Siamo tutti costernati,
come è ovvio, per i ripetuti terremoti emiliani, chiunque non può
rimanere insensibile di fronte a chi ha perduto casa e magari lavoro.
Senza contare la tragedia delle vittime. Tutte le compagnie
telefoniche e gli istituti di credito invitano la cittadinanza ad
effettuare donazioni a favore di quelle sventurate popolazioni. Fin
qui tutto normale. Di totalmente anormale, e anzi, di stomachevole,
c'è la trovata del governo Monti per fornire le risorse necessarie
per una prima fase della ricostruzione: la tassa sulla disgrazia.
Ci rendiamo perfettamente conto che di questi tempi reperire i fondi
necessari non è impresa da poco, ma ci dobbiamo mettere in testa una
volta per tutte, soprattutto i Soloni che ci governano, che le
risorse vanno attinte dove sono, non altrove. Ora, se non vado
errato, le risorse maggiori sono nelle mani dei non pochi ricchi di
questo paese, di coloro che non lavorano, che vivono di rendita, che
se ne fregano di tutto e di tutti. La trovata ridicola se non fosse
disgustosa del governo Monti è quella di alzare le accise sulla
benzina: in questo modo, con una delle ennesime imposte indirette si
finanziano i luoghi terremotati. Si chiama tecnicamente “tassa di
scopo”. Solo che a pagare è sempre Pantalone, cioè noi, quelli
che se ne stanno in panciolle sul loro panfili del rincaro della
benzina se ne strafregano. E poi, se noi cittadini comuni siamo
obbligati, con la benzina più cara, a finanziare le ricostruzione
delle zone terremotate, perchè domandarci donazioni che già
avvengono forzatamente? Se il bilancio del nostro Tesoro è messo
così male da non aver accantonato una consistente somma a
disposizione delle eventuali catastrofi naturali, sempre in agguato
per qualsiasi paese, allora siamo messi veramente male. L'Emilia,
grazie a Dio, non è Fukushima, se ci fosse toccato un simile
cataclisma saremmo andati in default sicuro. Dobbiamo ricorrere ad
una tassa sulle disgrazie? Ma stiamo scherzando? Ma che razza di
stato, che razza di politicanti possiede questo infelice paese? Se le
casse del Tesoro sono vuote, usciamo in tutta fretta dall'euro, prima
che siano gli altri paesi a buttarci fuori. Non abbiamo un fondo per
la protezione civile, abbiamo dopo le dimissioni di Berlusconi, uno
spread nuovamente intorno ai 500 punti, ma cosa restiamo a fare in
Europa, se per un terremoto neppure di proporzioni colossali ci
ritroviamo a pagare una tassa sulle disgrazie? “Infelice è quel
paese che ha bisogno di un governo tecnico”, potrebbe recitare una
massima di scottante attualità. Ci stiamo avvicinando nuovamente
alla soglia pericolosa, di non ritorno, degli interessi al 7% da
pagare sui titoli di stato, è una soglia che manda in fumo qualsiasi
manovra finanziaria. Siamo obbligati, lo sappiamo bene, a farne
un'altra, di tagli e nuove imposizioni fiscali entro l'anno, diciamo
durante l'estate. Ma perchè abbiamo chiamato una persona come Monti?
Solo perchè fa bella figura nel corso dei meeting internazionali e
non va con le minorenni? Solo perchè veste elegante, parla diverse
lingue, è un buon cristiano e quando pronuncia un discorso sembra
che la voce se la faccia venire dalle suole delle scarpe? Non si
poteva nominare il rag. Pautasso, che avrebbe fatto lo stesso lavoro
con pretese di stipendio più miti del nostro professore? In questo
paese il capo della Polizia Manganelli guadagna 600.000 euro l'anno,
Obama ne guadagna la metà, 300.000. Persino il garante dell'energia,
una figura indistinta della quale non si sentiva la mancanza,
guadagna 450.000 euro. E' qualcosa di incredibile. Si deve fare un
patrimoniale, devono essere tassati pesantemente le rendite
finanziarie improduttive sopra il milione di euro, soldi che non
girano e sono utili solo a chi li possiede per comprarsi l'ultimo
modello di Ferrari o una villa a picco sul mare. Possibile che una
verità così lampante non venga recepita? I boiardi di stato, come i
normali cittadini, devono percepire uno stipendio adeguato ma
normale, non 600.000 euro, che non è uno stipendio, è un furto al
cittadino comune. Se non si tassano i grandi patrimoni, a nulla vale
la lotta all'evasione, le multe a chi non emette lo scontrino, le
vessazioni continue da parte di Equitalia. Non si aggiusteranno mai i
conti, non si perverrà mai al pareggio di bilancio se i cittadini
continuano a non pagare le tasse sulla base del loro reddito
effettivo. La grande evasione è costituita dal sommerso, è vero, ma
una grande parte è quella che si definisce “elusione fiscale”,
quella appunto, dei grandi patrimoni finanziari non dichiarati perchè
solo parzialmente tassabili. I soldi si prendono dove sono, se non si
comprende una realtà così elementare è meglio gettare la spugna e
vendere gelati. La mia nausea è tale che mi imbarcherei sulla prima
nave che salpa dal mio porto chiedendo solo in seguito, una volta
imbarcato: “Dove è diretta questa nave?”
Il presente blog si propone di occuparsi di politica, costume, cronaca, attualità, da un punto di vista di un osservatore critico, soprattutto nei confronti della stampa e TV mainstream, cercando di mantenersi il più possibile equilibrato ed obiettivo. In un momento storico come quello attuale, caratterizzato da una deriva totalitaria, le voci veramente libere non sono solo scarse, ma emarginate entro i confini dei social media.
giovedì 31 maggio 2012
martedì 29 maggio 2012
LA DEMOCRAZIA NON CI SALVERA'
In molti
precedenti post abbiamo posto il quesito se il suffragio universale fosse
compatibile con la sanità di bilancio. Il dibattito é stato consistente, anche
se forse condotto più su base emotiva che razionale.
Jean-Claude Trichet, ex Presidente di Bce, in un discorso al Peterson Institute
for International Economics di Washington ha riproposto adesso lo stesso
problema, anche se a termini rovesciati.
Sostanzialmente, ha detto che in futuro l’UE non disporrà di budget consistenti
e che sarà necessario porre sotto amministrazione controllata i paesi che non
fossero in grado di attuare le politiche approvate in sede UE, la quale
dovrebbe prendersi così in carico la gestione del bilancio di uno Stato membro,
che fosse incapace di mettere in ordine le proprie finanze.
In altri termini, la sussistenza economica dell’Unione risulterebbe più
importante dell’orientamento politico ed economico di uno Stato membro, ancorché
tale orientamento fosse stato sancito da un suffragio elettorale.
Considerazioni.
Il suffragio universale impone ai candidati la necessità di conquistarsi la
maggioranza per poter formare un governo, ed i cittadini votano i candidati i
programmi dei quali sono più consoni alle loro esigenze attuali.
Ciò porta usualmente a due conseguenze. La prima é il frequente
riscontro di una consistente parcellizzazione
partitica, che rende problematica la formazione del governo,
che risulta essere instabile e poco coeso. Quindi,
inidoneo nei fatti a gestire la cosa pubblica. La seconda, é la necessità di mantenere le promesse elettorali,
almeno parzialmente. Ma quasi invariabilmente tali
promesse non sono economicamente realizzabili oppure
deteriorano ulteriormente una già precaria situazione.
Il risultato finale é una ingovernabilità sostanziale che si associa alla
necessità di generare elevati deficit e, quindi, debiti sovrani, cui consegue,
presto o tardi, il collasso del sistema produttivo.
Siamo chiari: nessun corpo elettorale eleggerebbe un candidato che avesse come
programma di rimettere in ordine i conti, tagliando le spese statali,
licenziando buona parte del corpo dei burocrati e dei funzionari delle
pubbliche amministrazioni, deregolarizzando nel contempo il comparto produttivo
per riallinearlo alle esigenze dei mercati.
La democrazia é un bene fragile e delicato. Se chi la esercita non lo sa fare
con buon senso e moderazione, allora le attese si scontrano con la durezza
della realtà, che alla fine le stritola.
Sotto questa luce la proposta di Trichet trova una sua intrinseca
giustificazione.
Giuseppe Sandro Mela per rischiocalcolato
lunedì 28 maggio 2012
CRONACA DI UN SUICIDIO ANNUNCIATO
«Per due volte, nel XX secolo, la Germania con mezzi militari ha distrutto se stessa e l’ordine europeo. Poi ha convinto l’Occidente di averne tratto le giuste lezioni: solo abbracciando pienamente l’integrazione d’Europa, abbiamo conquistato il consenso alla nostra riunificazione. Sarebbe una tragica ironia se la Germania unita, con mezzi pacifici e le migliori intenzioni, causasse la distruzione dell’ordine europeo una terza volta. Eppure il rischio è proprio questo». Corriere della sera
Sono parole pronunciate dall’ex ministro degli esteri tedesco, Joschka Fischer il quale sceglie parole pesanti come pietre per lanciare un allarme fatto di passione e ragione…
«Mi preoccupa – spiega Fischer – che l’attuale strategia chiaramente non funziona. Va contro la democrazia, come dimostrano i risultati delle elezioni in Grecia, in Francia e anche in Italia. E va contro la realtà: lo sappiamo sin dalla crisi del 1929, dalle politiche deflattive di Herbert Hoover in America e del cancelliere Heinrich Brüning nella Germania di Weimar, che l’austerità in una fase di crisi finanziaria porta solo a una depressione. Sfortunatamente, sembra che i primi a dimenticarlo siamo proprio noi tedeschi. Certo l’economia della Germania è in crescita, ma ciò può cambiare rapidamente, anzi sta già cambiando». L’ex vice-cancelliere del governo rosso-verde invita a non farsi alcuna illusione: l’Europa è oggi sull’orlo di un abisso. «O l’euro cade, torna la renazionalizzazione e l’Unione Europea si disintegra, il che porterebbe a una drammatica crisi economica globale, qualcosa che la nostra generazione non mai vissuto. Oppure gli europei vanno avanti verso l’Unione fiscale e l’Unione politica nell’Eurogruppo. I governi e i popoli degli Stati membri non possono più sopportare il peso dell’austerità senza crescita. E non abbiamo più molto tempo, parlo di settimane, forse di pochi mesi».
Ma non è finita ascoltate cosa ci racconta Fitoussi … «Non c’è da sorprendersi: così come è strutturata oggi, l’Europa è destinata alla paralisi», ha spiegato a Lettera43.it Jean-Paul Fitoussi, economista e docente all’Istituto di studi politici di Parigi e dell’Università Luiss di Roma, nonché membro del consiglio d’analisi economica del governo francese. «Il Trattato di Lisbona prevede che le decisioni siano prese all’unanimità: impossibile. Il risultato è che non vengono mai prese. O che sono talmente addolcite da consegnarci al fallimento».
(...) i tedeschi non voglio accollarsi il costo del debito degli altri. R. Questa è follia: la Germania ha goduto finora del fatto che gli altri si siano indebitati. D. Come? R. Più gli altri stanno male e devono pagare interessi alti sulle proprie obbligazioni statali, meno paga la Germania, considerata solida. Oltretutto, non è che i tedeschi abbiano poco debito: il loro è pari all’88% della ricchezza nazionale, non hanno niente da pontificare. D. Merkel però è inamovibile. R. Ripeto, la Germania non può dare lezioni. D. Perché? R. Ha giocato sporco: Berlino ha guadagnato perché ha fatto concorrenza fiscale e sociale a quelli che doveva aiutare. D. Cosa intende con concorrenza sociale? R. Semplice: le imprese hanno abbassato i salari e diminuito le tutele sociali. Hanno scelto una ricetta che fa male a tutti: ai lavoratori tedeschi e agli altri Paesi dell’Europa. (…)
Se vogliamo evitare la nascita di un “Quarto Reich” sarà meglio accelerare le procedure di dismissione dell’euro, la messa in disarmo dell’inutilissimo parlamento di Bruxelles, della BCE, filiale della Bundesbank e di tutte quelle istituzioni comunitarie come la Commissione Europea, l’Eurogruppo, l’Ecofin ecc. che non sono altro che costosissimi carrozzoni zeppi di imboscati di lusso, strapagati per fare nulla e decidere nulla. Se ognuno di noi torna alla propria valuta e alla propria banca centrale non saranno rose e fiori, ma lo strapotere della Merkel ci porterebbe comunque diritti verso il disastro. L’obiezione che si fa più spesso, in questi casi, è che la nostra moneta sarebbe troppo debole per attirare investimenti. In altra parole, avremmo forti difficoltà a raccogliere denaro nelle aste internazionali perché considerati pessimi pagatori. E’ vero solo in parte: fuori dal giogo della Germania l’Italia potrebbe ricominciare a crescere e a produrre per esportare, e il debito pubblico potrebbe avviarsi ad un primo contenimento. Non dimentichiamo, inoltre, che con una banca centrale con pieni poteri, potremmo scegliere le politiche monetarie che più si addicono alla nostra nuova situazione. Infine, con uno spread intorno ai 450 punti ormai stabilmente consolidati, siamo costretti a pagare comunque interessi da capogiro, che vanificano qualunque manovra finanziaria fatta di tagli e nuove imposizioni fiscali. Restare nell’euro non ci conviene in nessun caso. Ma non possiamo uscire da soli. Auguriamoci che i burocrati di Bruxelles si accordino (sarebbe la prima volta!) almeno sulla estinzione della moneta. Non ci crediamo molto, sono proprio loro a godere di vertiginose rendite di posizione, sono propri loro a vivere nel mondo dorato dove la crisi non è arrivata, non saranno dunque loro a fare la prima mossa. Tocca ai premier politici europei prendere la decisione. E prima lo faranno meglio sarà.
