mercoledì 29 giugno 2011

IL COLLASSO DIFFERITO (un ragioniere a Montecitorio)

Giulio Tremonti, nuovo Ragioniere Generale dello Stato
Sperando di fare cosa utile, per comodità dei miei cari visitatori, riporto di seguito i punti essenziali della manovra finanziaria 2011-2014 e della riforma fiscale 2011. Considerate che si tratta, al momento, di una bozza attendibile ma passibile di qualche emendamento. Non va presa dunque alla lettera, non trattandosi del testo licenziato dalle Camere, ma è comunque un testo sul quale riflettere: ognuno tragga le considerazioni che meglio crede. Una cosa mi sento di sottolineare fin d’ora: la tassazione al 20% sulle rendite finanziarie appare, allo stato attuale, rinviata sine die. La ragione è molto semplice: potrebbe tradursi in un clamoroso boomerang per i nostri istituti di credito e per lo Stato, che potrebbero entrare, per il meccanismo descritto di seguito, in una grossa crisi di liquidità. In un periodo di crisi per il nostro sistema bancario, messo sotto osservazione da Moody’s per la stretta relazione con il debito sovrano dell’Italia, un simile provvedimento potrebbe tradursi in un colpo mortale. Mi rendo conto  che, apparentemente, si tratta di un meccanismo di equità sociale. Ma così non è. Applicando indiscriminatamente una sola aliquota a tutti i titoli che non siano di stato si colpiscono anche i piccoli risparmiatori che vengono pesantemente limitati nelle loro possibilità di scelta. Si tratta di un espediente miope e superficiale, paradossalmente sarebbe stata preferibile una patrimoniale: come proposto dal leader di Rifondazione Comunista Ferrero, applichiamo la tassazione del 20% ai patrimoni sopra il milione di euro. Sarà demagogia, ma è sempre meglio del pasticcio proposto da Tremonti. Ma vediamolo nel dettaglio:
LE RENDITE finanziarie sono tutti i proventi (attivi e passivi) che un prodotto finanziario può generare al momento della sottoscrizione, alla chiusura dell’anno di imposta o al momento del realizzo da parte delle persone fisiche, società di persone, ditte individuali, società di capitali ecc, per semplificare sia persone fisiche sia persone giuridiche, a diverso modo e che possono consistere a titolo di esempio, in azioni o  titoli di Stato, depositi di conto corrente, Bot, obbligazioni ecc e che vedremo in seguito. 

ATTUALMENTE abbiamo due tipologie o grandi insiemi di tassazione delle rendite finanziarie ossia dei proventi che possiamo percepire al momento della vendita o anche a titolo di interessi attività che ci vengono accreditati annualmente sul conto corrente per il solo fatto di mantenere della liquidità sul conto corrente bancario. Attualmente le rendite che prevedono  a titolo di esempio il pagamento del 12,50% a titolo di tasse sono sulle plusvalenze generate sulle cessioni di obbligazioni oppure sulle cessioni di BOT o titoli pronti contro termine. 

Stesso trattamento è previsto per le plusvalenze da cessione di azioni di società quotate su mercati regolamentati o le quote di fondi indicizzati quotati (armonizzati e non) o i fondi comuni di investimenti Italiano. Le più classiche sono le imposte che paghiamo sugli interessi attivi sui depositi di conto corrente di cui possiamo vedere l’evidenza della trattenuta sull’estratto di conto corrente bancario applicate nella misura del 27%. 

LA STESSA tassazione la subiamo anche sui certificati di depositi o anche sugli interessi maturati sulle obbligazioni con durata inferiore ai 18 mesi. La possibile introduzione di una Flat Tax o tassazione piatta o anche cedolare secca sulle rendite finanziarie prevederebbe una aliquota del 20% su tutte le rendite finanziarie che come primo effetto avrebbe una perdita di gettito per lo Stato derivante dalla ridotta tassazione su quelle attualmente tassate al 27% come appunto le somme depositate, mentre quelle sulle plusvalenze dei certificati azionari o proventi derivanti dai prodotto finanziari subirebbero una maggiore tassazione salendo dal 12,50% al 20%. 



LA MANOVRA 2011-2014

- TICKET 10 EURO. Scatterà dal primo gennaio 2012 per le prestazioni specialistiche ambulatoriali. Pagheranno invece 25 euro i 'codici bianchi' del pronto soccorso. Al momento infatti é stato stanziato un finanziamento da 486,5 milioni di euro solo per il 2011.
- PENSIONI, PARTE IN 2014 AGGANCIO ETA' A SPERANZA VITA. Era previsto al 2015.
- PENSIONI D'ORO. Stop alla rivalutazione se sono cinque volte superiori al minimo. Per quelle pari atre volte il minimo la rivalutazione sarà al 45%.
- PENSIONI, DONNE A 65 ANNI. La bozza è stringente: dal 2012 servirebbero 61 anni per andare in pensione, e poi si aumenta di un anno fino a raggiungere i 65 anni. Ma l'ipotesi sarebbe già superata da una che prevede un adeguamento diluito: si parte dal 2015 con un mese l'anno, per accelerare dal 2020 di sei mesi l'anno, fino a raggiungere l'età pensionabile di 65 anni. Ma tutto sarebbe ancora aperto.
- P.A., STIPENDI CONGELATI. Stop agli aumenti di retribuzione, anche accessori, per il personale delle pubbliche amministrazioni, fino alla fine del 2014.
- P.A., BLOCCO TURN-OVER. Proroga del turn-over nel pubblico impiego ancora per un anno. Esclusi dalla stretta i Corpi di Polizia, i Vigili del Fuoco e le agenzie fiscali.
- MISSIONI INTERNAZIONALI. La dotazione del fondo è incrementata di 700 milioni di euro per il 2011.
- LIBERALIZZAZIONE PROFESSIONI. Più facile l'accesso; fuori dalle nuove norme notai, architetti, farmacisti e avvocati.
- SPENDING REVIEW. Addio tagli lineari: parte dal 2012 il processo di 'spending review' "mirata alla definizione dei fabbisogni standard propri dei programmi di spesa delle amministrazioni centrali dello Stato".
- CROCE ROSSA. Sarà privatizzata. Il personale non militare rischia di essere posto in mobilità.
- BADANTI E PENSIONI. Dal primo gennaio del prossimo anno, la pensione di reversibilità "é ridotta, nei casi in cui il matrimonio con il dante causa sia stato contratto ad età del medesimo superiori a 70 anni e la differenza di età tra i coniugi sia superiore a 20 anni, del 10% per ogni anno di matrimonio mancante rispetto al numero di 10".
- CATTEDRE BLOCCATE. A decorrere dall'anno scolastico 2012/2013 le dotazioni organiche del personale docente, educativo ed Ata della scuola non devono superare la consistenza delle relative dotazioni organiche dello stesso personale determinata nell'anno scolastico 2011/2012.
- INSEGNANTI DI SOSTEGNO. L'organico degli insegnati di sostegno, attribuito alle singole scuole o a 'reti di scuole', dovrà prevedere in media un docente ogni due alunni disabili.
- ALTA VELOCITA'. Arriva sovrapprezzo canone, servirà ad assicurare la copertura degli oneri del servizio universale.
- PROTEZIONE CIVILE. Arrivano 64 milioni di euro nel 2011 per la gestione dei mezzi della flotta aerea del Dipartimento della protezione civile. Al relativo onere si provvede con una riduzione della quota destinata allo Stato dell'8 per 1000.
- FONDI RESIDUI. Sono abrogate, a decorrere dal 2012, tutte le norme che dispongono la conservazione nel conto dei residui, cioé le somme stanziate ma non spese dalla Pubblica Amministrazione, per essere utilizzate nell'esercizio successivo, di somme iscritte negli stati di previsione dei Ministeri. La Corte dei Conti ha quantificato in 108 miliardi l'ammontare dei residui passivi dell'intera amministrazione pubblica.
- IMMOBILI PUBBLICI. Arrivano "fondi d'investimento immobiliari chiusi promossi da Regioni, Provincie, Comuni anche in forma consorziata ovvero da società interamente partecipate dai predetti enti, al fine di valorizzare o dismettere il proprio patrimonio immobiliare disponibile".
- CONTI DORMIENTI. Una piccola parte della manovra (100 milioni) sarà coperta dal fondo in favore delle vittime dei crack finanziari.
- ANAS. Sarà divisa in Holding e Spa e arriva anche un commissario.
RIFORMA FISCALE
La bozza della Riforma Fiscale 2011 è oramai pronta e, anche se potrebbe ancora subire delle importanti modifiche, sembra che la strada per giungere al documento finale non sia più così lunga: introduzione di un nuovo ticket da 25 euro (al posto di quello attuale da 10), sospensione dei turnover, allungamento dell’età pensionabile per le donne, tagli alla “casta” e tanto altro, in un provvedimento di cui cerchiamo ora di esaminare i tratti principali.L’obiettivo di Tremonti è quello di permettere all’Italia di raggiungere il pareggio di bilancio che è stato previsto dalla Comunità Europea entro il 2014. Un obiettivo sicuramente importante, sul quale la stessa Comunità ha tuttavia espresso dubbi circa le possibilità di raggiungimento da parte della Penisola, con l’attuale schema programmatico. Di conseguenza, si è reso necessario licenziare una manovra da oltre 40 miliardi di euro, che potrebbe subire ulteriori ritocchi al rialzo.La Riforma Fiscale 2011 dovrebbe sostituire le attuali cinque fasce di reddito e di aliquote Irpef (23%, 27%, 38%, 41% e 43%) con tre nuove aliquote, che secondo le intenzioni del Ministro Tremonti dovrebbero essere pari al 20%, al 30% e al 40%. Occorrerà tuttavia valutare quali saranno le fasce reddituali ricollegate alle nuove aliquote Irpef. Il timore è che possa risultare una modifica penalizzante per i ceti medi; la speranza, è che invece i lavoratori dipendenti possano finalmente trovare un pò di beneficio. Attualmente il quadro dell’Imposta sul Valore Aggiunto prevede tre aliquote al 4%, al 10% e al 20%. All’interno della bozza programmatica sulla Riforma Fiscale 2011 di Tremonti c’è tuttavia la possibilità che – mantenuta stabile l’Iva più bassa, al 4% – le due  aliquote più elevate possano ritoccare un rialzo di un punto percentuale: l’Iva dovrebbe pertanto passare dal 10% all’11%, mentre l’Iva al 20% dovrebbe passare a quota 21%. Una delle voci più controverse riguarda l’aumento dell’età pensionabile, che per le donne dovrebbe crescere proporzionalmente fino a 65 anni, dal 1 gennaio 2012. Tuttavia sulla questione c’è un aperto contrasto con il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, che nega che vi possano essere ritocchi, specialmente per quanto concerne modifiche sulla pensione di vecchiaia.

