Ora lo possiamo dire con
cognizione di causa: non sarà una grande consolazione, d’accordo, ma è la
verità. Marx aveva ragione. Non nel sogno utopistico della costruzione di una
società egualitaria e socialista perfetta, nella quale ogni cittadino, alla fine
del processo di estinzione dello stato, si sarebbe potuto liberamente espandere
ed esprimere a seconda delle proprie inclinazioni e delle proprie passioni. Una
volta abolita la proprietà privata, attuata la collettivizzazione delle imprese
e delle aziende, soppressa la imposizione fiscale, non più necessaria dal
momento che lo stato dovrebbe essere in
grado di garantire tutto quello di cui ha bisogno un uomo, si edifica la
società perfetta. Purtroppo, nostro malgrado, conosciamo bene i contenuti del
realismo socialista. Si è creata una nomenclatura nel partito unico e la natura
umana, altamente corrotta ed imperfetta, ha finito col prevalere. Una casta di
politicanti che vivevano nel lusso più sfrenato ed una massa di cittadini
livellati e obbligati a fare code di ore ed ore per un paio di calze di nylon. Probabilmente
Marx stesso non si nascondeva il pericolo del sopravvento dei tornaconti
personali sul sogno di costruzione della società perfetta. Ma in un aspetto,
senza ombra di dubbio, Marx ha detto il vero: l’analisi del capitalismo,
soprattutto quella del suo ciclo involutivo, è quasi perfetta. Marx scriveva
che ad un certo momento, le contraddizioni del liberismo sarebbero arrivate ad un
punto di non ritorno, di rottura, sino all’implosione del sistema stesso. Quali
sono queste contraddizioni? La crescita non può essere indefinita, come
suggerisce la dottrina capitalistica, si arriva ad un certo punto nel quale i
consumi interni di un paese non reggono più il ritmo della produzione, oltre questa soglia comincia la parabola discendente del sistema. Un sistema che non
mette al centro l’uomo e le sue necessità, l’economia reale, quella derivante
dal lavoro, ma il solo profitto, il denaro, il plusvalore generato dal lavoro
delle maestranze. La crescita non è illimitata, i paesi più poveri, sfruttati e
spremuti come agrumi dai paesi ricchi, presto o tardi presentano il conto,
premono alle frontiere. Si crea la globalizzazione: qualsiasi paese al mondo,
dalla Cina alla Mongolia è in grado di produrre gli stessi strumenti che fino a
ieri erano patrimonio esclusivo dei paesi più ricchi, solo riescono a produrli
ad un costo infinitamente inferiore. Il mercato esplode, la vecchia Europa non
esporta più una bicicletta, dipende dai paesi una volta più poveri per le
materie prime (le commodities) che vengono cedute a caro prezzo. Infine, e qui
sta il genio preveggente di Marx, la finanza prenderà il sopravvento
sull’economia e sulla politica e dominerà la scena mondiale. La finanza è
divenuta “creativa”, si è svincolata completamente dall’economia generata dal
lavoro, sposta capitali immensi e determina il futuro e le sorti di intere
nazioni. La politica non può che subire tale predominio. E’ quello cui stiamo
assistendo: il governo Monti prende ordini da letterine (o pizzetti) della BCE
ed esegue punto per punto quello che gli detta la finanza europea, per bocca
della BCE e dell’UE. L’Europa si trova sotto l’egida della Germania non perché
questo paese sia particolarmente virtuoso o lungimirante: è semplicemente la
prima economia europea. Se il cancelliere tedesco Angela Merkel detta l’agenda
politica di un intero continente, obbligando tutti i paesi membri a politiche
restrittive criminali e suicide di fiscal compact ed austerity, è proprio per
questa legge del capitalismo arrivato al crepuscolo che consente all’economia e
alla finanza di assoggettare la politica. Se la Merkel è nella realtà dei fatti
la governatrice dell’Europa, non è per le sue scarsissime doti politiche (non
capisce nulla di economia e ancor meno di finanza) ma solo perché il suo paese