Da icebergfinanza
venerdì 25 maggio 2012
USCIRE DALL'EURO. TUTTI INSIEME.
Non siamo d'accordo su nulla. Perchè non fare l'unica cosa che condividiamo? Uscire tutti dall'euro ordinatamente, contemporaneamente. Decretare la fine della moneta unica, scegliendo il male minore.
Mi permetto, senza avere la pretesa di essere un profeta, di
avanzare una proposta che è anche una previsione. Non è facile fare previsioni
di questi tempi. E’ la cosa più difficile di tutte. Tuttavia, mi sento di
spingermi a formulare la seguente previsione: tutti i paesi membri usciranno
contemporaneamente dall’euro. In sintesi: l’euro si estinguerà in seguito ad
una uscita concordata di tutti i paesi membri. Vediamo di mettere a fuoco quello
che voglio dire: da cinque anni ci trasciniamo penosamente da un summit
all’altro, da un vertice all’altro, senza decidere mai un bel nulla, a parte
qualche vaga dichiarazione di intenti. Grazie ai tedeschi non siamo stati
neppure capaci di salvare la Grecia quando era possibile farlo con un minimo
dispendio economico. Ora l’uscita della Grecia dall’euro (un paese fallito
tecnicamente da due-tre anni)viene vissuto come un pericolo incombente
sull’economia europea anzitutto e su quella mondiale addirittura. Si menziona
l’effetto contagio, la dimostrazione che non esiste una politica comune
europea, il collasso delle assicurazioni sui titoli a difficile esigibilità (i
famosi CDS) ecc. Ma se è dall’inizio della crisi che non siamo d’accordo su
nulla, la Grecia ha perduto la propria sovranità, l’Italia l’ha persa lo scorso
agosto in seguito al pizzino giunto dalla BCE, dai vertici di Bruxelles non
esce una sola posizione comune, l’unica cosa che siamo stati capaci di fare,
perché faceva comodo alla Germania, è stato attuare una politica depressiva di
rigore e sacrifici. Per un paese come il nostro, con un rapporto debito/PIL del
120% vuol dire avvitarsi sulle manovre finanziarie senza fine, immiserendosi
sempre più. Il fatto che non si possa crescere in presenza di politiche
recessive lo capisce anche un perito commerciale, sorprende, semmai, che non lo
capisca un banchiere come Monti. Ora, considerando che i paesi in difficoltà,
prescindendo dalla Grecia, ormai stracotta, sono, nell’ordine: Portogallo,
Spagna, Irlanda, italia, Belgio, e ormai, anche Olanda e Austria, possiamo
comprendere che mezza Europa si trova non solo in difficoltà, ma comincia, più
o meno surrettiziamente, ad allontanarsi della moneta unica. La disaffezione
all’euro è crescente presso tutti gli elettorati d’Europa. Da cinque lunghi
anni i vertici e i summit di Bruxelles e Francoforte non decidono nulla, solo
rigore dei bilanci e austerità, da cinque anni siamo stanchi di farci governare
di fatto dalla cancelliera Merkel, che, fra l’altro, non capisce nulla di
economia e finanza e parla solo perché imbeccata dalla vera, tragica eminenza
grigia europea, il ministro dell’economia tedesco Schaeuble, un vecchio
capitalista fanaticamente liberista, convinto che il capitalismo ne uscirà
rigenerato dalle sue stesse ceneri. E invece, il capitalismo è alla fine del
suo ciclo storico, le sue contraddizioni lo hanno fatto esplodere, non ha mai
maturato gli anticorpi per la sua stessa difesa, e se lasciato a se stesso, produrrà
una depressione economica di portata mondiale tale da farci precipitare in un
nuovo medioevo cencioso e miserabile. L’euro sta diventando una camicia di
forza che costringe paesi con esigenze ed obiettivi diversi a perseguire le
mete della sola Germania. Berlino è diventata di fatto la capitale europea, ma
gli altri paesi, Olanda compresa, cominciano ad averne le tasche piene
dell’immobilismo di Schaeuble. E allora, dal momento che siamo divisi su tutto,
non ci accomuna nulla, ognuno tira l’acqua al suo mulino, perché non fare
l’unica cosa sulla quale siamo d’accordo? Se abbandoniamo l’euro tutti insieme,
contemporaneamente, e soprattutto ordinatamente, l’estinzione della moneta
unica potrebbe rivelarsi meno traumatica. Dopo un primo periodo di svalutazione
inflattiva, si ricomincerebbe a stampare moneta, ad attuare politiche monetarie
più adatte, si ricomincerebbe ad esportare. Il debito, contratto con una moneta
forte, una volta estintasi, sarebbe di più facile ridenominazione. Insomma, se
si decide, una volta per tutte, che l’esperienza dell’euro è stata un
fallimento, perche alla moneta unica non ha fatto seguito neppure l’ombra di
una unione politica, e si torna tutti contemporaneamente alle proprie valute,
se ne potrebbe uscire limitando gli effetti collaterali. Abbiamo tutti compreso
che non si può seguitare così per molto. I grandi fondi di investimento di
allontanano dall’eurozona, così come i grandi investitori istituzionali.
L’Europa ha perduto ogni forma di credibilità, non per colpa di Berlusconi, ma
per colpa di una Merkel che ha fatto l’interesse del suo paese, null’altro. Dell’egemonia
tedesca ne abbiamo le tasche piene, e non siamo più i soli. Seguitando di
questo passo andremo comunque incontro ad un break up dell’euro, e allora non
sarebbe meglio anticipare i tempi, lasciarci da buoni amici, tornare alle nostre
valute, e abbandonare i tedeschi al loro destino. Si credevano i padroni del
vapore, e finiranno con le esportazioni dimezzate. Monti non ha la mentalità e
la forza per fare una simile proposta: auguriamoci che lo facciano gli
spagnoli, o gli irlandesi, o i portoghesi. Insomma che qualcuno lanci il sasso
nello stagno. Qualcuno, statene certi, lo raccoglierà.
lunedì 21 maggio 2012
UNA VITA VIOLENTA
C'è un sottile filo
rosso che sembra collegare avvenimenti non altrimenti correlabili, la
catena di suicidi di imprenditori, l'attentato al dirigente
dell'Ansaldo Energia, le prime manifestazioni violente davanti a sedi
di Equitalia, l'ordigno esploso davanti alla scuola di Brindisi,
persino il terremoto emiliano. Non ci sono dei nessi precisi tra un
evento e l'altro, tuttavia, lo sentiamo epidermicamente, qualcosa si
sta muovendo, non sappiamo bene ancora in quale direzione, ma
avvertiamo che qualcosa di muto, scuro, orribile si sta spostando da
noi o contro di noi. E' quel lato oscuro di tutte le cose, l'altra
faccia della medaglia, il malessere che tutti ci percorre, i demoni
che si agitano nel nostro inconscio, l'aggressività per troppo tempo
repressa, la pulsione di morte e annientamento che si annida in
ognuno di noi, in un angolo nascosto. I Maya non c'entrano, la
contrazione economica mondiale, viceversa, c'entra eccome. Sapevamo
tutti che prima o poi, la recessione, i licenziamenti, la chiusura
delle fabbriche, l'erosione dei risparmi delle famiglie, l'accesso
precluso ai mutui, la cattiva politica, avrebbero prodotto delle
conseguenze anche sociali, avrebbero causato dei riflessi psicologici
in ognuno di noi. Sono passati quasi cinque anni dall'inizio della
crisi, cinque lunghi anni, e non solo non è cambiato niente, stiamo
anzi entrando nella parte peggiore, quella più acuta, di questa
contrazione mondiale che non potrà che durare diversi decenni. Non
parliamo dei non pochi stra ricchi che della crisi se ne fregano e
continuano a veleggiare sui loro panfili, ma della maggioranza della
popolazione che, ciascuno a suo modo, sulla base della sua vita
precedente, si trova ad affrontare un quadro del tutto inusitato per
il nostro mondo, mai conosciuto dal dopoguerra a questa parte: lo
spettro della miseria. Miseria in senso anche lato, povertà di
mezzi, scarso accesso al credito, rinuncia quotidiana a cose ritenute
sino a ieri normali, l'essere soggetto ad un costante bombardamento
mediatico fatto ormai solo di notizie negative, siano esse di borsa
come di cronaca. Ecco, uno degli aspetti che deprime l'umore, oltre
che i consumi, e uno dei tratti distintivi di questi aridi e incapaci
tecnici che ci governano, la totale assoluta, assenza di speranza. Fa
parte dell'arte politica (del tutto sconosciuta ai nostri politicanti
di mestiere, lanzichenecchi che si venderebbero per trenta denari) la
tecnica della comunicazione, l'arte del mediare e colloquiare con gli
elettori. Un buon politico è colui che non solo sa amministrare la
cosa pubblica, ma sa anche infondere speranza, non illusioni, traccia
un piano, un programma allo scopo di raggiungere un obiettivo, una
meta prefissata. Solo in questo modo l'opinione pubblica accetta
sacrifici e privazioni: solo quando ha la sensazione di marciare
verso qualcosa, di camminare nella direzione indicata dal premier di
turno che porterà ad un miglioramento, ad una crescita, ad una
condizione migliore. Quello che i tecnici non sanno e non possono
fare è anche questo. Si ha la sensazione di essere soli tra migliaia
di persone, di girare a vuoto, senza meta e senza rotta, di procedere
da una manovra finanziaria e l'altra, perchè l'obiettivo, anche se
sottaciuto, non è lo sviluppo economico e lo sgravio fiscale, ma il
pareggio di bilancio, una chimera irragiungibile, che Monti,
appartenente alla stessa scuola della Merkel, intende perseguire. E
questo è uno dei fondamentali errori di questo governo. Non ci si
può trascinare da una manovra all'altra, sempre più immiseriti,
sempre più poveri, sempre più scontenti. L'inserimento in
Costituzione del pareggio di bilancio è stata la più colossale
sciocchezza che questo sciagurato governo ha commesso. Non si mette
in Costituzione un'illusione. Non raggiungeremo mai il pareggio,
perchè se il denominatore del rapporto debito pubblico/PIL rimane
negativo, possiamo fare non una ma venti manovre, il saldo resterà
negativo. La crisi si riverbera in ognuno di noi, dicevamo, in
maniera diversa, a seconda della nostra natura, dei nostri trascorsi
emotivi. C'è chi reagisce con rabbia, aumentando gli sforzi per
tirarsi fuori dal pantano e restare a galla, c'è chi si chiude, si
ripiega su se stesso, deprimendo sé e la sua famiglia, c'è chi
manifesta la violenza latente che alberga in ognuno di noi. I
conflitti armati, lo abbiamo ripetuto più volte, si sono trasferiti
sul piano dell'economia e della finanza, e l'Italia raramente è
uscita vittoriosa da qualche conflitto. Ancora una volta, come una
nemesi storica, la Germania ci sta trascinando in questo bagno di
sangue, macellando prima la Grecia, cercando adesso di fare la stesa
cosa con Portogallo , Spagna e Italia. I tedeschi hanno sempre
perduto i conflitti che hanno scatenato, ma prima della sconfitta
hanno lasciato parecchie vittime lungo la strada. In definitiva, come
largamente preannunciato, siamo entrati a pieno titolo in quella che
si definisce “instabilità sociale”, che fino a che si manifesta
con qualche sporadico attentato, con qualche azione isolata o qualche
colpo di testa è ancora controllabile, quando, se le cose dovessero
peggiorare e dovessimo andare incontro ad una “ellennizzazione”
potrebbe sfociare in aperti moti rivoluzionari, in guerra civile, qualsiasi forma di controllo risulterebbe assai difficile.