In conclusione, senza entrare nel merito dei singoli provvedimenti, ci sentiamo già, in questa sede, di affermare che la manovra fin qui descritta non solo è poco più che mediocre, ma, come ha fatto presente la stessa Corte dei Conti - peraltro nota per non essere regolarmente ascoltata - è "ai limiti della sostenibilità". I tagli lineari non sono scomparsi, sebbene si introduca timidamente, per le Pubbliche Amministrazioni, un meccanismo di "benchmarking", una schedulazione dei sistemi adottati e dei risultati conseguiti, che dovrebbe permettere di tagliare laddove è il caso di sottrarre risorse, ma soprattutto non viene introdotto alcunchè sia nella potenzialità di stimolare la crescita. Noi italiani siamo abituati a pensare ad una manovra finanziaria che abbia in ordine unicamente tagli di spesa e incrementi alla pressione fiscale. E' un concetto, per tutti gli altri paesi europei, addirittura paradossale. Una manovra economica si fa per incentivare e sostenere l'economia di un paese, amzitutto, e poi, in secondo piano, ci si pone il problema di individuare le risorse da eliminare. L'Italia è un triste paese anche per questo motivo. Da noi le sacche di privilegio non si possono toccare, sono ineludibili. Cambiano i governi, ma la realtà della permanenza di numerose cosche o consorterie che mantengono costosi privilegi è destinata a durare nel tempo. La lezione della P4 del Sig. Bisignani ha insegnato a tutti che i faccendieri disinvolti ed eclettici come lui hanno buon gioco nel Belpaese. Si tratta di realtà inestirpabili, così come è ineliminabile l'evasione fiscale. A conti fatti, dovendo confrontarsi con la realtà di una corruzione radicata e variegata come quella del nostro paese, la manovra che varerà il Parlamento sembra confezionata da un Ragioniere dello Stato, non da un Ministro dell'Economia. E' questa la differenza sostanziale tra un ragioniere come Tremonti ed un economista come il ministro delle finanze tedesco Schauble. La prova più eclatante è rappresentata dalla proposta (al momento congelata) della tassazione unica del 20% da applicarsi alle rendite finanziarie che non siano titoli di stato. E' un provvedimento tanto stupido quanto puerile (oltrechè autolesionista per lo Stato). Con una classe politica come questa, con ministri dell'economia come questi, la strada che conduce al collasso finanziario si accorcia notevolmente. Se una manovra finanziaria contempla solo sacrifici non porta da nessuna parte: o meglio, non fa altro che spostare in avanti una fine sicura, che rimandare un fallimento certo, l'asse Roma-Atene sta per diventare una amara realtà.
Dimenticavo: si è liberato un posto di Ministro dell'Economia: Giulio Tremonti è accreditato da più parti a ricoprire la carica di Ragioniere Generale dello Stato, carica nella quale appare particolarmente versato. C'è da qualche parte un economista ed esperto in Scienza delle Finanze che comprenda che una manovra finanziaria si fonda anzitutto sullo sviluppo e sulla crescita, e poi, solo in un secondo tempo, individua le voci di spesa da tagliare? Che capisca che una manovra di soli tagli potrebbe avere la consistenza non di 40, ma di 80 miliardi, non cambierebbe nulla? Abbiamo un gran bisogno di economisti, di ragionieri, in giro, ce ne sono anche troppi.
Fonti: Ansa.it, vostrisoldi.it, professionefinanza.it.

