venerdì 29 maggio 2015

SCUOLA: NON SI POTEVA CONCEPIRE UNA RIFORMA PIU' DI DESTRA



Adesso che la scuola non è sotto i riflettori un punto merita d’essere approfondito. Tra i provvedimenti approvati alla Camera c’è l’articolo sul cosiddetto preside-sceriffo. È il più contestato: no al preside autoritario, giudice, padre-padrone. Slogan. Cosa c’è dietro queste parole? È il caso di vedere più da vicino: in gioco c’è (anche) il problema – enorme nell’universo scolastico – della valutazione.

Si contesta la chiamata diretta dei docenti dall’albo territoriale, è vero, e l’alta discrezionalità dei dirigenti (saltano punteggi, graduatorie, titoli), ma quel che brucia di più è la valutazione. Fa problema. Gli insegnanti non vogliono essere valutati? Stupidaggini. Per decenni si è discusso di valutazione degli alunni, dibattiti e biblioteche intere (l’espressione va presa alla lettera), dicono la delicatezza del tema. Oggi – è questo il punto – si legifera sulla valutazione dei docenti e si “risolve” con una commissione, pronta per l’uso, composta da: preside, due insegnanti, un genitore e uno studente. Assurdo.

Se valutare un alunno è difficile: occorre sapere chi sono gli studenti; in che modo affrontano l’apprendimento; come procedono nel percorso formativo; quali risultati conseguono; insomma, se giudicare significa “valutazione d’ingresso, formativa, sommativa”… cosa comporta valutare un docente?

Il silenzio su questo punto lascia perplessi. I docenti non sanno su cosa e come, con quali criteri e modalità, verranno valutati. Sanno solo chi emetterà la sentenza. Sono preoccupati? La domanda è un’altra: perché non dovrebbero preoccuparsi? In assenza di criteri oggettivi l’ermeneutica dilaga, intrisa di soggettività, arroganze, interessi, piccinerie: la ministra sa quali meccanismi di potere scattino, già oggi, tra un supplente e il suo preside? Regoliamo il rapporto dirigenti-prof, con criteri oggettivi che riducano il margine di simpatia/antipatia (del preside) e di servilismo-cortigianeria (dei docenti). È puro buon senso. Quel che preoccupa è l’anarchia, l’assenza di paletti in una materia così delicata. Proprio perché titolare di libertà e potere di giudizio, il dirigente deve avere dei limiti entro i quali esercitare questa libertà.

Il dirigente giudicherà docenti con personalità definite; ognuno richiede attenzione specifica. Non è facile: cosa si andrà a valutare? Le conoscenze disciplinari? In realtà l’ha già fatto l’università, il concorso, l’abilitazione; il carattere? È materia degli psicologi; l’abilità didattica? Allora in commissione ci vuole l’esperto di pedagogia (altro che alunni e genitori). Infine. Si valuta l’ideologia del docente? È una domanda interessante. Nessuno lo ammetterà mai, ma un preside di destra – per fare un esempio – non chiamerà mai un docente di sinistra potendo optare per una scelta diversa. Verso che tipo di scuola stiamo andando? Si dice: il docente non deve avere un’ideologia: è un’affermazione azzardata. Porta dritti al pensiero unico dell’ideologia dominante.

Insomma, sono temi complessi, richiedono giudizio. Molti libri hanno segnato, negli anni, il dibattito sulla valutazione degli alunni (cfr. Benedetto Vertecchi, Valutazione formativa). Urge in Italia una discussione (anche) sulla valutazione dei docenti. Capire come e su cosa e da chi verranno valutati. Spero ci sia la volontà politica per una revisione della legge.