La crisi ha un padre
remoto ed uno più vicino a noi. Quello remoto è la finanza creativa
degli USA, che concedevano allegramente mutui a messicani che non
avevano un soldo, quello più vicino a noi è costituito dal ministro
dell'economia tedesco Schaeuble e la cancelliera Merkel. Questa è la
terza guerra mondiale che stanno perdendo, trascinando con sé tutta
l'Europa. Ci auguriamo ardentemente che la sua posizione diventi
minoritaria ed il suo ruolo di dirigente di fatto dell'Unione Europea
volga al termine, ma intanto ci siamo rassegnati allo spostamento a
Berlino della capitale d'Europa. L'immobilismo della Germania, il suo
ostinato dire di no a qualsiasi proposta che non contenga la
disciplina di bilancio, l'ossessivo richiamo al rigore e
all'austerità hanno portato i paesi economicamente più deboli
sull'orlo della depressione economica. Ci vuole slancio, un “new
deal”, un “piano Marshall”, serve uno spirito diverso, rivolto
tutto alla sviluppo economico e alla creazione di nuovi posti di
lavoro, uno spirito fatto di interventi pubblici nell'economia, di
nazionalizzazioni se necessario, insomma, l'opposto di quello che sta
facendo la cricca di Berlino. Il nostro Monti, per quello che può
contare, con i suoi 2.000 miliardi debito pubblico sulle spalle, non
sembra aver assunto una posizione netta. Niente di più sbagliato in
frangenti come questo. La terza economia dell'Europa deve assumere
una posizione decisa, senza se e senza ma. Basta col rigore fino a se
stesso, basta con i fiscal compact e le letterine da Berlino. O si
emettono eurobond, spalmando il debito su tutti i paesi europei, o si
stampa moneta a costo di veder accrescere l'inflazione, oppure,
signori cari, vi piaccia o meno, l'Italia esce dall'euro. Al solo
sventolio di una simile minaccia, la Merkel e il suo ministro
farebbero un passo indietro. Loro sanno bene quello che hanno
guadagnato con l'Euro, e sanno altrettanto bene che con il loro marco
non andrebbero lontano. L'uscita del nostro paese dall'euro
comporterebbe l'immediata esplosione della moneta unica che
cesserebbe di esistere. Monti deve abbandonare il suo maledetto
aplomb e la sua parlata soporifera: deve battere i pugni sul tavolo,
se non è capace di farlo, se ne torni alla sua amata bocconi. Ci
troviamo in un passaggio molto delicato, tutti sappiamo bene che non
si arriverà mai agli stati uniti d'Europa, ma dobbiamo adottare, se
non altro, strategie comuni volte alla crescita, non al rigore.
La violenza può prendere
molte forme, può restare dentro di noi, e allora ci distrugge piano
piano, può restare nello stretto ambito familiare, e allora diventa
il carnefice della famiglia, qualche volta esonda i confini dei
propri cari e sfocia in ribellione aperta. Allora tutto è possibile.
Come abbiamo visto i conflitti si sono spostati dal piano della
guerra guerreggiata, all'economia e ai mercati. Ci siamo dati un
fisco che, con il nobile intento di snidare l'evasione fiscale, è
diventato cieco, invasivo ed opprimente. Non contro i veri grandi
evasori, nei confronti dei quali ci si guarda bene dal fare una patrimoniale, ma nei confronti del bersaglio più facile, più a
portata di mano. La tedesca “Bosch” aveva una pendenza con
l'Agenzia delle entrate di circa un milione di euro. Ha patteggiato
ed ha ottenuto di pagarne solo trecentomila. E gli altri
settecentomila? Andati in cavalleria. Con la Bosch si usa il guanto
di velluto, con il contribuente italiano si pignora e si sequestra.
Non ci lamentiamo se il cittadino sull'orlo del fallimento, invece di
suicidarsi si scaglia contro l'Agenzia delle entrate, forte con i
deboli e debole con i forti.
Ci stiamo avviando verso
una stagione difficile, di forti tensioni e conflittualità sociale.
Abbiamo visto chi sono i maggiori responsabili di questo stato di
cose e quello che devono fare. Se non lo faranno, ci dobbiamo
abituare a sentire, ogni tanto, poi sempre più spesso, degli spari
sulla strada. Ciascuno di noi ha una carica di violenza che reprime
perchè inquadrato e cresciuto in un consorzio civile, in una
collettività organizzata, ma nelle congiunture emergenziali, nelle
fasi più acute di una crisi, i confini delle convenzioni sociali si
allentano fino a spezzarsi. E allora la violenza che è presente in
ciascuno di noi ha libero corso, può individuare un bersaglio
purchessia, scelto magari a casaccio, e liberarsi verso questo
obiettivo, raggiungendo il duplice scopo di colpire un innocente e
distruggere la propria esistenza. Ci riflettano i Soloni che sono al
governo, nelle segrete stanze, che ad ogni loro azione corrisponde
una reazione eguale e contraria.
giovedì 17 maggio 2012
QUANDO CROLLA IL SENSO DELLO STATO
C'è una campagna,
promossa dall'attuale governo di cosiddetti “tecnici”, che sta
passando in questi giorni per la TV, uno spot che mostra una donna
con un fazzoletto in testa, malata di cancro, che sostiene che,
nonostante la sua evidente malasorte, di consolante c'è che il
governo italiano le consente delle forme di lavoro alternative, come
il passaggio ad un part time o il ricorso al telelavoro. Il tutto
condito in una salsa di buoni sentimenti: così il malato di cancro
non si sente inutile, può ancora partecipare attivamente alla vita
lavorativa, insomma, si deve sentire ancora una persona “normale”.
Ecco che cosa accade quando lo Stato ha definitivamente perduto il
contatto con i cittadini, con la vita reale. Può sembrare un aspetto
marginale, un piccolo particolare trascurabile, ma non lo è. Questa
campagna, che fu avviata circa un anno fa per volontà del ministro
Brunetta (che ne è il padre, e questo la dice lunga), è stata
interrotta e poi ripresa da questa accozzaglia di tecnici che stanno
portando il paese alla rovina. Questi cattedratici, abituati a
pontificare ai propri allievi, portano il loro paternalistico
conforto ai malati di cancro, facendo passare un normalissimo diritto
cui possono accedere tutti i cittadini, per un privilegio che spetta
ai malati, in virtù della loro stessa condizione. Tutti sappiamo che
il part time è possibile in ogni caso, per le motivazioni più
svariate: svolgere una seconda attività, accudire i figli piccoli, o
semplicemente stare a a casa a grattarsi la pancia. Il part time
gentilmente concesso persino ai malati di cancro non si differenzia
in nulla da quello normale accessibile a tutti: lavori per metà
orario normale, percepisci uno stipendio proporzionale alle ore
lavorative. Il fatto che lo spot televisivo lo faccia apparire come
un privilegio concesso dal governo ai malati è un fatto, a mio modo
di vedere, di una gravità assoluta, è volgare ed offensivo. Sembra
che dietro la ripresa dello spot in questione ci sia il ministro
Fornero. Ora, se questa signora, Dio non voglia, dovesse incappare in
questa malattia, poniamo al fegato, che cosa farebbe, cosa
penserebbe? Le reazioni in questo caso sono molto soggettive, ma
possiamo immaginare che il suo primo pensiero sarebbe quello di
curarsi, di cercare disperatamente di guarire. Al telelavoro o al
part time non ci penserebbe proprio , sarebbe anzi l'ultima delle sue
preoccupazioni. Se il tipo di tumore che la colpisce è fatale, dopo
un calvario più o meno lungo raggiungerebbe la casa del Padre
celeste, se, viceversa, fosse di un tipo meno aggressivo e
maggiormente curabile, terminata l'operazione e i conseguenti cicli
di chemioterapia, probabilmente penserebbe a quello che davvero è
importante per un essere umano, per dare senso alla vita: ai propri
cari, ai propri affetti più profondi e sinceri, programmerebbe
magari quel viaggio che voleva fare da tanto tempo e non ha mai, dati
i suoi impegni di lavoro, potuto compiere con la persona che le è
più cara. Il lavoro, in questi casi, è l'ultima cosa in ordine di
importanza. E' vero che ci sono persone che reagiscono in tutt'altro
modo: si gettano a capofitto nei propri compiti, nelle proprie
mansioni per non pensare a quello che incombe sul loro capo, ma
dobbiamo rispettare necessariamente anche le scelte di coloro che,
colpiti da una malattia molto spesso fatale, al lavoro non ci pensano
proprio. Ora, il fatto che lo Stato, in questo caso rappresentato da
questa banda di “tecnici” faccia passare un atto dovuto per un
privilegio concesso in via eccezionale è cosa degna di un
personaggio come Brunetta. E' in questo modo che crolla il senso
dello Stato, il senso di appartenenza non ad una collettività, ma ad
un apparato politico-burocratico che ha completamente perduto il
contatto con la realtà, con la gente, con la vita di tutti i giorni.
Il ministro Fornero, se colpita da un male simile, andrebbe nel
miglior centro di cura esistente al mondo, a New York, sapendo di
mettersi nelle mani migliori in assoluto, non andrebbe nell'ospedale
dietro l'angolo. E al part time non ci penserebbe neppure. A questo
punto lo scollamento non esiste solo con i partiti politici,
consorterie buone solo a fare i propri interessi personali, ma con lo
Stato in senso tecnico, la macchina burocratica che vessa e dileggia
il cittadino con tasse e balzelli di ogni genere, manda cartelle e
ingiunzioni di pagamento magari sbagliate, ma intanto il cittadini
deve dimostrare l'errore. Lo stato diventa antagonista del
contribuente, lo perseguita in ogni piega della sua esistenza, quando
dovrebbe essere esattamente il contrario: uno stato moderno dovrebbe
essere al servizio del cittadino. Spot volgari e menzogneri come
quello citato non fanno che allargare il fossato già esistente tra
un apparato pletorico ed inefficiente, cieco e brutale, ed un
cittadino sempre più indifeso nei suoi diritti e nella sua dignità.
Abbiamo dunque trovato qualcosa che accomuna Brunetta con la Fornero. Dell'uno non si potrà mai dire male abbastanza: anche le parole sono inadeguate. Dell'altra possiamo dire che una cosa abbiamo capito: è una saccente boriosa che ha fatto un mediocre lavoro di destrutturazione dello stato sociale. Nella parte demolitiva è stata abilissima, ne conveniamo, chissà se si dimostrerà altrettanto brava in quella costruttiva. Ci permettiamo di dubitarne.
Abbiamo dunque trovato qualcosa che accomuna Brunetta con la Fornero. Dell'uno non si potrà mai dire male abbastanza: anche le parole sono inadeguate. Dell'altra possiamo dire che una cosa abbiamo capito: è una saccente boriosa che ha fatto un mediocre lavoro di destrutturazione dello stato sociale. Nella parte demolitiva è stata abilissima, ne conveniamo, chissà se si dimostrerà altrettanto brava in quella costruttiva. Ci permettiamo di dubitarne.
martedì 15 maggio 2012
NEI DATI OGGETTIVI IL FALLIMENTO DEL GOVERNO MONTI
L'effetto Monti è terminato: lo spread non è mai sceso sotto i 400 punti. In Italia non esiste più un governo tecnico. E' diventato politico nel senso più deteriore del termine: si va avanti con le schermaglie tra un partito e l'altro. E l'azione del governo è stata annullata. Paralisi per paralisi, meglio votare al più presto.
Nel primo trimestre arretra dello 0,8%, record dal 2009.
Il PIL italiano in negativo per il terzo trimestre consecutivo, su base annua il Prodotto scende dell’1,3%. Cresce il valore aggiunto nell’agricoltura, diminuisce quello dell’industria e dei servizi. Crescita zero nell’Eurozona: meglio del previsto….
Il Pil cala ancora, l’Italia è in recessione profonda. Il Prodotto Interno Lordo italiano si è contratto dello 0,8% nel primo trimestre dell’anno rispetto ai tre mesi precedenti e dell’1,3% su base annua, confermando lo stato di recessione dell’economia.
Si tratta del terzo trimestre consecutivo in negativo, dopo il -0,2% del terzo trimestre del 2011 e il -0,7% del quarto. Il risultato congiunturale, sintesi di un aumento del valore aggiunto dell’agricoltura e di una diminuzione di quello dell’industria e dei servizi, è il peggiore dal primo trimestre del 2009, quando si registrò un calo del 3,5% sui tre mesi precedenti.
