lunedì 14 maggio 2012

SE UN GIORNO LE BRIGATE ROSSE


Dal giorno dell'attentato al dirigente dell'Ansaldo Energia si fa un gran dibattere sul tema di una possibile, probabile futura deriva terroristica nel paese. Non era indispensabile il ferimento di un dirigente d'azienda o qualche molotov lanciata contro le sedi di Equitalia per capire che i tempi sono maturi, siamo arrivati al nodo cruciale, le tensioni sociali in questo come in altri paesi d'Europa, sono arrivate ad un punto prossimo all'esplosione. Non reggono i paragoni con il passato, per diverse ragioni: il terrorismo degli anni settanta era velleitario, autoreferenziale ed “aristocratico”: un pugno di giovanotti, di istruzione medio-alta, avevano deciso di costituire l'avanguardia di un movimento armato che, nei loro deliranti propositi, avrebbe indotto le masse, soprattutto operaie, a seguirli fino all'insurrezione armata contro i poteri dello stato. Era un battaglia perduta in partenza, tutta ideologia post marxista, non prendeva le mosse da bisogni reali, concreti, ma dalla arrogante supponenza di un gruppo di illusi che cercavano un riscatto dalle loro frustrazioni personali riversandole in un movimento di più ampio respiro. La cortina di ferro non era ancora caduta, si vagheggiava di comunismo senza avere ben presente cosa significasse la sua traduzione nella realtà, si cercava un consenso in una società vagheggiata, si lottava contro un nemico immaginario che aveva il volto della Democrazia Cristiana, a quel tempo massima distributrice di ricchezze e prebende ad una popolazione che, con la pancia piena, era poco incline a fare la rivoluzione marxista. Alcuni docenti universitari, Semeria, Fenzi, Toni Negri, Scalzone, Piperno, Vesce, Ferrari Bravo, predicavano la lotta armata ad uno stuolo di studenti politicizzati più per moda che per necessità. I docenti portavano avanti le loro acute analisi per appagare un narcisismo mai domo, gli studenti li seguivano per costituire l'avanguardia di masse inesistenti: loro erano gli “operai sociali”, gli intellettuali, gli altri, i pecoroni che avrebbero dovuto seguirli nel disegno rivoluzionario, erano gli “operai massa”, gli incolti pronti ad obbedire a ventenni con le tasche piene e i cervelli imbottiti di parole d'ordine vuote e prive di significato. Il disegno di allora delle Brigate Rosse era chiaramente elitario e destinato al fallimento sicuro: i componenti stessi del gruppo storico, da Curcio a Franceschini, da Ognibene a Moretti, sapevano perfettamente che sarebbe finita male, ma andarono avanti ugualmente, per quel culto medioevale cavalleresco del “bel gesto”, per quell'istinto di autodistruzione che personalità nichiliste come quelle si portavano cucito addosso, la battaglia ideale contro i mulini a vento, il delirio allucinato dello spargimento di sangue, l'andare incontro, in un crescendo autolesionista, a viso aperto, alla fine sicura, ponendo fine, magari sul campo, ad una vita sbagliata, intessuta di complessi e frustrazioni tutte personali e private, alla ricerca, conscia o meno, della morte eroica sul campo dell'eroe incompreso.
Oggi non è più così. L'eventuale rinascita di una qualsiasi forma di terrorismo avrebbe, in Italia, tutt'altre connotazioni. Questa volta si parte da bisogni reali, drammaticamente concreti: una schiera di persone che hanno perduto il lavoro una volta per tutte, una massa di disoccupati o inoccupati che non cercano più lavoro, lavoratori in nero che percepiscono salari da fame e sono sfruttati e ricattati, pensionati che sono alla miseria, una classe politica indegna di questo nome ancorata unicamente ai propri privilegi, un governo tecnico completamente arenato dai veti incrociati di partiti in disfacimento. Il Ministro Passera, uno dei pochi che ha capito quello che sta per accadere, ha parlato di una media di 6 milioni di persone senza lavoro o sotto occupate: considerando il numero dei familiari di dette persone, arriviamo ad un 50% circa delle famiglie italiane in sofferenza. E il futuro che ci si prospetta non è migliore. Non ha senso che Monti parli di crescita per il 2013: sa perfettamente di mentire. Christine Lagarde ha commentato, parlando dell'Italia, che si potrà, nella migliore delle ipotesi, parlare di crescita e di PIL positivo per l'Italia solo dal 2017 in poi. Abbiamo diversi anni davanti a noi in cui il terrorismo, quello vero non quello dei sognatori come Curcio o la Cagol, avrebbe modo di svilupparsi e organizzarsi. Il disagio sociale fortissimo che tocchiamo con mano tutti i giorni è il brodo di coltura più appropriato per la nascita di una lotta armata. L'inerzia colpevole e suicida delle istituzioni europee è un formidabile