internazionale è fortemente condizionato dalle scelte di Berlino.
Per l’ennesima volta, anche oggi, 21 novembre, abbiamo assistito al consueto crollo dei mercati, agli spread stazionari o in aumento, ma soprattutto alla fughe degli investitori dai titoli di stato europei, compresi quelli tedeschi. Non parliamo del comparto bancario. La presenza di un numero elevato di “incagli” e sofferenze, di crediti a difficile esigibilità, la difficoltà a reperire finanziamenti, dovuto alle continue vendite dei loro titoli, stanno indebolendo fino alla paralisi tutto il sistema creditizio. Il mercato interbancario è quasi fermo (le banche hanno difficoltà a prestare denaro ad altrettanti istituti di credito) i mutui immobiliari sono caduti del 30% in poco tempo, i prestiti alle imprese stanno languendo. Secondo il famoso economista Roubini, Spagna e Italia, con uno spread attestato sopra i 450 punti da troppo tempo, sono arrivate al punto di non ritorno. Non è vero, ovviamente, non esiste un vero e proprio punto di non ritorno, ma è vero che l’Euro, così com’è non potrà durare a a lungo.
La prima imputata di questa situazione, che consente, per ora, ancora qualche margine di miglioramento, è proprio la Germania. Angela Merkel rifiuta decisamente alcune riforme indispensabili alla salvezza dell’Euro e alla stessa sopravvivenza dell’Europa. I poteri della BCE devono essere assolutamente incrementati: Draghi ha il solo potere di decidere i tassi di sconto, non altro. La BCE acquista qualche titolo di stato dei paesi più tartassati e, in pratica non fa altro. La Banca Centrale Europea deve comportarsi come una vera banca centrale non come un fantoccio nella mani di Angela Merkel, più o meno come accade per la FED nei confronti degli USA o per la Banca centrale del Regno Unito per la gran Bretagna. Se non sarà libera di decidere davvero la politiche monetarie della UE, se non si potrà comportare come il “prestatore di ultima istanza”, la sua esistenza non ha più alcun motivo di proseguire. Se non ci decidiamo ad allargare il fondo di stabilità (Efsf), se non decidiamo di riformare alcune clausole troppo restrittive dei trattati europei, ormai superate dall’inesorabile progredire della crisi, se, soprattutto, non cominciamo ad emettere i famigerati “eurobond”, l’unica rete di salvataggio possibile per i paese maggiormente colpiti dalla crisi del debito, è inutile seguitare con questa stucchevole commedia.
Il progetto dei tedeschi è abbastanza chiaro: vorrebbero un euro1 e un euro2, ma i paesi che potrebbero aderire al primo euro si stanno riducendo di mese in mese: ormai sono ridotti a Germania, Olanda e Finlandia, considerato che la Francia è il paese che viene immediatamente dopo di noi nella scala della crisi, e l’Austria comincia a dibattersi in serie difficoltà, soprattutto bancarie. Constatata questa realtà, il partito della Merkel, da sempre euroscettico, non considera un ritorno al marco una opzione scartabile, senza capire che un marco sopravvalutato rispetto a tutte le altra valute nazionali, diciamo di un 30 %, bloccherebbe le esportazioni, precipitando il paese in una recessione di segno diverso rispetto a quella attuale, ma sempre di recessione si tratterebbe. L’alterigia, la boria che hanno sempre nutrito i tedeschi nei confronti del resto del mondo, il loro inguaribile complesso di superiorità non fa loro comprendere che da soli, in un continente ridotto alla miseria, non vanno da nessuna parte, che l’euro è servito solo a loro, anche perché lo hanno scambiato alla pari con il marco, che il loro benessere poggia anche sul nostro malessere.
La conclusione è che la Germania, ancora una volte, la terza, si sta rendendo responsabile dell’implosione dell’euro e della fine dell’Unione Europea. La loro volontà di comando, la loro cecità che impedisce di vedere un debito da far paura, li spinge a questo omicidio dell’Euro e, allo stesso tempo, al suicidio della loro stessa economia. Sono un grande popolo, ma sono anche, da sempre, la nostra disgrazia. La crisi dei debiti sovrani non si risolve con manovre recessive che deprimono ulteriormente l’economia. Questo sta facendo anche il governo Monti. Se il PIL non tende timidamente a crescere, andremo incontro alla povertà senza aver risolto un bel nulla. Questo non vuol dire che l’Italia andrà incontro al fallimento. Nessun paese europeo conoscerà un vero default, ma il punto di non ritorno, caro Roubini, non lo ha toccato l’Italia, ma l’Euro. L’Europa, priva di una governance almeno sotto il profilo economico e finanziario, una accozzaglia di paesi che condividono una sola moneta, una banca centrale priva di potere, un parlamento meramente decorativo, non potrà che avere il fiato corto. Qui ognuno se ne va per i fatti suoi, l’UE si sgretolerà, crollando piano, e l’euro si estinguerà per lasciare il posto alle valute nazionali. Poi, ognun per sé e Dio per tutti. Da parte nostra, un ritorno alla lira comporterebbe, ovviamente, una enorme svalutazione, ma, attenzione: se torniamo alla lira in assenza di un default, il trauma potrebbe essere attutito dal ritorno della Banca d’Italia quale banca centrale in grado di batter moneta, stabilire il costo del denaro più adatto a noi, e svolgere quella politica monetaria tipica delle banche centrali. Le nostre esportazioni sarebbero incrementate, certo, il paese conoscerebbe un pauroso periodo buio che ci farebbe fare i conti, almeno per qualche tempo, con la miseria, quella vera. Inflazione, o, peggio, deflazione, la  perdita di potere di acquisto dei salari ci farebbero notevolmente retrocedere, ma se non altro saremmo liberati dall’ottuso e stupido giogo tedesco.
I tedeschi non hanno capito la lezione della storia. Ripetono, sul piano economico gli stessi errori che la loro volontà di potenza ha fatto loro commettere nel corso del ventesimo secolo. In un panorama mondiale dove la finanza condiziona l’ economia reale e politica, non si è fatto nulla, ma proprio nulla per introdurre delle regole nei mercati finanziari, dove gli stessi strumenti banditeschi utilizzati all’inizio della crisi, nel 2008, continuano tranquillamente a produrre ricchezze smisurate concentrate nelle mani di un pugno di uomini. Anche a questo proposito la Germania non ha mosso un dito. Una Merkel con l’aria trasognata continua a caracollare da una idea all’altra, timorosa di perdere consensi elettorali, e di fatto paralizzando l‘azione di tutte le istituzioni europee. Tutto questo produrrà, inevitabilmente la fine dell’euro e dell’Europa, e la responsabilità di tutto ciò se la dovrà prendere la Germania, che dovrebbe essere processata in una nuova Norimberga, per crimini finanziari. Un paese che per la terza volta causa la rovina del continente che la ospita non merita alcun rispetto, alcuna considerazione. Siamo stati presi in giro da tutto il mondo per quel personaggio che si chiamava Berlusconi, dimenticando che l’Italia non ha fatto nulla per far crollare l’Europa, la Germania, viceversa, ci sta portando diritti verso il fondo del burrone. Un popolo cui la storia non ha insegnato nulla, nonostante i suoi colpi di genio, dimostra una disarmante stupidità di fondo.



