Dal giorno dell'attentato
al dirigente dell'Ansaldo Energia si fa un gran dibattere sul tema di
una possibile, probabile futura deriva terroristica nel paese. Non
era indispensabile il ferimento di un dirigente d'azienda o qualche
molotov lanciata contro le sedi di Equitalia per capire che i tempi
sono maturi, siamo arrivati al nodo cruciale, le tensioni sociali in
questo come in altri paesi d'Europa, sono arrivate ad un punto
prossimo all'esplosione. Non reggono i paragoni con il passato, per
diverse ragioni: il terrorismo degli anni settanta era velleitario,
autoreferenziale ed “aristocratico”: un pugno di giovanotti, di
istruzione medio-alta, avevano deciso di costituire l'avanguardia di
un movimento armato che, nei loro deliranti propositi, avrebbe
indotto le masse, soprattutto operaie, a seguirli fino
all'insurrezione armata contro i poteri dello stato. Era un battaglia
perduta in partenza, tutta ideologia post marxista, non prendeva le
mosse da bisogni reali, concreti, ma dalla arrogante supponenza di un
gruppo di illusi che cercavano un riscatto dalle loro frustrazioni
personali riversandole in un movimento di più ampio respiro. La
cortina di ferro non era ancora caduta, si vagheggiava di comunismo
senza avere ben presente cosa significasse la sua traduzione nella
realtà, si cercava un consenso in una società vagheggiata, si
lottava contro un nemico immaginario che aveva il volto della
Democrazia Cristiana, a quel tempo massima distributrice di ricchezze
e prebende ad una popolazione che, con la pancia piena, era poco
incline a fare la rivoluzione marxista. Alcuni docenti universitari,
Semeria, Fenzi, Toni Negri, Scalzone, Piperno, Vesce, Ferrari Bravo,
predicavano la lotta armata ad uno stuolo di studenti politicizzati
più per moda che per necessità. I docenti portavano avanti le loro
acute analisi per appagare un narcisismo mai domo, gli studenti li
seguivano per costituire l'avanguardia di masse inesistenti: loro
erano gli “operai sociali”, gli intellettuali, gli altri, i
pecoroni che avrebbero dovuto seguirli nel disegno rivoluzionario,
erano gli “operai massa”, gli incolti pronti ad obbedire a
ventenni con le tasche piene e i cervelli imbottiti di parole
d'ordine vuote e prive di significato. Il disegno di allora delle
Brigate Rosse era chiaramente elitario e destinato al fallimento
sicuro: i componenti stessi del gruppo storico, da Curcio a
Franceschini, da Ognibene a Moretti, sapevano perfettamente che
sarebbe finita male, ma andarono avanti ugualmente, per quel culto
medioevale cavalleresco del “bel gesto”, per quell'istinto di
autodistruzione che personalità nichiliste come quelle si portavano
cucito addosso, la battaglia ideale contro i mulini a vento, il
delirio allucinato dello spargimento di sangue, l'andare incontro, in
un crescendo autolesionista, a viso aperto, alla fine sicura, ponendo
fine, magari sul campo, ad una vita sbagliata, intessuta di complessi
e frustrazioni tutte personali e private, alla ricerca, conscia o
meno, della morte eroica sul campo dell'eroe incompreso.
Oggi non è più così.
L'eventuale rinascita di una qualsiasi forma di terrorismo avrebbe,
in Italia, tutt'altre connotazioni. Questa volta si parte da bisogni
reali, drammaticamente concreti: una schiera di persone che hanno
perduto il lavoro una volta per tutte, una massa di disoccupati o
inoccupati che non cercano più lavoro, lavoratori in nero che
percepiscono salari da fame e sono sfruttati e ricattati, pensionati
che sono alla miseria, una classe politica indegna di questo nome
ancorata unicamente ai propri privilegi, un governo tecnico
completamente arenato dai veti incrociati di partiti in disfacimento.
