giovedì 31 maggio 2012

COLPO DI GENIO DEL GOVERNO MONTI: LA TASSA SULLE DISGRAZIE


Siamo tutti costernati, come è ovvio, per i ripetuti terremoti emiliani, chiunque non può rimanere insensibile di fronte a chi ha perduto casa e magari lavoro. Senza contare la tragedia delle vittime. Tutte le compagnie telefoniche e gli istituti di credito invitano la cittadinanza ad effettuare donazioni a favore di quelle sventurate popolazioni. Fin qui tutto normale. Di totalmente anormale, e anzi, di stomachevole, c'è la trovata del governo Monti per fornire le risorse necessarie per una prima fase della ricostruzione: la tassa sulla disgrazia. Ci rendiamo perfettamente conto che di questi tempi reperire i fondi necessari non è impresa da poco, ma ci dobbiamo mettere in testa una volta per tutte, soprattutto i Soloni che ci governano, che le risorse vanno attinte dove sono, non altrove. Ora, se non vado errato, le risorse maggiori sono nelle mani dei non pochi ricchi di questo paese, di coloro che non lavorano, che vivono di rendita, che se ne fregano di tutto e di tutti. La trovata ridicola se non fosse disgustosa del governo Monti è quella di alzare le accise sulla benzina: in questo modo, con una delle ennesime imposte indirette si finanziano i luoghi terremotati. Si chiama tecnicamente “tassa di scopo”. Solo che a pagare è sempre Pantalone, cioè noi, quelli che se ne stanno in panciolle sul loro panfili del rincaro della benzina se ne strafregano. E poi, se noi cittadini comuni siamo obbligati, con la benzina più cara, a finanziare le ricostruzione delle zone terremotate, perchè domandarci donazioni che già avvengono forzatamente? Se il bilancio del nostro Tesoro è messo così male da non aver accantonato una consistente somma a disposizione delle eventuali catastrofi naturali, sempre in agguato per qualsiasi paese, allora siamo messi veramente male. L'Emilia, grazie a Dio, non è Fukushima, se ci fosse toccato un simile cataclisma saremmo andati in default sicuro. Dobbiamo ricorrere ad una tassa sulle disgrazie? Ma stiamo scherzando? Ma che razza di stato, che razza di politicanti possiede questo infelice paese? Se le casse del Tesoro sono vuote, usciamo in tutta fretta dall'euro, prima che siano gli altri paesi a buttarci fuori. Non abbiamo un fondo per la protezione civile, abbiamo dopo le dimissioni di Berlusconi, uno spread nuovamente intorno ai 500 punti, ma cosa restiamo a fare in Europa, se per un terremoto neppure di proporzioni colossali ci ritroviamo a pagare una tassa sulle disgrazie? “Infelice è quel paese che ha bisogno di un governo tecnico”, potrebbe recitare una massima di scottante attualità. Ci stiamo avvicinando nuovamente alla soglia pericolosa, di non ritorno, degli interessi al 7% da pagare sui titoli di stato, è una soglia che manda in fumo qualsiasi manovra finanziaria. Siamo obbligati, lo sappiamo bene, a farne un'altra, di tagli e nuove imposizioni fiscali entro l'anno, diciamo durante l'estate. Ma perchè abbiamo chiamato una persona come Monti? Solo perchè fa bella figura nel corso dei meeting internazionali e non va con le minorenni? Solo perchè veste elegante, parla diverse lingue, è un buon cristiano e quando pronuncia un discorso sembra che la voce se la faccia venire dalle suole delle scarpe? Non si poteva nominare il rag. Pautasso, che avrebbe fatto lo stesso lavoro con pretese di stipendio più miti del nostro professore? In questo paese il capo della Polizia Manganelli guadagna 600.000 euro l'anno, Obama ne guadagna la metà, 300.000. Persino il garante dell'energia, una figura indistinta della quale non si sentiva la mancanza, guadagna 450.000 euro. E' qualcosa di incredibile. Si deve fare un patrimoniale, devono essere tassati pesantemente le rendite finanziarie improduttive sopra il milione di euro, soldi che non girano e sono utili solo a chi li possiede per comprarsi l'ultimo modello di Ferrari o una villa a picco sul mare. Possibile che una verità così lampante non venga recepita? I boiardi di stato, come i normali cittadini, devono percepire uno stipendio adeguato ma normale, non 600.000 euro, che non è uno stipendio, è un furto al cittadino comune. Se non si tassano i grandi patrimoni, a nulla vale la lotta all'evasione, le multe a chi non emette lo scontrino, le vessazioni continue da parte di Equitalia. Non si aggiusteranno mai i conti, non si perverrà mai al pareggio di bilancio se i cittadini continuano a non pagare le tasse sulla base del loro reddito effettivo. La grande evasione è costituita dal sommerso, è vero, ma una grande parte è quella che si definisce “elusione fiscale”, quella appunto, dei grandi patrimoni finanziari non dichiarati perchè solo parzialmente tassabili. I soldi si prendono dove sono, se non si comprende una realtà così elementare è meglio gettare la spugna e vendere gelati. La mia nausea è tale che mi imbarcherei sulla prima nave che salpa dal mio porto chiedendo solo in seguito, una volta imbarcato: “Dove è diretta questa nave?”

martedì 29 maggio 2012

LA DEMOCRAZIA NON CI SALVERA'


In molti precedenti  post abbiamo posto il quesito se il suffragio universale fosse compatibile con la sanità di bilancio. Il dibattito é stato consistente, anche se forse condotto più su base emotiva che razionale.
                Jean-Claude Trichet, ex Presidente di Bce, in un discorso al Peterson Institute for International Economics di Washington ha riproposto adesso lo stesso problema, anche se a termini rovesciati.
                Sostanzialmente, ha detto che in futuro l’UE non disporrà di budget consistenti e che sarà necessario porre sotto amministrazione controllata i paesi che non fossero in grado di attuare le politiche approvate in sede UE, la quale dovrebbe prendersi così in carico la gestione del bilancio di uno Stato membro, che fosse incapace di mettere in ordine le proprie finanze.
                In altri termini, la sussistenza economica dell’Unione risulterebbe più importante dell’orientamento politico ed economico di uno Stato membro, ancorché tale orientamento fosse stato sancito da un suffragio elettorale.
                Considerazioni.
                Il suffragio universale impone ai candidati la necessità di conquistarsi la maggioranza per poter formare un governo, ed i cittadini votano i candidati i programmi dei quali sono più consoni alle loro esigenze attuali.
                Ciò porta usualmente a due conseguenze. La prima é il frequente riscontro di una consistente parcellizzazione partitica, che rende problematica la formazione del governo, che risulta essere instabile e poco coeso. Quindi, inidoneo nei fatti a gestire la cosa pubblica. La seconda, é la necessità di mantenere le promesse elettorali, almeno parzialmente. Ma quasi invariabilmente tali promesse non sono economicamente realizzabili oppure deteriorano ulteriormente una già precaria situazione.
                Il risultato finale é una ingovernabilità sostanziale che si associa alla necessità di generare elevati deficit e, quindi, debiti sovrani, cui consegue, presto o tardi, il collasso del sistema produttivo.
                Siamo chiari: nessun corpo elettorale eleggerebbe un candidato che avesse come programma di rimettere in ordine i conti, tagliando le spese statali, licenziando buona parte del corpo dei burocrati e dei funzionari delle pubbliche amministrazioni, deregolarizzando nel contempo il comparto produttivo per riallinearlo alle esigenze dei mercati.
                La democrazia é un bene fragile e delicato. Se chi la esercita non lo sa fare con buon senso e moderazione, allora le attese si scontrano con la durezza della realtà, che alla fine le stritola.
                Sotto questa luce la proposta di Trichet trova una sua intrinseca giustificazione.
Giuseppe Sandro Mela per rischiocalcolato 



lunedì 28 maggio 2012

CRONACA DI UN SUICIDIO ANNUNCIATO


«Per due volte, nel XX secolo, la Germania con mezzi militari ha distrutto se stessa e l’ordine europeo. Poi ha convinto l’Occidente di averne tratto le giuste lezioni: solo abbracciando pienamente l’integrazione d’Europa, abbiamo conquistato il consenso alla nostra riunificazione. Sarebbe una tragica ironia se la Germania unita, con mezzi pacifici e le migliori intenzioni, causasse la distruzione dell’ordine europeo una terza volta. Eppure il rischio è proprio questo». Corriere della sera

Sono parole pronunciate dall’ex ministro degli esteri tedesco, Joschka Fischer il quale sceglie parole pesanti come pietre per lanciare un allarme fatto di passione e ragione…
«Mi preoccupa – spiega Fischer – che l’attuale strategia chiaramente non funziona. Va contro la democrazia, come dimostrano i risultati delle elezioni in Grecia, in Francia e anche in Italia. E va contro la realtà: lo sappiamo sin dalla crisi del 1929, dalle politiche deflattive di Herbert Hoover in America e del cancelliere Heinrich Brüning nella Germania di Weimar, che l’austerità in una fase di crisi finanziaria porta solo a una depressione. Sfortunatamente, sembra che i primi a dimenticarlo siamo proprio noi tedeschi. Certo l’economia della Germania è in crescita, ma ciò può cambiare rapidamente, anzi sta già cambiando». L’ex vice-cancelliere del governo rosso-verde invita a non farsi alcuna illusione: l’Europa è oggi sull’orlo di un abisso. «O l’euro cade, torna la renazionalizzazione e l’Unione Europea si disintegra, il che porterebbe a una drammatica crisi economica globale, qualcosa che la nostra generazione non mai vissuto. Oppure gli europei vanno avanti verso l’Unione fiscale e l’Unione politica nell’Eurogruppo. I governi e i popoli degli Stati membri non possono più sopportare il peso dell’austerità senza crescita. E non abbiamo più molto tempo, parlo di settimane, forse di pochi mesi».

Ma non è finita ascoltate cosa ci racconta Fitoussi … «Non c’è da sorprendersi: così come è strutturata oggi, l’Europa è destinata alla paralisi», ha spiegato a Lettera43.it Jean-Paul Fitoussi, economista e docente all’Istituto di studi politici di Parigi e dell’Università Luiss di Roma, nonché membro del consiglio d’analisi economica del governo francese. «Il Trattato di Lisbona prevede che le decisioni siano prese all’unanimità: impossibile. Il risultato è che non vengono mai prese. O che sono talmente addolcite da consegnarci al fallimento».

