martedì 30 agosto 2011

COMMIATO


Con la giornata di oggi si è conclusa una delle migliori esperienze lavorative della mia vita. Domani passerò ad altro incarico, a nuovi colleghi, a nuove mansioni, ad altri compiti. Non è un salto nel buio, conosco discretamente la realtà che incontrerò nella mattinata di domani, e per almeno tutto il prossimo anno. Tuttavia, il mio cuore è venato di tristezza, i miei occhi sono appannati dalla malinconia. Lascio con dispiacere un ambiente che per un anno mi ha trattato con rispetto, correttezza e lealtà. Lascio con dolore due colleghe che sono andate ben oltre la semplice condivisione di uno spazio lavorativo, sono state delle persone che mi hanno trattato come un amico, un fratello, qualcuno cui voler bene. Saranno sempre nel mio cuore. E’ difficile recarsi al lavoro con l’animo leggero e la voglia di fare, a meno che non si tratti di una attività scelta elettivamente. Io sono andato al lavoro per un anno intero senza avvertire il peso delle ore che passano, senza noia o recriminazioni, anche nei momenti difficili, che, come in ogni attività lavorativa, non sono mancati. 

Un ringraziamento particolare vada alle mie due dirigenti, l’una per la fiducia accordatami ancor prima di conoscermi più a fondo, l’altra per lo spirito lieve che ha saputo infondere nel nostro agire, rendendo le cose più semplici, e contribuendo non poco a rasserenare l’ambiente. Ma soprattutto grazie alle due persone che con me hanno condiviso la stessa stanza, gli stessi problemi, mi hanno dimostrato in mille occasioni stima, affetto e simpatia. Non dimenticherò mai i loro nomi e i loro volti, conserverò sempre nel cuore la loro vivida immagine. Domani è un altro giorno, domani incontrerò altre persone e farò altre cose: è la legge della vita, ogni incontro è già un addio. Ma questa sera, nonostante tutto, la mia tristezza non è mitigata, la mia nostalgia non è addolcita. Ci siamo salutati in fretta, come era giusto, nessuna retorica degli addii, sono rientrato a casa, non c’era nessuno ad aspettarmi, ci sono abituato. Ma questa sera, se è ancora possibile, mi sento un po’ più solo.