Il Ministro Passera, uno dei pochi che ha capito quello che sta per
accadere, ha parlato di una media di 6 milioni di persone senza
lavoro o sotto occupate: considerando il numero dei familiari di
dette persone, arriviamo ad un 50% circa delle famiglie italiane in
sofferenza. E il futuro che ci si prospetta non è migliore. Non ha
senso che Monti parli di crescita per il 2013: sa perfettamente di
mentire. Christine Lagarde ha commentato, parlando dell'Italia, che
si potrà, nella migliore delle ipotesi, parlare di crescita e di PIL
positivo per l'Italia solo dal 2017 in poi. Abbiamo diversi anni
davanti a noi in cui il terrorismo, quello vero non quello dei
sognatori come Curcio o la Cagol, avrebbe modo di svilupparsi e
organizzarsi. Il disagio sociale fortissimo che tocchiamo con mano
tutti i giorni è il brodo di coltura più appropriato per la nascita
di una lotta armata. L'inerzia colpevole e suicida delle istituzioni
europee è un formidabile incentivo ad agire. Il governo tecnico,
intervenuto per interrompere la paralisi politica, è stato solo in
grado di accrescere la pressione fiscale, ora sarà solo nelle
condizioni di operare tagli alla spesa pubblica, taluni giusti, altri
del tutto ingiustificati, con il solo risultato di comprimere
ulteriormente una economia già esangue. Tutti sappiamo che ci sarà
una ennesima manovra finanziaria entro l'anno, altre imposizioni,
altri sacrifici, ma sappiamo altrettanto bene che, a quel punto, la
misura sarà colma. Non possiamo accusare solo Mario Monti, per due
motivi: il primo è che deve comunque rispondere ad un parlamento,
ancor più diviso e rissoso dopo l'esito delle consultazioni
amministrative, e, soprattutto, ad una Angela Merkel che è il vero
colpevole della situazione prossima al collasso nella quale ci
troviamo. Nel capitalismo giunto nella sua ultima fase l'economia e
la finanza dominano e annientano l'iniziativa politica, la Merkel,
attraverso UE e BCE governa l'Europa senza averne la consacrazione e
l'autorità per farlo. La governa solo perchè esponente della
nazione economicamente più forte dell'Europa. Monti, da solo, non
può sovvertire una realtà consolidata ed agire autonomamente in un
mondo dominato dai mercati e dagli speculatori che lo amministrano.
Ora, è chiaro che in una situazione come questa, con la sofferenza e
la sparizione del ceto medio, il tallone rigorista della Germania sul
collo, i mercati e quindi la finanza, gestita da un pugno di
milionari americani che domina la scena politica, il malcontento, il
disagio, il malessere sociale non possano che sfociare in rabbia
aperta. Dapprima la pistola si punta contro se stessi, poi la si
rivolge contro qualcun altro, anche se non si sa ancora bene chi: non si
può colpire una classe politica che tra l'altro non governa neppure,
non si può colpire Mario Monti che, mani e piedi legati non può fare di
più, si individua allora un simbolo della arida, cruda realtà dei
numeri, il simbolo stesso della imposizione fiscale che ti chiede 100
quando allo Stato devi 20, Equitalia. Si tratta solo di un agente di
riscossione e di per sé non è colpevole, ma l'aggio che trattiene
(il 9%) è troppo elevato, gli interessi di mora che applica sono da
capestro, gli errori che compie sono sempre e solo a danno del
contribuente. Questo suscita la rabbia nei cittadini, vessati in
mille modi: si può sbagliare, è umano, capita a tutti, ma se
l'errore si compie solo in una direzione, sempre a vantaggio
dell'amministrazione e mai del contribuente, allora sorge il
legittimo dubbio della premeditazione. Pur sbagliando Equitalia
procede con i suoi pignoramenti e sequestri, al malcapitato spetta
l'onere della prova. Come dire cornuti e mazziati. Equitalia non è,
ovviamente, il male assoluto, anche se va profondamente riformata, è
solo un bersaglio ben definito, chiaro e comprensibile a tutti.
Mi si dirà: ma in Italia
non esistono formazioni politiche di estrema destra o sinistra. E'
vero, la particolarità del nostro paese è quella di aver assorbito
l'estremismo di sinistra nella formazione composita di Vendola (la
SEL) e l'estremismo di destra si è dissolto con il totale fallimento
di “Forza Nuova”, ormai praticamente inesistente. Ma a tutto
questo si può opporre l'obiezione che in questo caso non è
l'estrazione ideologica a fare la differenza. Nessuno pensa di
edificare una società né socialista né tanto meno fascista, il
bisogno di veicolare all'esterno la propria rabbia, il proprio senso
di impotenza, la negazione del proprio futuro non hanno colore
politico. C'è un numero sempre più elevato di cittadini che, se
posti nella condizione e nell'opportunità di scegliere, salirebbero
sul carro in corsa, domandando solo in un secondo tempo, una volta
accomodatisi, “scusate, ma voi siete di destra o di sinistra?” E'
pur vero che una base, un substrato ideologico è indispensabile: ha
un valore di collante, di denominatore comune, le persone hanno
bisogno di simboli e di ideali, per quanto approssimativi o
sgangherati. Ma c'è di sicuro chi sta lavorando anche a questo.
L'ipotesi più probabile è che ci si troverà davanti ad una miscela
esplosiva di doppi estremismi, si prende quello che occorre al
momento dalla destra come dalla sinistra, e se ne produce un cocktail
magari confuso ma efficace. Il senso di egualitarismo e di
redistribuzione della ricchezza, l'attenzione al sociale ed al
welfare perduto, il gesto ideale e superomistico di colui che agisce
per il bene della collettività, mettendo a repentaglio anche la
propria vita, il fatto di colpire simboli facili e di comprensione
immediata per le masse, non sono patrimonio della sola destra o
sinistra estreme.