(...)  i tedeschi non voglio accollarsi il costo del debito degli altri. R. Questa è follia: la Germania ha goduto finora del fatto che gli altri si siano indebitati. D. Come? R. Più gli altri stanno male e devono pagare interessi alti sulle proprie obbligazioni statali, meno paga la Germania, considerata solida. Oltretutto, non è che i tedeschi abbiano poco debito: il loro è pari all’88% della ricchezza nazionale, non hanno niente da pontificare. D. Merkel però è inamovibile. R. Ripeto, la Germania non può dare lezioni. D. Perché? R. Ha giocato sporco: Berlino ha guadagnato perché ha fatto concorrenza fiscale e sociale a quelli che doveva aiutare. D. Cosa intende con concorrenza sociale? R. Semplice: le imprese hanno abbassato i salari e diminuito le tutele sociali. Hanno scelto una ricetta che fa male a tutti: ai lavoratori tedeschi e agli altri Paesi dell’Europa. (…)

Se vogliamo evitare la nascita di un “Quarto Reich” sarà meglio accelerare le procedure di dismissione dell’euro, la messa in disarmo dell’inutilissimo parlamento di Bruxelles, della BCE, filiale della Bundesbank e di tutte quelle istituzioni comunitarie come la Commissione Europea, l’Eurogruppo, l’Ecofin ecc. che non sono altro che costosissimi carrozzoni zeppi di imboscati di lusso, strapagati per fare nulla e decidere nulla. Se ognuno di noi torna alla propria valuta e alla propria banca centrale non saranno rose e fiori, ma lo strapotere della Merkel ci porterebbe comunque diritti verso il disastro. L’obiezione che si fa più spesso, in questi casi, è che la nostra moneta sarebbe troppo debole per attirare investimenti. In altra parole, avremmo forti difficoltà a raccogliere denaro nelle aste internazionali perché considerati pessimi pagatori. E’ vero solo in parte: fuori dal giogo della Germania l’Italia potrebbe ricominciare a crescere e a produrre per esportare, e il debito pubblico potrebbe avviarsi ad un primo contenimento. Non dimentichiamo, inoltre, che con una banca centrale con pieni poteri, potremmo scegliere le politiche monetarie che più si addicono alla nostra nuova situazione. Infine, con uno spread intorno ai 450 punti ormai stabilmente consolidati, siamo costretti a pagare comunque interessi da capogiro, che vanificano qualunque manovra finanziaria fatta di tagli e nuove imposizioni fiscali. Restare nell’euro non ci conviene in nessun caso. Ma non possiamo uscire da soli. Auguriamoci che i burocrati di Bruxelles si accordino (sarebbe la prima volta!) almeno sulla estinzione della moneta. Non ci crediamo molto, sono proprio loro a godere di vertiginose rendite di posizione, sono propri loro a vivere nel mondo dorato dove la crisi non è arrivata, non saranno dunque loro a fare la prima mossa. Tocca ai premier politici europei prendere la decisione. E prima lo faranno meglio sarà.
Da icebergfinanza


venerdì 25 maggio 2012

USCIRE DALL'EURO. TUTTI INSIEME.


Non siamo d'accordo su nulla. Perchè non fare l'unica cosa che condividiamo? Uscire tutti dall'euro ordinatamente, contemporaneamente. Decretare la fine della moneta unica, scegliendo il male minore.

Mi permetto, senza avere la pretesa di essere un profeta, di avanzare una proposta che è anche una previsione. Non è facile fare previsioni di questi tempi. E’ la cosa più difficile di tutte. Tuttavia, mi sento di spingermi a formulare la seguente previsione: tutti i paesi membri usciranno contemporaneamente dall’euro. In sintesi: l’euro si estinguerà in seguito ad una uscita concordata di tutti i paesi membri. Vediamo di mettere a fuoco quello che voglio dire: da cinque anni ci trasciniamo penosamente da un summit all’altro, da un vertice all’altro, senza decidere mai un bel nulla, a parte qualche vaga dichiarazione di intenti. Grazie ai tedeschi non siamo stati neppure capaci di salvare la Grecia quando era possibile farlo con un minimo dispendio economico. Ora l’uscita della Grecia dall’euro (un paese fallito tecnicamente da due-tre anni)viene vissuto come un pericolo incombente sull’economia europea anzitutto e su quella mondiale addirittura. Si menziona l’effetto contagio, la dimostrazione che non esiste una politica comune europea, il collasso delle assicurazioni sui titoli a difficile esigibilità (i famosi CDS) ecc. Ma se è dall’inizio della crisi che non siamo d’accordo su nulla, la Grecia ha perduto la propria sovranità, l’Italia l’ha persa lo scorso agosto in seguito al pizzino giunto dalla BCE, dai vertici di Bruxelles non esce una sola posizione comune, l’unica cosa che siamo stati capaci di fare, perché faceva comodo alla Germania, è stato attuare una politica depressiva di rigore e sacrifici. Per un paese come il nostro, con un rapporto debito/PIL del 120% vuol dire avvitarsi sulle manovre finanziarie senza fine, immiserendosi sempre più. Il fatto che non si possa crescere in presenza di politiche recessive lo capisce anche un perito commerciale, sorprende, semmai, che non lo capisca un banchiere come Monti. Ora, considerando che i paesi in difficoltà, prescindendo dalla Grecia, ormai stracotta, sono, nell’ordine: Portogallo, Spagna, Irlanda, italia, Belgio, e ormai, anche Olanda e Austria, possiamo comprendere che mezza Europa si trova non solo in difficoltà, ma comincia, più o meno surrettiziamente, ad allontanarsi della moneta unica. La disaffezione all’euro è crescente presso tutti gli elettorati d’Europa. Da cinque lunghi anni i vertici e i summit di Bruxelles e Francoforte non decidono nulla, solo rigore dei bilanci e austerità, da cinque anni siamo stanchi di farci governare di fatto dalla cancelliera Merkel, che, fra l’altro, non capisce nulla di economia e finanza e parla solo perché imbeccata dalla vera, tragica eminenza grigia europea, il ministro dell’economia tedesco Schaeuble, un vecchio capitalista fanaticamente liberista, convinto che il capitalismo ne uscirà rigenerato dalle sue stesse ceneri. E invece, il capitalismo è alla fine del suo ciclo storico, le sue contraddizioni lo hanno fatto esplodere, non ha mai maturato gli anticorpi per la sua stessa difesa, e se lasciato a se stesso, produrrà una depressione economica di portata mondiale tale da farci precipitare in un nuovo medioevo cencioso e miserabile. L’euro sta diventando una camicia di forza che costringe paesi con esigenze ed obiettivi diversi a perseguire le mete della sola Germania. Berlino è diventata di fatto la capitale europea, ma gli altri paesi, Olanda compresa, cominciano ad averne le tasche piene dell’immobilismo di Schaeuble. E allora, dal momento che siamo divisi su tutto, non ci accomuna nulla, ognuno tira l’acqua al suo mulino, perché non fare l’unica cosa sulla quale siamo d’accordo? Se abbandoniamo l’euro tutti insieme, contemporaneamente, e soprattutto ordinatamente, l’estinzione della moneta unica potrebbe rivelarsi meno traumatica. Dopo un primo periodo di svalutazione inflattiva, si ricomincerebbe a stampare moneta, ad attuare politiche monetarie più adatte, si ricomincerebbe ad esportare. Il debito, contratto con una moneta forte, una volta estintasi, sarebbe di più facile ridenominazione. Insomma, se si decide, una volta per tutte, che l’esperienza dell’euro è stata un fallimento, perche alla moneta unica non ha fatto seguito neppure l’ombra di una unione politica, e si torna tutti contemporaneamente alle proprie valute, se ne potrebbe uscire limitando gli effetti collaterali. Abbiamo tutti compreso che non si può seguitare così per molto. I grandi fondi di investimento di allontanano dall’eurozona, così come i grandi investitori istituzionali. L’Europa ha perduto ogni forma di credibilità, non per colpa di Berlusconi, ma per colpa di una Merkel che ha fatto l’interesse del suo paese, null’altro. Dell’egemonia tedesca ne abbiamo le tasche piene, e non siamo più i soli. Seguitando di questo passo andremo comunque incontro ad un break up dell’euro, e allora non sarebbe meglio anticipare i tempi, lasciarci da buoni amici, tornare alle nostre valute, e abbandonare i tedeschi al loro destino. Si credevano i padroni del vapore, e finiranno con le esportazioni dimezzate. Monti non ha la mentalità e la forza per fare una simile proposta: auguriamoci che lo facciano gli spagnoli, o gli irlandesi, o i portoghesi. Insomma che qualcuno lanci il sasso nello stagno. Qualcuno, statene certi, lo raccoglierà.