incentivo ad agire. Il governo tecnico, intervenuto per interrompere la paralisi politica, è stato solo in grado di accrescere la pressione fiscale, ora sarà solo nelle condizioni di operare tagli alla spesa pubblica, taluni giusti, altri del tutto ingiustificati, con il solo risultato di comprimere ulteriormente una economia già esangue. Tutti sappiamo che ci sarà una ennesima manovra finanziaria entro l'anno, altre imposizioni, altri sacrifici, ma sappiamo altrettanto bene che, a quel punto, la misura sarà colma. Non possiamo accusare solo Mario Monti, per due motivi: il primo è che deve comunque rispondere ad un parlamento, ancor più diviso e rissoso dopo l'esito delle consultazioni amministrative, e, soprattutto, ad una Angela Merkel che è il vero colpevole della situazione prossima al collasso nella quale ci troviamo. Nel capitalismo giunto nella sua ultima fase l'economia e la finanza dominano e annientano l'iniziativa politica, la Merkel, attraverso UE e BCE governa l'Europa senza averne la consacrazione e l'autorità per farlo. La governa solo perchè esponente della nazione economicamente più forte dell'Europa. Monti, da solo, non può sovvertire una realtà consolidata ed agire autonomamente in un mondo dominato dai mercati e dagli speculatori che lo amministrano. Ora, è chiaro che in una situazione come questa, con la sofferenza e la sparizione del ceto medio, il tallone rigorista della Germania sul collo, i mercati e quindi la finanza, gestita da un pugno di milionari americani che domina la scena politica, il malcontento, il disagio, il malessere sociale non possano che sfociare in rabbia aperta. Dapprima la pistola si punta contro se stessi, poi la si rivolge contro qualcun altro, anche se non si sa ancora bene chi: non si può colpire una classe politica che tra l'altro non governa neppure, non si può colpire Mario Monti che, mani e piedi legati non può fare di più, si individua allora un simbolo della arida, cruda realtà dei numeri, il simbolo stesso della imposizione fiscale che ti chiede 100 quando allo Stato devi 20, Equitalia. Si tratta solo di un agente di riscossione e di per sé non è colpevole, ma l'aggio che trattiene (il 9%) è troppo elevato, gli interessi di mora che applica sono da capestro, gli errori che compie sono sempre e solo a danno del contribuente. Questo suscita la rabbia nei cittadini, vessati in mille modi: si può sbagliare, è umano, capita a tutti, ma se l'errore si compie solo in una direzione, sempre a vantaggio dell'amministrazione e mai del contribuente, allora sorge il legittimo dubbio della premeditazione. Pur sbagliando Equitalia procede con i suoi pignoramenti e sequestri, al malcapitato spetta l'onere della prova. Come dire cornuti e mazziati. Equitalia non è, ovviamente, il male assoluto, anche se va profondamente riformata, è solo un bersaglio ben definito, chiaro e comprensibile a tutti.
Mi si dirà: ma in Italia non esistono formazioni politiche di estrema destra o sinistra. E' vero, la particolarità del nostro paese è quella di aver assorbito l'estremismo di sinistra nella formazione composita di Vendola (la SEL) e l'estremismo di destra si è dissolto con il totale fallimento di “Forza Nuova”, ormai praticamente inesistente. Ma a tutto questo si può opporre l'obiezione che in questo caso non è l'estrazione ideologica a fare la differenza. Nessuno pensa di edificare una società né socialista né tanto meno fascista, il bisogno di veicolare all'esterno la propria rabbia, il proprio senso di impotenza, la negazione del proprio futuro non hanno colore politico. C'è un numero sempre più elevato di cittadini che, se posti nella condizione e nell'opportunità di scegliere, salirebbero sul carro in corsa, domandando solo in un secondo tempo, una volta accomodatisi, “scusate, ma voi siete di destra o di sinistra?” E' pur vero che una base, un substrato ideologico è indispensabile: ha un valore di collante, di denominatore comune, le persone hanno bisogno di simboli e di ideali, per quanto approssimativi o sgangherati. Ma c'è di sicuro chi sta lavorando anche a questo. L'ipotesi più probabile è che ci si troverà davanti ad una miscela esplosiva di doppi estremismi, si prende quello che occorre al momento dalla destra come dalla sinistra, e se ne produce un cocktail magari confuso ma efficace. Il senso di egualitarismo e di redistribuzione della ricchezza, l'attenzione al sociale ed al welfare perduto, il gesto ideale e superomistico di colui che agisce per il bene della collettività, mettendo a repentaglio anche la propria vita, il fatto di colpire simboli facili e di comprensione immediata per le masse, non sono patrimonio della sola destra o sinistra estreme.