venerdì 24 giugno 2011

IL RE DEL MONDO

Warren Buffet, professione: speculatore

Pubblico volentieri un articolo del “Sole 24 ore” che ci fornisce qualche chiarimento sulle agenzie di rating, ma soprattutto su chi le detiene e le manovra. E’ chiaro per tutti che il loro potere è divenuto smisurato e fuori controllo, possono, con un banale declassamento, determinare il futuro economico di nazioni intere: per svolgere una funzione così delicata ed importante occorre anzitutto l’indipendenza assoluta , l’assenza di qualsiasi conflitto di interessi, una equilibrata obiettività. Le tre “sorelle”, Standard % Poors, Moody’s e Fitch non sono controllate dalle stesse società o dagli stessi tycoon, Fitch, la più piccola, è anche l’unica europea, e, alla luce dell’esperienza di questi ultimi anni, appare anche la più equilibrata. Viceversa, la crociata che Moody’s ha lanciato contro l’Italia, sparando a 360 gradi, colpendo il debito sovrano dello stato italiano, gli enti locali, le società partecipate dallo stato e tutti, dico tutti i gruppi bancari, francamente appare eccessiva. Un fuoco di fila di questo tipo, che coinvolge ogni singola struttura economica dello Stato Italiano, lascia perplessi. La settimana di passione, caratterizzata da un crollo bancario dopo l’altro, ha lasciato sui mercati e sulle borse milioni di euro bruciati. Se Moody’s detiene un potere così smisurato, ci piacerebbe sapere chi governa questa agenzia  americana, chi la manovra, più o meno alla luce del sole, quali interessi persegue. Di sicuro c'è, ma non solo, la presenza di Warren Buffet, il secondo o terzo (dopo Bill Gates) uomo più ricco del mondo. In un panorama come quello della finanza non esiste la filantropia e i giudizi assolutamente oggettivi sono, nella pratica, impossibili. Se Moody’s ha messo sotto osservazione l’intero sistema Italia, qualcuno, dietro le quinte, sta manovrando per fare profitto. Questo non significa che il giudizio che sarà emanato da Moody’s sarà necessariamente sbagliato, anzi. Supponiamo che sia giusto e ampiamente documentato. Solo, ci piacerebbe sapere: a chi giova? Chi controlla le agenzie di rating? Chi attribuisce un rating alle agenzie di rating? Vediamo di provare a fare un po’ di chiarezza. Un’ultima notazione: fu proprio Moody’s che, nel 2008, poco prima del tracollo della prima banca fallita americana “, la Lehman & Brothers”,  aveva attribuito a quest’ultima una tripla A.  Non fu un giudizio azzeccato.

Qualcuno li ha definiti i "Padroni dell'Universo". Finanziario s'intende, che non è comunque poca cosa di questi tempi. Oppure chiamateli pure i signori del rating o le tre sorelle: Moody's, Standard & Poor's, Fitch.

Giudici inappellabili dei destini di Stati, mega-corporation, piccole società e persino di singoli mutui cartolarizzati. Loro danno un voto sul merito di credito a tutto e a tutti e una loro bocciatura, così come una promozione, ha vistosi effetti sui mercati come si è visto in questi giorni nel caso della Grecia, della Spagna e dell'equivoco sulle banche italiane.

Ecco perché i padroni dell'universo sono temuti. Loro del resto sono un oligopolio perfetto. Sono solo in tre e si spartiscono la torta di chi emette debito in tutto il mondo. E visto che tutti si indebitano il lavoro non manca. Se non vai da Moody's c'è S&P o Fitch.

Senza alternative di sorta. E così il mestiere delle tre sorelle diventa particolarmente remunerativo.

Utili giganteschi
Solo le società autostradali o gli aeroporti guadagnano come loro. E non c'è di che stupirsi.
Sono tutti mono o oligopolisti, quindi con i ricavi pressoché assicurati. Se sei bravo a gestire i costi puoi solo fare un sacco di soldi.

Basti vedere Moody's che essendo quotata a Wall Street consente maggiore visibilità sui numeri. Ebbene Moody's, solo nel 2009, per ogni 100 dollari che ha fatturato ne ha guadagnati sotto forma di utile operativo ben 38.

Su 1,8 miliardi di ricavi fanno un margine di 680 milioni. Ma attenzione quel 38% di redditività è un mix tra i servizi di analisi e quelli di assegnazione dei rating. Solo sul mestiere più remunerativo, quello appunto dell'assegnare pagelle, la redditività balza al 42% sui ricavi.

Un exploit il 2009? Niente affatto. Gli anni d'oro sono stati altri: nel 2007 il margine operativo era al 50% dei ricavi e nel 2006 si è toccato il picco del 62% di utili operativi sul fatturato. Un'enormità: 1,26 miliardi di margine su due miliardi di fatturato. Se poi si va all'utile netto la musica non cambia. Dal 2005 al 2009 Moody's ha generato profitti per complessivi 2,8 miliardi.

Ma Moody's non è sola. Anche Standard&Poor's non è da meno. Non è quotata ed è posseduta dal gruppo editoriale McGraw-Hill che sta invece sul listino di Wall Street.
Più difficile in questo caso isolare il contributo dato dall'attività di rating dal resto dei business.

La divisione servizi finanziari è quella che opera con il marchio S&P. L'intera divisione ha fatturato, nel 2009, 2,6 miliardi di dollari con profitti operativi per circa un miliardo.

Come si vede un bel 39% di marginalità in linea con la rivale Moody's. E negli anni precedenti la redditività era ancora più elevata con punte nel 2007 del 45% sul giro d'affari. Ovviamente qui confluiscono i ricavi anche dalla gestione degli indici di Borsa e dei servizi informativi. La parte ghiotta del rating dovrebbe comunque contribuire per l'80% ai volumi complessivi.

Resta Fitch, la più piccola delle tre, e l'unica europea. L'agenzia ha prodotto ricavi l'anno scorso per 559 milioni di euro con profitti operativi per 151 milioni. Un po' più sotto, quanto a redditività, delle rivali a stelle e strisce. E così i padroni dell'universo non solo dettano i destini più o meno amari del costo del debito di Stati e società, ma sono anche più che remunerativi. Una sorta di gallina dalle uova d'oro in un mercato grande quanto il mondo e che non può fare a meno di loro. Un vero affare per gli azionisti.

I fondi Usa i veri padroni
Già, e qui viene il punto. Chi comanda in Moody's e le sue consorelle? Chi sono i padroni dei padroni dell'universo? A parte l'europea Fitch che ha due azionisti di peso come il gruppo francese Fimalac e il gruppo editoriale Hearst, le altre due sorelle sono di tutti e di nessuno. Vere e proprie public company. In S&P c'è un azionista forte, cioé la McGraw-Hill, ma il resto dell'azionariato è diffuso come del resto in Moody's. E qui arriva la sorpresa.

Che ci fa Buffett in Moody's?
Il primo azionista di Moody's, con il 13,4% del capitale, risultava a fine dicembre del 2009 secondo rilevazioni Reuters, Warren Buffett, il guru di Omaha con il suo fondo Berkshire Hathaway. Al secondo posto con il 10,5% ecco comparire Fidelity uno dei più grandi gestori di fondi del mondo. E poi è un florilegio di gente che di mestiere compra e vende titoli: si va da State Street a BlackRock a Vanguard a Invesco a Morgan Stanley Investment. Insomma i più grandi gestori di fondi a livello mondiale sono azionisti di Moody's. E guarda caso lo stesso copione si riproduce in Standard&Poor's: ecco nell'azionariato comparire in evidenza, a fine 2009, i nomi di Blackrock, Fidelity, Vanguard. Gli stessi nomi. Il che pone una domanda. Che ci fanno gestori di fondi nel capitale di chi dà i voti ai bond emessi dalle stesse società che abitualmente un gestore compra e vende? La prima risposta è semplice: si sta lì perché si guadagna e perché i fondi in America sono da sempre gli investitori istituzionali per eccellenza. La seconda è più maliziosa, ma indotta da questa strana presenza. Stare nel capitale di chi determina i destini di una miriade di società magari è utile per avere accesso a informazioni privilegiate. Se so che un'emissione verrà bocciata, vendo prima che sia resa pubblica. Certo è un'illazione, ed è vero che esistono i muri cinesi. Ma quei muri sono stati oltrepassati tante di quelle volte che un filo di sospetto rimane.