Non si può dare libertà di valutazione al preside, lasciandolo solo (inesperto tra inesperti) nel difficile ruolo di giudice; preoccupa che una cosa così evidente non venga compresa. Nei Paesi dove la valutazione dei docenti funziona, non è il preside (con la sua commissione scolastica) che decide: c’è un sistema ispettivo nato da un confronto con i docenti; c’è la terzietà dei giudici. La riforma non va bene. Il preside nella sua scuola, con le sue idee, valuta i suoi docenti. È troppo. Non c’è ombra di oggettività. Ho trent’anni d’esperienza. I presidi. Alcuni bravi. Molti, miracolati da una raccomandazione, fanno disastri.

È sparita ogni forma di reale collegialità nelle scuole, non si ha ancora la forza di eliminarla, ma ci si muove in quella direzione; il Premier sa cosa sta costruendo e dove vuole arrivare. Stiamo tornando indietro: Althusser – non senza qualche ragione – parlava della scuola come apparato ideologico di Stato. Nelle fabbriche i sindacati non contano più (Marchionne docet); nei partiti comanda il Capo; perché nelle scuole non dovrebbe decidere tutto il preside? C’è un clima autoritario nel Paese. Questo presepe non mi piace.
Angelo Cannatà - Micromega

giovedì 28 maggio 2015

RIFORMA PARTITI: LA PROPOSTA DEL PD FAREBBE FUORI IL MOVIMENTO 5 STELLE (ma guarda alle volte il caso…)



ROMA (WSI) - La proposta sulla riforma dei partiti sta scatenando forti polemiche soprattutto all'interno del Movimento 5 Stelle. I pentastellati, infatti, ci rimetterebbero, e non poco. Firmata dal presidente del Pd Matteo Orfini, dal vicesegretario Lorenzo Guerini e da altri diversi esponenti del Partito Democratico, la proposta di legge è stata presentata "per l’attuazione dell’articolo 49 della Costituzione in materia di democrazia interna dei partiti".

Si richiede, come sottolinea Il Fatto Quotidiano, che i partiti si sottopongano ad un riconoscimento formale da parte dello Stato, attraverso un atto costitutivo e dotandosi di uno statuto. In caso contrario, tali partiti non potranno presentare le liste e partecipare di conseguenza ad alcuna elezione.

A perderci sarebbe il Movimento 5 Stelle che è, di fatto, l'unica formazione rappresentata in Parlamento che non è mai diventata partito e non è regolamentata neanche da uno statuto, che viene considerato, invece, condizione sine qua non nella proposta del Pd, per continuare a svolgere attività politica.

Nel testo si pone l'accento infatti sulla "necessaria acquisizione della personalità giuridica per i partiti che intendano prendere parte alle elezioni politiche nazionali e candidarsi alla guida del Paese", collegata "al rispetto di puntuali standard di democrazia interna" come, ad esempio, "la disciplina delle procedure di ammissione e di espulsione, l’ambito di applicazione della regola maggioritaria, gli strumenti posti a tutela delle minoranze, le modalità di selezione delle candidature alle cariche pubbliche e le procedure per la scelta del leader".

Come si acquisisce la personalità giuridica? Con l'iscrizione in un registro nazionale ad hoc, mentre lo statuto, che è obbligatorio, deve comprendere "il simbolo, l'indirizzo della sede legale nel territorio dello Stato, il numero, l'attribuzione e la composizione degli organi deliberativi esecutivi e di controllo".

Il testo scrive, nel suo secondo articolo, che i partiti o i gruppi politici organizzati iscritti nel registro che intendono presentare liste di candidati nei collegi plurinominali, devono "depositare presso il ministero dell’Interno il contrassegno col quale dichiarano di voler distinguere le liste medesime nei singoli collegi plurinominali". Le disposizioni entrerebbero in vigore a partire dal 1° luglio 2016, insieme all’Italicum.

Intervistato da ilfattoquotidiano.it Riccardo Fraccaro, esponente del M5S, commenta la proposta: "Consapevole che gli italiani non accettano più la formula del partito, considerato ormai strumento di autoconservazione della casta il Pd non trova meglio da fare che imporre per legge questo stesso sistema ai cittadini".