domenica 20 novembre 2011

MONTI PYTHON, IL SENSO DELLA VITA


Come avevamo largamente previsto, la “troika” composta  da UE, BCE e FMI, dopo aver aspettato quasi un anno (dal fatidico 14 dicembre, giorno in cui Berlusconi ottenne la fiducia in Parlamento grazie ai peones di Scilipoti), dopo aver pazientato, osservando da vicino il panorama politico italiano, ed aver concluso che, da soli, non ci saremmo mai liberati del cavaliere, ha deciso di chiudere i rubinetti dell’acquisizione di titoli di stato italiani nel mercato secondario, agevolando la sollevazione dello spread fino ai 565 punti base. A questi livelli, con i rendimenti dei titoli di stato ben oltre il 7%, uno stato può durare qualche settimana, non di più, poi c’è la bancarotta del Tesoro. L’uscita di scena di Berlusconi è stata pilotata neanche troppo nascostamente, dall’Unione Europea, da una parte perché il nostro premier era diventato una maschera impresentabile, e d’altra parte per evitare che il contagio dell’attacco ai nostri titoli si propagasse al resto dell’Europa. Il cavaliere non può fare altro che dimettersi, ma, nelle giornate febbrili che hanno contraddistinto le formazione del nuovo governo, arriva, puntuale, il suo colpo di coda. Un colpo da maestro, non c’è che dire. Se ne va, accetta il governo “tecnico” (termine improprio, vedremo perché, si tratta del governo del presidente)ma a determinate condizioni. E le condizioni, molto semplicemente, sono che l’erigendo governo Monti faccia le stesse cose che avrebbe fatto il governo Berlusconi. Magari modificando qua e là qualche sfumatura, magari fingendo un passo aventi e due indietro su determinati argomenti, così, tanto per rimescolare un po’ le carte e confondere le idee. Ma alla fine, i provvedimenti veri, dovranno essere quelli graditi a Berlusconi e al PDL. Così è stato, ne più, né meno. Si è creata una certa “suspence”, la nomina dei ministri è durata qualche ora più del previsto, ma l’elenco era già nelle tasche di Monti da qualche giorno, concordata col cavaliere. Il tutto con la benedizione entusiasta del maggiore partito di sinistra, il PD, uno dei partiti più ottusi mai apparsi sulla scena politica mondiale. D’ora in poi, la commedia andrà avanti così. Il PDL farà qualche volta la faccia truce, minaccerà di staccare la spina al governo, ma in realtà sarà l’unico veramente soddisfatto dell’operato di Mario Monti. Il quale sarà libero di approntare tutte quelle misure, come l’ICI sulla prima abitazione, che Berlusconi avrebbe fatto fatica a spiegare ai suoi elettori. Ogni tanto, tanto per fare la scena, Alfano parlerà di “golpe finanziario” ordito ai danni del PDL, gongolando felice, di nascosto, perché il banchiere che sta al governo sarà nelle condizioni di fare ingoiare ai malcapitati italiani i rospi della peggior specie: ICI o IMU, che colpiranno indiscriminatamente tutti, anche i poveracci, riforma delle pensioni che di fatto abolirà le pensioni di anzianità, ulteriore aumento dell’IVA che porterà l’inflazione alle stelle riducendo considerevolmente il potere di acquisto dei nostri già magri salari, inchiodati da qui all’eternità dal mancato rinnovo dei contratti di lavoro, la libertà di licenziare per mere motivazioni “economiche”, non meglio definite, privatizzazioni compiute svendendo i nostri gioielli di famiglia, liberalizzazioni misteriose, perché chi spera che le lobbies dei notai, degli avvocati, dei commercialisti, dei farmacisti ecc. possano essere intaccate subirà una cocente delusione. L’aspetto più ridicolo dell’intera questione è la posizione assunta dal PD. L’entusiastica ovazione di