Il primo trimestre del 2012 ha avuto due giornate lavorative in più rispetto sia al trimestre precedente sia al primo trimestre del 2011. La crescita acquisita per il 2012 è pari a -1,3%.
I dati sull’economia reale, molto più importante della finanza di carta per determinare lo stato di salute di un Paese e di chi lo abita, a partire dall’inizio del 2012 sono tutti negativi.
Gli impatti del governo Monti, in carica da novembre 2011, e della manovra salva-italia, licenziata dal parlamento a dicembre, non sono stati dei migliori.
Ecco i veri risultati della politica “sviluppo-salva-italia” del governo Monti:
- Immatricolazioni Automobili (Gen-Feb. 2012 – a/a): -17,8% (UNRAE)
- Movimenti aerei passeg. e cargo (Gen. 2012 – a/a): -6,5% (ASSOAEROPORTI)
- Richieste Mutui (Gen. 2012 – a/a): -44,0% (EURISC)
- Inflazione (Feb. 2012 – a/a): +3,3% (ISTAT)
- Prezzi alla produzione dei prodotti industriali (Gen. 2012 – a/a): +3,3% (ISTAT)
- Prezzi beni energetici (Feb. 2012 – a/a): +15,6% (ISTAT)
- Consumi petroliferi (Gen-Feb. 2012 – a/a): -8,3% (Destag. -10,0%) (M.SV.EC.)
- Consumi gas (Gen. 2012 – a/a): -4,3% (MIN. SVIL. ECON.)
- Consumi En. Elettrica (Gen-Feb. 2012 – a/a): -0,2% (Destag. -2,0%) (TERNA)
- Produzione Industriale (Gen. 2012 – a/a): -2,1% (Destag. -5,0%) (ISTAT)
- Fatturato industriale (Gen. 2012 – a/a): -1,4% (Destag. -4,4%) (ISTAT)
- Ordinativi dell’industria (Gen. 2012 – a/a): -5,6% (ISTAT)
I dati si riferiscono tutti al rapporto anno su anno, ossia il raffronto tra il periodo analizzato nel 2012 (generalmente gennaio, oppure il bimestre gennaio-febbraio) e il medesimo periodo dell’anno precedente.
EUROZONA, MEGLIO DEL PREVISTO – In linea con le aspettative (o forse anche qualcosa in più) il Pil europeo nel primo trimestre 2012. L’area euro ha fatto registrare ’crescita zero’: secondo la stima preliminare diffusa da Eurostat il Pil totale dell’Unione valutaria non ha mostrato variazioni rispetto ai tre mesi precedenti. Questo significa che l’eurozona ha evitato la recessione tecnica.
Il dato si è rivelato migliore rispetto alle attese: in media gli analisti si attendevano una contrazione dello 0,2 per cento dopo il meno 0,3 per cento subito dal Pil dell’area euro negli ultimi tre mesi del 2011.
Variazione nulla anche nel confronto su base annua. Crescita a zero anche guardando a tutta l’Unione europera a 27 dai tre mesi precedenti, mentre nel confronto annuo il Pil ha segnato un limitato più 0,1 per cento. Il dato generale sembra riflettere una dinamica ben più solida del previsto dal parte della Germania, prima economia dell’area valutaria che nei primi tre mesi dell’anno ha visto il Pil aumentare dello 0,5 per cento dai tre mesi precedenti e dell’1,2 per cento su base annua. La Francia ha invece registrare una crescita a zero dai tre mesi precedenti e un limitato più 0,3 per centro su base annua
Ora non ci resta che aspettare, François Hollande è il settimo presidente della Repubblica Francese. Il leader socialista ha prestato giuramento e ha dichiarato: “Sono qui per risanare il Paese”. Il neo presidente, nel discorso di investitura, ha detto che proporrà ai partner europei un patto che unisca politiche di crescita e riduzione dei deficit.
Carlo Scalzotto - finanzanostop
Nel primo trimestre arretra dello 0,8%, record dal 2009.
Il PIL italiano in negativo per il terzo trimestre consecutivo, su base annua il Prodotto scende dell’1,3%. Cresce il valore aggiunto nell’agricoltura, diminuisce quello dell’industria e dei servizi. Crescita zero nell’Eurozona: meglio del previsto….
Il Pil cala ancora, l’Italia è in recessione profonda. Il Prodotto Interno Lordo italiano si è contratto dello 0,8% nel primo trimestre dell’anno rispetto ai tre mesi precedenti e dell’1,3% su base annua, confermando lo stato di recessione dell’economia.
Si tratta del terzo trimestre consecutivo in negativo, dopo il -0,2% del terzo trimestre del 2011 e il -0,7% del quarto. Il risultato congiunturale, sintesi di un aumento del valore aggiunto dell’agricoltura e di una diminuzione di quello dell’industria e dei servizi, è il peggiore dal primo trimestre del 2009, quando si registrò un calo del 3,5% sui tre mesi precedenti.
Il primo trimestre del 2012 ha avuto due giornate lavorative in più rispetto sia al trimestre precedente sia al primo trimestre del 2011. La crescita acquisita per il 2012 è pari a -1,3%.
I dati sull’economia reale, molto più importante della finanza di carta per determinare lo stato di salute di un Paese e di chi lo abita, a partire dall’inizio del 2012 sono tutti negativi.
Gli impatti del governo Monti, in carica da novembre 2011, e della manovra salva-italia, licenziata dal parlamento a dicembre, non sono stati dei migliori.
Ecco i veri risultati della politica “sviluppo-salva-italia” del governo Monti:
- Immatricolazioni Automobili (Gen-Feb. 2012 – a/a): -17,8% (UNRAE)
- Movimenti aerei passeg. e cargo (Gen. 2012 – a/a): -6,5% (ASSOAEROPORTI)
- Richieste Mutui (Gen. 2012 – a/a): -44,0% (EURISC)
- Inflazione (Feb. 2012 – a/a): +3,3% (ISTAT)
- Prezzi alla produzione dei prodotti industriali (Gen. 2012 – a/a): +3,3% (ISTAT)
- Prezzi beni energetici (Feb. 2012 – a/a): +15,6% (ISTAT)
- Consumi petroliferi (Gen-Feb. 2012 – a/a): -8,3% (Destag. -10,0%) (M.SV.EC.)
- Consumi gas (Gen. 2012 – a/a): -4,3% (MIN. SVIL. ECON.)
- Consumi En. Elettrica (Gen-Feb. 2012 – a/a): -0,2% (Destag. -2,0%) (TERNA)
- Produzione Industriale (Gen. 2012 – a/a): -2,1% (Destag. -5,0%) (ISTAT)
- Fatturato industriale (Gen. 2012 – a/a): -1,4% (Destag. -4,4%) (ISTAT)
- Ordinativi dell’industria (Gen. 2012 – a/a): -5,6% (ISTAT)
I dati si riferiscono tutti al rapporto anno su anno, ossia il raffronto tra il periodo analizzato nel 2012 (generalmente gennaio, oppure il bimestre gennaio-febbraio) e il medesimo periodo dell’anno precedente.
EUROZONA, MEGLIO DEL PREVISTO – In linea con le aspettative (o forse anche qualcosa in più) il Pil europeo nel primo trimestre 2012. L’area euro ha fatto registrare ’crescita zero’: secondo la stima preliminare diffusa da Eurostat il Pil totale dell’Unione valutaria non ha mostrato variazioni rispetto ai tre mesi precedenti. Questo significa che l’eurozona ha evitato la recessione tecnica.
Il dato si è rivelato migliore rispetto alle attese: in media gli analisti si attendevano una contrazione dello 0,2 per cento dopo il meno 0,3 per cento subito dal Pil dell’area euro negli ultimi tre mesi del 2011.
Variazione nulla anche nel confronto su base annua. Crescita a zero anche guardando a tutta l’Unione europera a 27 dai tre mesi precedenti, mentre nel confronto annuo il Pil ha segnato un limitato più 0,1 per cento. Il dato generale sembra riflettere una dinamica ben più solida del previsto dal parte della Germania, prima economia dell’area valutaria che nei primi tre mesi dell’anno ha visto il Pil aumentare dello 0,5 per cento dai tre mesi precedenti e dell’1,2 per cento su base annua. La Francia ha invece registrare una crescita a zero dai tre mesi precedenti e un limitato più 0,3 per centro su base annua
Ora non ci resta che aspettare, François Hollande è il settimo presidente della Repubblica Francese. Il leader socialista ha prestato giuramento e ha dichiarato: “Sono qui per risanare il Paese”. Il neo presidente, nel discorso di investitura, ha detto che proporrà ai partner europei un patto che unisca politiche di crescita e riduzione dei deficit.
Carlo Scalzotto - finanzanostop
lunedì 14 maggio 2012
SE UN GIORNO LE BRIGATE ROSSE
Dal giorno dell'attentato
al dirigente dell'Ansaldo Energia si fa un gran dibattere sul tema di
una possibile, probabile futura deriva terroristica nel paese. Non
era indispensabile il ferimento di un dirigente d'azienda o qualche
molotov lanciata contro le sedi di Equitalia per capire che i tempi
sono maturi, siamo arrivati al nodo cruciale, le tensioni sociali in
questo come in altri paesi d'Europa, sono arrivate ad un punto
prossimo all'esplosione. Non reggono i paragoni con il passato, per
diverse ragioni: il terrorismo degli anni settanta era velleitario,
autoreferenziale ed “aristocratico”: un pugno di giovanotti, di
istruzione medio-alta, avevano deciso di costituire l'avanguardia di
un movimento armato che, nei loro deliranti propositi, avrebbe
indotto le masse, soprattutto operaie, a seguirli fino
all'insurrezione armata contro i poteri dello stato. Era un battaglia
perduta in partenza, tutta ideologia post marxista, non prendeva le
mosse da bisogni reali, concreti, ma dalla arrogante supponenza di un
gruppo di illusi che cercavano un riscatto dalle loro frustrazioni
personali riversandole in un movimento di più ampio respiro. La
cortina di ferro non era ancora caduta, si vagheggiava di comunismo
senza avere ben presente cosa significasse la sua traduzione nella
realtà, si cercava un consenso in una società vagheggiata, si
lottava contro un nemico immaginario che aveva il volto della
Democrazia Cristiana, a quel tempo massima distributrice di ricchezze
e prebende ad una popolazione che, con la pancia piena, era poco
incline a fare la rivoluzione marxista. Alcuni docenti universitari,
Semeria, Fenzi, Toni Negri, Scalzone, Piperno, Vesce, Ferrari Bravo,
predicavano la lotta armata ad uno stuolo di studenti politicizzati
più per moda che per necessità. I docenti portavano avanti le loro
acute analisi per appagare un narcisismo mai domo, gli studenti li
seguivano per costituire l'avanguardia di masse inesistenti: loro
erano gli “operai sociali”, gli intellettuali, gli altri, i
pecoroni che avrebbero dovuto seguirli nel disegno rivoluzionario,
erano gli “operai massa”, gli incolti pronti ad obbedire a
ventenni con le tasche piene e i cervelli imbottiti di parole
d'ordine vuote e prive di significato. Il disegno di allora delle
Brigate Rosse era chiaramente elitario e destinato al fallimento
sicuro: i componenti stessi del gruppo storico, da Curcio a
Franceschini, da Ognibene a Moretti, sapevano perfettamente che
sarebbe finita male, ma andarono avanti ugualmente, per quel culto
medioevale cavalleresco del “bel gesto”, per quell'istinto di
autodistruzione che personalità nichiliste come quelle si portavano
cucito addosso, la battaglia ideale contro i mulini a vento, il
delirio allucinato dello spargimento di sangue, l'andare incontro, in
un crescendo autolesionista, a viso aperto, alla fine sicura, ponendo
fine, magari sul campo, ad una vita sbagliata, intessuta di complessi
e frustrazioni tutte personali e private, alla ricerca, conscia o
meno, della morte eroica sul campo dell'eroe incompreso.
Oggi non è più così.
L'eventuale rinascita di una qualsiasi forma di terrorismo avrebbe,
in Italia, tutt'altre connotazioni. Questa volta si parte da bisogni
reali, drammaticamente concreti: una schiera di persone che hanno
perduto il lavoro una volta per tutte, una massa di disoccupati o
inoccupati che non cercano più lavoro, lavoratori in nero che
percepiscono salari da fame e sono sfruttati e ricattati, pensionati
che sono alla miseria, una classe politica indegna di questo nome
ancorata unicamente ai propri privilegi, un governo tecnico
completamente arenato dai veti incrociati di partiti in disfacimento.