I tempi insomma, sono maturi. Non lo sono mai stati così tanto, anzi, dal dopoguerra a questa parte. C'è solo un piccolo ma non trascurabile problema. E' lo stesso problema per il quale la rabbia violenta o addirittura armata non è ancora esplosa. Non siamo più negli anni settanta, i mezzi in possesso degli inquirenti, per trovare e assicurare alla giustizia qualche soggetto in odore di terrorismo sono infinitamente superiori e maggiormente sofisticati. Qui non fai in tempo a pensare una cosa e a parlarne con quattro amici che ti ritrovi addosso polizia e carabinieri. Organizzare e coordinare una rete eversiva, oggi, è praticamente impossibile. Per questo motivo gli autori dell'unico, ad oggi, gesto significativo, l'attentato al dirigente dell'Ansaldo, appartengono a cellule sparse e numericamente irrisorie degli anarchici. Gli anarchici non si sono mai dati un struttura piramidale e ben organizzata, sarebbe contraria ai loro stessi principi, sono numericamente trascurabili e le loro azioni sono destinate a rimanere il prodotto di un spontaneismo disarticolato e scarsamente incisivo. Mancano, inoltre, di una altro elemento che abbiamo visto essere fondamentale: una qualsivoglia ideologia. Possono essere, a seconda dei casi, di destra o di sinistra, la loro stessa bandiera contiene entrambi i colori, rosso e nero, non hanno una struttura ideologica ed un programma ben definiti. Questo li condanna alla scarsa incisività e all'emarginazione.
In conclusione, siamo in una fase appena embrionale nella quale le intenzioni non trovano le modalità di espressione e coordinamento. Ma questo è l'unico aspetto che ci ha fino ad ora salvati da una escalation terroristica. Sia ben chiaro, ci auguriamo tutti che queste intenzioni non si concretizzino mai in atti violenti, ma se continua questo stato di paralisi del governo europeo e, nel nostro caso, italiano, non possiamo fare le anime belle che dopo il quarantesimo suicidio addebitabile alla crisi, si sorprendono se poi qualcuno passa all'azione diretta.
E purtroppo, ancora una volta, l'unico sistema che possiamo pensare per scongiurare questo reale pericolo è che le istituzioni europee cambino completamente registro. Ci è di conforto apprendere che la Merkel abbia subito una sonora batosta nella regione più ricca e popoloso della Germania, il Nordreno Vestfalia. Occorre piantarla con i fiscal compact, le misure di rigore e austerità che strangolano l'economia, serve che la BCE faccia la banca centrale davvero con tutte le prerogative del caso, stampare moneta, divenire prestatore di ultima istanza. Non si può arriva tra vent'anni al pareggio di bilancio avendo nel frattempo sterminato una popolazione intera. Occorre che la politica rivesta di nuovo il ruolo che le compete: controllare l'economia, regolamentare la finanza con leggi severe e sacrosante che limitino o impediscano di fatto la speculazione incontrollata e criminale. Ma per fare tutte queste cose, lo sappiamo bene, ci vorrebbe il consenso di tutti, anche fuori dell'Europa, e a questo, purtroppo, non si arriverà mai. Continueremo a galleggiare, veleggiando a vista senza timone e senza nocchiero, andando dove ci porta la corrente, deprimendo sempre di più l'economia fino a soffocarla, trasformando la recessione in una depressione economica dalla durata imprevedibile. Questa impostazione, che è dovuta all'inazione di questo governo, all'insipienza totale di una classe politica, agli egoismi e i tornaconti personali delle istituzioni europee, che mancano completamente di una visione d'insieme , che vada al di là del proprio naso, non può che condurci nella direzione che abbiamo sopra descritto, e che eviteremmo volentieri. Possiamo solo confidare in una prossima, definitiva sconfitta della Merkel e nell'incisività di azione di Hollande. Non è molto, ma potrebbe bastare almeno a “governare la crisi” senza esserne travolti.
Se si continua ad inseguire il debito senza mai raggiungerlo, se si mette mano solo a misure restrittive, se non si comincia a creare nuova occupazione, insomma, se non si è in grado di fornire una sia pur flebile speranza nel futuro, non ci possiamo meravigliare se, tra non molto, magari nelle forme più sgangherate e destrutturate, il terrorismo comincerà a colpire sul serio, e cominceranno a cadere i primi innocenti.