Fraccaro continua affermando che "è la dimostrazione che hanno paura dell’aria che tira, vista anche la recente affermazione di Podemos in Spagna e, più in generale, di tutti i movimenti anti-casta europei".

Dunque "li sfido a raccogliere, se sono capaci, 350 mila firme in un giorno come abbiamo fatto noi del Movimento 5 Stelle: capiremo così se i cittadini sono a favore della loro proposta che, personalmente, considero espressione di fascismo partitocratico. Un regime in cui il dittatore in patria Matteo Renzi, forte solo con i deboli, non è altro che l'esecutore dei desiderata dei poteri forti".

mercoledì 27 maggio 2015

E' LA CRISI DEL CAPITALISMO AD ESSERE IRREVERSIBILE



Più volte ho denunciato la fine d’epoca che stiamo vivendo. Un’epoca storica cominciata con la Rivoluzione Industriale e che si sta concludendo con la finanziarizzazione dell’economia, cioè con costanti iniezioni di adrenalina in un corpo economico oramai deceduto per gli eccessi dovuti alla presunzione di un modello capitalista di crescere in maniera infinita su di un pianeta finito.
Un terremoto epocale sta scuotendo tutti i pilastri su cui si regge la nostra società; i pilastri economici, culturali, politici, ambientali e spirituali. In ogni ambito, ogni categoria chiamata in causa, propone le proprie soluzioni. Soluzioni che però nascono negli stessi ambienti che hanno causato la grande crisi che stiamo vivendo.
La crisi del ’29 si poteva superare con una nuova economia e infatti le politiche keynesiane del New Deal hanno rilanciato la crescita. Oggi una crescita come si è avuta dopo la seconda guerra mondiale è una chimera. Dopo il 1945 la spesa pubblica per ricostruire interi Paesi distrutti dalla guerra ha portato a quel boom la cui parabola si è conclusa da tempo.
Tim Jackson nel suo testo Prosperità senza crescita afferma che: “Nessun sottosistema di un sistema finito può crescere all’infinito: è una legge fisica. Gli economisti dovrebbero riuscire a spiegare come può un sistema economico in continua crescita inserirsi all’interno di un sistema ecologico finito”.
In effetti, alla quasi totalità degli economisti, sembra prevalere una miopia che li rende incapaci di focalizzare i limiti e i costi ambientali. Una miopia che rende difficile leggere gli scenari futuri del tutti inediti che ci attendono. Tuttavia, nel vigente monoteismo economico in cui l’uomo è stato trasformato in merce, gli economisti sono i moderni oracoli che tutti consultano auspicando di ricevere predizioni fauste sulla crescita. Predizioni che puntualmente risultano vane.
Limitando l’analisi al nostro Paese si evince che dal 1960 ad oggi il Pil è triplicato mentre il numero di occupati è rimasto il medesimo, a fronte di un incremento della popolazione da 47 a 62 milioni, il che significa che il Pil è triplicato mentre i posti di lavoro sono scesi del 25% (per approfondire Pecore da tosare di Andrea Bizzocchi, Il punto di Incontro, 2013, ndr).
La realtà è che in Occidente, nonostante che l’uomo a colpi di spot pubblicitari sia stato trasformato in un consumatore, la crescita non c’è e non ci potrà essere più in maniera costante e soprattutto non potrà garantire occupazione.
Un altro assunto che sembra sfuggire al paradigma dominate è il carico ambientale. L’ecologista Max Strata in Oltre il limite, noi e la crisi ecologica descrive come in nome del dogma della crescita il Pianeta sia diventato un luogo sempre meno ospitale e che se l’impatto contro il muro ecologico oramai è certo sarebbe auspicabile il prima possibile ridurre la velocità.
Di ambiente e crisi ecologica si parlerà il 5 e il 6 giugno a Terra Nuova Festival presso Marina di Pietrasanta, al parco della Versiliana (dove si tiene anche la festa de Il Fatto). Saranno giorni di dibattiti ove si tenterà di seminare una consapevolezza assente nel nostro Paese. Lo Sblocca Italia di Renzi con lo stimolo a nuove cementificazioni, all’estrazione di petrolio e all’incenerimento dei rifiuti è una nefasta testimonianza di come il dibattito sulla questione ambientale sia assente. Assente prima di tutto dagli organi d’informazione che, come tutti i partiti dell’arco costituzionale, si conformano alla volontà delle lobby del cemento e del petrolio.
Ancora una volta dal basso occorre far partire il cambiamento, ma c’è poco tempo. Nel settembre del 2013 gli scienziati dell’Ipcc (il gruppo intergovernativo dell’Onu) hanno presentato un rapporto, frutto di sei anni di studi, dal quale si evince che la temperatura media del pianeta potrebbe aumentare in questo secolo di 5,5 gradi rispetto all’era preindustriale. L’aumento del livello dei mari, derivante dalla fusione dei ghiacciai, causerebbe la scomparsa di intere nazioni come il Bangladesh: i profughi ambientali sarebbero centinaia di milioni.
I disgraziati che vengono lasciati annegare in questi giorni nel mediterraneo rischiano di essere solo un amaro antipasto. E attenzione i cambiamenti climatici sono causati dal neoliberismo occidentale con la sua folle pretesa di poter crescere in maniera infinita su di un pianeta finito.
(Gianluca Ferrara)