lunedì 21 maggio 2012

UNA VITA VIOLENTA


C'è un sottile filo rosso che sembra collegare avvenimenti non altrimenti correlabili, la catena di suicidi di imprenditori, l'attentato al dirigente dell'Ansaldo Energia, le prime manifestazioni violente davanti a sedi di Equitalia, l'ordigno esploso davanti alla scuola di Brindisi, persino il terremoto emiliano. Non ci sono dei nessi precisi tra un evento e l'altro, tuttavia, lo sentiamo epidermicamente, qualcosa si sta muovendo, non sappiamo bene ancora in quale direzione, ma avvertiamo che qualcosa di muto, scuro, orribile si sta spostando da noi o contro di noi. E' quel lato oscuro di tutte le cose, l'altra faccia della medaglia, il malessere che tutti ci percorre, i demoni che si agitano nel nostro inconscio, l'aggressività per troppo tempo repressa, la pulsione di morte e annientamento che si annida in ognuno di noi, in un angolo nascosto. I Maya non c'entrano, la contrazione economica mondiale, viceversa, c'entra eccome. Sapevamo tutti che prima o poi, la recessione, i licenziamenti, la chiusura delle fabbriche, l'erosione dei risparmi delle famiglie, l'accesso precluso ai mutui, la cattiva politica, avrebbero prodotto delle conseguenze anche sociali, avrebbero causato dei riflessi psicologici in ognuno di noi. Sono passati quasi cinque anni dall'inizio della crisi, cinque lunghi anni, e non solo non è cambiato niente, stiamo anzi entrando nella parte peggiore, quella più acuta, di questa contrazione mondiale che non potrà che durare diversi decenni. Non parliamo dei non pochi stra ricchi che della crisi se ne fregano e continuano a veleggiare sui loro panfili, ma della maggioranza della popolazione che, ciascuno a suo modo, sulla base della sua vita precedente, si trova ad affrontare un quadro del tutto inusitato per il nostro mondo, mai conosciuto dal dopoguerra a questa parte: lo spettro della miseria. Miseria in senso anche lato, povertà di mezzi, scarso accesso al credito, rinuncia quotidiana a cose ritenute sino a ieri normali, l'essere soggetto ad un costante bombardamento mediatico fatto ormai solo di notizie negative, siano esse di borsa come di cronaca. Ecco, uno degli aspetti che deprime l'umore, oltre che i consumi, e uno dei tratti distintivi di questi aridi e incapaci tecnici che ci governano, la totale assoluta, assenza di speranza. Fa parte dell'arte politica (del tutto sconosciuta ai nostri politicanti di mestiere, lanzichenecchi che si venderebbero per trenta denari) la tecnica della comunicazione, l'arte del mediare e colloquiare con gli elettori. Un buon politico è colui che non solo sa amministrare la cosa pubblica, ma sa anche infondere speranza, non illusioni, traccia un piano, un programma allo scopo di raggiungere un obiettivo, una meta prefissata. Solo in questo modo l'opinione pubblica accetta sacrifici e privazioni: solo quando ha la sensazione di marciare verso qualcosa, di camminare nella direzione indicata dal premier di turno che porterà ad un miglioramento, ad una crescita, ad una condizione migliore. Quello che i tecnici non sanno e non possono fare è anche questo. Si ha la sensazione di essere soli tra migliaia di persone, di girare a vuoto, senza meta e senza rotta, di procedere da una manovra finanziaria e l'altra, perchè l'obiettivo, anche se sottaciuto, non è lo sviluppo economico e lo sgravio fiscale, ma il pareggio di bilancio, una chimera irragiungibile, che Monti, appartenente alla stessa scuola della Merkel, intende perseguire. E questo è uno dei fondamentali errori di questo governo. Non ci si può trascinare da una manovra all'altra, sempre più immiseriti, sempre più poveri, sempre più scontenti. L'inserimento in Costituzione del pareggio di bilancio è stata la più colossale sciocchezza che questo sciagurato governo ha commesso. Non si mette in Costituzione un'illusione. Non raggiungeremo mai il pareggio, perchè se il denominatore del rapporto debito pubblico/PIL rimane negativo, possiamo fare non una ma venti manovre, il saldo resterà negativo. La crisi si riverbera in ognuno di noi, dicevamo, in maniera diversa, a seconda della nostra natura, dei nostri trascorsi emotivi. C'è chi reagisce con rabbia, aumentando gli sforzi per tirarsi fuori dal pantano e restare a galla, c'è chi si chiude, si ripiega su se stesso, deprimendo sé e la sua famiglia, c'è chi manifesta la violenza latente che alberga in ognuno di noi. I conflitti armati, lo abbiamo ripetuto più volte, si sono trasferiti sul piano dell'economia e della finanza, e l'Italia raramente è uscita vittoriosa da qualche conflitto. Ancora una volta, come una nemesi storica, la Germania ci sta trascinando in questo bagno di sangue, macellando prima la Grecia, cercando adesso di fare la stesa cosa con Portogallo , Spagna e Italia. I tedeschi hanno sempre perduto i conflitti che hanno scatenato, ma prima della sconfitta hanno lasciato parecchie vittime lungo la strada. In definitiva, come largamente preannunciato, siamo entrati a pieno titolo in quella che si definisce “instabilità sociale”, che fino a che si manifesta con qualche sporadico attentato, con qualche azione isolata o qualche colpo di testa è ancora controllabile, quando, se le cose dovessero peggiorare e dovessimo andare incontro ad una “ellennizzazione” potrebbe sfociare in aperti moti rivoluzionari, in guerra civile, qualsiasi forma di controllo risulterebbe assai difficile.
La crisi ha un padre remoto ed uno più vicino a noi. Quello remoto è la finanza creativa degli USA, che concedevano allegramente mutui a messicani che non avevano un soldo, quello più vicino a noi è costituito dal ministro dell'economia tedesco Schaeuble e la cancelliera Merkel. Questa è la terza guerra mondiale che stanno perdendo, trascinando con sé tutta l'Europa. Ci auguriamo ardentemente che la sua posizione diventi minoritaria ed il suo ruolo di dirigente di fatto dell'Unione Europea volga al termine, ma intanto ci siamo rassegnati allo spostamento a Berlino della capitale d'Europa. L'immobilismo della Germania, il suo ostinato dire di no a qualsiasi proposta che non contenga la disciplina di bilancio, l'ossessivo richiamo al rigore e all'austerità hanno portato i paesi economicamente più deboli sull'orlo della depressione economica. Ci vuole slancio, un “new deal”, un “piano Marshall”, serve uno spirito diverso, rivolto tutto alla sviluppo economico e alla creazione di nuovi posti di lavoro, uno spirito fatto di interventi pubblici nell'economia, di nazionalizzazioni se necessario, insomma, l'opposto di quello che sta facendo la cricca di Berlino. Il nostro Monti, per quello che può contare, con i suoi 2.000 miliardi debito pubblico sulle spalle, non sembra aver assunto una posizione netta. Niente di più sbagliato in frangenti come questo. La terza economia dell'Europa deve assumere una posizione decisa, senza se e senza ma. Basta col rigore fino a se stesso, basta con i fiscal compact e le letterine da Berlino. O si emettono eurobond, spalmando il debito su tutti i paesi europei, o si stampa moneta a costo di veder accrescere l'inflazione, oppure, signori cari, vi piaccia o meno, l'Italia esce dall'euro. Al solo sventolio di una simile minaccia, la Merkel e il suo ministro farebbero un passo indietro. Loro sanno bene quello che hanno guadagnato con l'Euro, e sanno altrettanto bene che con il loro marco non andrebbero lontano. L'uscita del nostro paese dall'euro comporterebbe l'immediata esplosione della moneta unica che cesserebbe di esistere. Monti deve abbandonare il suo maledetto aplomb e la sua parlata soporifera: deve battere i pugni sul tavolo, se non è capace di farlo, se ne torni alla sua amata bocconi. Ci troviamo in un passaggio molto delicato, tutti sappiamo bene che non si arriverà mai agli stati uniti d'Europa, ma dobbiamo adottare, se non altro, strategie comuni volte alla crescita, non al rigore.
La violenza può prendere molte forme, può restare dentro di noi, e allora ci distrugge piano piano, può restare nello stretto ambito familiare, e allora diventa il carnefice della famiglia, qualche volta esonda i confini dei propri cari e sfocia in ribellione aperta. Allora tutto è possibile. Come abbiamo visto i conflitti si sono spostati dal piano della guerra guerreggiata, all'economia e ai mercati. Ci siamo dati un fisco che, con il nobile intento di snidare l'evasione fiscale, è diventato cieco, invasivo ed opprimente. Non contro i veri grandi evasori, nei confronti dei quali ci si guarda bene dal fare una patrimoniale, ma nei confronti del bersaglio più facile, più a portata di mano. La tedesca “Bosch” aveva una pendenza con l'Agenzia delle entrate di circa un milione di euro. Ha patteggiato ed ha ottenuto di pagarne solo trecentomila. E gli altri settecentomila? Andati in cavalleria. Con la Bosch si usa il guanto di velluto, con il contribuente italiano si pignora e si sequestra. Non ci lamentiamo se il cittadino sull'orlo del fallimento, invece di suicidarsi si scaglia contro l'Agenzia delle entrate, forte con i deboli e debole con i forti.
Ci stiamo avviando verso una stagione difficile, di forti tensioni e conflittualità sociale. Abbiamo visto chi sono i maggiori responsabili di questo stato di cose e quello che devono fare. Se non lo faranno, ci dobbiamo abituare a sentire, ogni tanto, poi sempre più spesso, degli spari sulla strada. Ciascuno di noi ha una carica di violenza che reprime perchè inquadrato e cresciuto in un consorzio civile, in una collettività organizzata, ma nelle congiunture emergenziali, nelle fasi più acute di una crisi, i confini delle convenzioni sociali si allentano fino a spezzarsi. E allora la violenza che è presente in ciascuno di noi ha libero corso, può individuare un bersaglio purchessia, scelto magari a casaccio, e liberarsi verso questo obiettivo, raggiungendo il duplice scopo di colpire un innocente e distruggere la propria esistenza. Ci riflettano i Soloni che sono al governo, nelle segrete stanze, che ad ogni loro azione corrisponde una reazione eguale e contraria.

giovedì 17 maggio 2012

QUANDO CROLLA IL SENSO DELLO STATO


C'è una campagna, promossa dall'attuale governo di cosiddetti “tecnici”, che sta passando in questi giorni per la TV, uno spot che mostra una donna con un fazzoletto in testa, malata di cancro, che sostiene che, nonostante la sua evidente malasorte, di consolante c'è che il governo italiano le consente delle forme di lavoro alternative, come il passaggio ad un part time o il ricorso al telelavoro. Il tutto condito in una salsa di buoni sentimenti: così il malato di cancro non si sente inutile, può ancora partecipare attivamente alla vita lavorativa, insomma, si deve sentire ancora una persona “normale”. Ecco che cosa accade quando lo Stato ha definitivamente perduto il contatto con i cittadini, con la vita reale. Può sembrare un aspetto marginale, un piccolo particolare trascurabile, ma non lo è. Questa campagna, che fu avviata circa un anno fa per volontà del ministro Brunetta (che ne è il padre, e questo la dice lunga), è stata interrotta e poi ripresa da questa accozzaglia di tecnici che stanno portando il paese alla rovina. Questi cattedratici, abituati a pontificare ai propri allievi, portano il loro paternalistico conforto ai malati di cancro, facendo passare un normalissimo diritto cui possono accedere tutti i cittadini, per un privilegio che spetta ai malati, in virtù della loro stessa condizione. Tutti sappiamo che il part time è possibile in ogni caso, per le motivazioni più svariate: svolgere una seconda attività, accudire i figli piccoli, o semplicemente stare a a casa a grattarsi la pancia. Il part time gentilmente concesso persino ai malati di cancro non si differenzia in nulla da quello normale accessibile a tutti: lavori per metà orario normale, percepisci uno stipendio proporzionale alle ore lavorative. Il fatto che lo spot televisivo lo faccia apparire come un privilegio concesso dal governo ai malati è un fatto, a mio modo di vedere, di una gravità assoluta, è volgare ed offensivo. Sembra che dietro la ripresa dello spot in questione ci sia il ministro Fornero. Ora, se questa signora, Dio non voglia, dovesse incappare in questa malattia, poniamo al fegato, che cosa farebbe, cosa penserebbe? Le reazioni in questo caso sono molto soggettive, ma possiamo immaginare che il suo primo pensiero sarebbe quello di curarsi, di cercare disperatamente di guarire. Al telelavoro o al part time non ci penserebbe proprio , sarebbe anzi l'ultima delle sue preoccupazioni. Se il tipo di tumore che la colpisce è fatale, dopo un calvario più o meno lungo raggiungerebbe la casa del Padre celeste, se, viceversa, fosse di un tipo meno aggressivo e maggiormente curabile, terminata l'operazione e i conseguenti cicli di chemioterapia, probabilmente penserebbe a quello che davvero è importante per un essere umano, per dare senso alla vita: ai propri cari, ai propri affetti più profondi e sinceri, programmerebbe magari quel viaggio che voleva fare da tanto tempo e non ha mai, dati i suoi impegni di lavoro, potuto compiere con la persona che le è più cara. Il lavoro, in questi casi, è l'ultima cosa in ordine di importanza. E' vero che ci sono persone che reagiscono in tutt'altro modo: si gettano a capofitto nei propri compiti, nelle proprie mansioni per non pensare a quello che incombe sul loro capo, ma dobbiamo rispettare necessariamente anche le scelte di coloro che, colpiti da una malattia molto spesso fatale, al lavoro non ci pensano proprio. Ora, il fatto che lo Stato, in questo caso rappresentato da questa banda di “tecnici” faccia passare un atto dovuto per un privilegio concesso in via eccezionale è cosa degna di un personaggio come Brunetta. E' in questo modo che crolla il senso dello Stato, il senso di appartenenza non ad una collettività, ma ad un apparato politico-burocratico che ha completamente perduto il contatto con la realtà, con la gente, con la vita di tutti i giorni. Il ministro Fornero, se colpita da un male simile, andrebbe nel miglior centro di cura esistente al mondo, a New York, sapendo di mettersi nelle mani migliori in assoluto, non andrebbe nell'ospedale dietro l'angolo. E al part time non ci penserebbe neppure. A questo punto lo scollamento non esiste solo con i partiti politici, consorterie buone solo a fare i propri interessi personali, ma con lo Stato in senso tecnico, la macchina burocratica che vessa e dileggia il cittadino con tasse e balzelli di ogni genere, manda cartelle e ingiunzioni di pagamento magari sbagliate, ma intanto il cittadini deve dimostrare l'errore. Lo stato diventa antagonista del contribuente, lo perseguita in ogni piega della sua esistenza, quando dovrebbe essere esattamente il contrario: uno stato moderno dovrebbe essere al servizio del cittadino. Spot volgari e menzogneri come quello citato non fanno che allargare il fossato già esistente tra un apparato pletorico ed inefficiente, cieco e brutale, ed un cittadino sempre più indifeso nei suoi diritti e nella sua dignità.
Abbiamo dunque trovato qualcosa che accomuna Brunetta con la Fornero. Dell'uno non si potrà mai dire male abbastanza: anche le parole sono inadeguate. Dell'altra possiamo dire che una cosa abbiamo capito: è una saccente boriosa che ha fatto un mediocre lavoro di  destrutturazione dello stato sociale. Nella parte demolitiva è stata abilissima, ne conveniamo, chissà se si dimostrerà altrettanto brava in quella costruttiva. Ci permettiamo di dubitarne.