I bilanci d'oro
Sono in tre e giudicano il debito di tutto il mondo. Una sorta di oligopolio perfetto per Moody's; Standard and Poor's e Fitch che ovviamente beneficiano di questa formidabile rendita di posizione. Lo evidenziano con chiarezza i conti delle «tre sorelle» del rating, come qualcuno ama chiamarle. Sia Moody's che S&P sono vere e proprie macchine da soldi. Entrambe nel corso del 2009 hanno visto i propri profitti operativi collocarsi al 38% dei ricavi. Ogni 100 dollari fatturati, 38 si trasformano in utili. E di mezzo c'è stata la crisi dei mercati. Nel 2007 il margine per Moody's toccava il 50% dei ricavi. Più distanziata, ma non meno redditizia l'europea Fitch con il 27% di margine sui ricavi.

I NUMERI-CHIAVE
5 miliardi
Il business delle pagelle

È il giro d'affari delle tre agenzie di rating realizzato nel corso dell'ultimo anno. E dire che c'è stata crisi nel 2009 anche per loro. Negli anni d'oro, pre-crisi finanziaria, il business era ancora più ricco, grazie alla forte diffusione della finanza strutturata. Nel solo 2007 i ricavi complessivi delle tre società erano di 6 miliardi.

2,8 miliardi
Profitti a go go

Dare voti a Stati, società, singole emissioni di obbligazioni è un mestiere assai remunerativo.
Nel periodo tra il 2005 e il 2009, solo per fare un esempio, Moody' ha generato utili netti per la bellezza di 2,8 miliardi di dollari.

13,4%
La corsa a un posto al sole

Il 13,4% era la quota di capitale di Moody's posseduta a fine del 2009 dal fondo Berkshire Hathaway di Warren Buffett, l'oracolo di Omaha. Ma le società di rating non fanno gola solo a lui. Nel capitale di Moody's si ritrovano veri e propri colossi dei fondi di gestione del risparmio. Da Fidelity a BlackRock. Da Vanguard a Invesco e così via. Stessa sorte tocca a Standard&Poor's che pur avendo un azionista di controllo come McGraw-Hill, vede nel capitale la presenza dei fondi Usa. Spesso gli stessi che partecipano all'azionariato di Moody's.

70 mila mld
Un mercato colossale

La cifra è formidabile ed è un piatto ricco per le agenzie di rating. Secondo le stime della stessa Moody's il mercato delle emissioni di debito a livello mondiale toccherà nel 2012 i 70mila miliardi di dollari. Su molte di quelle emissioni ci sarà il bollino delle tre sorelle che quindi vedranno crescere il loro business senza fare alcuno sforzo.
IL SOLE 24 ORE – RIPRODUZIONE RISERVATA©

Ci siamo domandati molte volte chi siano i famosi "speculatori internazionali" pensando a loro come a qualcosa di astratto, di indefinibile o indecifrabile. E invece no, sono un pugno di uomini, circa 100, 150, quasi tutti milionari americani, con un volto, un nome e un cognome. Ho il privilegio di mostrarvi il volto di uno di essi, uno dei maggiori. Guardate bene il viso che riporto in testa all'articolo: questo signore, il secondo o terzo uomo più ricco del mondo, detiene circa il 13 per cento delle azioni dell'agenzia Moody's, guarda caso quella che così solertemente e minuziosamente sta mettendo sotto la lente d'ingrandimento l'intera economia italiana. Questo signore si trova nella bizzarra situazione di avere il potere di condizionare le sorti economico finanziarie di una intera nazione, in questo caso l'Italia. Per un uomo solo, per quanto possa essere un fulgido esempio di applicazione del capitalismo, francamente, ci sembra un pò troppo. 

giovedì 23 giugno 2011

A SPASSO PER I CAMPI ELISI

In questi giorni, in un letto d’ospedale, se ne sta andando un uomo, un amico, un collega, una persona che non dimenticherò mai. La malattia mortale, la stessa che Umberto Veronesi ritiene che abbia delle possibilità di guarigione vicine al 50%, se lo sta portando via. Ed io, che cerco sempre di trovare le parole adatte, sincere, opportune, io non so che cosa dire, io non so che cosa fare. Lascia una moglie con la quale si è da sempre stabilito uno splendido affiatamento, una sintonia speciale, lascia una figlia che era la pupilla dei suoi occhi, una ragazza semplice e carina, che aveva già trovato la sua strada ed il suo avvenire. Ho il cuore gonfio di malinconia, gli occhi velati di tristezza. Ho molti ricordi che mi riconducono a lui: quante mattine presto, sul sagrato davanti al santuario, prima di cominciare la settimana, una sigaretta, poi un caffè, per contrastare il freddo ancora pungente, l’aria sottile e umida che penetrava nelle ossa, l’allegria scanzonata che si traduceva in battute sferzanti nei confronti di questo o quell’altro. Ma non c’era cattiveria, anzi. La sua bonomia, la sua indulgenza erano note a tutti, così come il suo sarcasmo, venato di nostalgia per un’età ormai passata e non vissuta sino in fondo. Quanto tempo è trascorso? Da quanti anni ci conosciamo? Venticinque anni, sono tanti, eppure, adesso, sembrano poca cosa davanti a quello che ci aspetta. E poi la noia delle riunioni, dei convegni, del lavoro quotidiano interrotto da qualche pausa trascorsa davanti al distributore di caffè… Il tempo di scambiare qualche parola, una pacca sulle spalle e poi, via, daccapo. Ma come sembra lontano quel tempo, adesso che il tuo sta per scadere. Come sembra tutto assurdo, privo di senso. Tutto il lavoro perduto, la fatica sprecata, l’andare avanti comunque, in un ambiente sempre più difficile, con un lavoro sempre meno soddisfacente, un correre verso il nulla, verso il buio della notte che ci aspetta. Un lavoro ingrato, cominciato con entusiasmo, con orgoglio, fieri di appartenere ad un ambito importante per il paese e per gli altri, soprattutto per quelli meno fortunati. E poi l’essere obbligati ad assistere alla decadenza, allo sgretolamento di un intero sistema divenuto schiavo solo dei numeri, lontano e sordo ai richiami dei bisogni, delle necessità dei più piccoli, dei più sventurati. Ti ricordo ancora, nel palazzo del potere, sempre più sfiduciato, spettatore come me del degrado che ci circondava: e tuttavia, anche nello squallore di quelle stanze grigie, non perdevi la tua ironia beffarda, il tuo umorismo lieve ma graffiante. Come sembra tutto distante, indistinto… Tu che stai morendo ed io che sembro vivo. Torna alla mia memoria il ciclo degli “Addii” del maggiore pittore futurista italiano, Umberto Boccioni, le pagine da lui dedicate alla poetica di “Quelli che vanno e quelli che restano”. Rivedo quei quadri in ogni particolare, distinguo ogni singolo dettaglio, nessun poeta è riuscito ad esprimere più compiutamente il senso di abbandono, di dolorosa separazione, il rimpianto amaro che lacera il commiato tra quelli che vanno e quelli che, provvisoriamente, restano. Quante speranze stroncate, quante illusioni disattese, quante energie, tensioni, quanto anelare verso qualcosa che ci poniamo sempre davanti, un obiettivo, una meta, che spostiamo man mano che il tempo passa sempre un po’ più in là, per poi capire che non ci sono mete, non ci sono traguardi, che la vita si vive giorno per giorno, ora per ora, che i traguardi sono solo una verità consolatoria che ci aiuta a seguitare una esistenza che, in fondo, è solo volgare, è solo un grottesco girare a vuoto su se stessi, che nulla, in questo mondo, è degno del nostro amore e del nostro spirito, e che l’unica cosa sensata che possiamo fare è fermarci, ogni tanto, a prendere fiato e ad assaporare quel singolo momento tutto per noi. Questo nostro essere qui ed ora, ad osservare un tramonto trapuntato di stelle, la placida notte illuminata dalla luna, la distesa immensa di colline dolci e smeraldine, le case bianche di calce assolate e abbacinanti, la risacca del mare all’ombra di un palmizio, le sterminate pianure bionde di granoturco,  lo sciabordio dell’acqua che scivola sulle pietre nude, l’abbraccio di un amico, un amico vero, la sua stretta di mano, forte, decisa, le lacrime che rigano le nostre gote, il nostro “arrivederci”, senza dire una parola perché non ci sono più parole, c’è solo il silenzio che va oltre le parole.
Questo vorrei dirti, ora che ci dobbiamo lasciare, ma queste cose tu le conosci già, e allora le scrivo perché servano a me da monito e da speranza, a me che rimango qui, un po’ più solo e un po’ più triste, a me che continuo ad alzarmi la mattina presto per tirare aventi una giornata stupida e priva di significato, fino alla sera, la sera che tengo tutta per me, l’unico angolo dove nessuno può entrare, l’angolo dei sentimenti soffusi ed impalpabili, delicati ed indicibili, delle emozioni sincere e delle percezioni più sottili, quando scrivere è facile come respirare. In questo momento, questo preciso momento in cui scrivo queste righe il mio spirito vola accanto al tuo, ti sussurra piano un arrivederci, ti abbraccia forte un ultima volta, ti affida una parte importante della mia anima, non la dimenticare, portala sempre con te, come io porterò sempre con me il tuo ricordo. Ti guardo ancora una volta, adesso che la vita non ti ha ancora abbandonato, ti guardo e questo sguardo è l’ultima cosa che vedo e che trattengo prima che la vita del giorno si spenga anche dentro di me.