Il Ministro Passera, uno dei pochi che ha capito quello che sta per
accadere, ha parlato di una media di 6 milioni di persone senza
lavoro o sotto occupate: considerando il numero dei familiari di
dette persone, arriviamo ad un 50% circa delle famiglie italiane in
sofferenza. E il futuro che ci si prospetta non è migliore. Non ha
senso che Monti parli di crescita per il 2013: sa perfettamente di
mentire. Christine Lagarde ha commentato, parlando dell'Italia, che
si potrà, nella migliore delle ipotesi, parlare di crescita e di PIL
positivo per l'Italia solo dal 2017 in poi. Abbiamo diversi anni
davanti a noi in cui il terrorismo, quello vero non quello dei
sognatori come Curcio o la Cagol, avrebbe modo di svilupparsi e
organizzarsi. Il disagio sociale fortissimo che tocchiamo con mano
tutti i giorni è il brodo di coltura più appropriato per la nascita
di una lotta armata. L'inerzia colpevole e suicida delle istituzioni
europee è un formidabile incentivo ad agire. Il governo tecnico,
intervenuto per interrompere la paralisi politica, è stato solo in
grado di accrescere la pressione fiscale, ora sarà solo nelle
condizioni di operare tagli alla spesa pubblica, taluni giusti, altri
del tutto ingiustificati, con il solo risultato di comprimere
ulteriormente una economia già esangue. Tutti sappiamo che ci sarà
una ennesima manovra finanziaria entro l'anno, altre imposizioni,
altri sacrifici, ma sappiamo altrettanto bene che, a quel punto, la
misura sarà colma. Non possiamo accusare solo Mario Monti, per due
motivi: il primo è che deve comunque rispondere ad un parlamento,
ancor più diviso e rissoso dopo l'esito delle consultazioni
amministrative, e, soprattutto, ad una Angela Merkel che è il vero
colpevole della situazione prossima al collasso nella quale ci
troviamo. Nel capitalismo giunto nella sua ultima fase l'economia e
la finanza dominano e annientano l'iniziativa politica, la Merkel,
attraverso UE e BCE governa l'Europa senza averne la consacrazione e
l'autorità per farlo. La governa solo perchè esponente della
nazione economicamente più forte dell'Europa. Monti, da solo, non
può sovvertire una realtà consolidata ed agire autonomamente in un
mondo dominato dai mercati e dagli speculatori che lo amministrano.
Ora, è chiaro che in una situazione come questa, con la sofferenza e
la sparizione del ceto medio, il tallone rigorista della Germania sul
collo, i mercati e quindi la finanza, gestita da un pugno di
milionari americani che domina la scena politica, il malcontento, il
disagio, il malessere sociale non possano che sfociare in rabbia
aperta. Dapprima la pistola si punta contro se stessi, poi la si
rivolge contro qualcun altro, anche se non si sa ancora bene chi: non si
può colpire una classe politica che tra l'altro non governa neppure,
non si può colpire Mario Monti che, mani e piedi legati non può fare di
più, si individua allora un simbolo della arida, cruda realtà dei
numeri, il simbolo stesso della imposizione fiscale che ti chiede 100
quando allo Stato devi 20, Equitalia. Si tratta solo di un agente di
riscossione e di per sé non è colpevole, ma l'aggio che trattiene
(il 9%) è troppo elevato, gli interessi di mora che applica sono da
capestro, gli errori che compie sono sempre e solo a danno del
contribuente. Questo suscita la rabbia nei cittadini, vessati in
mille modi: si può sbagliare, è umano, capita a tutti, ma se
l'errore si compie solo in una direzione, sempre a vantaggio
dell'amministrazione e mai del contribuente, allora sorge il
legittimo dubbio della premeditazione. Pur sbagliando Equitalia
procede con i suoi pignoramenti e sequestri, al malcapitato spetta
l'onere della prova. Come dire cornuti e mazziati. Equitalia non è,
ovviamente, il male assoluto, anche se va profondamente riformata, è
solo un bersaglio ben definito, chiaro e comprensibile a tutti.
Mi si dirà: ma in Italia
non esistono formazioni politiche di estrema destra o sinistra. E'
vero, la particolarità del nostro paese è quella di aver assorbito
l'estremismo di sinistra nella formazione composita di Vendola (la
SEL) e l'estremismo di destra si è dissolto con il totale fallimento
di “Forza Nuova”, ormai praticamente inesistente. Ma a tutto
questo si può opporre l'obiezione che in questo caso non è
l'estrazione ideologica a fare la differenza. Nessuno pensa di
edificare una società né socialista né tanto meno fascista, il
bisogno di veicolare all'esterno la propria rabbia, il proprio senso
di impotenza, la negazione del proprio futuro non hanno colore
politico. C'è un numero sempre più elevato di cittadini che, se
posti nella condizione e nell'opportunità di scegliere, salirebbero
sul carro in corsa, domandando solo in un secondo tempo, una volta
accomodatisi, “scusate, ma voi siete di destra o di sinistra?” E'
pur vero che una base, un substrato ideologico è indispensabile: ha
un valore di collante, di denominatore comune, le persone hanno
bisogno di simboli e di ideali, per quanto approssimativi o
sgangherati. Ma c'è di sicuro chi sta lavorando anche a questo.
L'ipotesi più probabile è che ci si troverà davanti ad una miscela
esplosiva di doppi estremismi, si prende quello che occorre al
momento dalla destra come dalla sinistra, e se ne produce un cocktail
magari confuso ma efficace. Il senso di egualitarismo e di
redistribuzione della ricchezza, l'attenzione al sociale ed al
welfare perduto, il gesto ideale e superomistico di colui che agisce
per il bene della collettività, mettendo a repentaglio anche la
propria vita, il fatto di colpire simboli facili e di comprensione
immediata per le masse, non sono patrimonio della sola destra o
sinistra estreme.
I tempi insomma, sono
maturi. Non lo sono mai stati così tanto, anzi, dal dopoguerra a
questa parte. C'è solo un piccolo ma non trascurabile problema. E'
lo stesso problema per il quale la rabbia violenta o addirittura
armata non è ancora esplosa. Non siamo più negli anni settanta, i
mezzi in possesso degli inquirenti, per trovare e assicurare alla
giustizia qualche soggetto in odore di terrorismo sono infinitamente
superiori e maggiormente sofisticati. Qui non fai in tempo a pensare
una cosa e a parlarne con quattro amici che ti ritrovi addosso
polizia e carabinieri. Organizzare e coordinare una rete eversiva,
oggi, è praticamente impossibile. Per questo motivo gli autori
dell'unico, ad oggi, gesto significativo, l'attentato al dirigente
dell'Ansaldo, appartengono a cellule sparse e numericamente irrisorie
degli anarchici. Gli anarchici non si sono mai dati un struttura
piramidale e ben organizzata, sarebbe contraria ai loro stessi
principi, sono numericamente trascurabili e le loro azioni sono
destinate a rimanere il prodotto di un spontaneismo disarticolato e
scarsamente incisivo. Mancano, inoltre, di una altro elemento che
abbiamo visto essere fondamentale: una qualsivoglia ideologia. Possono
essere, a seconda dei casi, di destra o di sinistra, la loro stessa
bandiera contiene entrambi i colori, rosso e nero, non hanno una
struttura ideologica ed un programma ben definiti. Questo li condanna
alla scarsa incisività e all'emarginazione.
In conclusione, siamo in
una fase appena embrionale nella quale le intenzioni non trovano le
modalità di espressione e coordinamento. Ma questo è l'unico
aspetto che ci ha fino ad ora salvati da una escalation terroristica.
Sia ben chiaro, ci auguriamo tutti che queste intenzioni non si
concretizzino mai in atti violenti, ma se continua questo stato di
paralisi del governo europeo e, nel nostro caso, italiano, non
possiamo fare le anime belle che dopo il quarantesimo suicidio
addebitabile alla crisi, si sorprendono se poi qualcuno passa
all'azione diretta.
E purtroppo, ancora una
volta, l'unico sistema che possiamo pensare per scongiurare questo
reale pericolo è che le istituzioni europee cambino completamente
registro. Ci è di conforto apprendere che la Merkel abbia subito una
sonora batosta nella regione più ricca e popoloso della Germania, il
Nordreno Vestfalia. Occorre piantarla con i fiscal compact, le misure
di rigore e austerità che strangolano l'economia, serve che la BCE
faccia la banca centrale davvero con tutte le prerogative del caso,
stampare moneta, divenire prestatore di ultima istanza. Non si può
arriva tra vent'anni al pareggio di bilancio avendo nel frattempo
sterminato una popolazione intera. Occorre che la politica rivesta di
nuovo il ruolo che le compete: controllare l'economia, regolamentare
la finanza con leggi severe e sacrosante che limitino o impediscano
di fatto la speculazione incontrollata e criminale. Ma per fare tutte
queste cose, lo sappiamo bene, ci vorrebbe il consenso di tutti,
anche fuori dell'Europa, e a questo, purtroppo, non si arriverà mai.
Continueremo a galleggiare, veleggiando a vista senza timone e senza
nocchiero, andando dove ci porta la corrente, deprimendo sempre di
più l'economia fino a soffocarla, trasformando la recessione in una
depressione economica dalla durata imprevedibile. Questa
impostazione, che è dovuta all'inazione di questo governo,
all'insipienza totale di una classe politica, agli egoismi e i
tornaconti personali delle istituzioni europee, che mancano
completamente di una visione d'insieme , che vada al di là del
proprio naso, non può che condurci nella direzione che abbiamo sopra
descritto, e che eviteremmo volentieri. Possiamo solo confidare in
una prossima, definitiva sconfitta della Merkel e nell'incisività di
azione di Hollande. Non è molto, ma potrebbe bastare almeno a
“governare la crisi” senza esserne travolti.
Se si continua ad
inseguire il debito senza mai raggiungerlo, se si mette mano solo a
misure restrittive, se non si comincia a creare nuova occupazione,
insomma, se non si è in grado di fornire una sia pur flebile
speranza nel futuro, non ci possiamo meravigliare se, tra non molto,
magari nelle forme più sgangherate e destrutturate, il terrorismo
comincerà a colpire sul serio, e cominceranno a cadere i primi
innocenti.