questo straordinario partito, con una  Rosy Bindi che auspica come un toccasana la durata del presente esecutivo fino alla scadenza elettorale del 2013, non si capisce se sia sincera o frutto di calcolo politico. Se è sincera ci troviamo di fronte a dei dilettanti della politica, se fosse frutto di un calcolo, sarebbe parecchio cervellotico, forse troppo. Decretare la fine del welfare e dello stato sociale per un mero calcolo elettorale ci sembra francamente un po’ troppo. E allora, temiamo che la versione più vicina alla verità sia la prima, vale a dire che il PD è una accolita di sprovveduti che si sono fatti turlupinare per l’ennesima volta da Berlusconi.  Il quale, con un colpo da maestro, fa fare a Monti quello che avrebbe voluto fare lui, con in più il supporto giulivo della sinistra. In fondo, ai mercati, agli investitori, alla troika va bene così. Non erano tanto le misure che il cavaliere si apprestava a varare che destavano perplessità nel mondo, ma la figura stessa del cavaliere, ormai completamente compromessa. Il volto da compassato milord di Monti, la sua fama internazionale, la sua attività nella banca d’affari “Goldman Sachs”, bastavano a rassicurate tutti. E così, con una uscita di scena solo fittizia, l’apporto della sinistra che in questo modo si tagli gli attributi, il cavaliere si appresta a vincere, con Alfano segretario, le prossime elezioni politiche. L’elettorato di sinistra, spiazzato e disorientato dalla posizione assunta dal PD, che da una parte critica la macelleria sociale, poi, di fatto, l’appoggia, si scioglierà come neve al sole, e l’Italia ricadrà nelle mani della destra. Non c’è che dire, Berlusconi è una vecchia volpe, e ha messo tutti nel sacco.
Una piccola nota, a margine, sul governo Monti. A riprova di quanto su esposto, l’esecutivo è composto per metà da banchieri o persone che hanno fatto parte del mondo bancario, per l’altra metà da persone che occupavano già posti di rilievo nei ministeri dei quali oggi sono i massimi dirigenti. Non parliamo più, per favore, di governo tecnico: i tecnici sono i docenti universitari e i ricercatori, non i banchieri cui preme anzitutto il bilancio del proprio istituto di credito. E’ un governo del Presidente, un Napolitano tanto osannato quanto sopravvalutato. Pur concedendo al capo dello stato la perfetta buona fede, e pur riconoscendo che Berlusconi doveva assolutamente uscire di scena, poteva vigilare di più e meglio sulla composizione del governo. Abbiamo perduto la sovranità nazionale, non siamo i soli. Tutti i paesi periferici dell’eurozona, Francia compresa, l’hanno perduta, abdicando alla troika. Sappiamo che d’ora innanzi l’agenda politica ed economica sarà dettata da Francoforte e Bruxelles. Ma questo non sarebbe il male maggiore, considerata la caratura della nostra inetta classe politica. Il problema è che volenti o nolenti, la crisi del debito, in assenza di crescita, Germania compresa, diventa irrisolvibile. E la fine dell’Euro, quale moneta unica, è segnata, è già scritta nelle pagine della storia. Possiamo varare una manovra dopo l’altra, non ne usciremo mai. Rimane, sopra a tutto, un governo tecnico che è politico e favorevole a chi già detiene la ricchezza (guai a parlare di patrimoniale!) e una sinistra allo sbando che non sa fare altro che dare carta bianca ad un esecutivo la cui anima è diametralmente opposta ai contenuti della sinistra storica.
Il titolo sollevava  la domanda sul senso della vita. Alla luce di quanto esposto, ha senso la vita? La vita non ha senso. La vita è volgare. 



venerdì 18 novembre 2011

DOMANDA: I BANCHIERI SONO TECNICI?