è il più forte economicamente e le politiche di rigore e austerità risultano
solo convenienti per i tedeschi, ma solo per
loro, a questo punto. Quello che dobbiamo comprendere tutti, a parte la
lezione di Marx sul capitalismo, è che dobbiamo spezzare il dominio della finanza
sulla politica e la politica deve riprendere il suo posto più naturale:
amministrare la cosa pubblica, compresa l’economia, e, soprattutto, imporre
regole alla finanza, che deve smettere di essere banditesca e sovversiva. Tutti
abbiamo compreso che il capitalismo ha fallito ed è al tramonto: dobbiamo restituire
alla politica il suo ruolo. E gente come la Merkel deve tornare a fare quello
che le compete: governare un paese nel quale è stata regolarmente eletta. Il
governo dell’Europa è un’altra cosa, e non è affar suo. Prima comprenderanno i
tedeschi questa realtà e meglio sarà per tutti. O tutti finiremo nella
catastrofe, Germania compresa. Non basta fare uscire la Grecia dall’Euro, senza
l’euro la Germania sarebbe perduta perché a differenza di quello che credono i
tedeschi, il loro benessere si fonda proprio sull’euro e sui paesi in
sofferenza come il nostro. Vediamo un piccolo esempio di quello che scriveva
Marx a proposito delle future sorti del capitalismo:
“Ogni uomo s’ingegna di procurare
all’altro uomo un nuovo bisogno, per costringerlo a un nuovo sacrificio, per
ridurlo a una nuova dipendenza e spingerlo a un nuovo modo di godimento e
quindi di rovina economica. Ognuno cerca di creare al di sopra dell’altro una
forza essenziale estranea per trovarvi la soddisfazione del proprio bisogno
egoistico. Con la massa degli oggetti cresce quindi la sfera degli esseri
estranei, ai quali l’uomo è soggiogato e ogni nuovo prodotto è un nuovo
potenziamento del reciproco inganno e delle reciproche spogliazioni. L’uomo
diventa tanto più povero come uomo, ha tanto più bisogno del denaro, per
impadronirsi dell’essere ostile, e la potenza del suo denaro sta giusto in
proporzione inversa alla massa di produzione; in altre parole, la sua miseria
cresce nella misura in cui aumenta la potenza del denaro.
Perciò il bisogno del denaro è il vero bisogno prodotto
dall’economia politica, il solo bisogno che essa produce. La quantità di denaro
diventa sempre più il suo unico attributo di potenza: come il denaro ha ridotto
ogni essere alla propria astrazione, così esso si riduce nel suo proprio
movimento a mera quantità. La sua vera misura è di essere smisurato e
smoderato. Così si presenta la cosa anche dal punto di vista soggettivo: in
parte l’estensione dei prodotti e dei bisogni si fa schiava – schiava ingegnosa
e sempre calcolatrice – di appetiti disumani, raffinati, innaturali e
immaginari; la proprietà privata non sa fare del bisogno grossolano un bisogno
umano; il suo idealismo è l’immaginazione, l’arbitrio, il capriccio.”
Carlo Marx
Tratto da "Manoscritti economico-filosofici del 1844"
Carlo Marx
Tratto da "Manoscritti economico-filosofici del 1844"
Non si può continuare a
trasferire reddito dal lavoro al capitale senza causare eccesso di capacità
produttiva e calo della domanda aggregata. Questo è ciò che è accaduto.
Pensavamo che i mercati funzionassero. No, non stanno funzionando. Il singolo
può essere razionale. L’azienda, per sopravvivere e crescere può abbattere
sempre più il costo del lavoro, ma i costi del lavoro sono il reddito e quindi
il consumo di qualcun altro. È un processo auto-distruttivo, è un circolo vizioso che conduce alla depressione e alla fine del sistema.
Aggiungo, a margine, un piccolo
consiglio, rivolto a chi volesse approfondire la questione senza essere
obbligato alla impossibile lettura del “Capitale”: un libro di uno dei massimi
filosofi del ‘900, di area hegeliana e marxista, esponente della scuola di
Francoforte, Theodor Adorno, autore di un’opera bellissima e ardua, ma di una
straordinaria, sconvolgente attualità: i “MINIMA MORALIA”.