martedì 26 maggio 2015

UNA APPROFONDITA ANALISI DEL FENOMENO RENZISTA



Nel 1953 quella che fu allora chiamata legge elettorale truffa non scattò perché la Democrazia Cristiana ed i suoi alleati non raggiunsero il quorum richiesto del 50%+1 dei voti validi. Quella che doveva essere un'alleanza al centro in grado di acchiappare consenso in tutte le direzioni perse invece voti ad ampio raggio, alla sua sinistra prima di tutto, ma anche alla sua destra. Il progetto autoritario allora aveva respinto, invece che attrarre.

Oggi l'Italicum è molto più pericoloso della legge truffa del '53, che comunque assegnava un premio parlamentare consistente a chi già avesse conseguito la maggioranza assoluta dei voti. Oggi grazie al trucco del ballottaggio, che aggira la sentenza della Corte Costituzionale, un partito come il PD che, aldilà dell'exploit delle europee si attesta normalmente attorno al 30% dei voti validi, potrà conseguire una maggioranza assoluta priva di contrappesi e controlli. Ho detto il PD ma in realtà avrei più correttamente dovuto dire il suo segretario presidente Renzi, che si è costruito un sistema di governo che gli darà un potere praticamente assoluto.

Come ha notato eufemisticamente Eugenio Scalfari siamo a una democrazia che affida il potere all'esecutivo. Che è ciò che normalmente avviene in ogni dittatura. Renzi sarà eletto direttamente dal ballottaggio come un sindaco e godrà di un parlamento esautorato, composto da una netta maggioranza di nominati o fedelissimi. Ci sarà una sola camera che decide su tutto sulla base degli ordini del capo del governo. Camera che nominerà gli organismi di controllo senza, scusate il bisticcio, controlli. E se pensiamo che la recente sentenza della Corte Costituzionale sulle pensioni sembra sia stata decisa sei contro sei, con il voto determinante del presidente, possiamo tranquillamente concludere che al nuovo parlamento renziano basterà nominare un solo nuovo giudice costituzionale per cambiare gli orientamenti di tutta la corte.

Un potere pressoché assoluto, dunque, per fare che?

Quello che sta costruendo Renzi in realtà è un sistema autoritario che non è in proprio, ma è fondato su una sorta di fideiussione bancaria. Il programma fondamentale del governo è sempre quello della lettera del 5 agosto 2011 firmata da Trichet e da Draghi. Che come presidente della BCE continua a vigilare meticolosamente che quel programma stilato assieme al suo predecessore sia scrupolosamente attuato. I poteri forti, le grandi multinazionali, la finanza e le banche hanno da tempo deciso che il sistema di diritti sociali europeo è, per i loro concreti interessi, insostenibile. La crisi è stata un grande occasione per realizzare compiutamente un obiettivo cui si lavora da oltre trenta anni, e le riforme politiche autoritarie ne sono lo strumento.