venerdì 11 maggio 2012
MARX AVEVA RAGIONE
Ora lo possiamo dire con
cognizione di causa: non sarà una grande consolazione, d’accordo, ma è la
verità. Marx aveva ragione. Non nel sogno utopistico della costruzione di una
società egualitaria e socialista perfetta, nella quale ogni cittadino, alla fine
del processo di estinzione dello stato, si sarebbe potuto liberamente espandere
ed esprimere a seconda delle proprie inclinazioni e delle proprie passioni. Una
volta abolita la proprietà privata, attuata la collettivizzazione delle imprese
e delle aziende, soppressa la imposizione fiscale, non più necessaria dal
momento che lo stato dovrebbe essere in
grado di garantire tutto quello di cui ha bisogno un uomo, si edifica la
società perfetta. Purtroppo, nostro malgrado, conosciamo bene i contenuti del
realismo socialista. Si è creata una nomenclatura nel partito unico e la natura
umana, altamente corrotta ed imperfetta, ha finito col prevalere. Una casta di
politicanti che vivevano nel lusso più sfrenato ed una massa di cittadini
livellati e obbligati a fare code di ore ed ore per un paio di calze di nylon. Probabilmente
Marx stesso non si nascondeva il pericolo del sopravvento dei tornaconti
personali sul sogno di costruzione della società perfetta. Ma in un aspetto,
senza ombra di dubbio, Marx ha detto il vero: l’analisi del capitalismo,
soprattutto quella del suo ciclo involutivo, è quasi perfetta. Marx scriveva
che ad un certo momento, le contraddizioni del liberismo sarebbero arrivate ad un
punto di non ritorno, di rottura, sino all’implosione del sistema stesso. Quali
sono queste contraddizioni? La crescita non può essere indefinita, come
suggerisce la dottrina capitalistica, si arriva ad un certo punto nel quale i
consumi interni di un paese non reggono più il ritmo della produzione, oltre questa soglia comincia la parabola discendente del sistema. Un sistema che non
mette al centro l’uomo e le sue necessità, l’economia reale, quella derivante
dal lavoro, ma il solo profitto, il denaro, il plusvalore generato dal lavoro
delle maestranze. La crescita non è illimitata, i paesi più poveri, sfruttati e
spremuti come agrumi dai paesi ricchi, presto o tardi presentano il conto,
premono alle frontiere. Si crea la globalizzazione: qualsiasi paese al mondo,
dalla Cina alla Mongolia è in grado di produrre gli stessi strumenti che fino a
ieri erano patrimonio esclusivo dei paesi più ricchi, solo riescono a produrli
ad un costo infinitamente inferiore. Il mercato esplode, la vecchia Europa non
esporta più una bicicletta, dipende dai paesi una volta più poveri per le
materie prime (le commodities) che vengono cedute a caro prezzo. Infine, e qui
sta il genio preveggente di Marx, la finanza prenderà il sopravvento
sull’economia e sulla politica e dominerà la scena mondiale. La finanza è
divenuta “creativa”, si è svincolata completamente dall’economia generata dal
lavoro, sposta capitali immensi e determina il futuro e le sorti di intere
nazioni. La politica non può che subire tale predominio. E’ quello cui stiamo
assistendo: il governo Monti prende ordini da letterine (o pizzetti) della BCE
ed esegue punto per punto quello che gli detta la finanza europea, per bocca
della BCE e dell’UE. L’Europa si trova sotto l’egida della Germania non perché
questo paese sia particolarmente virtuoso o lungimirante: è semplicemente la
prima economia europea. Se il cancelliere tedesco Angela Merkel detta l’agenda
politica di un intero continente, obbligando tutti i paesi membri a politiche
restrittive criminali e suicide di fiscal compact ed austerity, è proprio per
questa legge del capitalismo arrivato al crepuscolo che consente all’economia e
alla finanza di assoggettare la politica. Se la Merkel è nella realtà dei fatti
la governatrice dell’Europa, non è per le sue scarsissime doti politiche (non
capisce nulla di economia e ancor meno di finanza) ma solo perché il suo paese
è il più forte economicamente e le politiche di rigore e austerità risultano
solo convenienti per i tedeschi, ma solo per
loro, a questo punto. Quello che dobbiamo comprendere tutti, a parte la
lezione di Marx sul capitalismo, è che dobbiamo spezzare il dominio della finanza
sulla politica e la politica deve riprendere il suo posto più naturale:
amministrare la cosa pubblica, compresa l’economia, e, soprattutto, imporre
regole alla finanza, che deve smettere di essere banditesca e sovversiva. Tutti
abbiamo compreso che il capitalismo ha fallito ed è al tramonto: dobbiamo restituire
alla politica il suo ruolo. E gente come la Merkel deve tornare a fare quello
che le compete: governare un paese nel quale è stata regolarmente eletta. Il
governo dell’Europa è un’altra cosa, e non è affar suo. Prima comprenderanno i
tedeschi questa realtà e meglio sarà per tutti. O tutti finiremo nella
catastrofe, Germania compresa. Non basta fare uscire la Grecia dall’Euro, senza
l’euro la Germania sarebbe perduta perché a differenza di quello che credono i
tedeschi, il loro benessere si fonda proprio sull’euro e sui paesi in
sofferenza come il nostro. Vediamo un piccolo esempio di quello che scriveva
Marx a proposito delle future sorti del capitalismo:
“Ogni uomo s’ingegna di procurare
all’altro uomo un nuovo bisogno, per costringerlo a un nuovo sacrificio, per
ridurlo a una nuova dipendenza e spingerlo a un nuovo modo di godimento e
quindi di rovina economica. Ognuno cerca di creare al di sopra dell’altro una
forza essenziale estranea per trovarvi la soddisfazione del proprio bisogno
egoistico. Con la massa degli oggetti cresce quindi la sfera degli esseri
estranei, ai quali l’uomo è soggiogato e ogni nuovo prodotto è un nuovo
potenziamento del reciproco inganno e delle reciproche spogliazioni. L’uomo
diventa tanto più povero come uomo, ha tanto più bisogno del denaro, per
impadronirsi dell’essere ostile, e la potenza del suo denaro sta giusto in
proporzione inversa alla massa di produzione; in altre parole, la sua miseria
cresce nella misura in cui aumenta la potenza del denaro.
Perciò il bisogno del denaro è il vero bisogno prodotto
dall’economia politica, il solo bisogno che essa produce. La quantità di denaro
diventa sempre più il suo unico attributo di potenza: come il denaro ha ridotto
ogni essere alla propria astrazione, così esso si riduce nel suo proprio
movimento a mera quantità. La sua vera misura è di essere smisurato e
smoderato. Così si presenta la cosa anche dal punto di vista soggettivo: in
parte l’estensione dei prodotti e dei bisogni si fa schiava – schiava ingegnosa
e sempre calcolatrice – di appetiti disumani, raffinati, innaturali e
immaginari; la proprietà privata non sa fare del bisogno grossolano un bisogno
umano; il suo idealismo è l’immaginazione, l’arbitrio, il capriccio.”
Carlo Marx
Tratto da "Manoscritti economico-filosofici del 1844"
Carlo Marx
Tratto da "Manoscritti economico-filosofici del 1844"
Non si può continuare a
trasferire reddito dal lavoro al capitale senza causare eccesso di capacità
produttiva e calo della domanda aggregata. Questo è ciò che è accaduto.
Pensavamo che i mercati funzionassero. No, non stanno funzionando. Il singolo
può essere razionale. L’azienda, per sopravvivere e crescere può abbattere
sempre più il costo del lavoro, ma i costi del lavoro sono il reddito e quindi
il consumo di qualcun altro. È un processo auto-distruttivo, è un circolo vizioso che conduce alla depressione e alla fine del sistema.
Aggiungo, a margine, un piccolo
consiglio, rivolto a chi volesse approfondire la questione senza essere
obbligato alla impossibile lettura del “Capitale”: un libro di uno dei massimi
filosofi del ‘900, di area hegeliana e marxista, esponente della scuola di
Francoforte, Theodor Adorno, autore di un’opera bellissima e ardua, ma di una
straordinaria, sconvolgente attualità: i “MINIMA MORALIA”.
giovedì 10 maggio 2012
IL FANTASMA DELLA FAME SI AFFACCIA SU AMSTERDAM
Basterebbe questa immagine per
capire fin dove si e' spinta la crisi: poco dopo l'ora pranzo in un giornata
uggiosa nella periferia di Amsterdam, la gente attende in una lunga fila il
proprio turno. Quando arrivera', le loro borse potranno essere riempite di
riso, succhi di frutta, patate e pane. Gratis.
Il mercato e' uno delle 135 banche alimentari olandesi - associazioni no profit - che stanno aiutando la gente a sopravvivere con meno di 180 euro al mese, la soglia di poverta' sotto la quale si ha diritto agli aiuti. I responsabili dell'organizzazione di carita' la domanda per servizi di questo tipo e' balzata del 20% nel primo trimestre.
Anche se Atene resta sempre al centro della crisi del debito europea, non e' l'unica citta' del continente a dover fare i conti con il maggiore declino della prosperita' dai tempi della Seconda Guerra Mondiale.
Da un report pubblicato qualche giorno fa e' emerso che la disoccupazione nell'area euro e' salita i massimi degli ultimi 15 anni in aprile e che l'economia della regione si sta contraento per la seconda volta in pochi anni.
Una seconda fase recessione che sta mettendo in difficolta' anche i paesi core. Gli elettori francesi hanno preferito Francois Hollande al suo predecessore, Nicolas Sarkozy, al voto delle presidenziali del 6 maggio, convinti dalle promesse del candidato socialista per un alleggerimento delle misure di austerita' e per un'attenzione maggiore alle azioni coordinate per stimolare la crescita.
Il tutto mentre la Grecia e' finita in un caos politico, oltre che sociale ed economico. Dalle urne elettorali non e' uscito un chiaro favorito, con i partiti in testa (centro destra, sinistra radicale e socialisti) che non si sono dimostrati sinora in grado di formare una governo stabile.
"Prima la gente non vedeva domande e ora non hanno le risposte", sintetizza Austin Hughes, economista di KBC Bank Ireland, contattato da Bloomberg. "C'era una sorta di aspettativa per una crescita continua di reddditi, prospettive lavorative e prezzi degli asset. Ora questa sensazione e' sparita".
Una dimostrazione di come sia cambiato lo stato di benessere del popolo europeo lo offre il caso olandese. Un paese un tempo tra i piu' solidi dell'area, che sembrava immune alla crisi, Amsterdam ora deve invece vedersela con una fase di instabilita' politica oltre che economica.
Il primo ministro Mark Rutte ha rassegnato le sue dimissioni in aprile dopo che il Partito Della Liberta' - formazione anti-immigrazione di estrema destra - ha annunciato di opporsi alle misure di rigore per 14 miliardi che prevedevano tagli alle spese e aumento delle tasse.
"Sapevamo che la crisi stava arrivando anche da noi, sappiamo che non siamo come Italia e Spagna, ma nemmeno come la Germania", ha dichiarato all'agenzia americana Sweder van Wijnbergen, docente di economia all'Universita' di Amsterdam. Ci vorra' del tempo per uscirne e molto dipendera' dalla Germania".
Un dato su tutti: nel primo trimestre il numero di famiglie che hanno usufruito degli aiuti garantiti dalle 'banche alimentari' sono diventate 1.350: entro fine anno dovrebbero salire a 3 mila, secondo quanto riferito da Piet van Diepen, un membro del CdA dell'istituto.
"Sono cifre che si gonfieranno sempre di piu', perche' la gente sta perdendo posti di lavoro e deve trovare un modo per pagare affitto e mutui".
In Olanda, oltre 23 mila persone ottengono aiuti alimentari dalle banche. Le cifre sono in crescita anche in Gran Bretagna, la cui economia e' scivolata ufficialmente in una seconda fase di recessione. Tra i 10 stati principali dell'Unione Europea, Londra e' quella che ha apportato i maggiori tagli al deficit di bilancio.
Fonte: wallstreetitalia
Il mercato e' uno delle 135 banche alimentari olandesi - associazioni no profit - che stanno aiutando la gente a sopravvivere con meno di 180 euro al mese, la soglia di poverta' sotto la quale si ha diritto agli aiuti. I responsabili dell'organizzazione di carita' la domanda per servizi di questo tipo e' balzata del 20% nel primo trimestre.
Anche se Atene resta sempre al centro della crisi del debito europea, non e' l'unica citta' del continente a dover fare i conti con il maggiore declino della prosperita' dai tempi della Seconda Guerra Mondiale.
Da un report pubblicato qualche giorno fa e' emerso che la disoccupazione nell'area euro e' salita i massimi degli ultimi 15 anni in aprile e che l'economia della regione si sta contraento per la seconda volta in pochi anni.
Una seconda fase recessione che sta mettendo in difficolta' anche i paesi core. Gli elettori francesi hanno preferito Francois Hollande al suo predecessore, Nicolas Sarkozy, al voto delle presidenziali del 6 maggio, convinti dalle promesse del candidato socialista per un alleggerimento delle misure di austerita' e per un'attenzione maggiore alle azioni coordinate per stimolare la crescita.
Il tutto mentre la Grecia e' finita in un caos politico, oltre che sociale ed economico. Dalle urne elettorali non e' uscito un chiaro favorito, con i partiti in testa (centro destra, sinistra radicale e socialisti) che non si sono dimostrati sinora in grado di formare una governo stabile.
"Prima la gente non vedeva domande e ora non hanno le risposte", sintetizza Austin Hughes, economista di KBC Bank Ireland, contattato da Bloomberg. "C'era una sorta di aspettativa per una crescita continua di reddditi, prospettive lavorative e prezzi degli asset. Ora questa sensazione e' sparita".
Una dimostrazione di come sia cambiato lo stato di benessere del popolo europeo lo offre il caso olandese. Un paese un tempo tra i piu' solidi dell'area, che sembrava immune alla crisi, Amsterdam ora deve invece vedersela con una fase di instabilita' politica oltre che economica.
Il primo ministro Mark Rutte ha rassegnato le sue dimissioni in aprile dopo che il Partito Della Liberta' - formazione anti-immigrazione di estrema destra - ha annunciato di opporsi alle misure di rigore per 14 miliardi che prevedevano tagli alle spese e aumento delle tasse.
"Sapevamo che la crisi stava arrivando anche da noi, sappiamo che non siamo come Italia e Spagna, ma nemmeno come la Germania", ha dichiarato all'agenzia americana Sweder van Wijnbergen, docente di economia all'Universita' di Amsterdam. Ci vorra' del tempo per uscirne e molto dipendera' dalla Germania".
Un dato su tutti: nel primo trimestre il numero di famiglie che hanno usufruito degli aiuti garantiti dalle 'banche alimentari' sono diventate 1.350: entro fine anno dovrebbero salire a 3 mila, secondo quanto riferito da Piet van Diepen, un membro del CdA dell'istituto.