La domanda, dopo l’ubriacatura di consensi che sono piovuti sul nuovo esecutivo Monti, tanti, troppi, è se davvero sia tutto perfetto. Diciamo subito, per sgombrare il campo da ogni equivoco, che non lo è.  Il governo Monti non è la panacea per tutti i mali dell’Italia. Prima di tutto perché non si tratta di un governo squisitamente tecnico. Il termine tecnico è improprio per il fatto che per “tecnici” si intende personaggi svincolati da caste o consorterie, i cosiddetti “poteri forti”. In sostanza, un governo degli economisti e degli esperti in scienza delle finanze. Questo è un governo dei banchieri (circa la metà dei ministri designati appartengono o sono appartenuti all'universo bancario). La lobby delle banche non ha la coscienza immacolata: una parte delle responsabilità della situazione in cui versiamo è anche loro. Non solo. Un governo dei banchieri, inevitabilmente, è già di per sé in conflitto di interessi. L’interesse fondamentale, in questo momento, è quello di portare in sicurezza il paese, pensare alle sorti delle fasce di popolazione più deboli, tutelare i risparmi della classe media che va scomparendo, rimettere in moto la macchina dell’economia partendo dall’economia reale, non quella fittizia della finanza costruita dalle banche. L’eventuale conflitto di interessi potrebbe consistere nell’avere un occhio di riguardo ai bilanci degli istituti di credito più che alle sorti del paese reale. Ora, il primo, fondamentale errore di Mario Monti è stato quello di affidare il ministero chiave della crescita, quello dello sviluppo economico ad un genio della finanza come Corrado Passera, l’ex presidente del secondo gruppo bancario italiano. Non è stata una scelta felice. Se per tecnici si intende “esperti nel settore dell’economia e della finanza” non occorre essere banchieri per cercare di governare la crisi. La preoccupazione che inizia a trapelare è quella che il governo Monti non sia il governo della discontinuità, ma quello della continuità sotto mentite spoglie. Il loden di Monti ha sostituito il doppiopetto di Berlusconi, ma il taglio di un governo che dovrebbe essere tecnico e invece è più politico che tecnico rimane, sostanzialmente, quello di una destra che contesta qualunque tipo di patrimoniale, che preferisce introdurre l’ICI sulla prima casa (una misura odiosa perché indiscriminatamente colpisce chi con sacrificio sta pagando un mutuo per acquistare un appartamento), che pensa a misure restrittive sul mercato del lavoro, che pensa a tartassare per l’ennesima volta i pubblici dipendenti, che proseguirà il cammino di privatizzazione e liberalizzazione che aveva già avviato Berlusconi. E allora, in definitiva, il sospetto che Berlusconi sia uscito dalla porta per rientrare dalla finestra non mi pare infondata. Monti toglie le castagne dal fuoco a Berlusconi, fa le cose che lui avrebbe voluto fare e non poteva fare per non scontentare i propri elettori. In questo gioco dei quattro cantoni, la parte dell’allocco la fa la sinistra del PD, che, appoggiando incondizionatamente Monti, gli ha consegnato lo stato sociale e il welfare. In fondo, Berlusconi ne è uscito per l’ennesima volta vincitore e ha dimostrato di essere più scaltro di quanto si potesse pensare, e la sinistra, al colmo del grottesco, appoggia un governo che non potrà che portare avanti una politica di destra. Così il governo Monti sarà l’unico governo al mondo a fare una politica di destra appoggiato dal maggiore partito della sinistra. Il Bersani intervistato dai telegiornali non è il vero Bersani, è Crozza travestito e che parla come Bersani.

APPROVATO dalla Merkel e dal Presidente della Commissione Ue Josè Manuel Barroso, dal Presidente Ue van Rompuy, contestatissimo dagli italiani che giustamente pensano che sarà per l’Italia l’inizio della fine.

DESTANO ENORMI preoccupazioni e raccolgono grandi dissensi le misure fiscali, che prevedono il ritorno Ici, abolita nel 2008 dal Governo Berlusconi, non solo sulla prima ma su tutte le abitazioni, senza tener conto se queste siano almeno fonte di reddito o meno, e con aggiornamento delle rendite catastali.

CONTESTATISSIMA la patrimoniale che si abbatterà sui patrimoni solo per il semplice motivo di possederli e su rendite, contanti, azioni, fondi e obbligazioni. Il tutto unito a spesometro e redditometro.

PER QUEL CHE RIGUARDA le pensioni, fermo restante l’età di 67 e 70 anni, sono previste penalizzazioni per chi lascerà il lavoro, tra i 62 e i 67-70 anni. La chicca è l'abolizione totale delle pensioni di vecchiaia a partire dal 2015.

SU QUESTO PUNTO è doveroso, però, da parte del nuovo governo spiegare perché i lavoratori dovrebbero continuare a versare contributi all’Inps.

PREVISTI TAGLI per i lavoratori pubblici, mobilità con spostamenti in altre regioni e, immobilità per due anni percependo l’80% dello stipendio. Tagli ai posti di lavoro anche nel settore privato.

PREVISTE LE DISMISSIONI del patrimonio immobiliare dello Stato, la privatizzazione e liberalizzazione delle società controllate dagli enti locali. Concorrenza negli ordini professionali, nelle reti dei servizi tra cui i distributori dei carburanti, quella del gas, i trasporti regionali.

QUESTO NON È IL MODO per azzerare il deficit, ridurre il debito e riavviare la crescita, incalzano le forze politiche.  "Questo è una rassicurazione per avviare l’Italia e gli italiani verso un default sicuro!"

SCONTRI nelle varie città italiane dove molti studenti hanno rivendicato il diritto allo studio. I manifestanti hanno disapprovato il "Governo dei banchieri".
Fonte: professionefinanza.com

 Riportiamo, considerandola illuminante, la seguente intervista al Prof. Di Taranto, lui sì un “tecnico” che non avrebbe sfigurato nell’esecutivo Monti, magari al posto di Corrado Passera.