martedì 15 maggio 2012

NEI DATI OGGETTIVI IL FALLIMENTO DEL GOVERNO MONTI

L'effetto Monti è terminato: lo spread non è mai sceso sotto i 400 punti. In Italia non esiste più un governo tecnico. E' diventato politico nel senso più deteriore del termine: si va avanti con le schermaglie tra un partito e l'altro. E l'azione del governo è stata annullata. Paralisi per paralisi, meglio votare al più presto. 


Nel primo trimestre arretra dello 0,8%, record dal 2009.
Il PIL italiano in negativo per il terzo trimestre consecutivo, su base annua il Prodotto scende dell’1,3%. Cresce il valore aggiunto nell’agricoltura, diminuisce quello dell’industria e dei servizi. Crescita zero nell’Eurozona: meglio del previsto….

Il Pil cala ancora, l’Italia è in recessione profonda. Il Prodotto Interno Lordo italiano si è contratto dello 0,8% nel primo trimestre dell’anno rispetto ai tre mesi precedenti e dell’1,3% su base annua, confermando lo stato di recessione dell’economia.
Si tratta del terzo trimestre consecutivo in negativo, dopo il -0,2% del terzo trimestre del 2011 e il -0,7% del quarto. Il risultato congiunturale, sintesi di un aumento del valore aggiunto dell’agricoltura e di una diminuzione di quello dell’industria e dei servizi, è il peggiore dal primo trimestre del 2009, quando si registrò un calo del 3,5% sui tre mesi precedenti.
Il primo trimestre del 2012 ha avuto due giornate lavorative in più rispetto sia al trimestre precedente sia al primo trimestre del 2011. La crescita acquisita per il 2012 è pari a -1,3%.
I dati sull’economia reale, molto più importante della finanza di carta per determinare lo stato di salute di un Paese e di chi lo abita, a partire dall’inizio del 2012 sono tutti negativi.

Gli impatti del governo Monti, in carica da novembre 2011, e della manovra salva-italia, licenziata dal parlamento a dicembre, non sono stati dei migliori.

Ecco i veri risultati della politica “sviluppo-salva-italia” del governo Monti:
- Immatricolazioni Automobili (Gen-Feb. 2012 – a/a): -17,8% (UNRAE)
- Movimenti aerei passeg. e cargo (Gen. 2012 – a/a): -6,5% (ASSOAEROPORTI)
- Richieste Mutui (Gen. 2012 – a/a): -44,0% (EURISC)
- Inflazione (Feb. 2012 – a/a): +3,3% (ISTAT)
- Prezzi alla produzione dei prodotti industriali (Gen. 2012 – a/a): +3,3% (ISTAT)
- Prezzi beni energetici (Feb. 2012 – a/a): +15,6% (ISTAT)
- Consumi petroliferi (Gen-Feb. 2012 – a/a): -8,3% (Destag. -10,0%) (M.SV.EC.)
- Consumi gas (Gen. 2012 – a/a): -4,3% (MIN. SVIL. ECON.)
- Consumi En. Elettrica (Gen-Feb. 2012 – a/a): -0,2% (Destag. -2,0%) (TERNA)
- Produzione Industriale (Gen. 2012 – a/a): -2,1% (Destag. -5,0%) (ISTAT)
- Fatturato industriale (Gen. 2012 – a/a): -1,4% (Destag. -4,4%) (ISTAT)
- Ordinativi dell’industria (Gen. 2012 – a/a): -5,6% (ISTAT)

I dati si riferiscono tutti al rapporto anno su anno, ossia il raffronto tra il periodo analizzato nel 2012 (generalmente gennaio, oppure il bimestre gennaio-febbraio) e il medesimo periodo dell’anno precedente.
EUROZONA, MEGLIO DEL PREVISTO – In linea con le aspettative (o forse anche qualcosa in più) il Pil europeo nel primo trimestre 2012. L’area euro ha fatto registrare ’crescita zero’: secondo la stima preliminare diffusa da Eurostat il Pil totale dell’Unione valutaria non ha mostrato variazioni rispetto ai tre mesi precedenti. Questo significa che l’eurozona ha evitato la recessione tecnica.
Il dato si è rivelato migliore rispetto alle attese: in media gli analisti si attendevano una contrazione dello 0,2 per cento dopo il meno 0,3 per cento subito dal Pil dell’area euro negli ultimi tre mesi del 2011.
Variazione nulla anche nel confronto su base annua. Crescita a zero anche guardando a tutta l’Unione europera a 27 dai tre mesi precedenti, mentre nel confronto annuo il Pil ha segnato un limitato più 0,1 per cento. Il dato generale sembra riflettere una dinamica ben più solida del previsto dal parte della Germania, prima economia dell’area valutaria che nei primi tre mesi dell’anno ha visto il Pil aumentare dello 0,5 per cento dai tre mesi precedenti e dell’1,2 per cento su base annua. La Francia ha invece registrare una crescita a zero dai tre mesi precedenti e un limitato più 0,3 per centro su base annua
Ora non ci resta che aspettare,  François Hollande è il settimo presidente della Repubblica Francese. Il leader socialista ha prestato giuramento e ha dichiarato: “Sono qui per risanare il Paese”. Il neo presidente, nel discorso di investitura, ha detto che proporrà ai partner europei un patto che unisca politiche di crescita e riduzione dei deficit.
Carlo Scalzotto - finanzanostop 