"Sono cifre che si gonfieranno sempre di piu', perche' la gente sta perdendo posti di lavoro e deve trovare un modo per pagare affitto e mutui".
In Olanda, oltre 23 mila persone ottengono aiuti alimentari dalle banche. Le cifre sono in crescita anche in Gran Bretagna, la cui economia e' scivolata ufficialmente in una seconda fase di recessione. Tra i 10 stati principali dell'Unione Europea, Londra e' quella che ha apportato i maggiori tagli al deficit di bilancio.
Fonte: wallstreetitalia
martedì 8 maggio 2012
SE IL "RIGOR MONTIS" NON E' SOLO UNA BATTUTA
Che fine ha fatto Monti? Dobbiamo
interpellare “chi l’ha visto” per sapere dove diavolo è finito questo manichino
vestito da milord e dai modi garbati, amico della Merkel e delle grandi banche
d’affari, buono a tassare e a tagliare ma, a quanto si vede, meno capace di
imprimere sviluppo all’anemica economia italiana. La sua spinta propulsiva si è
totalmente esaurita, si aggira in Parlamento come un fantasma, rilascia qualche
generica dichiarazione con la faccia di chi non crede neppure a quello che
dice. La scarsa convinzione del suo agire e il girare a vuoto di questa specie
di governo, induce ognuno di noi alla riflessione, ovvia, che le elezioni
anticipate non saranno auspicabili, ma potrebbero essere probabili. La riforma
del mercato del lavoro è completamente arenata, i tagli alla spesa pubblica,
passando per la “spending review” non decolla: si ha la sensazione di un
disinteresse totale di Monti stesso a quello che sta facendo. Ma se non ha più
voglia di portare a termine il suo compito, lo dica chiaramente: per quello che
sta facendo non sarà difficile sostituirlo. Se per nostra disgrazia dovesse
restare in carica fino al termine naturale della legislatura, dobbiamo
aspettarci solo un’altra manovra finanziaria: oltre ai tagli corredati dalla
buffa, inutile richiesta ai cittadini su dove e cosa taglierebbero attraverso
un portale internet (una trovata degna del peggiore peronismo, dal momento che
dei consigli dei cittadini nessuno terrà conto), bisognerà continuare ad
obbedire alla Merkel, e dando una occhiata ai nostri conti pubblici non è
difficile intuire che i soli tagli alla spesa non saranno sufficienti. Quindi
ci attendiamo una manovrina balneare, nel senso che si svolgerà ad agosto,
cercando di farla passare alla chetichella. Ma dove prendere i soldi? Si è
spremuto quello che si poteva spremere, perché non tassare le rendite
finanziarie e piantarla di bersagliare quelle immobiliari con IMU bis o
diavolerie del genere? Non si tasseranno le rendite finanziarie, poniamo, sopra
il milione di euro, per il semplice fatto che Monti rimane quello che è sempre stato: un banchiere. Il
fatto che dei tecnici chiedano l’aiuto di altri tecnici per la spending review,
nominando addirittura un personaggio discutibile, un uomo per tutte le
stagioni, completamente stracotto come Amato, è veramente troppo. Se questa
gente, come già detto, non ha più motivazioni per andare avanti, lo dica
chiaramente e non ci faccia perdere altro tempo. La mia personale impressione è
che Monti resterà in carica solo per varare l’ennesima manovra finanziaria e
deprimere ulteriormente la nostra economia. Poi, finalmente, se ne tornerà alla
Bocconi, dove certamente sentono la sua mancanza. Se il Prof. Monti è stato
solo capace di predisporre un piano tributario, allora poteva restare dove si
trovava e l’incarico se lo poteva prendere il ragioniere generale dello stato.
Se non è in grado di fare nulla per lo sviluppo e per la crescita, allora,
nonostante i suoi modi da gentleman spocchioso è solo un bluff. L’incognita di
un governo tecnico è proprio questa: si tratta di personaggi per lo più
sconosciuti al grande pubblico: sono piazzati al governo senza consenso
popolare, potrebbero rivelarsi, purtroppo, una solenne delusione. E’ quello che
proviamo un po’ tutti nei confronti di questa compagine che, fino ad oggi, è
riuscita solo a produrre manovre recessive. Monti non è Hollande, la sua
fedeltà all’ottusità (a questo punto più mentale che politica) della Merkel è
fuori discussione. Lo abbiamo detto più volte: se non cambiamo registro in
fretta a livello europeo andiamo verso una sicura disfatta. Da tutti i vertici,
i summit, le riunioni dell’Ecofin, della BCE, dell’UE e del FMI non viene fuori
mai nulla, neppure un topolino. Solo generiche dichiarazioni d’intenti. Non di
più. “Europa” è solo una espressione geografica, ora più che mai. Non ci si
mette d’accordo su nulla, non si cambia direzione, tutti dietro al pifferaio
Merkel che con il suo fiscal compact ci porterà alla bancarotta e alla fine
dell’euro.
Quanto alle elezioni italiane,
considerato l’esiguità del campione interpellato e il forte astensionismo, non
c’è molto da dire. Da noi non esiste un partito di estrema sinistra come di
estrema destra. Non ci sono “albe dorate” come i neonazisti greci. Hanno fatto
la parte del leone i “grillini” del movimento Cinque stelle. Grillo è il
classico tribuno della plebe, un Masaniello, un po’ come Di Pietro, solo più
spiritoso e volgare. I suoi monologhi sono zeppi di luoghi comuni, di banalità,
di protesta generica e retorica, le idee sono molte, ma anche la confusione.
Gli esponenti del movimento intervistati in questi giorni, hanno dato di sé uno
spettacolo discretamente desolante: la solita minestra riscaldata della
vicinanza sociale e umana ai più deboli, ai più poveri, agli emarginati. Non
hanno un programma serio: uscire dall’euro e non ripagare il debito è pura
follia, sappiamo bene tutti che si tratta di una strada impercorribile.
L’uscita dall’euro è la risorsa estrema cui il nostro paese potrebbe fare
ricorso solo nel caso di un default a catena delle nostre banche o del Tesoro
dello stato. Il debito possono non pagarlo le 350.000 anime dell’Islanda, non
un paese mastodontico come il nostro. Parlare per slogan, ripetere lazzi, salti mortali, capitomboli, volgarità anche becere,
dimostra solo una totale assenza di idee. Sarebbe impensabile un paese
governato dai grillini: possono dirigere egregiamente l’opera “Don Guanella”,
non una nazione che rimane la terza economia dell’Europa.
Ora, nessuno mette in dubbio la buona fede di Grillo (nonostante la sua spiccata propensione per il turpiloquio), nè quella dei suoi discepoli: quello che manca è la cultura politica. Che cosa significa fare politica? Significa amministrare la cosa pubblica, e la sola buona volontà e buoni propositi non bastano. E' una nota di merito che i componenti del movimento "5 stelle" provengano dal mondo del volontariato, siano stati sino ad ora sulla strada, accanto agli "ultimi", ai più deboli, ai più fragili, che abbiano ascoltato con attenzione la gente comune. Tutto questo fa loro onore. Ma non serve per fare politica. Il movimento "5 stelle" non rappresenta l'antipolitica, per il semplice fatto che è un movimento "apolitico". Per le elezioni che verranno abbiamo necessità di persone attente ai bisogni degli elettori, ma soprattutto preparate culturalmente e professionalmente, dal momento che siamo nel bel mezzo di una contrazione economica, e con la probabile uscita dall'Euro della Grecia, ci aspettano tempi ancora più difficili di quelli attuali. Chi sta al governo del paese deve essere anzitutto un esperto in economia e finanza (e da questo non si può prescindere), e possedere quelle doti che fanno di un politico anche un buon amministratore, anche in senso tecnico. Il definitivo tracollo della Grecia metterà Italia e Spagna sulla graticola della speculazione e dell'effetto contagio, non possiamo permetterci un governo di dilettanti allo sbaraglio. La cultura della strada e del volontariato vanno bene, ma per un opera pia o per una onlus. Quanto a Grillo, pretende di avere l'esclusiva della verità, di rivelare cose sconosciute al largo pubblico, la sua opera è quella di una continua, estenuante (e alla lunga noiosa) denigrazione volgare di tutto e di tutti. Nessuni si salva, solo lui è l'uomo della provvidenza, anche se non sa distinguere una azione da una obbligazione. Il programma che ha tratteggiato fa sorridere, è pieno di ingenuità al punto da essere patetico. Per quanto disprezzo possiamo nutrire per i politicanti di questo paese, non possiamo affidare le nostri sorti ad un uomo che non ha una sola idea chiara in testa e di professione fa lo sfasciacarrozze. Ci vorrebbe una classe politica rinnovata, giovane e preparata, ma il problema è che, qui da noi, non solo non esiste, ma spesso i giovani sono ancora peggio delle teste canute che siedono da trent'anni in Parlamento.
Ora, nessuno mette in dubbio la buona fede di Grillo (nonostante la sua spiccata propensione per il turpiloquio), nè quella dei suoi discepoli: quello che manca è la cultura politica. Che cosa significa fare politica? Significa amministrare la cosa pubblica, e la sola buona volontà e buoni propositi non bastano. E' una nota di merito che i componenti del movimento "5 stelle" provengano dal mondo del volontariato, siano stati sino ad ora sulla strada, accanto agli "ultimi", ai più deboli, ai più fragili, che abbiano ascoltato con attenzione la gente comune. Tutto questo fa loro onore. Ma non serve per fare politica. Il movimento "5 stelle" non rappresenta l'antipolitica, per il semplice fatto che è un movimento "apolitico". Per le elezioni che verranno abbiamo necessità di persone attente ai bisogni degli elettori, ma soprattutto preparate culturalmente e professionalmente, dal momento che siamo nel bel mezzo di una contrazione economica, e con la probabile uscita dall'Euro della Grecia, ci aspettano tempi ancora più difficili di quelli attuali. Chi sta al governo del paese deve essere anzitutto un esperto in economia e finanza (e da questo non si può prescindere), e possedere quelle doti che fanno di un politico anche un buon amministratore, anche in senso tecnico. Il definitivo tracollo della Grecia metterà Italia e Spagna sulla graticola della speculazione e dell'effetto contagio, non possiamo permetterci un governo di dilettanti allo sbaraglio. La cultura della strada e del volontariato vanno bene, ma per un opera pia o per una onlus. Quanto a Grillo, pretende di avere l'esclusiva della verità, di rivelare cose sconosciute al largo pubblico, la sua opera è quella di una continua, estenuante (e alla lunga noiosa) denigrazione volgare di tutto e di tutti. Nessuni si salva, solo lui è l'uomo della provvidenza, anche se non sa distinguere una azione da una obbligazione. Il programma che ha tratteggiato fa sorridere, è pieno di ingenuità al punto da essere patetico. Per quanto disprezzo possiamo nutrire per i politicanti di questo paese, non possiamo affidare le nostri sorti ad un uomo che non ha una sola idea chiara in testa e di professione fa lo sfasciacarrozze. Ci vorrebbe una classe politica rinnovata, giovane e preparata, ma il problema è che, qui da noi, non solo non esiste, ma spesso i giovani sono ancora peggio delle teste canute che siedono da trent'anni in Parlamento.
lunedì 7 maggio 2012
94 NOMI DA RICORDARE. E NON VOTARE MAI PIU'
Qualche giorno fa un fatto clamoroso ha scosso il Senato. Nella votazione sui tagli alle pensioni d’oro ai supermanager pubblici il governo (che voleva difenderle) è stato battuto grazie da un emendamento di Idv e Lega.
Sorprendentemente, la maggioranza dell’Aula si è dichiarata favorevole ad intervenire sul trattamento pensionistico dei burocrati di Stato che oggi godono di stipendi favolosi e domani avrebbero goduto di pensioni altrettanto favolose.
ora inseriamo nomi e cognomi dei senatori contrari ai tagli… sono 94 nomi con il partito d’appartenenza… memorizzateli. Diamo merito al sito “finanzanostop” per la ricerca fatta… non facile tra l’altro.
Forse, finalmente, si sono resi conto che in un momento in cui tutti gli italiani vengono a grandi sacrifici togliere qualche euro a boiardi di Stato, che oggi percepiscono, come il presidente dell’Inps o quello di Equitalia, stipendi fino a 1.200.000 euro all’anno (pagati da noi) sarebbe stato un atto minimo di equità.