A Claudio un arrivederci nei Campi Elisi, certo che sarà presto tra le braccia del Padre.

mercoledì 22 giugno 2011

CRISI: SIAMO ENTRATI NELLA FASE 2

Inutile tergiversare: sebbene il Parlamento greco abbia per un soffio concesso la fiducia al governo del premier del Pasok Papandreou, il paese ellenico è tecnicamente fallito. Il suo rating sta per raggiungere l’ultimo gradino possibile, quello DDD, crack, fallimento, default. Gli aiuti che il fondo salva stati europeo concederà ancora, col contagocce, a partire da luglio, si configura come un accanimento terapeutico. Tutto il mondo finanziario sa benissimo che non esiste una cifra per salvare una situazione ormai al tracollo. Ha ragione Draghi nel voler, a tutti i costi, continuare a dare ossigeno ad Atene, spostando in avanti il pauroso debito del paese, non perché non sappia che non servirà ad evitare l’inevitabile, ma perché avere nella casa europea un paese in preda ad una guerra civile non è una prospettiva alettante. Tutti gli analisti concordano che la Grecia è condannata,prima o poi, ad uscire dalla moneta unica, a tornare alla dracma, a scivolare nell’imbarbarimento della povertà. Ma l’effetto contagio coinvolgerebbe Portogallo, Irlanda, Spagna, Belgio e, ahimè, Italia. In pratica, sarebbe la fine dell’Unione Europea. Una unione fondata solo sulla moneta unica, senza collante politico, rissosa, divisa su tutto, composta di paesi prontissimi a curare il proprio orticello e a sbranare chiunque cerchi di attentare ai piccoli, miseri, illusori privilegi conquistati. Il fatto di non essersi dati una costituzione, di non avere mai realizzato una federazione politica di stati, l’avere messo in piedi una istituzione come il Parlamento Europeo, poco più che simbolica, alla lunga, ha mostrato la corda. Il trionfo degli egoismi nazionali ci ha condotto dritti dritti verso la fase 2 della crisi: dopo la prima fase, inaugurata dal fallimento della “Lehman Brothers” e dai mutui subprime americani, nel 2008, abbiamo appena fatto ingresso nella seconda fase, se fosse possibile ancor più negativa: il fallimento di una nazione intera, la Grecia. La crisi economica ha fatto così una salto di qualità, pieno di incognite e di rischi. L’Italia cercherà di fare quello che ci è stato richiesto, la manovra da 40 miliardi in tre anni sarà varata, l’età pensionabile sarà portata prima a 67 anni, poi a 69. Ma non servirà. Nulla di questo genere potrà condurre a qualcosa di utile. Si taglieranno altre voci di spesa: l’istruzione, con la mancata assunzione di un numero sterminato di precari, con la chiusura degli Uffici Scolastici Provinciali (ex Provveditorati agli Studi), saranno introdotti nuovi ticket per la sanità, si chiuderanno altri ospedali, il welfare andrà a farsi benedire. E’ difficile conciliare risparmio di spesa e incentivi alla crescita economica, ci vorrebbe il mago Silvan e Tremonti non gli somiglia neanche un po’. Questa è roba da statisti, statisti veri, di grande statura intellettuale e di grande spessore professionale, merce rarissima nel nostro panorama politico. L’ impresa dalla politica non può e non deve aspettarsi nulla, non ci sono idee, non ci sono uomini in grado di fare riforme adeguate. Un paese che aumenta la pressione fiscale, introduce tassazioni su titoli di stato e rendite finanziarie, taglia anche dove non è più possibile tagliare, senza che a tutto ciò non corrisponda una reale crescita economica, è un paese destinato a fallire. Ma il pericolo che ci troveremo sul cammino non sarà quello di un fallimento dell’Italia, come paventato dai nostri politici incolti, è semmai l’effetto contagio che, coinvolgendo mezza Europa, decreterà la fine dell’Unione e l’estinzione dell’euro quale moneta unica. E’ ovvio per tutti che se il contagio default arrivasse all’Italia vorrebbe dire che l’intera architrave europea sarebbe già crollata. Il ritorno alla valuta nazionale, la nostra povera liretta, sarebbe talmente drammatico, da sconvolgere il paese dalle sue fondamenta. Il tasso di conversione aumenterebbe di un 50%, un euro per 4.000 lire, una spirale inflattiva alle stelle, la perdita drastica del potere di acquisto dei salari, l’insolvibilità delle banche, non più in grado di restituire i denari agli investitori, piccoli o grandi che siano, la speculazione internazionale sui mercati delle valute farebbe il resto. Una rivoluzione, gli spari per le strade, le guerra per bande, sarebbero alle porte. La fase 2 della crisi consiste, come abbiamo detto, nel fallimento dei primi paesi, Grecia in testa. Se dovesse verificarsi quello che paventano i mercati, vale a dire l’effetto domino, il nostro sangue freddo potrebbe smarrirsi.
Aveva sbagliato il comunismo, nell’idea un po’ assurda di livellare gli uomini appiattendoli verso l basso, non premiando capacità e talento, formando una classe, la nomenclatura, di privilegiati. Ha sbagliato il capitalismo nel porre all’apice dei propri valori il solo profitto. Ora è chiaro a tutti che un siffatto sistema socioeconomico può solo condurre alle distorsioni implosive che lo hanno fatto accartocciare su se stesso, portando il mondo intero al fallimento. La mia generazione non vivrà a sufficienza per assistere al cambiamento, al passaggio da un sistema all’altro. Peccato. La lunghissima agonia del capitalismo lascerà una moltitudine di vittime sul ciglio della strada, ma è così, e non possiamo farci niente. Sbagliava il marxismo, d’accordo, ma il suo sistema opposto, fondato sull’egoismo e sull’individualismo, ci ha condotto a questo punto, il punto in cui un pugno di sciacalli, giocando con la finanza hanno aperto le danze della crisi. Non si gioca con la finanza come al Monopoli, dietro alla finanza ci deve essere sempre l’economia, cioè il lavoro, e il lavoro, checché ne dica Brunetta, va rispettato. Uno dei rimpianti più grandi che ci sentiamo di esprimere è quello di non avere la possibilità di assicurare alle patrie galere i responsabili di tutto ciò. Queste persone esistono, hanno un nome ed un cognome, sono esseri umani come noi, ma vivono in qualche paradiso fiscale, totalmente impuniti.
E’ difficile trovare qualche motivo di conforto: una volta entrati nella fase 2 i margini di correzione dei conti diventano molto più difficili. Ci vorrebbe Keynes, ma di economisti di questa stoffa, in giro, non ce ne sono più. Noi abbiamo Brunetta. Non è molto. Possiamo confidare in Mario Draghi, che, a capo della BCE, con la sua saggezza e la sua lungimiranza, potrebbe pilotarci fuori dalle secche di una eventuale fase 3, che corrisponderebbe all’estinzione dell’euro. Se per disgrazia dovessimo entrare in questo stadio ulteriore, neppure Berlusconi,con le sue pozioni magiche, potrebbe impedire il declino inesorabile, la lenta discesa agli inferi della miseria, la lunga agonia della povertà.
 