lunedì 14 maggio 2012

SE UN GIORNO LE BRIGATE ROSSE


Dal giorno dell'attentato al dirigente dell'Ansaldo Energia si fa un gran dibattere sul tema di una possibile, probabile futura deriva terroristica nel paese. Non era indispensabile il ferimento di un dirigente d'azienda o qualche molotov lanciata contro le sedi di Equitalia per capire che i tempi sono maturi, siamo arrivati al nodo cruciale, le tensioni sociali in questo come in altri paesi d'Europa, sono arrivate ad un punto prossimo all'esplosione. Non reggono i paragoni con il passato, per diverse ragioni: il terrorismo degli anni settanta era velleitario, autoreferenziale ed “aristocratico”: un pugno di giovanotti, di istruzione medio-alta, avevano deciso di costituire l'avanguardia di un movimento armato che, nei loro deliranti propositi, avrebbe indotto le masse, soprattutto operaie, a seguirli fino all'insurrezione armata contro i poteri dello stato. Era un battaglia perduta in partenza, tutta ideologia post marxista, non prendeva le mosse da bisogni reali, concreti, ma dalla arrogante supponenza di un gruppo di illusi che cercavano un riscatto dalle loro frustrazioni personali riversandole in un movimento di più ampio respiro. La cortina di ferro non era ancora caduta, si vagheggiava di comunismo senza avere ben presente cosa significasse la sua traduzione nella realtà, si cercava un consenso in una società vagheggiata, si lottava contro un nemico immaginario che aveva il volto della Democrazia Cristiana, a quel tempo massima distributrice di ricchezze e prebende ad una popolazione che, con la pancia piena, era poco incline a fare la rivoluzione marxista. Alcuni docenti universitari, Semeria, Fenzi, Toni Negri, Scalzone, Piperno, Vesce, Ferrari Bravo, predicavano la lotta armata ad uno stuolo di studenti politicizzati più per moda che per necessità. I docenti portavano avanti le loro acute analisi per appagare un narcisismo mai domo, gli studenti li seguivano per costituire l'avanguardia di masse inesistenti: loro erano gli “operai sociali”, gli intellettuali, gli altri, i pecoroni che avrebbero dovuto seguirli nel disegno rivoluzionario, erano gli “operai massa”, gli incolti pronti ad obbedire a ventenni con le tasche piene e i cervelli imbottiti di parole d'ordine vuote e prive di significato. Il disegno di allora delle Brigate Rosse era chiaramente elitario e destinato al fallimento sicuro: i componenti stessi del gruppo storico, da Curcio a Franceschini, da Ognibene a Moretti, sapevano perfettamente che sarebbe finita male, ma andarono avanti ugualmente, per quel culto medioevale cavalleresco del “bel gesto”, per quell'istinto di autodistruzione che personalità nichiliste come quelle si portavano cucito addosso, la battaglia ideale contro i mulini a vento, il delirio allucinato dello spargimento di sangue, l'andare incontro, in un crescendo autolesionista, a viso aperto, alla fine sicura, ponendo fine, magari sul campo, ad una vita sbagliata, intessuta di complessi e frustrazioni tutte personali e private, alla ricerca, conscia o meno, della morte eroica sul campo dell'eroe incompreso.
Oggi non è più così. L'eventuale rinascita di una qualsiasi forma di terrorismo avrebbe, in Italia, tutt'altre connotazioni. Questa volta si parte da bisogni reali, drammaticamente concreti: una schiera di persone che hanno perduto il lavoro una volta per tutte, una massa di disoccupati o inoccupati che non cercano più lavoro, lavoratori in nero che percepiscono salari da fame e sono sfruttati e ricattati, pensionati che sono alla miseria, una classe politica indegna di questo nome ancorata unicamente ai propri privilegi, un governo tecnico completamente arenato dai veti incrociati di partiti in disfacimento. Il Ministro Passera, uno dei pochi che ha capito quello che sta per accadere, ha parlato di una media di 6 milioni di persone senza lavoro o sotto occupate: considerando il numero dei familiari di dette persone, arriviamo ad un 50% circa delle famiglie italiane in sofferenza. E il futuro che ci si prospetta non è migliore. Non ha senso che Monti parli di crescita per il 2013: sa perfettamente di mentire. Christine Lagarde ha commentato, parlando dell'Italia, che si potrà, nella migliore delle ipotesi, parlare di crescita e di PIL positivo per l'Italia solo dal 2017 in poi. Abbiamo diversi anni davanti a noi in cui il terrorismo, quello vero non quello dei sognatori come Curcio o la Cagol, avrebbe modo di svilupparsi e organizzarsi. Il disagio sociale fortissimo che tocchiamo con mano tutti i giorni è il brodo di coltura più appropriato per la nascita di una lotta armata. L'inerzia colpevole e suicida delle istituzioni europee è un formidabile incentivo ad agire. Il governo tecnico, intervenuto per interrompere la paralisi politica, è stato solo in grado di accrescere la pressione fiscale, ora sarà solo nelle condizioni di operare tagli alla spesa pubblica, taluni giusti, altri del tutto ingiustificati, con il solo risultato di comprimere ulteriormente una economia già esangue. Tutti sappiamo che ci sarà una ennesima manovra finanziaria entro l'anno, altre imposizioni, altri sacrifici, ma sappiamo altrettanto bene che, a quel punto, la misura sarà colma. Non possiamo accusare solo Mario Monti, per due motivi: il primo è che deve comunque rispondere ad un parlamento, ancor più diviso e rissoso dopo l'esito delle consultazioni amministrative, e, soprattutto, ad una Angela Merkel che è il vero colpevole della situazione prossima al collasso nella quale ci troviamo. Nel capitalismo giunto nella sua ultima fase l'economia e la finanza dominano e annientano l'iniziativa politica, la Merkel, attraverso UE e BCE governa l'Europa senza averne la consacrazione e l'autorità per farlo. La governa solo perchè esponente della nazione economicamente più forte dell'Europa. Monti, da solo, non può sovvertire una realtà consolidata ed agire autonomamente in un mondo dominato dai mercati e dagli speculatori che lo amministrano. Ora, è chiaro che in una situazione come questa, con la sofferenza e la sparizione del ceto medio, il tallone rigorista della Germania sul collo, i mercati e quindi la finanza, gestita da un pugno di milionari americani che domina la scena politica, il malcontento, il disagio, il malessere sociale non possano che sfociare in rabbia aperta. Dapprima la pistola si punta contro se stessi, poi la si rivolge contro qualcun altro, anche se non si sa ancora bene chi: non si può colpire una classe politica che tra l'altro non governa neppure, non si può colpire Mario Monti che, mani e piedi legati non può fare di più, si individua allora un simbolo della arida, cruda realtà dei numeri, il simbolo stesso della imposizione fiscale che ti chiede 100 quando allo Stato devi 20, Equitalia. Si tratta solo di un agente di riscossione e di per sé non è colpevole, ma l'aggio che trattiene (il 9%) è troppo elevato, gli interessi di mora che applica sono da capestro, gli errori che compie sono sempre e solo a danno del contribuente. Questo suscita la rabbia nei cittadini, vessati in mille modi: si può sbagliare, è umano, capita a tutti, ma se l'errore si compie solo in una direzione, sempre a vantaggio dell'amministrazione e mai del contribuente, allora sorge il legittimo dubbio della premeditazione. Pur sbagliando Equitalia procede con i suoi pignoramenti e sequestri, al malcapitato spetta l'onere della prova. Come dire cornuti e mazziati. Equitalia non è, ovviamente, il male assoluto, anche se va profondamente riformata, è solo un bersaglio ben definito, chiaro e comprensibile a tutti.
Mi si dirà: ma in Italia non esistono formazioni politiche di estrema destra o sinistra. E' vero, la particolarità del nostro paese è quella di aver assorbito l'estremismo di sinistra nella formazione composita di Vendola (la SEL) e l'estremismo di destra si è dissolto con il totale fallimento di “Forza Nuova”, ormai praticamente inesistente. Ma a tutto questo si può opporre l'obiezione che in questo caso non è l'estrazione ideologica a fare la differenza. Nessuno pensa di edificare una società né socialista né tanto meno fascista, il bisogno di veicolare all'esterno la propria rabbia, il proprio senso di impotenza, la negazione del proprio futuro non hanno colore politico. C'è un numero sempre più elevato di cittadini che, se posti nella condizione e nell'opportunità di scegliere, salirebbero sul carro in corsa, domandando solo in un secondo tempo, una volta accomodatisi, “scusate, ma voi siete di destra o di sinistra?” E' pur vero che una base, un substrato ideologico è indispensabile: ha un valore di collante, di denominatore comune, le persone hanno bisogno di simboli e di ideali, per quanto approssimativi o sgangherati. Ma c'è di sicuro chi sta lavorando anche a questo. L'ipotesi più probabile è che ci si troverà davanti ad una miscela esplosiva di doppi estremismi, si prende quello che occorre al momento dalla destra come dalla sinistra, e se ne produce un cocktail magari confuso ma efficace. Il senso di egualitarismo e di redistribuzione della ricchezza, l'attenzione al sociale ed al welfare perduto, il gesto ideale e superomistico di colui che agisce per il bene della collettività, mettendo a repentaglio anche la propria vita, il fatto di colpire simboli facili e di comprensione immediata per le masse, non sono patrimonio della sola destra o sinistra estreme.
I tempi insomma, sono maturi. Non lo sono mai stati così tanto, anzi, dal dopoguerra a questa parte. C'è solo un piccolo ma non trascurabile problema. E' lo stesso problema per il quale la rabbia violenta o addirittura armata non è ancora esplosa. Non siamo più negli anni settanta, i mezzi in possesso degli inquirenti, per trovare e assicurare alla giustizia qualche soggetto in odore di terrorismo sono infinitamente superiori e maggiormente sofisticati. Qui non fai in tempo a pensare una cosa e a parlarne con quattro amici che ti ritrovi addosso polizia e carabinieri. Organizzare e coordinare una rete eversiva, oggi, è praticamente impossibile. Per questo motivo gli autori dell'unico, ad oggi, gesto significativo, l'attentato al dirigente dell'Ansaldo, appartengono a cellule sparse e numericamente irrisorie degli anarchici. Gli anarchici non si sono mai dati un struttura piramidale e ben organizzata, sarebbe contraria ai loro stessi principi, sono numericamente trascurabili e le loro azioni sono destinate a rimanere il prodotto di un spontaneismo disarticolato e scarsamente incisivo. Mancano, inoltre, di una altro elemento che abbiamo visto essere fondamentale: una qualsivoglia ideologia. Possono essere, a seconda dei casi, di destra o di sinistra, la loro stessa bandiera contiene entrambi i colori, rosso e nero, non hanno una struttura ideologica ed un programma ben definiti. Questo li condanna alla scarsa incisività e all'emarginazione.
In conclusione, siamo in una fase appena embrionale nella quale le intenzioni non trovano le modalità di espressione e coordinamento. Ma questo è l'unico aspetto che ci ha fino ad ora salvati da una escalation terroristica. Sia ben chiaro, ci auguriamo tutti che queste intenzioni non si concretizzino mai in atti violenti, ma se continua questo stato di paralisi del governo europeo e, nel nostro caso, italiano, non possiamo fare le anime belle che dopo il quarantesimo suicidio addebitabile alla crisi, si sorprendono se poi qualcuno passa all'azione diretta.
E purtroppo, ancora una volta, l'unico sistema che possiamo pensare per scongiurare questo reale pericolo è che le istituzioni europee cambino completamente registro. Ci è di conforto apprendere che la Merkel abbia subito una sonora batosta nella regione più ricca e popoloso della Germania, il Nordreno Vestfalia. Occorre piantarla con i fiscal compact, le misure di rigore e austerità che strangolano l'economia, serve che la BCE faccia la banca centrale davvero con tutte le prerogative del caso, stampare moneta, divenire prestatore di ultima istanza. Non si può arriva tra vent'anni al pareggio di bilancio avendo nel frattempo sterminato una popolazione intera. Occorre che la politica rivesta di nuovo il ruolo che le compete: controllare l'economia, regolamentare la finanza con leggi severe e sacrosante che limitino o impediscano di fatto la speculazione incontrollata e criminale. Ma per fare tutte queste cose, lo sappiamo bene, ci vorrebbe il consenso di tutti, anche fuori dell'Europa, e a questo, purtroppo, non si arriverà mai. Continueremo a galleggiare, veleggiando a vista senza timone e senza nocchiero, andando dove ci porta la corrente, deprimendo sempre di più l'economia fino a soffocarla, trasformando la recessione in una depressione economica dalla durata imprevedibile. Questa impostazione, che è dovuta all'inazione di questo governo, all'insipienza totale di una classe politica, agli egoismi e i tornaconti personali delle istituzioni europee, che mancano completamente di una visione d'insieme , che vada al di là del proprio naso, non può che condurci nella direzione che abbiamo sopra descritto, e che eviteremmo volentieri. Possiamo solo confidare in una prossima, definitiva sconfitta della Merkel e nell'incisività di azione di Hollande. Non è molto, ma potrebbe bastare almeno a “governare la crisi” senza esserne travolti.
Se si continua ad inseguire il debito senza mai raggiungerlo, se si mette mano solo a misure restrittive, se non si comincia a creare nuova occupazione, insomma, se non si è in grado di fornire una sia pur flebile speranza nel futuro, non ci possiamo meravigliare se, tra non molto, magari nelle forme più sgangherate e destrutturate, il terrorismo comincerà a colpire sul serio, e cominceranno a cadere i primi innocenti.