E tuttavia, in 94 si sono battuti come leoni contro quell’emendamento e a favore del mantenimento delle pensioni d’oro. Tutto il Pd, ad eccezione di sette senatori che, in uno scatto di dignità hanno votato contro. Ad esprimersi a favore dell superpensioni dei manager pubblici troviamo, per esempio, figure del calibro di Anna Finocchiaro, Enzo Bianco, Maurizio Gasparri o Pietro Ichino, lo stesso che va in giro a predicare il superamento del divario tra le generazioni.
Non è stato facile trovare i nomi dei 94. Nessuno li ha pubblicati o diffusi, forse pensando così di occultare un dato importantissimo e imbarazzante.
Credo che gli elettori debbano sapere come si muovono i propri rappresentanti dentro il Parlamento, perché è lì, nei meandri dell’attività parlamentare, che va giudicato il loro lavoro e non sui giochetti retorici nei salotti tv.
E’ Il compito di chi fa informazione, anche di chi, la fa in maniera volontaria e gratuita come noi o il blog che ha scovato la lista nera
Di seguito l’elenco.
Vi invitiamo a diffonderlo il più possibile
1) Adamo Marilena (Pd)
2) Adragna Benedetto (Pd)
3) Agostini Mauro (Pd)
4) Armato Teresa (Pd)
5) Astore Giuseppe (Gruppo Misto)
6) Baio Emanuela (Api)
7) Barbolini Giuliano (Pd)
8) Bassoli Fiorenza (Pd)
9) Bastico Mariangela (Pd)
10) Enzo Bianco (Pd)
11) Biondelli Franca (Pd)
12) Blazina Tamara (Pd)
13) Filippo Bubbico (Pd)
14) Antonello Cabras (Pd)
15) Anna Maria Carloni (Pd)
16) Maurizio Castro (Pdl)
17) Stefano Ceccanti (Pd)
18) Mario Ceruti (Pd)
19) Franca Chiaromonte (Pd)
20) Carlo Chiurazzi (Pd)
21) Lionello Cosentino (Pd)
22) Cesare Cursi (Pdl)
23) Mauro Cutrufo (Pdl)
24) Cristina De Luca (Terzo Polo)
25) Vincenzo De Luca (Pd)
26) Luigi De Sena (Pd)
27) Mauro Del Vecchio (Pd)
28) Silvia Della Monica (Pd)
29) Roberto Della Seta (Pd)
30) Ulisse Di Giacomo (Pdl)
31) Di Giovan Paolo Roberto (Pd)
32) Cecilia Donaggio (Pd)
33) Lucio D’Ubaldo (Pd)
34) Marco Filippi (Pd)
35) Anna Finocchiaro (Pd)
36) Anna Rita Fioroni (Pd)
37) Marco Follini (Pd)
38) Vittoria Franco (Pd)
39) Vincenzo Galioto (Pdl)
40) Guido Galperti (Pd)
41) Maria Pia Garavaglia (Pd)
42) Costantino Garraffa (Pd)
43) Maurizio Gasparri (Pdl)
44) Antonio Gentile (Pdl)
45) Rita Ghedini (Pd)
46) Giai Mirella (Gruppo Misto)
47) Basilio Giordano (Pdl)
48) Claudio Gustavino (Terzo Polo)
49) Pietro Ichino (Pd)
50) Cosimo Latronico (Pdl)
51) Giovanni Legnini (Pd)
52) Massimo Livi Bacci (Pd)
53) Andrea Marcucci (Pd)
54) Francesca Maria Marinaro (Pd)
55) Franco Marini (Pd)
56) Ignazio Marino (Pd)
57) Marino Mauro Maria (Pd)
58) Salvatore Mazzaracchio (Pdl)
59) Vidmer Mercatali (Pd)
60) Riccardo Milana (Terzo Polo)
61) Francesco Monaco (Pd)
62) Enrico M0rando (Pd)
63) Fabrizio Morri (Pd)
64) Achille Passoni (Pd)
65) Carlo Pegorer (Pd)
66) Flavio Pertoldi (Pd)
67) Lorenzo Piccioni (Pdl)
68) Leana Pignedoli (Pd)
69) Roberta Pinotti (Pd)
70) Beppe Pisanu (Pdl)
71) Donatella Poretti (Pd)
72) Raffaele Ranucci (Pd)
73) Giorgio Roilo (Pd)
74) Nicola Rossi (Pd)
75) Antonio Rusconi (Pd)
76) Gian Carlo Sangalli (Pd)
77) Francesco Sanna (Pd)
78) Giacomo Santini (Pdl)
79) Giuseppe Saro (Pdl)
80) Anna Maria Serafini (Pd)
81) Achille Serra (Pd)
82) Emilio Silvio Sircana (Pd)
83) Albertina Soliani (Pd)
84) Marco Stradiotto (Pd)
85) Antonino Strano (Pdl)
86) Salvatore Tomaselli (Pd)
87) Giorgio Tonini (Pd)
88) Achille Totaro (Pdl)
89) Tiziano Treu (Pd)
90) Simona Vicari (Pdl)
91) Luigi Vimercati (Pd)
92) Vincenzo Vita (Pd)
93) Walter Vitali (Pd)
94) Luigi Zanda (Pd)
C'E' L'INTERO PARTITO DEMOCRATICO. NON DIMENTICHIAMOLO
Fonte: finanzanostop
venerdì 4 maggio 2012
QUEL POMERIGGIO DI UN GIORNO DA CANI
E' chiuso nel carcere di Bergamo
Luigi Martinelli, l'imprenditore di 54 anni che ieri, armato, ha preso in
ostaggio clienti e dipendenti dell'Agenzia delle Entrate di Romano di Lombardia
(Bergamo) e si è arreso solo dopo sei ore, un intero pomeriggio. Ha passato la
notte nella caserma dei carabinieri e poi è stato condotto al carcere dove
dovrà svolgersi l'interrogatorio di garanzia.
E' ovvio che non solo casi come
questo sono destinati a ripetersi, ma che si tratta di un primo campanello di
allarme che dovrebbe muovere tutti noi ad una attenta riflessione. Le politiche
suicide della Merkel e di Sarkozy ci hanno condotto, a livello europeo, ad un
passo dal baratro. Monti deve chiudere in fretta il capitolo dei tagli alla
spesa pubblica (cd. “spending review”) e procedere speditamente a politiche di
investimenti pubblici per creare nuova occupazione. Le banche devono essere in
grado di poter tornare a fare le banche e non strangolare i clienti,
risparmiatori e imprese, con la stretta creditizia. Occorre però aggiungere, a
questo riguardo, che gli istituti di credito sono giornalmente colpiti da
formidabili ribassi nelle principali borse europee. La pioggia di vendite cui
sono oggetto mette costantemente a rischio la loro patrimonializzazione e il
livello di funding. Non è possibile, di conseguenza, scaricare ogni colpa sui
gruppi bancari. Il gesto di Luigi Martinelli ci racconta di una Italia alla
disperazione, il numero dei suicidi dovuti ad altrettanti fallimenti di impresa
ci fa intravvedere uno scenario di conflittualità sociale cui siamo alle porte,
e che, considerando che la forchetta tra classe ricca e classe media (che si
sta livellando sulla povertà), è sempre più larga, si aprono scenari di aperta
rivolta sociale. Non ci resta molto tempo. Tra non molto, terminati gli ultimi
risparmi, qualcuno comincerà ad imbracciare il fucile e a sparare, senza sapere
neppure bene a chi indirizzare le proprie munizioni. Il “pomeriggio di un
giorno da cani” vissuto dal Sig. Martinelli non è che il preludio a quello che
verrà.
Per l'ennesima volta, a costo di
diventare noiosi, ci ritroviamo a parlare di crisi e di come uscirne. Tutti
noi, anche i meno esperti in economia e finanza hanno la netta sensazione di un
girare a vuoto, di essere entrati in un circolo vizioso senza uscita, di un
continuare a stare a galla avendo perduto la barra del timone e andando alla
deriva. Le cose stanno, più o meno così. Siamo entrati non in un tunnel, ma,
per le politiche restrittive di fiscal compact della Germania, in un cul de sac
che non prevede uscite. Non possiamo, unilateralmente, cambiare politiche
monetarie, uscire dall'austerità, dotarci di una vera banca centrale. Vorremmo
farlo, ma i trattati europei ci vincolano a non farlo. Solo un cambio di rotta
dei governi francese e tedesco potrebbe modificare l'attuale, fallimentare
assetto. L'auspicabile vittoria di Hollande in Francia e di una sonora
sconfitta della Merkel in Germania potrebbero preludere ad un cambio di
direzione delle politiche economiche europee. Ogni studente del primo anno di
economia sa perfettamente che i provvedimenti di inasprimento della pressione
fiscale, di tagli alla spesa pubblica, di rigore e sacrifico finalizzati ad un
impossibile pareggio di bilancio sono controproducenti, generano solo
recessione e depressione. Se l'Unione europea seguita su questa politica
dettata dalla sola Germania perchè è la sola nazione a trarne profitto,
scivolerà lentamente nella depressione economica (un PIL negativo senza limiti
di tempo), tornerà comunque alle valute nazionali con tutti i riflessi
catastrofici del caso. Le politiche restrittive hanno questo di bello: non
possono andare avanti all'infinito. Si arriva ad un punto di rottura che
rappresenta anche un punto di non ritorno, rispetto al quale i governi stessi
non possono più fare nulla per
riemergere: è la bancarotta, il default. Ci si avvita sul debito
pubblico sino allo strangolamento, dovendo pagare interessi sempre maggiori ai
propri creditori, si arriva al punto che il tesoro dello stato non è più in
grado di pagare stipendi e pensioni: o queste ultime o le cedole ai creditori
che detengono i titoli di quello stato. Che cosa si può fare? Prima di tutto
devono uscire di scena la Merkel e Sarkozy (e probabilmente, spiace dirlo,
anche Monti) ed essere guidati da nuovi soggetti politici che trasformino la
BCE in una vera banca centrale. Cosa fa un Banca Centrale? Può stampare moneta,
iniettare liquidità, il quantitative easing necessario soprattutto alle banche,
collassate dalle vendite continue in borsa e dai titoli tossici che hanno nei
caveau. Diventare prestatore di ultima istanza, garante supremo che risponde
per tutti i paesi membri, nessuno escluso, può attuare, di concerto con i
singoli gruppi bancari, il deleveraging necessario per contrastare il credit
crunch di cui siamo vittime, privati e imprese. Tutti ci siamo resi conto che
non circola denaro, i capitali sono fermi, le stesse operazioni di LTRO (che
assomigliano vagamente al QE) non hanno contribuito a movimentare denaro,
perchè le banche, stremate da una sempre più scarsa patrimonializzazione,
preferiscono depositare i quattrini ricevuti ad un tasso agevolato presso la
BCE stessa. Ai governi nazionali spetterebbe il compito di attivare politiche
vere di sviluppo economico, procedendo anzitutto a politiche di investimenti
pubblici, nelle infrastrutture, nei servizi, nella valorizzazione del proprio
patrimonio storico artistico. Più che privatizzare, è l'ora di nazionalizzare.
Occorre istituire un unico Ministero dell'economia e delle finanze europeo, che
regolamenti i mercati almeno per quanto è possibile fare: limitando al massimo
i futures speculativi, le vendite allo scoperto, regolamentando i fondi hedge,
introducendo la ben nota Tobin Tax,
cercando, nei limiti del possibile, di disintossicarsi da prodotti
strutturati come derivati e cartolarizzazioni. Dalla riunione dell'Ecofin non è
uscita una, una sola posizione univoca. E' un quadro desolante. Siamo divisi su
tutto, si fanno vertici e summit a livello europeo non accordandosi su nulla, e
continuando a navigare a vista, sperando che un bel giorno tutto questo
finisca. Sembra incredibile che la classe politica europea sia così miope da
non comprendere che continuando a vivacchiare, a galleggiare come stiamo facendo
da mesi e da anni la nostra sorte, prima o poi, è segnata. Ci saranno paesi che
ne usciranno maciullati, come la Grecia, altri che subiranno danni inferiori,
ma dall'implosione dell'euro, ne usciremo tutti, nessuno escluso, malconci. Se
Sarkozy dovesse prevalere, e soprattutto se la Merkel o il suo partito
dovessero ottenere una nuova vittoria nel 2013, possiamo dirci perduti. Nessuno
sarà più in grado di salvarci dalla catastrofe costituita dall'estinzione
dell'Euro, e dal conseguente fallimento di uno stato dopo l'altro. Se le cose
dovessero disgraziatamente andare così, l'unica soluzione percorribile per
l'Italia sarebbe una uscita anticipata dall'euro, che gli altri siano o meno
d'accordo. Ricordiamoci sempre che il primo ad uscire sarà anche quello che patirà
i danni minori.
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