AGGIORNAMENTO
Mi corre l’obbligo di aggiungere un ultimo, doloroso, aggiornamento: l’agenzia internazionale di rating “Moody’s” ha messo sotto osservazione, in previsione di un downgrade, sedici istituti bancari italiani e ha rivisto l’outlook da stabile a negativo di altre tredici banche. Le banche i cui rating a lungo termine sono stati messi sotto osservazione sono Intesa Sanpaolo (con le controllate Banca Imi e CariFirenze), Mps (Siena e la controllata Mps Capital Services), Cassa Depositi e Prestiti, Banco Popolare, Bnl, Cariparma e Friuladria, Banca Carige, Banca Sella, Cassa di Risparmio di Bolzano, Cassa di Risparmio di Cesena, Banca Padovana Credito Cooperativo, Cassa Centrale Banca, Cassa Centrale Raiffeisen e l'Istituto Servizi Mercato Agroalimentare. Per alcune di queste (tra cui Mps, Banco Popolare e Carige) sono finiti sotto osservazione anche i rating a breve. Le 13 banche italiane il cui outlook è stato rivisto a negativo sono invece Ubi Banca, Credem, Credito Valtellinese, Bancaperta, Banca delle Marche, Italease Banca Agrileasing, Banca Popolare Alto Adige, BancApulia, Banca Popolare di Cividale, Banca Tercas, Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti e la Banca Popolare di Spoleto. Alcune banche, come Unicredit e la Popolare di Milano, non sono state oggetto di provvedimenti perché hanno già prospettive negative sui rating. Questo per una duplice ragione: la relazione tra debito sovrano di una stato e i suoi istituti di credito è sempre più stretta, si tratta di una fitta rete di interconnessioni; in secondo luogo alcuni gruppi detengono nelle loro casse titoli greci e soprattutto un numero ancora imprecisato di derivati, i titoli spazzatura, praticamente inesigibili che, provocando una sofferenza, devono essere portati in perdita.  Qualcuno potrà obiettare: “ma ci sono praticamente tutti i maggiori gruppi italiani!”, e invece non è proprio così. Se è vero che sono coinvolte nell’osservazione banche come Unicrediti e Intesa San Paolo, è pur vero che, per esempio, non compare la Popolare di Novara. Perché? Probabilmente perché i suoi conti sono più in ordine, o i suoi dirigenti hanno attuato politiche di investimento più oculate. Spicca, purtroppo per i genovesi, la doppia presenza nelle “blacklist” del gruppo Carige, presente nell’osservazione a lungo termine, ma anche in quella a breve, con MPS e Banco Popolare. Non solo: Carige, con MPS e Banco Popolare sarà oggetto di osservazione anche per i programmi relativi ai "covered bond". La lista è completa. La Carige, un istituto quasi mitico per la sua solidità, finisce in una tripla osservazione, prova che il crollo delle certezze è davvero completo.
Lo spread tra titoli di stato italiani e bund tedeschi è schizzato a 208 punti, record assoluto. E il trend è negativo, nel senso che con il paese nel mirino delle agenzie di rating, non può che incrementarsi. Le ultime stime della crescita italiana sono allo 0,6%, vale a dire nulla, lo zero assoluto. Anzi, dal momento che sono arrotondare per eccesso, possiamo dire con buona approssimazione che l’Italia è in recessione. A completamento del quadro disastroso, l’affermazione di Bernanke, il numero uno della FED americana: “La Grecia minaccia l’economia del mondo”. Non è una sparata o una affermazione peregrina. La fonte è una delle più autorevoli del pianeta, peccato che si sia limitato alla diagnosi e non accenni alla terapia. L’affermazione di Berrnanke è posteriore alla pubblicazione del presente post: è una sostanziale conferma di quanto su esposto.
Riepilogando: la fase uno della crisi è stata scatenata dal fallimenti di alcune banche americane che concedevano mutui a famiglie non in grado di fronteggiarli: questo sistema, alla lunga, ha portato all’esplosione della “bolla immobiliare”americana. Il contagio con l’Europa è stato quasi immediato: i nodi hanno cominciato a venire al pettine. L’Irlanda, un paese che non possiede altro che verdi colline, brughiere e torbiere, ha giocato con la finanza creativa, producendo il collasso delle sue banche anzitutto, e dello stato in secondo luogo. I paesi periferici dell’Europa, Portogallo e Grecia, hanno fatto i conti, il primo con una struttura obsoleta e vecchi criteri di amministrazione, la seconda con una gestione delle risorse dissennata, condotta fino al suicidio in cambio del consenso politico. Sono trascorsi tre anni, tra alti e bassi, alternando periodi in cui le cose parevano andare meglio e altri in cui la fine sembrava più vicina. L’assoluta assenza di una qualsiasi politica comune da parte di tutti i paesi occidentali ha provocato l’effetto domino. Il contagio, dalla Grecia si è sviluppato a Portogallo, Irlanda, Spagna, Belgio e Italia. Eppure, nonostante i plurimi avvisi dei mercati e delle borse, questi paesi, in primo luogo l’Italia, si limitavano ad aspettare che passasse la nottata, a galleggiare sulla crisi confidando nella buona sorte, sprecando mesi ed anni in case di Montecarlo e lodi Alfano. La mancanza di una unione politica ha fatto il resto: ogni paese va per i fatti propri sperando di fare fesso quello che gli sta accanto, senza capire che da soli non si arriva da nessuna parte. La competizione con le nazioni asiatiche e del sud America è insostenibile: possiamo noi retribuire un operaio con una ciotola di riso come in Bangladesh? La deindustrializzazione doveva costringere un paese come il nostro ad attivarsi per sviluppare economicamente l’unica risorsa che possiede: i beni culturali. E invece niente: lasciamo marcire Pompei ed Ercolano, il Cavaliere Nero designa ministro del Turismo una soubrette come la Brambilla. Siamo alle comiche. Gli altri paesi europei non fanno molto meglio (ma sempre meglio), l’Europa non riesce a sviluppare gli anticorpi per reagire alla crisi che si avvelena sempre di più, e si nutre di contenuti nuovi. Dopo la prima fase, durata tre anni , tre lunghi anni in cui si doveva arrivare ad un governo europeo di larghe intese, ad una politica ed una economia pianificate ed unificate, siamo viceversa passati alla fase due, quella del fallimento delle nazioni. La frase di Bernanke va presa quasi alla lettera: la Grecia, fallita e tenuta artificialmente in vita, diventa la causa del contagio di altri paesi, tra cui l’Italia. Possiamo varare una manovra da 40, 50 ,80 miliardi, non servirebbe. I tagli alla spesa pubblica, le pensioni a 67 anni e stupidaggini del genere non servono a risollevare le sorti di un paese che se non cresce economicamente non può evitare la caduta. La fase tre consiste nel collasso del sistema finanziario internazionale: per l'Europa significherebbe l'estinzione dell'Euro, l’uscita dalla moneta unica da parte di tutti i paesi europei. Ognun per sé, con le proprie valute nazionali, correndo a viso aperto e col sorriso sulle labbra verso il baratro della povertà.
La divisione in tre fasi della crisi è una mia illazione, ma, ritengo, molto vicina alla realtà. L’unica, evidente, incertezza, è costituita dai tempi di questi passaggi. Potrebbero essere anche lunghi, di una decina d’anni, ma, considerata la brusca accelerazione di questi ultimi giorni, è facile immaginare tempi molto più brevi. E’ impossibile, in questo momento, dare consigli. Correre in banca a vendere i propri titoli (come stanno facendo molti di noi) non serve che ad alimentare una spirale che si avvita su se stessa. Si svendono titoli agli speculatori, trovandosi comunque, nel caso di fine dell’euro, con un pugno di mosche. Ancora una volta, la prudenza è probabilmente la strada migliore. Niente panico, attendere alla finestra, magari spostando qualcosa del proprio portafoglio, ma evitando di svendere bond il cui ricavato finirebbe, letteralmente, sotto un materasso pieno di tarli. Le crisi, soprattutto questa, sono cose serie, e vanno affrontate da persone serie, non dai dilettanti della politica che si trovano, Dio solo sa come, a governare questo paese.