NON E' UN PAESE PER GIOVANI

Ci siamo. Finalmente il governo Berlusconi-Bossi-Scilipoti ha mostrato  il suo vero volto. Si tratta di un governo di destra, non lo dimentichiamo, e, coerentemente, riversa i sacrifici sulle fasce non diremo più deboli, ma più facilmente identificabili. Rientra parzialmente il pudico “contributo di solidarietà”, limitato ai soli statali. E’ ovvio che si tratta di un provvedimento incostituzionale, così come incostituzionale è l’individuazione delle fasce orarie di reperibilità in caso di malattia di sette ore per i dipendenti pubblici e di quattro per i privati. Napolitano legge quello che firma? Quanti dipendenti statali possono vantare un reddito di 150.000 euro? Pochini. Quanto potrà giovare alle casse dello stato un simile provvedimento che esclude i privati? E poi: finalmente si mette mano alle pensioni, le famose riforme strutturali. E come si snodano queste riforme strutturali? Annullando gli anni riscattati della laurea e l’anno di militare. Utili solo ai fini economici (quattro soldi in più al mese)ma inutili ai fini della maturazione del diritto al trattamento di quiescenza. Altro provvedimento incostituzionale. Come è possibile concepire una simile aberrazione giuridica? Quale mente contorta può aver ideato un simile sopruso? Per coloro che hanno riscattato i quattro anni di laurea e l’anno di militare (mediamente la spesa si aggirava, al tempo delle lire, intorno ai 20.000.000)non può essere retroattivamente applicata una simile disposizione. Avendolo saputo prima, quanti avrebbero proceduto al riscatto, non utile all’anzianità, ma solo per ritrovarsi una pensione con qualche euro in più? Un altro risultato di questa sciocchezza, è che l’età pensionabile, nei fatti, viene elevata ai 70 anni. Se i quarant’anni di lavoro devono essere effettivi, tutti coloro che hanno conseguito un titolo di laurea (e sono molti), per assommare un quarantennio di anzianità contributiva, dovranno raggiungere l’età di 70 anni. Questo non è più un paese per giovani. Se avessi dei figli soffrirei per loro nella mia stessa carne. Il futuro è talmente funereo, che per un ventenne diventa difficile qualsiasi tipo di scelta. Le misure di questa specie di governo, come fa notare anche la Banca di Italia, sono depressive per l’economia, scoraggiano i consumi perché ricadono di fatto sulle categorie meno abbienti, che subiranno misure impositive sia a livello statale che locale. Una paese dove si va in pensione a 70 anni non può fare spazio alle sacrosante ragioni dei giovani. La lotta all’evasione fiscale non è possibile seriamente in questo paese semplicemente perché abbiamo un corpo, la Guardia di Finanza, che non fa quello che dovrebbe fare. Negli Stati Uniti, dove non esiste un inutile e costoso corpo militarizzato come la Guardia di Finanza, a condurre la lotta agli evasori sono mobilitati dei civili con mansioni di detective, che  svolgono una vera e propria attività investigativa allo scopo di snidare gli evasori. E’ una idea così balzana? Non si potrebbe fare lo stesso invece di mantenere un corpo militare scarsamente preparato in fatto di investigazione finanziaria? Non si potrebbe, invece di applicare misure che penalizzano anche i piccoli risparmiatori, come l’aliquota unica al 20% su azioni e obbligazioni che non siano di stato, o la ridicola tassa sui depositi, pensare ad una vera e propria patrimoniale? E i capitali rientrati con lo scudo fiscale, penalizzati di un misero 5%? La partita con questi evasori è chiusa? Allora è verosimile che lo stato abbia stabilito un patto con malavitosi di tale portata, perché di malavitosi si tratta, non dimentichiamolo.  I capitali accertati sopra il milione di euro dovrebbero contribuire in modo progressivo, i grandi proprietari immobiliari idem, non serve fare particolari studi di settore, basta considerare il tenore di vita, i beni posseduti e quelli ostentati. Ci sembra di essere di fronte ad un caso analogo a quello del tristemente noto Don Seppia di Genova. Per anni questo personaggio ha condotto una vita dissoluta e dissipata, esibendola senza restrizioni. Eppure, interrogati, nessuno sapeva nulla, nessuno aveva notato alcunché. Possiamo togliere il velo di mortadella che ricopre gli occhi della nostra guardia di finanza? Questa manovra tutta italiana, nello spirito e nella costruzione (il famoso rigore all’italiana)non prevede nulla che possa agevolare minimamente la crescita e lo sviluppo economico, e ci condanna ad una nuova manovra tra quattro o se mesi. Almeno finchè resteremo nella gabbia dorata dell’Euro. Sarà dorata, è vero, ma è pur sempre una gabbia. E così, di manovra in manovra, diventeremo sempre più poveri, i consumi saranno destinati a calare sempre più, i giovani a non trovare alcuna occupazione, perché i posti a loro destinati saranno ancora occupati da vecchietti col bastone, lo spread tra i titoli di stato italiani e bund oggi ha nuovamente superato i 300 punti, e la tendenza è ad una sicura crescita, sino ai livelli dello scorso luglio, gli eurobond, unico espediente per rallentare una caduta inevitabile, non sono graditi dai tedeschi, che dell’Italia hanno bisogno per non cadere a loro volta. Lo spettro della deflazione (un fenomeno immensamente più grave dell’inflazione) comincia a non essere così lontano.  In compenso, i sacrifici alla politica sono rinviati sine die, alla prossima, anzi alla legislatura ancora successiva. Così, tanto per non sbagliarsi. E la domanda, come al solito, è sempre la stessa: meritiamo davvero di essere salvati? Certamente no. Se questa è la classe politica che abbiamo espresso, non meritiamo una sorte migliore. Ringrazio questa sera Domeneddio di non avere figli, se ne avessi, correrei in farmacia ad acquistare una pacco da venti confezioni di Prozac. 