Giuseppe Di Taranto è economista e professore alla Luiss. Il programma presentato dal nuovo governo riuscirà a far uscire l’Italia dalla crisi?
«Spero sia sufficiente. Ma su questa crisi ho grosse perplessità. Temo che non basti un governo di destra, di centro o di sinistra a risolverla. La riprova è che nonostante ora abbiamo un presidente con grandi competenze e gradito all’Europa lo spread continua ad essere a livelli molto alti».
Cosa servirebbe allora?
«Quello che manca è una governance europea. Abbiamo fatto l’unione monetaria, ma non un governo europeo. Servono regole più elastiche che governino l’unione. Oggi la crisi si sta espandendo a Francia, Austria, Belgio».
Quindi potrebbero non bastare i sacrifici richiesti?
«La verità è che in Italia il debito pubblico sta diminuendo. Il nostro rapporto deficit-Pil è al 4,5. In Gran Bretagna è all’8,4% in Francia al 7. La speculazione non nasce solo al di fuori dell’Europa ma anche dall’interno. La forza dei bund tedeschi permette alla Germania di attirare capitali pagando un interesse che è solo dell’1,8%. Quindi i tedeschi hanno a disposizione capitali pagando interessi bassi e possono reinvestirli. Non a caso pare, e sottolineo pare, che nell’ultima asta dei Btp a 5 anni molti siano stati comprati dalle banche tedesche. Dunque ci sono paesi che ci guadagnano. Le dico un’altra cosa. Se non ci fosse stato l’euro, il marco si sarebbe rivalutato del 40% e la Germania non sarebbe stata di certo il maggiore esportatore d’Europa come invece adesso è».
Ma l’Europa riuscirà a darsi nuove regole?
«L’euro e la Ue sono stati dei tabù. Ma evidenziarne i punti deboli, non vuol dire volerne la fine, ma cercare di salvarli. Quale altro paese ha regole così rigide che impongono un rapporto deficit/Pil al 3%? Non gli Usa, non il Giappone. Regole così bloccano la crescita. Un manifesto fatto da premi Nobel quando nacque la Bce diceva che la banca centrale europea non poteva solo occuparsi della lotta all’inflazione, ma anche della crescita e dell’occupazione. Invece la Bce chiede rigore ai singoli stati per combattere un’inflazione che di fatto non c’è e poi dice loro di occuparsi del problema della crescita».





mercoledì 16 novembre 2011

QUALCHE BUONA RAGIONE PER AMARE L'ITALIA (dedicato ad Angela Merkel)


Angela Merkel, in uno stato confusionale vicino allo stupore, da una parte dichiara la sua ferma volontà di salvare e mantenere la moneta unica, dall’altra continua a rimandare sine die tutti quei provvedimenti, come l’allargamento del fondo salva stati (EFSF), la modifica di alcune clausole dei trattati europei, il ruolo della BCE nella crisi ecc. E’ chiaro per tutti che la Merkel e Berlusconi avevano un solo elemento comune: la politica degli annunci. Finchè questa benedetta donna continua a tentennare, a dondolare da una posizione all’altra, con un occhio di riguardo al suo futuro politico, si rischia la paralisi dell’Eurozona. Il PIL tedesco è in preoccupante calo, il differenziale di tutti i titoli di stato europei (Francia in primo luogo, ma anche Belgio, Austria, Finlandia e Olanda) sono in preoccupante allargamento. E questo affossa definitivamente il sogno, da sempre accarezzato dalla Merkel e mai confessato apertamente, di creare un Euro a due velocità. Anche perché, a questo punto, nel club della tripla A, possibile detentore dell’euro1, non potrebbe aderirvi neppure la stessa Germania. La crisi è sistemica, si espande con la virulenza di una pandemia, la Germania non capisce o finge di non capire che, guarda guarda, la stessa Germania dipende da noi, proprio da noi, poveri italiani, causa di tutti i mali del continente. Le ragioni profonde della crisi non risiedono solo in Italia, come comprende chi ha un minimo di dimestichezza con l’economia. Nessun paese europeo è esente da colpe, gli errori fatti, soprattutto la scarsa reazione, nel 2008, alla crisi delle banche americane, dalla Lehman Brothers in poi, non assolvono nessuno dei paesi europei. Ci sono anzi dei fondamentali che ci vedono in vantaggio rispetto alla stessa Germania. Nella “locomotiva tedesca” c’è una corrente consistente che non vedrebbe di mal’occhio l’uscita dei paesi periferici dall’eurozona. Ma i primi a farne le spese sarebbero proprio francesi e tedeschi. Siamo indispensabili ad entrambi. Questo non modifica l’evoluzione della crisi verso una più generale “depressione” e la probabile fine dell’Euro, ma serve, se non altro, a stabilire una volta per tutte che i virtuosi dell’UE non hanno nulla da insegnarci, e, soprattutto devono piantarla una buona volta con la litania del “fate presto”. Date una occhiata a casa vostra, e cercate di far presto anche voi.
CERCHIAMO DI FARE un po’ di chiarezza, partendo dal fondamento che Italia è non solo importante, ma indispensabile per l’ Europa e, fra tutti, non è di certo il Paese messo peggio.
A LIVELLO TECNICO sarebbe impensabile un’uscita del nostro Paese dall’Euro in quanto se ciò dovesse accadere, significherebbe che lo stesso Euro non esisterebbe più.
L’ITALIA HA UN ruolo fondamentale all’interno dell’Europa, non ha un’economia più forte della Germania, ma nemmeno la più debole. E rispetto agli altri Paesi con debiti elevati, quello Italiano è un debito pubblico legato alla liquidità.
PER QUESTO MOTIVO viene attaccata dalla speculazione, ma se il nostro Paese riesce a “sopravvivere”, automaticamente salverà anche la moneta unica.
SE L’ITALIA USCISSE dall’Euro ci sarebbe una catastrofe finanziaria, in quanto, i prezzi dei beni non farebbero altro che aumentare a dismisura togliendo agli italiani ogni potere d’acquisto.
E LO STESSO SAREBBE per le società. La maggior parte, soprattutto le più piccole, sarebbero costrette alla chiusura in quanto non riuscirebbero a tener testa all’aumento dei tassi che ci sarebbe con l’uscita dall’euro.
L’ESTROMISSIONE DELL’ITALIA comporterebbe, inoltre la fine sia dell’economia Francese che di quella Tedesca. Anche se è vero che l’Italia ha un debito elevatissimo, bisogna tener presente che finora lo ha tenuto sotto controllo molto meglio della Francia.
LA STESSA GERMANIA non è messa poi così bene come vuol far credere. Il debito pubblico tedesco, secondo le stime effettuate da Eurostat, nel 2010 ha subito un aumento pari a 319 miliardi di euro, raggiungendo la soglia di 2.080 miliardi, con il primato di essere il primo debito europeo ad andare oltre i 2mila miliardi, superando così, quello italiano.
 IL BELPAESE inoltre fa comodo sia a Francia che a Germania, le cui risorse patrimoniali sono nettamente inferiori rispetto alle nostre.