giovedì 16 giugno 2011

PROFONDO ROSSO

Le notizie che giungono da Atene, in questi ultimi giorni, sono a dir poco disastrose. L’ennesimo declassamento del paese, l’ultimo possibile, a questo punto, arriva da Standard & Poors con una tripla C, vale a dire default, bancarotta, crack. La Grecia è tecnicamente fallita, e ogni tentativo di salvarla risulterebbe vano. Ma, come osserva giustamente Mario Draghi, il tentativo di salvataggio del paese ellenico costituirebbe il minore dei mali. Vediamo perché. Il fallimento della Grecia comporterebbe come prima conseguenza la ristrutturazione del debito, che significa il coinvolgimento pieno e totale dei privati al fallimento statale. I titoli di stato greci non potrebbero essere rimborsati alla scadenza per assoluta mancanza di liquidità, gli stipendi statali non sarebbero più garantiti, l’uscita dall’euro sarebbe inevitabile. Ma il ritorno alla dracma significherebbe una svalutazione consistente della moneta nazionale, una inflazione esponenziale, la perdita totale del potere di acquisto dei salari. Gli speculatori internazionali interverrebbero sulla valuta greca, contribuendo ad indebolirla ancora di più. Quando le banche non sono più in grado di restituire agli investitori e ai risparmiatori i denari investiti, allora il quadro si complica, trasformando la conflittualità sociale in guerra civile. Il ritorno alla barbarie sarebbe garantito. Siamo sicuri che un quadro simile sia accettabile dentro la casa europea? E poi, di seguito, la contaminazione dei paesi a rischio, come Irlanda, Portogallo, Spagna, Belgio e Italia. Il vento della speculazione avrebbe buon gioco, e metà Europa si troverebbe,nel medio termine, nelle stesse condizioni della Grecia. Senza contare che le casse della BCE sono colme di titoli greci praticamente privi di valore, e i principali paesi europei (come Francia e Germania) sono fortemente esposti nel paese ellenico. Il quadro è completo. Ecco perché Mario Draghi, perfettamente conscio che aiutare la Grecia con il contagocce, centellinando gli aiuti in diverse tranches di svariati milioni di euro, serve solo a rimandare quello che è ormai inevitabile, è altresì convinto che, al momento,  non è possibile individuare una strategia migliore. Una doverosa precisazione, come ci fa notare il Prof. Luigi Spaventa, è dovuta all’attuale leader greco Papandreou, del Pasok, non responsabile delle malefatte del governo conservatore che lo ha preceduto, arrivato al punto di nascondere il disavanzo dei conti pubblici greci, abbassandolo di almeno due terzi. Un paese privo di struttura industriale, con una pubblica amministrazione pletorica ed assistenziale, una previdenza arrivata alla follia di mandare le persone in pensione a 53 anni, una gestione dei contributi europei quantomeno “superficiale”, per non dire di peggio. Il povero Papandreou si trova crocefisso per i madornali errori di chi lo ha preceduto, ma questo non basta ad assolvere una classe politica, strano a dirsi, più inetta e corrotta della nostra. Ma, nonostante questo, salvare Atene, oggi, significa salvare anche l’Euro, e l’intera Unione Europea. Con l’uscita della Grecia dall’eurozona, il default si allargherebbe prima ai paesi periferici, poi a quelli centrali, causando, di fatto, l’estinzione della moneta unica, e la fine dell’Unione Europea. Per noi, tornare alla lira non significherebbe, come qualcuno pensa, un passo in avanti. La conversione dall’euro alla lira non sarebbe affatto quella del 2002, 1936,27 lire per un euro, ma sarebbe almeno raddoppiata. Un caffè ci verrebbe a costare 4.000 lire. La svalutazione dei nostri risparmi potrebbe sfiorare il 50%, e la spirale inflattiva ci strangolerebbe. La nostra povera, indifesa moneta sarebbe facile preda degli speculatori, e, in breve, ci troveremmo anche noi nella condizione di non avere stipendi garantiti, e qualora lo fossero, con una perdita netta del potere di acquisto. Un paese intero che si impoverisce e si imbarbarisce. Niente welfare, niente ammortizzatori, solo miseria e conflittualità. Ecco perché se Atene piange, Roma non ride. Per questo, saggiamente, Draghi sta facendo il possibile per impedire, almeno per adesso, un default del paese greco. E intanto la BCE ci chiede di precisare meglio la strategia di rientro dei conti pubblici nel biennio 2013 e 2014, e ce la richiede semplicemente perché non esiste. La ragione fondamentale del declassamento dell’outlook di Standard & Poors nei nostri confronti, è quella dell’instabilità politica o meglio dello stallo in cui versa il nostro mondo politico. Esattamente quello che si sta verificando in questi mesi. Poi, a rincarare la dose, lo spread tra i titoli di stato italiani e i bund tedeschi è schizzato dai 170 punti di pochi giorni fa a 200 punti, altro pessimo segnale. Se qualcosa non cambia, e non cambia in fretta, rischiamo di avvitarci nella spirale nella quale si sono strangolati paesi come Irlanda e Portogallo. Data la criticità della situazione, al punto in cui siamo arrivati, un cambio della guardia potrebbe rivelarsi salutare, ed offrire ai mercati un segnale tutto sommato positivo. E’ vero che non esiste un Tremonti di sinistra, e che questo costituisce la maggiore fonte di perplessità per un gran numero di italiani che teme che la scomparsa del ministro dell’economia dalla scena politica potrebbe creare un vuoto incolmabile, ma dobbiamo ricordarci che Tremonti, per quanto si sia dimostrato un ministro decoroso, ha fallito in almeno un paio di circostanze. Intanto un peccato di omissione, nel non fare nulla e nello stare semplicemente a guardare in troppe occasioni, per paura di sbagliare, per eccesso di prudenza, d’accordo, ma non era il comportamento migliore. La seconda consiste nell’ aver fatto poco o nulla per stimolare lo sviluppo economico del nostro paese. Limitarsi a tenere a bada i conti pubblici lo fa assomigliare, più che ad un ministro delle finanze, ad un curatore fallimentare. Per questi motivi, un passaggio parlamentare che penalizzasse il Cavaliere ed aprisse una crisi di governo cui facessi seguito un governo tecnico per fare le riforme, sarebbe tutto considerato auspicabile. Il Cavaliere è troppo stanco, troppo invischiato nella parte del personaggio che lui stesso ha scelto di recitare e che ha trascinato nel ridicolo il nostro paese per seguitare a governare. Le Lega comincia a sviluppare un nervosismo che potrebbe trasformarsi in aperto contrasto, i cosiddetti “responsabili” cominciano a vacillare, indecisi nella scelta del carro sul quale salire. Vedremo cosa accadrà nella verifica del 22 giugno. Ma ricordiamoci tutti che, al punto in cui ci troviamo, una crisi di governo non sarebbe il male maggiore. La nostra economia, la nostra finanza, condizionate entrambe dalla situazione greca, da quella internazionale dei mercati e delle borse, da una politica vittima di una paralisi ormai insopportabile, non possono reggere ancora a lungo. Le agenzie di rating, che ci hanno misteriosamente graziato fino ad oggi, domani potrebbero declassarci a livello di paesi come il Portogallo. Qui bisogna agire presto, subito, non c’è più tempo. Il primo passo da fare è rispondere a quanto richiestoci dalla BCE, fornendo un piano credibile di risanamento per il bienni 2013 – 2014. Ma con i fantasmi che si aggirano per i corridoi di Palazzo Chigi, la vedo piuttosto dura. Ad oggi, il rischio maggiore che ci troviamo ad affrontare non è tanto un default dell’Italia (se l’Italia fallisse vorrebbe dire che l’Europa è già crollata), il rischio fondamentale è quello dell’estinzione dell’euro. Senza moneta unica, senza questo indispensabile scudo contro la concorrenza dei paesi emergenti, contro la speculazione degli sciacalli internazionali, contro la svalutazione e l’inflazione, il nostro paese porterebbe indietro l’orologio della storia, lo porterebbe al periodo tra le due guerre, dal 1918 al 1922, anno dell’avvento del fascismo, la nostra situazione potrebbe paragonarsi solo a quella della Repubblica di Weimar, la cui crisi politica ed economica fu di una tale gravità da spianare la strada al buio del medioevo nazista.