domenica 28 agosto 2011

IL TIFOSO NEL PALLONE

C’è una categoria, nel nostro disgraziato paese, che, anticipando la stesura definitiva della manovra finanziaria, ha deciso di scioperare, gettando una nazione intera in un panico anche peggiore di quello doverosamente tributato alla crisi economica. Sto parlando dello sciopero deciso per la prima giornata di campionato dai calciatori. Avendo sentito vagamente parlare di “contributo di solidarietà” sopra le soglie dei 90.000 e 150.000  euro, e avendo incassato il rifiuto da parte delle società di pagarlo in loro vece, tanto per non sbagliarsi hanno stabilito di scioperare, tra le recriminazioni e lo sconforto di milioni di tifosi, orfani della giornata inaugurale del campionato. Il provvedimento relativo ai redditi sopra i 90.000 e 150.000 euro è già praticamente rientrato, insieme, guarda caso, a quello applicabile ai politici, rinviato a data da destinarsi (cioè mai), ma nonostante tutto i signori del calcio vanno caparbiamente avanti, non per soldi, ma per danaro. Il povero Luca Tommasi, cui dobbiamo riconoscere, in ogni caso, il merito di averci messo la faccia (non era impresa da poco), ha biascicato qualche questione di principio e l’appello ad un contratto nazionale, quando la tendenza, per tutte le categorie lavorative, nessuna esclusa, è quella di abolire le contrattazioni nazionali. Tommasi non brilla per dialettica né per acutezza di ingegno, se questo è il rappresentante che si sono scelti i signori calciatori c’è poco da stare allegri. Ora, sulla questione è già stato detto tutto quello che si poteva dire. Mi permetto solo di dare risalto ad alcuni aspetti di una storia che, altrimenti, andrebbe rubricata come gag comica di fine estate o come  possibile soggetto da episodio di una commedia all’italiana dei fratelli Vanzina. Sui calciatori è inutile aggiungere alcunché: si tratta di una categoria di persone di mediocre cultura, vezzeggiati e coccolati come bambini viziati, hanno a disposizione tutto: denaro, auto di lusso, natanti, ville, cocaina e veline a volontà. Appartengono ad un mondo sordido, al limite dello squallore: un mondo fatto di corruzione e raggiri, la vicenda che ha recentemente coinvolto Beppe Signori & C. ci rimanda ad un ambiente stupido, ottuso, avido di denaro e privo di qualsiasi principio, un verminaio. Ma non sarebbe il caso di dire che le colpe vanno ripartite tra tutti i soggetti di questo spettacolino da cabaret? A cominciare dai presidenti delle società, sempre disponibili  a pagare somme da capogiro per aggiudicarsi qualche presunto campione, alle folle sterminate dei tifosi che, idolatrando queste ballerine di prima fila, le hanno persuase di essere veramente quello che credono di essere: degli idoli, cui tutto è permesso, cui tutto è concesso. Perché non pensare invece ad uno sciopero dei tifosi, perché non immaginare uno scenario in cui 22 signori prendono a calci un pallone in uno stadio semivuoto? Ma il potere di attrazione che gli italiani provano per il calcio è tale che la sola ventilata proposta di uno sciopero ad oltranza ha seminato un vero e proprio panico tra i tifosi.  Troppi sono i lettori di quel quotidiano dalle pagine rosa, un quotidiano riempito di nulla, fatto di niente, solo carta priva di idee, paragonabile unicamente ai settimanali di gossip. L’unico quotidiano di carta rosa che personalmente conosco è il “Sole 24 ore”. In conclusione, è ovvio per tutti che uno sciopero dei calciatori è una incredibile sciocchezza, roba da restare stupefatti, è ovvio che la responsabilità di un simile stupidaggine non è da addebitare alla sola categoria dei calciatori ma ad una nazione intera ammalata di calcio e totalmente cieca e non udente. Ci sono alcune consorterie, in questo paese, da considerarsi intoccabili: i politici anzitutto, la cui cupidigia è pari solo alla loro inefficienza, i notai, gli avvocati, i farmacisti, e anche loro, i calciatori, le soubrettes della domenica, cui tutto è permesso, cui tutto è perdonato. Dopo il primo momento di sdegno per le motivazioni dello sciopero, i disoccupati, i cassintegrati, gli studenti senza prospettive, fra qualche tempo dimenticheranno tutto, saranno disposti a rimuovere le sbalorditive ragioni dello sciopero, ripugnanti per qualsiasi essere minimamente  in grado di pensare. Siamo fatti così, noi italiani, il nostro sdegno,la nostra vergogna durano un’ora, poi tutto come prima. Un esempio per tutti è questa surreale manovra economica, partita con obiettivi ben precisi, quelli richiesti dalla BCE, e poi perdutasi per la strada, per approdare in Parlamento totalmente stravolta, svuotata per non perdere consensi, e destinata a prepararne un’altra, ben peggiore, cui mettere mano tra qualche mese. Siamo un paese inaffidabile, il nostro è un “rigore all’italiana”, come definito dalla stampa estera, un paese di suonatori di mandolino e consumatori di pizza, la cui parola, universalmente, non vale neppure un centesimo di euro. Non prendiamocela, allora, con i soli calciatori, prodotto degenerato di un paese senza identità e senza onore, senza dignità e senza decoro, pensiamo al rivoltante mercato che sta dietro il pallone, ai milioni di tifosi che fanno ore e ore di fila ai botteghini per guadagnarsi l’agognato biglietto di un posto in gradinata. Sono loro che dovrebbero scioperare, ma si guardano bene dal farlo. Ed è un vero peccato, perché sarebbe l’unico segnale da dare alle signorine del pallone: non siete indispensabili, siete delle persone mediocri che esercitano uno sport. Ad ogni olimpiade, puntualmente, quando qualche nostro sportivo vero si guadagna una medaglia, solo allora ci ricordiamo che esiste lo sport autentico: il tiro con l‘arco, l canottaggio, l’hockey su prato. Sono sport totalmente ignorati, praticati da persone che lavorano (loro sì per davvero) e sacrificano il loro tempo libero a snervanti allenamenti, in silenzio, nell’ombra, con discrezione e dignità. Pensiamo qualche volta a anche a questi sportivi non stipendiati, gli unici che ci possono riconciliare con questo mondo dove gira solo denaro, droga e prostituzione. Ricordiamo sempre che quello praticato dai milionari del pallone si può chiamare in mille modi, tranne che sport. E la prossima volta che ci ritroveremo fra le mani una copia della “Gazzetta” o ci troveremo sugli spalti ad urlare, cerchiamo, in un angolo del nostro cuore, un momento di autentica vergogna per quello che stiamo facendo e stiamo permettendo.