LA CANCELLIERA AFFERMA apertamente che l’Europa è il fondamento del benessere tedesco, in quanto,il 60% delle esportazioni rimane nei confini europei garantendo nove milioni di posti di lavoro. Quindi se non andrà per l’Europa a lungo andare non andrà neppure per la Germania. 

PECCATO CHE siano solo parole, in quanto il Congresso della Cdu, ha votato una mozione che prevede la possibilità per uno Stato di uscire «volontariamente» dall’euro, senza però essere escluso dall’Ue.

SI STA CERCANDO di dar vita ad una comunità di prima importanza, formata da Germania, Austria, Olanda, Finlandia e forse Francia, e una comunità periferica. Anzitutto bisognerebbe sentire i pareri dei vari Paesi, che fino ad oggi hanno sempre disprezzato l’euro, ma le parole della Merkel sembrano sempre più ispirate da un’insana follia.

DA LONDRA ARRIVANO nuovi ma continuativi segnali di disinteresse verso ogni forma di cooperazione, ma la cancelliera sembra non accorgersene.

AL G20 DI CANNES,  la stessa ha respinto l’idea  di mettere a disposizione l’oro della Bundesbank al fine di respingere gli assalti della speculazione e della crisi.  

MA LA GERMANIA continua a perdere colpi, e lo confermano  i dati del superindice, che la indicano messa peggio dell’ Italia -1,3% contro l’1%. La Germania ha incassato  una brusca frenata nella crescita che ha raggiunto solo lo 0,5% nonostante le buone vendite a settembre di Bmw e Volkswagen in Cina e Sud America.

LA GRANDE LOCOMOTIVA tedesca continua a rallentare e oggi i suoi politici, non possono più scaricare la responsabilità su Berlusconi o su Grecia, Spagna, Inghilterra.

È VERO CHE bisogna pensare alle elezioni ma, signora Merkel, una volta per tutte, si decida. 
Nel giorno in cui la cancelliera tedesca boccia qualsiasi ampliamento del ruolo della Bce nel contrastare al crisi del debito sovrano dell'Eurozona e rimanda a tempo indeterminato la revisione dei trattati dell'Unione monetaria, Jean-Claude Juncker, presidente dell'Eurogruppo, si toglie qualche sassolino dalle scarpe. ''In Germania la gente pensa che il paese non ha alcun problema, come se la Germania fosse un paese senza debito pubblico e tutti gli altri siano afflitti da debiti eccessivi'', spiega il numero uno dell'Eurogruppo al giornale tedesco General Anzeiger. Poi l'affondo, ''a mio avviso, il debito pubblico della Germania e' preoccupante, piu' alto di quello della Spagna. Pero' proprio qui in Germania nessuno vuole ascoltare questa verita''', conclude Juncker.
(fonte: Trend-online)