Renzi si è quindi trovato al posto giusto nel momento giusto. Guai a fare nei suoi confronti lo stesso errore di sottovalutazione compiuto dalla sinistra democratica verso Berlusconi; e non solo per il compatto sostegno che riceve dai poteri forti italiani ed europei e da tutto il sistema dei mass media. Anche Monti aveva questo stesso sostegno, per fare sostanzialmente la stessa politica, ma non ce l'ha fatta.

La forza di Renzi sta proprio nella posizione e nella rappresentanza politica assunta. È un errore credere che egli sia un democristiano. No, la sua formazione politica non è tanto rilevante quanto il ruolo che ha deciso di interpretare. È questo ruolo è tutto all'interno della sconfitta e della rassegnazione della sinistra tradizionale. Matteo Renzi ha scalato il PD, che è bene ricordare inizialmente lo aveva respinto, dopo che il vecchio e inconcludente riformismo era stato sconfitto. Egli ha usato spregiudicatezza e populismo con una classe politica disposta a tutto pur di non perdere il potere. Per capire quello che è successo dobbiamo pensare ad altri fenomeni di trasformismo di massa nella storia della sinistra del nostro paese. Crispi alla fine dell'800, Mussolini, Craxi e naturalmente Berlusconi sono tutti predecessori non casuali di Matteo Renzi.

Il nostro è diventato il secondo paese cavia dell'esperimento liberista dopo la Grecia. In quel paese la Troika ha esagerato e ne è consapevole, per questo in Italia il progetto è diverso. Non negli obiettivi, che sono gli stessi, dal lavoro, alla scuola, alla sanità, alle pensioni, a tutti i diritti sociali. Si vuole arrivare alla stessa società di mercato brutalmente imposta alla Grecia, ma evitando la stessa reazione politica. Quindi più furbizia e anche tempo nelle misure da adottare e soprattutto lavoro per costruire un blocco di consenso politico attorno ad esse. A questo serve la mutazione genetica del PD in partito della nazione. Che in realtà è un partito collaborazionista con la Troika e con tutti i poteri economici finanziari internazionali. Il partito della nazione che collabora costruisce così le sue cordate di consenso, da Marchionne ai sindacati complici, da Farinetti alla nuova Milano da bere, dai presidi a tutto quel mondo politico e sociale proveniente dalla sinistra il cui sentire di fondo può essere così riassunto: abbiamo speso tanto senza risultati, ora si guadagna. Non è vero che Renzi voglia liquidare i corpi intermedi, non è così sciocco sa che sarebbe impossibile. Quello che vuole il segretario del PD è un corpo di organizzazioni addomesticate e funzionali e a questo sta concretamente lavorando, come dopo il Jobs Act e la “Buona scuola”, mostra il progetto di legge Civil Act sul terzo settore.

Renzi è l'espressione di un progetto politico reazionario di adattamento dell'Italia ai più duri vincoli della peggiore globalizzazione, per questo battere lui ed il suo partito della nazione non sarà opera breve, né facile, ma è la condizione perché il paese possa riprendere davvero a progredire. Oggi contro Renzi sta un destra disfatta, nella quale lo stesso sistema mediatico renziano fa emergere il nazista dell'Illinois Matteo Salvini come avversario di comodo. Poi c'è il Movimento 5 stelle che conduce lotte importanti, ma in evidente difficoltà di fronte al populismo anticasta fatto proprio dal renzismo. E infine c'è l'arcipelago delle forze della sinistra politica e sociale. La forza di Renzi è la debolezza di questo fronte, il che permette alla sua politica di destra di contare su un vasto consenso elettorale nel popolo della sinistra.
Giorgio Cremaschi