venerdì 11 maggio 2012

MARX AVEVA RAGIONE


Ora lo possiamo dire con cognizione di causa: non sarà una grande consolazione, d’accordo, ma è la verità. Marx aveva ragione. Non nel sogno utopistico della costruzione di una società egualitaria e socialista perfetta, nella quale ogni cittadino, alla fine del processo di estinzione dello stato, si sarebbe potuto liberamente espandere ed esprimere a seconda delle proprie inclinazioni e delle proprie passioni. Una volta abolita la proprietà privata, attuata la collettivizzazione delle imprese e delle aziende, soppressa la imposizione fiscale, non più necessaria dal momento che lo stato dovrebbe essere  in grado di garantire tutto quello di cui ha bisogno un uomo, si edifica la società perfetta. Purtroppo, nostro malgrado, conosciamo bene i contenuti del realismo socialista. Si è creata una nomenclatura nel partito unico e la natura umana, altamente corrotta ed imperfetta, ha finito col prevalere. Una casta di politicanti che vivevano nel lusso più sfrenato ed una massa di cittadini livellati e obbligati a fare code di ore ed ore per un paio di calze di nylon. Probabilmente Marx stesso non si nascondeva il pericolo del sopravvento dei tornaconti personali sul sogno di costruzione della società perfetta. Ma in un aspetto, senza ombra di dubbio, Marx ha detto il vero: l’analisi del capitalismo, soprattutto quella del suo ciclo involutivo, è quasi perfetta. Marx scriveva che ad un certo momento, le contraddizioni del liberismo sarebbero arrivate ad un punto di non ritorno, di rottura, sino all’implosione del sistema stesso. Quali sono queste contraddizioni? La crescita non può essere indefinita, come suggerisce la dottrina capitalistica, si arriva ad un certo punto nel quale i consumi interni di un paese non reggono più il ritmo della produzione, oltre questa soglia comincia la parabola discendente del sistema. Un sistema che non mette al centro l’uomo e le sue necessità, l’economia reale, quella derivante dal lavoro, ma il solo profitto, il denaro, il plusvalore generato dal lavoro delle maestranze. La crescita non è illimitata, i paesi più poveri, sfruttati e spremuti come agrumi dai paesi ricchi, presto o tardi presentano il conto, premono alle frontiere. Si crea la globalizzazione: qualsiasi paese al mondo, dalla Cina alla Mongolia è in grado di produrre gli stessi strumenti che fino a ieri erano patrimonio esclusivo dei paesi più ricchi, solo riescono a produrli ad un costo infinitamente inferiore. Il mercato esplode, la vecchia Europa non esporta più una bicicletta, dipende dai paesi una volta più poveri per le materie prime (le commodities) che vengono cedute a caro prezzo. Infine, e qui sta il genio preveggente di Marx, la finanza prenderà il sopravvento sull’economia e sulla politica e dominerà la scena mondiale. La finanza è divenuta “creativa”, si è svincolata completamente dall’economia generata dal lavoro, sposta capitali immensi e determina il futuro e le sorti di intere nazioni. La politica non può che subire tale predominio. E’ quello cui stiamo assistendo: il governo Monti prende ordini da letterine (o pizzetti) della BCE ed esegue punto per punto quello che gli detta la finanza europea, per bocca della BCE e dell’UE. L’Europa si trova sotto l’egida della Germania non perché questo paese sia particolarmente virtuoso o lungimirante: è semplicemente la prima economia europea. Se il cancelliere tedesco Angela Merkel detta l’agenda politica di un intero continente, obbligando tutti i paesi membri a politiche restrittive criminali e suicide di fiscal compact ed austerity, è proprio per questa legge del capitalismo arrivato al crepuscolo che consente all’economia e alla finanza di assoggettare la politica. Se la Merkel è nella realtà dei fatti la governatrice dell’Europa, non è per le sue scarsissime doti politiche (non capisce nulla di economia e ancor meno di finanza) ma solo perché il suo paese è il più forte economicamente e le politiche di rigore e austerità risultano solo convenienti per i tedeschi, ma solo per  loro, a questo punto. Quello che dobbiamo comprendere tutti, a parte la lezione di Marx sul capitalismo, è che dobbiamo spezzare il dominio della finanza sulla politica e la politica deve riprendere il suo posto più naturale: amministrare la cosa pubblica, compresa l’economia, e, soprattutto, imporre regole alla finanza, che deve smettere di essere banditesca e sovversiva. Tutti abbiamo compreso che il capitalismo ha fallito ed è al tramonto: dobbiamo restituire alla politica il suo ruolo. E gente come la Merkel deve tornare a fare quello che le compete: governare un paese nel quale è stata regolarmente eletta. Il governo dell’Europa è un’altra cosa, e non è affar suo. Prima comprenderanno i tedeschi questa realtà e meglio sarà per tutti. O tutti finiremo nella catastrofe, Germania compresa. Non basta fare uscire la Grecia dall’Euro, senza l’euro la Germania sarebbe perduta perché a differenza di quello che credono i tedeschi, il loro benessere si fonda proprio sull’euro e sui paesi in sofferenza come il nostro. Vediamo un piccolo esempio di quello che scriveva Marx a proposito delle future sorti del capitalismo:

“Ogni uomo s’ingegna di procurare all’altro uomo un nuovo bisogno, per costringerlo a un nuovo sacrificio, per ridurlo a una nuova dipendenza e spingerlo a un nuovo modo di godimento e quindi di rovina economica. Ognuno cerca di creare al di sopra dell’altro una forza essenziale estranea per trovarvi la soddisfazione del proprio bisogno egoistico. Con la massa degli oggetti cresce quindi la sfera degli esseri estranei, ai quali l’uomo è soggiogato e ogni nuovo prodotto è un nuovo potenziamento del reciproco inganno e delle reciproche spogliazioni. L’uomo diventa tanto più povero come uomo, ha tanto più bisogno del denaro, per impadronirsi dell’essere ostile, e la potenza del suo denaro sta giusto in proporzione inversa alla massa di produzione; in altre parole, la sua miseria cresce nella misura in cui aumenta la potenza del denaro.
Perciò il bisogno del denaro è il vero bisogno prodotto dall’economia politica, il solo bisogno che essa produce. La quantità di denaro diventa sempre più il suo unico attributo di potenza: come il denaro ha ridotto ogni essere alla propria astrazione, così esso si riduce nel suo proprio movimento a mera quantità. La sua vera misura è di essere smisurato e smoderato. Così si presenta la cosa anche dal punto di vista soggettivo: in parte l’estensione dei prodotti e dei bisogni si fa schiava – schiava ingegnosa e sempre calcolatrice – di appetiti disumani, raffinati, innaturali e immaginari; la proprietà privata non sa fare del bisogno grossolano un bisogno umano; il suo idealismo è l’immaginazione, l’arbitrio, il capriccio.”
Carlo Marx

Tratto da "Manoscritti economico-filosofici del 1844"

Non si può continuare a trasferire reddito dal lavoro al capitale senza causare eccesso di capacità produttiva e calo della domanda aggregata. Questo è ciò che è accaduto. Pensavamo che i mercati funzionassero. No, non stanno funzionando. Il singolo può essere razionale. L’azienda, per sopravvivere e crescere può abbattere sempre più il costo del lavoro, ma i costi del lavoro sono il reddito e quindi il consumo di qualcun altro. È un processo auto-distruttivo, è un circolo vizioso che conduce alla depressione e alla fine del sistema.
Aggiungo, a margine, un piccolo consiglio, rivolto a chi volesse approfondire la questione senza essere obbligato alla impossibile lettura del “Capitale”: un libro di uno dei massimi filosofi del ‘900, di area hegeliana e marxista, esponente della scuola di Francoforte, Theodor Adorno, autore di un’opera bellissima e ardua, ma di una straordinaria, sconvolgente attualità: i “MINIMA MORALIA”.

giovedì 10 maggio 2012

IL FANTASMA DELLA FAME SI AFFACCIA SU AMSTERDAM


Basterebbe questa immagine per capire fin dove si e' spinta la crisi: poco dopo l'ora pranzo in un giornata uggiosa nella periferia di Amsterdam, la gente attende in una lunga fila il proprio turno. Quando arrivera', le loro borse potranno essere riempite di riso, succhi di frutta, patate e pane. Gratis.

Il mercato e' uno delle 135 banche alimentari olandesi - associazioni no profit - che stanno aiutando la gente a sopravvivere con meno di 180 euro al mese, la soglia di poverta' sotto la quale si ha diritto agli aiuti. I responsabili dell'organizzazione di carita' la domanda per servizi di questo tipo e' balzata del 20% nel primo trimestre.

Anche se Atene resta sempre al centro della crisi del debito europea, non e' l'unica citta' del continente a dover fare i conti con il maggiore declino della prosperita' dai tempi della Seconda Guerra Mondiale.

Da un report pubblicato qualche giorno fa e' emerso che la disoccupazione nell'area euro e' salita i massimi degli ultimi 15 anni in aprile e che l'economia della regione si sta contraento per la seconda volta in pochi anni.

Una seconda fase recessione che sta mettendo in difficolta' anche i paesi core. Gli elettori francesi hanno preferito Francois Hollande al suo predecessore, Nicolas Sarkozy, al voto delle presidenziali del 6 maggio, convinti dalle promesse del candidato socialista per un alleggerimento delle misure di austerita' e per un'attenzione maggiore alle azioni coordinate per stimolare la crescita.

Il tutto mentre la Grecia e' finita in un caos politico, oltre che sociale ed economico. Dalle urne elettorali non e' uscito un chiaro favorito, con i partiti in testa (centro destra, sinistra radicale e socialisti) che non si sono dimostrati sinora in grado di formare una governo stabile.

"Prima la gente non vedeva domande e ora non hanno le risposte", sintetizza Austin Hughes, economista di KBC Bank Ireland, contattato da Bloomberg. "C'era una sorta di aspettativa per una crescita continua di reddditi, prospettive lavorative e prezzi degli asset. Ora questa sensazione e' sparita".

Una dimostrazione di come sia cambiato lo stato di benessere del popolo europeo lo offre il caso olandese. Un paese un tempo tra i piu' solidi dell'area, che sembrava immune alla crisi, Amsterdam ora deve invece vedersela con una fase di instabilita' politica oltre che economica.

Il primo ministro Mark Rutte ha rassegnato le sue dimissioni in aprile dopo che il Partito Della Liberta' - formazione anti-immigrazione di estrema destra - ha annunciato di opporsi alle misure di rigore per 14 miliardi che prevedevano tagli alle spese e aumento delle tasse.

"Sapevamo che la crisi stava arrivando anche da noi, sappiamo che non siamo come Italia e Spagna, ma nemmeno come la Germania", ha dichiarato all'agenzia americana Sweder van Wijnbergen, docente di economia all'Universita' di Amsterdam. Ci vorra' del tempo per uscirne e molto dipendera' dalla Germania".

Un dato su tutti: nel primo trimestre il numero di famiglie che hanno usufruito degli aiuti garantiti dalle 'banche alimentari' sono diventate 1.350: entro fine anno dovrebbero salire a 3 mila, secondo quanto riferito da Piet van Diepen, un membro del CdA dell'istituto.

"Sono cifre che si gonfieranno sempre di piu', perche' la gente sta perdendo posti di lavoro e deve trovare un modo per pagare affitto e mutui".

In Olanda, oltre 23 mila persone ottengono aiuti alimentari dalle banche. Le cifre sono in crescita anche in Gran Bretagna, la cui economia e' scivolata ufficialmente in una seconda fase di recessione. Tra i 10 stati principali dell'Unione Europea, Londra e' quella che ha apportato i maggiori tagli al deficit di bilancio.