lunedì 14 novembre 2011

SAMARCANDA


Nessuno è disposto a parlare di “lunedi nero”? Possibile? Eppure, tutti i siti finanziari e la stampa specializzata non potevano non dare risalto ad alcuni dati inconfutabili, vediamoli. Lo spread tra BTP italiani e bund tedeschi è tornato intorno ai 500 punti base. In secondo luogo, la borsa italiana, per quanto in buona compagnia, ha chiuso la giornata con un passivo del 2%. Unicredit ha subito il consueto crollo, gli altri bancari idem. La quota dei CDS non è per nulla mutata, restando sempre a livelli di guardia. Il nostro vigilante speciale Olli Rehn, dichiara che “il cambiamento di governo in Italia non sposta di una virgola i problemi che la affliggono”, e come un disco rotto (e francamente anche un  po’ monotono) ripete che dobbiamo fare presto, che le riforme si impongono, ecc. , la solita stanca litania. Con molto pudore, il “Sole 24 ore” annuncia che la luna di miele tra Monti e i mercati è già finita. O bella, ma quando è cominciata, ci siamo persi qualcosa? Gli acuti analisti di casa nostra si affannano a ripetere che i mercati saranno rassicurati solo dopo la formazione del governo e i primi provvedimenti che saranno varati. Giusto. Tanto più che il cammino di Monti è lastricato di ostacoli e macchie d’olio. Intanto, gongolanti come non mai, gli sgherri di Berlusconi, non appena giungevano le prime avvisaglie dell’ennesima giornata nera dei mercati, con uno stato d’animo vicino al tripudio, annunciavano, per bocca di Cicchitto, che dopo le dimissioni del suo datore di lavoro sembra aver riacquistato una illibatezza da verginella, dichiara che “non daremo fiducia al buio, valuteremo caso per caso”. Cominciamo a porre i primi paletti. Ci si mette anche Monti, a sorpresa, che “vuole dei politici nel suo esecutivo”. Ma, caro Monti, non lo capisci da solo che se fai entrar anche un solo politico sei rovinato? Dovrai usare il bilancino per farne entrare un altro di segno opposto come contrappeso, e poi un terzo che non vorrà, giustamente, essere escluso, e poi un quarto per non scontentare la parte avversa, e via discorrendo. Come la conosci poco la politica italiana, caro Monti! Cominciamo male, non hai capito bene con che razza di gente hai a che fare. Comunque, anche ammesso che i mercati abbiano usato una ragionevole cautela, ci si poteva attendere una giornata piuttosto fiacca, niente di più. E invece è andata male, e parecchio.
Ora, in coscienza, abbiamo fatto quello che si poteva fare, ne più, ne meno. Si potrà dire che lo abbiamo fatto tardi, se tutto ciò fosse avvenuto un anno fa non saremmo a questo punto, ma c’è qualcosa, in questo avvio di settimana che non ci torna, che suona stonato. Mario Monti è persona conosciuta molto bene a livello internazionale, è di una affidabilità totale. E’ vero che non ha ancora composto il suo governo, ma il segnale delle borse di oggi suona come una campana a morto. E allora occorre probabilmente spostare il discorso, e guardare le cose da una diversa angolazione. Vediamo il quadro europeo, considerando soprattutto le novità che si stanno profilando all’orizzonte, tutte negative:

SECONDO LE ULTIME stime da parte dell'Unione Europea l'Italia, non riuscirà nel 2013 a raggiungere il pareggio di bilancio. Quindi, sempre secondo la Ue, è giusto continuare a fare pressioni  sul ripristino immediato della stabilità politica e sulla capacità di prendere decisioni, soprattutto in materia previdenziale.
COSÌ COME è stato giusto far perdere credibilità nell’economia italiana, escludendo per un attimo il solito discorso politico.
MA, SORPRESA, o forse, per chi del settore non proprio, annuncio che la stessa Europa, che continua a chiedere all'Italia chiarimenti a breve non sarà in grado di



raggiungere la ripresa economica, tanto annunciata, ed oggi, per sua stessa ammissione, in retrocessione, per ammissione dello stesso Olli Rehn, commissario europeo agli affari economici e monetari , la “Crescita è a un punto morto”.

LE PAROLE DI OLLI REHN, commissario europeo agli affari economici e monetari, meglio non potevano esprimere il timore di una temuta quanto brutta recessione che sta investendo tutta Europa, anche per la brusca caduta della fiducia, che colpisce indistintamente investimenti e consumi. Le previsioni sull'andamento del prodotto interno lordo segnalano ovunque un peggioramento.

DALLA TANTO SOLIDA economia tedesca, per cui la stima di crescita per il 2012 è limitata allo 0, 8% del Pil dopo il +2,9% del 2011, alla Francia  dove il Pil previsto per il 2012 a +0,6%  scende dal +1,6% del 2011. Per l'Eurozona era prevista una crescita dell'1,6% nel 2011, e dell'1,8% nel 2012, oggi si scende all'1,5% per il 2011 e allo 0,5% per il 2012.

PER  QUEL CHE RIGUARDA il settore occupazione non si prospetta “Nessun miglioramento reale” , ma oggi ci si ricorda di ammonire Paesi, fra cui Belgio, Ungheria, Polonia, affinché correggano al più presto i loro deficit.

E VENIAMO ALL’ITALIA, oggi centro delle maggiori preoccupazioni. Oggi è l’unica a vantare, un dato molto positivo, il miglior avanzo primario in tutta la Ue , con 4,4% del Pil, rispetto alla Germania che si ferma all'1,5% e alla Francia in negativo con -2,1%. Le previsioni per il 2011, stimavano per l’Italia un Pil in crescita dell'1%, oggi scese a +0,5%. Per il 2012, si prevede addirittura lo 0,1%, cioè stagnazione. 

PER IL 2013, un probabile +0,7%. Anche il rapporto deficit/Pil, anche se legato alla bassa crescita, lascia la stima per il 2011 invariata con -4%, in ogni caso, migliore della media dell'Eurozona che è del 4,1%, per il 2012 si migliora scendendo al -2,3% dal 3,2% precedente, e per il 2013 all'1,2%, naturalmente se non ci sono variazioni.

