venerdì 11 maggio 2012

MARX AVEVA RAGIONE


Ora lo possiamo dire con cognizione di causa: non sarà una grande consolazione, d’accordo, ma è la verità. Marx aveva ragione. Non nel sogno utopistico della costruzione di una società egualitaria e socialista perfetta, nella quale ogni cittadino, alla fine del processo di estinzione dello stato, si sarebbe potuto liberamente espandere ed esprimere a seconda delle proprie inclinazioni e delle proprie passioni. Una volta abolita la proprietà privata, attuata la collettivizzazione delle imprese e delle aziende, soppressa la imposizione fiscale, non più necessaria dal momento che lo stato dovrebbe essere  in grado di garantire tutto quello di cui ha bisogno un uomo, si edifica la società perfetta. Purtroppo, nostro malgrado, conosciamo bene i contenuti del realismo socialista. Si è creata una nomenclatura nel partito unico e la natura umana, altamente corrotta ed imperfetta, ha finito col prevalere. Una casta di politicanti che vivevano nel lusso più sfrenato ed una massa di cittadini livellati e obbligati a fare code di ore ed ore per un paio di calze di nylon. Probabilmente Marx stesso non si nascondeva il pericolo del sopravvento dei tornaconti personali sul sogno di costruzione della società perfetta. Ma in un aspetto, senza ombra di dubbio, Marx ha detto il vero: l’analisi del capitalismo, soprattutto quella del suo ciclo involutivo, è quasi perfetta. Marx scriveva che ad un certo momento, le contraddizioni del liberismo sarebbero arrivate ad un punto di non ritorno, di rottura, sino all’implosione del sistema stesso. Quali sono queste contraddizioni? La crescita non può essere indefinita, come suggerisce la dottrina capitalistica, si arriva ad un certo punto nel quale i consumi interni di un paese non reggono più il ritmo della produzione, oltre questa soglia comincia la parabola discendente del sistema. Un sistema che non mette al centro l’uomo e le sue necessità, l’economia reale, quella derivante dal lavoro, ma il solo profitto, il denaro, il plusvalore generato dal lavoro delle maestranze. La crescita non è illimitata, i paesi più poveri, sfruttati e spremuti come agrumi dai paesi ricchi, presto o tardi presentano il conto, premono alle frontiere. Si crea la globalizzazione: qualsiasi paese al mondo, dalla Cina alla Mongolia è in grado di produrre gli stessi strumenti che fino a ieri erano patrimonio esclusivo dei paesi più ricchi, solo riescono a produrli ad un costo infinitamente inferiore. Il mercato esplode, la vecchia Europa non esporta più una bicicletta, dipende dai paesi una volta più poveri per le materie prime (le commodities) che vengono cedute a caro prezzo. Infine, e qui sta il genio preveggente di Marx, la finanza prenderà il sopravvento sull’economia e sulla politica e dominerà la scena mondiale. La finanza è divenuta “creativa”, si è svincolata completamente dall’economia generata dal lavoro, sposta capitali immensi e determina il futuro e le sorti di intere nazioni. La politica non può che subire tale predominio. E’ quello cui stiamo assistendo: il governo Monti prende ordini da letterine (o pizzetti) della BCE ed esegue punto per punto quello che gli detta la finanza europea, per bocca della BCE e dell’UE. L’Europa si trova sotto l’egida della Germania non perché questo paese sia particolarmente virtuoso o lungimirante: è semplicemente la prima economia europea. Se il cancelliere tedesco Angela Merkel detta l’agenda politica di un intero continente, obbligando tutti i paesi membri a politiche restrittive criminali e suicide di fiscal compact ed austerity, è proprio per questa legge del capitalismo arrivato al crepuscolo che consente all’economia e alla finanza di assoggettare la politica. Se la Merkel è nella realtà dei fatti la governatrice dell’Europa, non è per le sue scarsissime doti politiche (non capisce nulla di economia e ancor meno di finanza) ma solo perché il suo paese è il più forte economicamente e le politiche di rigore e austerità risultano solo convenienti per i tedeschi, ma solo per  loro, a questo punto. Quello che dobbiamo comprendere tutti, a parte la lezione di Marx sul capitalismo, è che dobbiamo spezzare il dominio della finanza sulla politica e la politica deve riprendere il suo posto più naturale: amministrare la cosa pubblica, compresa l’economia, e, soprattutto, imporre regole alla finanza, che deve smettere di essere banditesca e sovversiva. Tutti abbiamo compreso che il capitalismo ha fallito ed è al tramonto: dobbiamo restituire alla politica il suo ruolo. E gente come la Merkel deve tornare a fare quello che le compete: governare un paese nel quale è stata regolarmente eletta. Il governo dell’Europa è un’altra cosa, e non è affar suo. Prima comprenderanno i tedeschi questa realtà e meglio sarà per tutti. O tutti finiremo nella catastrofe, Germania compresa. Non basta fare uscire la Grecia dall’Euro, senza l’euro la Germania sarebbe perduta perché a differenza di quello che credono i tedeschi, il loro benessere si fonda proprio sull’euro e sui paesi in sofferenza come il nostro. Vediamo un piccolo esempio di quello che scriveva Marx a proposito delle future sorti del capitalismo:

“Ogni uomo s’ingegna di procurare all’altro uomo un nuovo bisogno, per costringerlo a un nuovo sacrificio, per ridurlo a una nuova dipendenza e spingerlo a un nuovo modo di godimento e quindi di rovina economica. Ognuno cerca di creare al di sopra dell’altro una forza essenziale estranea per trovarvi la soddisfazione del proprio bisogno egoistico. Con la massa degli oggetti cresce quindi la sfera degli esseri estranei, ai quali l’uomo è soggiogato e ogni nuovo prodotto è un nuovo potenziamento del reciproco inganno e delle reciproche spogliazioni. L’uomo diventa tanto più povero come uomo, ha tanto più bisogno del denaro, per impadronirsi dell’essere ostile, e la potenza del suo denaro sta giusto in proporzione inversa alla massa di produzione; in altre parole, la sua miseria cresce nella misura in cui aumenta la potenza del denaro.
Perciò il bisogno del denaro è il vero bisogno prodotto dall’economia politica, il solo bisogno che essa produce. La quantità di denaro diventa sempre più il suo unico attributo di potenza: come il denaro ha ridotto ogni essere alla propria astrazione, così esso si riduce nel suo proprio movimento a mera quantità. La sua vera misura è di essere smisurato e smoderato. Così si presenta la cosa anche dal punto di vista soggettivo: in parte l’estensione dei prodotti e dei bisogni si fa schiava – schiava ingegnosa e sempre calcolatrice – di appetiti disumani, raffinati, innaturali e immaginari; la proprietà privata non sa fare del bisogno grossolano un bisogno umano; il suo idealismo è l’immaginazione, l’arbitrio, il capriccio.”
Carlo Marx

Tratto da "Manoscritti economico-filosofici del 1844"

Non si può continuare a trasferire reddito dal lavoro al capitale senza causare eccesso di capacità produttiva e calo della domanda aggregata. Questo è ciò che è accaduto. Pensavamo che i mercati funzionassero. No, non stanno funzionando. Il singolo può essere razionale. L’azienda, per sopravvivere e crescere può abbattere sempre più il costo del lavoro, ma i costi del lavoro sono il reddito e quindi il consumo di qualcun altro. È un processo auto-distruttivo, è un circolo vizioso che conduce alla depressione e alla fine del sistema.
Aggiungo, a margine, un piccolo consiglio, rivolto a chi volesse approfondire la questione senza essere obbligato alla impossibile lettura del “Capitale”: un libro di uno dei massimi filosofi del ‘900, di area hegeliana e marxista, esponente della scuola di Francoforte, Theodor Adorno, autore di un’opera bellissima e ardua, ma di una straordinaria, sconvolgente attualità: i “MINIMA MORALIA”.