Fonte: wallstreetitalia 
 

martedì 8 maggio 2012

SE IL "RIGOR MONTIS" NON E' SOLO UNA BATTUTA


Che fine ha fatto Monti? Dobbiamo interpellare “chi l’ha visto” per sapere dove diavolo è finito questo manichino vestito da milord e dai modi garbati, amico della Merkel e delle grandi banche d’affari, buono a tassare e a tagliare ma, a quanto si vede, meno capace di imprimere sviluppo all’anemica economia italiana. La sua spinta propulsiva si è totalmente esaurita, si aggira in Parlamento come un fantasma, rilascia qualche generica dichiarazione con la faccia di chi non crede neppure a quello che dice. La scarsa convinzione del suo agire e il girare a vuoto di questa specie di governo, induce ognuno di noi alla riflessione, ovvia, che le elezioni anticipate non saranno auspicabili, ma potrebbero essere probabili. La riforma del mercato del lavoro è completamente arenata, i tagli alla spesa pubblica, passando per la “spending review” non decolla: si ha la sensazione di un disinteresse totale di Monti stesso a quello che sta facendo. Ma se non ha più voglia di portare a termine il suo compito, lo dica chiaramente: per quello che sta facendo non sarà difficile sostituirlo. Se per nostra disgrazia dovesse restare in carica fino al termine naturale della legislatura, dobbiamo aspettarci solo un’altra manovra finanziaria: oltre ai tagli corredati dalla buffa, inutile richiesta ai cittadini su dove e cosa taglierebbero attraverso un portale internet (una trovata degna del peggiore peronismo, dal momento che dei consigli dei cittadini nessuno terrà conto), bisognerà continuare ad obbedire alla Merkel, e dando una occhiata ai nostri conti pubblici non è difficile intuire che i soli tagli alla spesa non saranno sufficienti. Quindi ci attendiamo una manovrina balneare, nel senso che si svolgerà ad agosto, cercando di farla passare alla chetichella. Ma dove prendere i soldi? Si è spremuto quello che si poteva spremere, perché non tassare le rendite finanziarie e piantarla di bersagliare quelle immobiliari con IMU bis o diavolerie del genere? Non si tasseranno le rendite finanziarie, poniamo, sopra il milione di euro, per il semplice fatto che Monti rimane  quello che è sempre stato: un banchiere. Il fatto che dei tecnici chiedano l’aiuto di altri tecnici per la spending review, nominando addirittura un personaggio discutibile, un uomo per tutte le stagioni, completamente stracotto come Amato, è veramente troppo. Se questa gente, come già detto, non ha più motivazioni per andare avanti, lo dica chiaramente e non ci faccia perdere altro tempo. La mia personale impressione è che Monti resterà in carica solo per varare l’ennesima manovra finanziaria e deprimere ulteriormente la nostra economia. Poi, finalmente, se ne tornerà alla Bocconi, dove certamente sentono la sua mancanza. Se il Prof. Monti è stato solo capace di predisporre un piano tributario, allora poteva restare dove si trovava e l’incarico se lo poteva  prendere il ragioniere generale dello stato. Se non è in grado di fare nulla per lo sviluppo e per la crescita, allora, nonostante i suoi modi da gentleman spocchioso è solo un bluff. L’incognita di un governo tecnico è proprio questa: si tratta di personaggi per lo più sconosciuti al grande pubblico: sono piazzati al governo senza consenso popolare, potrebbero rivelarsi, purtroppo, una solenne delusione. E’ quello che proviamo un po’ tutti nei confronti di questa compagine che, fino ad oggi, è riuscita solo a produrre manovre recessive. Monti non è Hollande, la sua fedeltà all’ottusità (a questo punto più mentale che politica) della Merkel è fuori discussione. Lo abbiamo detto più volte: se non cambiamo registro in fretta a livello europeo andiamo verso una sicura disfatta. Da tutti i vertici, i summit, le riunioni dell’Ecofin, della BCE, dell’UE e del FMI non viene fuori mai nulla, neppure un topolino. Solo generiche dichiarazioni d’intenti. Non di più. “Europa” è solo una espressione geografica, ora più che mai. Non ci si mette d’accordo su nulla, non si cambia direzione, tutti dietro al pifferaio Merkel che con il suo fiscal compact ci porterà alla bancarotta e alla fine dell’euro. 

Quanto alle elezioni italiane, considerato l’esiguità del campione interpellato e il forte astensionismo, non c’è molto da dire. Da noi non esiste un partito di estrema sinistra come di estrema destra. Non ci sono “albe dorate” come i neonazisti greci. Hanno fatto la parte del leone i “grillini” del movimento Cinque stelle. Grillo è il classico tribuno della plebe, un Masaniello, un po’ come Di Pietro, solo più spiritoso e volgare. I suoi monologhi sono zeppi di luoghi comuni, di banalità, di protesta generica e retorica, le idee sono molte, ma anche la confusione. Gli esponenti del movimento intervistati in questi giorni, hanno dato di sé uno spettacolo discretamente desolante: la solita minestra riscaldata della vicinanza sociale e umana ai più deboli, ai più poveri, agli emarginati. Non hanno un programma serio: uscire dall’euro e non ripagare il debito è pura follia, sappiamo bene tutti che si tratta di una strada impercorribile. L’uscita dall’euro è la risorsa estrema cui il nostro paese potrebbe fare ricorso solo nel caso di un default a catena delle nostre banche o del Tesoro dello stato. Il debito possono non pagarlo le 350.000 anime dell’Islanda, non un paese mastodontico come il nostro. Parlare per slogan, ripetere lazzi, salti  mortali, capitomboli, volgarità anche becere, dimostra solo una totale assenza di idee. Sarebbe impensabile un paese governato dai grillini: possono dirigere egregiamente l’opera “Don Guanella”, non una nazione che rimane la terza economia dell’Europa.

Ora, nessuno mette in dubbio la buona fede di Grillo (nonostante la sua spiccata propensione per il turpiloquio), nè quella dei suoi discepoli: quello che manca è la cultura politica. Che cosa significa fare politica? Significa amministrare la cosa pubblica, e la sola buona volontà e buoni propositi non bastano. E' una nota di merito che i componenti del movimento "5 stelle" provengano dal mondo del volontariato, siano stati sino ad ora sulla strada, accanto agli "ultimi", ai più deboli, ai più fragili, che abbiano ascoltato con attenzione la gente comune. Tutto questo fa loro onore. Ma non serve per fare politica. Il movimento "5 stelle" non rappresenta l'antipolitica, per il semplice fatto che è un movimento "apolitico". Per le elezioni che verranno abbiamo necessità di persone attente ai bisogni degli elettori, ma soprattutto preparate culturalmente e professionalmente, dal momento che siamo nel bel mezzo di una contrazione economica, e con la probabile uscita dall'Euro della Grecia, ci aspettano tempi ancora più difficili di quelli attuali. Chi sta al governo del paese deve essere anzitutto un esperto in economia e finanza (e da questo non si può prescindere), e possedere quelle doti che fanno di un politico anche un buon amministratore, anche in senso tecnico. Il definitivo tracollo della Grecia metterà Italia e Spagna sulla graticola della speculazione e dell'effetto contagio, non possiamo permetterci un governo di dilettanti allo sbaraglio. La cultura della strada e del volontariato vanno bene, ma per un opera pia o per una onlus. Quanto a Grillo, pretende di avere l'esclusiva della verità, di rivelare cose sconosciute al largo pubblico, la sua opera è quella di una continua, estenuante (e alla lunga noiosa) denigrazione volgare di tutto e di tutti. Nessuni si salva, solo lui è l'uomo della provvidenza, anche se non sa distinguere una azione da una obbligazione. Il programma che ha tratteggiato  fa sorridere, è pieno di ingenuità al punto da essere patetico. Per quanto disprezzo possiamo nutrire per i politicanti di questo paese, non possiamo affidare le nostri sorti ad un uomo che non ha una sola idea chiara in testa e di professione fa lo sfasciacarrozze. Ci vorrebbe una classe politica rinnovata, giovane e preparata, ma il problema è che, qui da noi, non solo non esiste, ma spesso i giovani sono ancora peggio delle teste canute che siedono da trent'anni in Parlamento. 