IN QUESTE CONDIZIONI, il famoso pareggio di bilancio non sarà raggiunto da nessun paese, né dall’Italia, né dalla Francia, né, tantomeno, dalla Germania, e sicuramente saranno necessarie nuove manovre economiche.
(fonte: professionefinanza.com)

Riassumendo, l’Europa sta semplicemente crollando piano piano. E allora il problema non è, lo sapevamo, solo italiano, il contagio è ormai una realtà di fatto, e non badiamo troppo alle stime della crescita, lo 0,3 – 0,2 – 0,1 ecc. abbiamo compreso tutti che le stime stanno calando a vista d’occhio. Non siamo in stagnazione, siamo in una franca, completa recessione. Se la Germania si ferma allo 0,8%, possiamo stare certi che la diagnosi è corretta. E’ vero che siamo italiani, nessuno si fida di noi, il mondo non comprende i nostri bizantinismi, le nostre tortuosità, la nostra superficialità. Monti stesso si mette nei guai volendo personalità politiche nel suo governo e dichiarando di avere intenzione di durare fino alla scadenza della legislatura, altro grave errore. Intanto la Lega riapre il parlamento padano, ignorando, probabilmente che la padania esiste solo nella fantasia di qualche esaltato. Tutto questo è vero, ma, se stiamo all’analisi della situazione europea in generale, comprendiamo come in pericolo, a questo punto, non è questo o quel paese, ma la stessa moneta unica. Non crediamo ad un complotto internazionale contro l’Euro, gli Stati Uniti sarebbero primi a risentire di un crollo della moneta unica, pensiamo piuttosto che il risanamento dei debiti sovrani dell’eurozona sia praticamente impossibile a realizzarsi. La Francia annaspa avendo a che fare con le sue banche che, facendo largo uso della leva finanziaria, sono indebitate e in crisi di liquidità, l’Austria non se la passa meglio, non parliamo poi del Belgio. Non si raddrizzano i conti, non si azzera il debito in assenza di crescita economica. Questa elementare verità è sotto gli occhi di tutti e col passare del tempo e con la corruzione dei conti dei paesi centrali dell’Europa, emerge sempre più lampante un’altra verità: possiamo fare una o dieci manovre finanziarie, non ne usciremo mai e otterremo il solo risultato di deprimere una economia già in ginocchio, accelerando il processo di recessione al punto di farla diventare “depressione”. Quando si procede alla cosiddetta “macelleria sociale”, quando il ceto medio scompare appiattito sulla soglia della povertà, la crisi dei consumi, l’instabilità sociale, l’impennata della disoccupazione, l’inflazione alle stelle, o peggio, la deflazione faranno il resto. Il dubbio che sta sorgendo in più di un analista è che le manovre che si appresta a licenziare Mario Monti, non sortiranno alcun risultato concreto. Il costo del lavoro, da noi, non può essere abbattuto, se dall’altra parte del mondo c’è chi lavora per una ciotola di riso, fa le cose che facciamo noi, e magari le fa pure meglio. Le nostre esportazioni non avranno più alcuna piazza ad accoglierle, la nostra bilancia commerciale conoscerà un tale passivo da consentire ben poche importazioni, e noi, per l’energia, dipendiamo completamente dall’estero. Insomma, l’avvitamento sulle manovre che non bastano mai è già una realtà. Serviranno solo ad affamarci, ad impoverirci e a creare una divaricazione enorme tra una classe di ricchi sempre più ricchi e di nuovi poveri che vedranno accrescersi le loro schiere.
La soluzione? Non la conosciamo, bisognerebbe essere dei maghi. A questo punto abbiamo  fatto quello che ci chiedeva l’Europa e il mondo, ma temo servirà a poco. Dalle pagine di questo blog avevo predetto che l’effetto dell’uscita di scena di Berlusconi sarebbe durato una settimana. Sbagliavo. Non è durato neppure un giorno.

In definitiva, quello che si profila, e lo diciamo con non poca amarezza, è la fine dell’euro. Possiamo andare aventi ancora sei mesi, un anno, ma alla fine della strada c’è un appuntamento con la storia cui non possiamo sottrarci. Possiamo solo rimandare quello che è inevitabile. I paesi emergenti possono produrre e consumare nei loro mercati interni, noi no. Dall’Europa non uscirà presto neppure più un bullone. Il nostro debito, manovra dopo manovra ci si divorerà, fino alla depressione. A questo punto, il ritorno alla moneta nazionale sarà inaugurato anzitutto dalla Germania, che si illuderà di uscire dalla spirale della recessione con il marco, una volta uscita la Germania, toccherà a noi. Non credo, lo ripeto, ad una congiura contro l’Euro, ma, di fatto, l’Euro è destinato ad estinguersi, nonostante il fatto curioso, questo dobbiamo dirlo, che continui ad essere considerevolmente apprezzato rispetto al dollaro (oggi 1, 36 dollari). La domando che vi pongo, allora, è la seguente: siamo sicuri che, se in vista c’è una fine dell’euro, dobbiamo per forza passare attraverso una manovra dopo l’altra? Non potrebbe essere sufficiente tornare alla lira per regredire di qualche secolo? C’è qualcosa di ineluttabile, in questa contrazione mondiale, che sa molto di appuntamento con la storia, come nella canzone di Roberto Vecchioni, nella quale il cavaliere tenta disperatamente di ritardare l'appuntamento con la morte. Il crollo dell’impero d’occidente è un tornante della storia, una svolta epocale. Se anche tornasse redivivo Keynes, a formare un nuovo governo, non si cambia il senso della storia, lo si asseconda, cercando, come sempre, di limitare al massimo i danni.

C'era una gran festa nella capitale
perché la guerra era finita.
I soldati erano tornati tutti a casa ed avevano gettato le divise.
Per la strada si ballava e si beveva vino,
i musicanti suonavano senza interruzione.
Era primavera e le donne finalmente potevano, dopo tanti anni,
riabbracciare i loro uomini. All'alba furono spenti i falò
e fu proprio allora che tra la folla,
per un momento, a un soldato parve di vedere
una donna vestita di nero
che lo guardava con occhi cattivi.
(“Samarcanda” di R. Vecchioni)