I tempi insomma, sono
maturi. Non lo sono mai stati così tanto, anzi, dal dopoguerra a
questa parte. C'è solo un piccolo ma non trascurabile problema. E'
lo stesso problema per il quale la rabbia violenta o addirittura
armata non è ancora esplosa. Non siamo più negli anni settanta, i
mezzi in possesso degli inquirenti, per trovare e assicurare alla
giustizia qualche soggetto in odore di terrorismo sono infinitamente
superiori e maggiormente sofisticati. Qui non fai in tempo a pensare
una cosa e a parlarne con quattro amici che ti ritrovi addosso
polizia e carabinieri. Organizzare e coordinare una rete eversiva,
oggi, è praticamente impossibile. Per questo motivo gli autori
dell'unico, ad oggi, gesto significativo, l'attentato al dirigente
dell'Ansaldo, appartengono a cellule sparse e numericamente irrisorie
degli anarchici. Gli anarchici non si sono mai dati un struttura
piramidale e ben organizzata, sarebbe contraria ai loro stessi
principi, sono numericamente trascurabili e le loro azioni sono
destinate a rimanere il prodotto di un spontaneismo disarticolato e
scarsamente incisivo. Mancano, inoltre, di una altro elemento che
abbiamo visto essere fondamentale: una qualsivoglia ideologia. Possono
essere, a seconda dei casi, di destra o di sinistra, la loro stessa
bandiera contiene entrambi i colori, rosso e nero, non hanno una
struttura ideologica ed un programma ben definiti. Questo li condanna
alla scarsa incisività e all'emarginazione.
In conclusione, siamo in
una fase appena embrionale nella quale le intenzioni non trovano le
modalità di espressione e coordinamento. Ma questo è l'unico
aspetto che ci ha fino ad ora salvati da una escalation terroristica.
Sia ben chiaro, ci auguriamo tutti che queste intenzioni non si
concretizzino mai in atti violenti, ma se continua questo stato di
paralisi del governo europeo e, nel nostro caso, italiano, non
possiamo fare le anime belle che dopo il quarantesimo suicidio
addebitabile alla crisi, si sorprendono se poi qualcuno passa
all'azione diretta.
E purtroppo, ancora una
volta, l'unico sistema che possiamo pensare per scongiurare questo
reale pericolo è che le istituzioni europee cambino completamente
registro. Ci è di conforto apprendere che la Merkel abbia subito una
sonora batosta nella regione più ricca e popoloso della Germania, il
Nordreno Vestfalia. Occorre piantarla con i fiscal compact, le misure
di rigore e austerità che strangolano l'economia, serve che la BCE
faccia la banca centrale davvero con tutte le prerogative del caso,
stampare moneta, divenire prestatore di ultima istanza. Non si può
arriva tra vent'anni al pareggio di bilancio avendo nel frattempo
sterminato una popolazione intera. Occorre che la politica rivesta di
nuovo il ruolo che le compete: controllare l'economia, regolamentare
la finanza con leggi severe e sacrosante che limitino o impediscano
di fatto la speculazione incontrollata e criminale. Ma per fare tutte
queste cose, lo sappiamo bene, ci vorrebbe il consenso di tutti,
anche fuori dell'Europa, e a questo, purtroppo, non si arriverà mai.
Continueremo a galleggiare, veleggiando a vista senza timone e senza
nocchiero, andando dove ci porta la corrente, deprimendo sempre di
più l'economia fino a soffocarla, trasformando la recessione in una
depressione economica dalla durata imprevedibile. Questa
impostazione, che è dovuta all'inazione di questo governo,
all'insipienza totale di una classe politica, agli egoismi e i
tornaconti personali delle istituzioni europee, che mancano
completamente di una visione d'insieme , che vada al di là del
proprio naso, non può che condurci nella direzione che abbiamo sopra
descritto, e che eviteremmo volentieri. Possiamo solo confidare in
una prossima, definitiva sconfitta della Merkel e nell'incisività di
azione di Hollande. Non è molto, ma potrebbe bastare almeno a
“governare la crisi” senza esserne travolti.
Se si continua ad
inseguire il debito senza mai raggiungerlo, se si mette mano solo a
misure restrittive, se non si comincia a creare nuova occupazione,
insomma, se non si è in grado di fornire una sia pur flebile
speranza nel futuro, non ci possiamo meravigliare se, tra non molto,
magari nelle forme più sgangherate e destrutturate, il terrorismo
comincerà a colpire sul serio, e cominceranno a cadere i primi
innocenti.