lunedì 7 maggio 2012

94 NOMI DA RICORDARE. E NON VOTARE MAI PIU'


Qualche giorno fa un fatto clamoroso ha scosso il Senato. Nella votazione sui tagli alle pensioni d’oro ai supermanager pubblici il governo (che voleva difenderle) è stato battuto grazie da un emendamento di Idv e Lega.
Sorprendentemente, la maggioranza dell’Aula si è dichiarata favorevole ad intervenire sul trattamento pensionistico dei burocrati di Stato che oggi godono di stipendi favolosi e domani avrebbero goduto di pensioni altrettanto favolose.
ora inseriamo nomi e cognomi dei senatori contrari ai tagli… sono 94 nomi con il partito d’appartenenza… memorizzateli. Diamo merito al sito “finanzanostop” per la ricerca fatta… non facile tra l’altro.
Forse, finalmente, si sono resi conto che in un momento in cui tutti gli italiani vengono a grandi sacrifici togliere qualche euro a boiardi di Stato, che oggi percepiscono, come il presidente dell’Inps o quello di Equitalia, stipendi fino a 1.200.000 euro all’anno (pagati da noi) sarebbe stato un atto minimo di equità.
E tuttavia, in 94 si sono battuti come leoni contro quell’emendamento e a favore del mantenimento delle pensioni d’oro. Tutto il Pd, ad eccezione di sette senatori che, in uno scatto di dignità hanno votato contro. Ad esprimersi a favore dell superpensioni dei manager pubblici troviamo, per esempio, figure del calibro di Anna Finocchiaro, Enzo Bianco, Maurizio Gasparri o Pietro Ichino, lo stesso che va in giro a predicare il superamento del divario tra le generazioni.
Non è stato facile trovare i nomi dei 94. Nessuno li ha pubblicati o diffusi, forse pensando così di occultare un dato importantissimo e imbarazzante.
Credo che gli elettori debbano sapere come si muovono i propri rappresentanti dentro il Parlamento, perché è lì, nei meandri dell’attività parlamentare, che va giudicato il loro lavoro e non sui giochetti retorici nei salotti tv.
E’ Il compito di chi fa informazione, anche di chi, la fa in maniera volontaria e gratuita come noi o il blog che ha scovato la lista nera
Di seguito l’elenco.
Vi invitiamo a diffonderlo il più possibile
1) Adamo Marilena (Pd)
2) Adragna Benedetto (Pd)
3) Agostini Mauro (Pd)
4) Armato Teresa (Pd)
5) Astore Giuseppe (Gruppo Misto)
6) Baio Emanuela (Api)
7) Barbolini Giuliano (Pd)
8) Bassoli Fiorenza (Pd)
9) Bastico Mariangela (Pd)
10) Enzo Bianco (Pd)
11) Biondelli Franca (Pd)
12) Blazina Tamara (Pd)
13) Filippo Bubbico (Pd)
14) Antonello Cabras (Pd)
15) Anna Maria Carloni (Pd)
16) Maurizio Castro (Pdl)
17) Stefano Ceccanti (Pd)
18) Mario Ceruti (Pd)
19) Franca Chiaromonte (Pd)
20) Carlo Chiurazzi (Pd)
21) Lionello Cosentino (Pd)
22) Cesare Cursi (Pdl)
23) Mauro Cutrufo (Pdl)
24) Cristina De Luca (Terzo Polo)
25) Vincenzo De Luca (Pd)
26) Luigi De Sena (Pd)
27) Mauro Del Vecchio (Pd)
28) Silvia Della Monica (Pd)
29) Roberto Della Seta (Pd)
30) Ulisse Di Giacomo (Pdl)
31) Di Giovan Paolo Roberto (Pd)
32) Cecilia Donaggio (Pd)
33) Lucio D’Ubaldo (Pd)
34) Marco Filippi (Pd)
35) Anna Finocchiaro (Pd)
36) Anna Rita Fioroni (Pd)
37) Marco Follini (Pd)
38) Vittoria Franco (Pd)
39) Vincenzo Galioto (Pdl)
40) Guido Galperti (Pd)
41) Maria Pia Garavaglia (Pd)
42) Costantino Garraffa (Pd)
43) Maurizio Gasparri (Pdl)
44) Antonio Gentile (Pdl)
45) Rita Ghedini (Pd)
46) Giai Mirella (Gruppo Misto)
47) Basilio Giordano (Pdl)
48) Claudio Gustavino (Terzo Polo)
49) Pietro Ichino (Pd)
50) Cosimo Latronico (Pdl)
51) Giovanni Legnini (Pd)
52) Massimo Livi Bacci (Pd)
53) Andrea Marcucci (Pd)
54) Francesca Maria Marinaro (Pd)
55) Franco Marini (Pd)
56) Ignazio Marino (Pd)
57) Marino Mauro Maria (Pd)
58) Salvatore Mazzaracchio (Pdl)
59) Vidmer Mercatali (Pd)
60) Riccardo Milana (Terzo Polo)
61) Francesco Monaco (Pd)
62) Enrico M0rando (Pd)
63) Fabrizio Morri (Pd)
64) Achille Passoni (Pd)
65) Carlo Pegorer (Pd)
66) Flavio Pertoldi (Pd)
67) Lorenzo Piccioni (Pdl)
68) Leana Pignedoli (Pd)
69) Roberta Pinotti (Pd)
70) Beppe Pisanu (Pdl)
71) Donatella Poretti (Pd)
72) Raffaele Ranucci (Pd)
73) Giorgio Roilo (Pd)
74) Nicola Rossi (Pd)
75) Antonio Rusconi (Pd)
76) Gian Carlo Sangalli (Pd)
77) Francesco Sanna (Pd)
78) Giacomo Santini (Pdl)
79) Giuseppe Saro (Pdl)
80) Anna Maria Serafini (Pd)
81) Achille Serra (Pd)
82) Emilio Silvio Sircana (Pd)
83) Albertina Soliani (Pd)
84) Marco Stradiotto (Pd)
85) Antonino Strano (Pdl)
86) Salvatore Tomaselli (Pd)
87) Giorgio Tonini (Pd)
88) Achille Totaro (Pdl)
89) Tiziano Treu (Pd)
90) Simona Vicari (Pdl)
91) Luigi Vimercati (Pd)
92) Vincenzo Vita (Pd)
93) Walter Vitali (Pd)
94) Luigi Zanda (Pd)

C'E' L'INTERO PARTITO DEMOCRATICO. NON DIMENTICHIAMOLO
Fonte: finanzanostop

venerdì 4 maggio 2012

QUEL POMERIGGIO DI UN GIORNO DA CANI


E' chiuso nel carcere di Bergamo Luigi Martinelli, l'imprenditore di 54 anni che ieri, armato, ha preso in ostaggio clienti e dipendenti dell'Agenzia delle Entrate di Romano di Lombardia (Bergamo) e si è arreso solo dopo sei ore, un intero pomeriggio. Ha passato la notte nella caserma dei carabinieri e poi è stato condotto al carcere dove dovrà svolgersi l'interrogatorio di garanzia.
E' ovvio che non solo casi come questo sono destinati a ripetersi, ma che si tratta di un primo campanello di allarme che dovrebbe muovere tutti noi ad una attenta riflessione. Le politiche suicide della Merkel e di Sarkozy ci hanno condotto, a livello europeo, ad un passo dal baratro. Monti deve chiudere in fretta il capitolo dei tagli alla spesa pubblica (cd. “spending review”) e procedere speditamente a politiche di investimenti pubblici per creare nuova occupazione. Le banche devono essere in grado di poter tornare a fare le banche e non strangolare i clienti, risparmiatori e imprese, con la stretta creditizia. Occorre però aggiungere, a questo riguardo, che gli istituti di credito sono giornalmente colpiti da formidabili ribassi nelle principali borse europee. La pioggia di vendite cui sono oggetto mette costantemente a rischio la loro patrimonializzazione e il livello di funding. Non è possibile, di conseguenza, scaricare ogni colpa sui gruppi bancari. Il gesto di Luigi Martinelli ci racconta di una Italia alla disperazione, il numero dei suicidi dovuti ad altrettanti fallimenti di impresa ci fa intravvedere uno scenario di conflittualità sociale cui siamo alle porte, e che, considerando che la forchetta tra classe ricca e classe media (che si sta livellando sulla povertà), è sempre più larga, si aprono scenari di aperta rivolta sociale. Non ci resta molto tempo. Tra non molto, terminati gli ultimi risparmi, qualcuno comincerà ad imbracciare il fucile e a sparare, senza sapere neppure bene a chi indirizzare le proprie munizioni. Il “pomeriggio di un giorno da cani” vissuto dal Sig. Martinelli non è che il preludio a quello che verrà.

Per l'ennesima volta, a costo di diventare noiosi, ci ritroviamo a parlare di crisi e di come uscirne. Tutti noi, anche i meno esperti in economia e finanza hanno la netta sensazione di un girare a vuoto, di essere entrati in un circolo vizioso senza uscita, di un continuare a stare a galla avendo perduto la barra del timone e andando alla deriva. Le cose stanno, più o meno così. Siamo entrati non in un tunnel, ma, per le politiche restrittive di fiscal compact della Germania, in un cul de sac che non prevede uscite. Non possiamo, unilateralmente, cambiare politiche monetarie, uscire dall'austerità, dotarci di una vera banca centrale. Vorremmo farlo, ma i trattati europei ci vincolano a non farlo. Solo un cambio di rotta dei governi francese e tedesco potrebbe modificare l'attuale, fallimentare assetto. L'auspicabile vittoria di Hollande in Francia e di una sonora sconfitta della Merkel in Germania potrebbero preludere ad un cambio di direzione delle politiche economiche europee. Ogni studente del primo anno di economia sa perfettamente che i provvedimenti di inasprimento della pressione fiscale, di tagli alla spesa pubblica, di rigore e sacrifico finalizzati ad un impossibile pareggio di bilancio sono controproducenti, generano solo recessione e depressione. Se l'Unione europea seguita su questa politica dettata dalla sola Germania perchè è la sola nazione a trarne profitto, scivolerà lentamente nella depressione economica (un PIL negativo senza limiti di tempo), tornerà comunque alle valute nazionali con tutti i riflessi catastrofici del caso. Le politiche restrittive hanno questo di bello: non possono andare avanti all'infinito. Si arriva ad un punto di rottura che rappresenta anche un punto di non ritorno, rispetto al quale i governi stessi non possono più fare nulla per  riemergere: è la bancarotta, il default. Ci si avvita sul debito pubblico sino allo strangolamento, dovendo pagare interessi sempre maggiori ai propri creditori, si arriva al punto che il tesoro dello stato non è più in grado di pagare stipendi e pensioni: o queste ultime o le cedole ai creditori che detengono i titoli di quello stato. Che cosa si può fare? Prima di tutto devono uscire di scena la Merkel e Sarkozy (e probabilmente, spiace dirlo, anche Monti) ed essere guidati da nuovi soggetti politici che trasformino la BCE in una vera banca centrale. Cosa fa un Banca Centrale? Può stampare moneta, iniettare liquidità, il quantitative easing necessario soprattutto alle banche, collassate dalle vendite continue in borsa e dai titoli tossici che hanno nei caveau. Diventare prestatore di ultima istanza, garante supremo che risponde per tutti i paesi membri, nessuno escluso, può attuare, di concerto con i singoli gruppi bancari, il deleveraging necessario per contrastare il credit crunch di cui siamo vittime, privati e imprese. Tutti ci siamo resi conto che non circola denaro, i capitali sono fermi, le stesse operazioni di LTRO (che assomigliano vagamente al QE) non hanno contribuito a movimentare denaro, perchè le banche, stremate da una sempre più scarsa patrimonializzazione, preferiscono depositare i quattrini ricevuti ad un tasso agevolato presso la BCE stessa. Ai governi nazionali spetterebbe il compito di attivare politiche vere di sviluppo economico, procedendo anzitutto a politiche di investimenti pubblici, nelle infrastrutture, nei servizi, nella valorizzazione del proprio patrimonio storico artistico. Più che privatizzare, è l'ora di nazionalizzare. Occorre istituire un unico Ministero dell'economia e delle finanze europeo, che regolamenti i mercati almeno per quanto è possibile fare: limitando al massimo i futures speculativi, le vendite allo scoperto, regolamentando i fondi hedge, introducendo la ben nota Tobin Tax,  cercando, nei limiti del possibile, di disintossicarsi da prodotti strutturati come derivati e cartolarizzazioni. Dalla riunione dell'Ecofin non è uscita una, una sola posizione univoca. E' un quadro desolante. Siamo divisi su tutto, si fanno vertici e summit a livello europeo non accordandosi su nulla, e continuando a navigare a vista, sperando che un bel giorno tutto questo finisca. Sembra incredibile che la classe politica europea sia così miope da non comprendere che continuando a vivacchiare, a galleggiare come stiamo facendo da mesi e da anni la nostra sorte, prima o poi, è segnata. Ci saranno paesi che ne usciranno maciullati, come la Grecia, altri che subiranno danni inferiori, ma dall'implosione dell'euro, ne usciremo tutti, nessuno escluso, malconci. Se Sarkozy dovesse prevalere, e soprattutto se la Merkel o il suo partito dovessero ottenere una nuova vittoria nel 2013, possiamo dirci perduti. Nessuno sarà più in grado di salvarci dalla catastrofe costituita dall'estinzione dell'Euro, e dal conseguente fallimento di uno stato dopo l'altro. Se le cose dovessero disgraziatamente andare così, l'unica soluzione percorribile per l'Italia sarebbe una uscita anticipata dall'euro, che gli altri siano o meno d'accordo. Ricordiamoci sempre che il primo ad uscire sarà anche quello che patirà i danni minori.