mercoledì 15 giugno 2011

NIENTE DI PERSONALE

Mi dispiace dire: “l’avevo detto”, “lo sapevo”, ricorda un po’ il grillo parlante di Pinocchio. Ma davanti all’inqualificabile comportamento del signor B. tenuto a margine di un convegno sul tema “l’innovazione nella P.A.”, un tema inesistente, considerato che, come ho più volte ripetuto, nessuna delle iniziative promosse da questo signore è andata in porto, ha trovato una conclusione, è difficile non scrivere un breve commento. L’intervento della rappresentante della rete dei precari delle P.A. poteva essere una occasione da non sprecare per parlare finalmente di qualcosa di vero, di concreto, di tangibile. Il signor B. continua a tenere conferenze sul nulla: il rinnovo delle carte d’identità non riconosciuto dal resto dell’Europa, la PEC mai decollata, il telelavoro per i malati di cancro per farli sentire ancora utili alla Pubblica amministrazione e non cittadini da rottamare, il numero di telefono unico per la P.A. che non funziona o se funziona fornisce indicazioni sbagliate, la decurtazione dello stipendio a motivo della salute, che invece di produrre una flessione delle assenze per malattia ha generato un incremento di tali assenze, e via discorrendo. Confrontarsi con i precari, finalmente, poteva essere una imperdibile occasione per affrontare, dopo tante chiacchiere e propaganda personale pagata da noi contribuenti, una serie di argomenti che attengono alla realtà quotidiana, alla vita di tutti i giorni. Ma lui, che vive nel mondo irreale della politica di casa nostra, l’unico ambito per il quale la manovra annunciata da Tremonti da 40 miliardi in tre anni, non prevede alcun taglio, ha preferito scappare, digrignando i denti. Eh già: per i politicanti di casa nostra i tagli orizzontali non valgono, possono affondare istruzione e sanità, possiamo portare l’età pensionabile a 67 anni, va bene, ma loro, i rappresentanti del popolo, non vogliono e non possono, sebbene a malincuore, rinunciare a laute prebende e ricchi emolumenti. Dispiace, dicevo, sottolineare che avevo ragione, eppure è così. Dall’apertura del presente blog vado ripetendo quello che è sotto gli occhi di tutti: si tratta di un signore frustrato, che presenta un evidente disagio esistenziale, non adatto alla politica perchè inadatto alla mediazione e al dialogo. Un botolo ringhioso, un “energumeno tascabile” come lo ha definito D’Alema. La domanda che ci poniamo ancora una volta è sempre la stessa: possibile che il Cavaliere Nero non abbia colto una realtà così evidente anche per un dilettante della politica? I suoi sgherri si chiamano Belpietro e Sallusti, ma quelli sono giornalisti, sono titolati ad insultare quotidianamente il buon senso degli italiani, un politico, per lo più ministro non può permettersi simili atteggiamenti: per il semplice fatto che deve rispondere delle sue azioni non solo ai suoi elettori, ma all’intera nazione, che lo ha collocato su quello scranno per produrre, per concorrere alla crescita e allo sviluppo del paese, non per insultare chi un futuro non lo vede o non lo possiede, chi è stato sfruttato e buttato via. In cosa consiste essere un politico? Appartenere ad una casta, ad una consorteria, ad una cosca, ad una loggia, magari la P4? Che cosa vuol dire essere al servizio del paese? Una persona che si porta addosso dei complessi irrisolti, che non sa relazionarsi con gli altri, che parla di riforme a costo zero, quando sappiamo benissimo tutti che non si possono attuare riforme prive di costi…  Per quanto dovremo ancora sopportare l’intollerabile presenza di costui? Che cosa ci serve ancora per ottenere l’unico atto possibile da parte di un politicante che non ha azzeccato una sola delle sue scelte, le sue dimissioni? Queste cose le vado dicendo, come sa chi segue il mio blog, da circa un anno, per il semplice fatto che basta una superficiale analisi del personaggio per comprendere fino a che punto sia inadatto al ruolo che ricopre.  Per carità, sia chiaro, niente di personale, per dirla con Antonello Piroso, brillante giornalista di “la 7”. Non si contesta l’uomo, che merita, da buoni cristiani quali siamo, tutta la nostra compassione e la nostra “pietas”, si mette in discussione il suo ruolo politico, pericoloso perché inesistente, dannoso perché ha generato solo conflittualità sociale, destabilizzazione del precariato, contestazioni, rigetto per la politica, sfiducia e scoramento. Sono tanti e tali i danni prodotti da quest’uomo, secondo solo al Cavaliere in fatto di disastri, che l’unico auspicio che ci sentiamo di formulare è che il vento del nuovo, spirato dalle amministrative e dai referendum, presto, lo spazzi via.