martedì 23 agosto 2011

ASPETTANDO NORIMBERGA

I media nazionali non si sono minimamente occupati di quello che si è verificato recentemente in un paese marginale dell’Europa, un piccolo paese di 320.000 anime, ma un grande paese per l’esempio che è riuscito ad esprimere. L’Islanda era un paese fallito (non è vero che la Grecia è il primo paese europeo in default), ma ha saputo riscrivere parzialmente la propria Costituzione facendo tesoro della tragica esperienza vissuta, è stato in grado di processare e condannare i responsabili del fallimento del paese (leader politici e banchieri), di sciogliere il Parlamento e indire nuove elezioni epurando la Camera dei Rappresentanti dai soggetti coinvolti nel default, e, infine, rifiutandosi di coinvolgere i soggetti privati nel risarcimento del debito nei confronti di Regno Unito e Olanda, paesi coinvolti pesantemente nella crisi del paese scandinavo. E’ lecito immaginare un simile scenario anche da noi? No, nel modo più assoluto. Da noi i responsabili della finanza creativa che hanno giocato sulle nostre teste trascinandoci nella rovina, coloro che dovevano vigilare e non lo hanno fatto, banchieri e politici collusi nella nostra situazione debitoria continuano tranquillamente a fare quello che hanno sempre fatto: arricchirsi personalmente. Un esempio per tutti: Alan Greenspan, l’ex presidente della FED americana, colui che doveva vigilare su quanto avveniva sotto i suoi occhi nel sistema bancario americano, non ha mosso un dito. Eppure, invece di cercare un angolo buio del mondo dove andare a nascondersi, fa il profeta di sventure condannando l’Euro ad un “collasso sicuro”. Ci vuole una inverosimile faccia tosta. Se fa l'economista come l'indovino possiamo dormire sonni tranquilli.

 (ANSA) - MADRID, 22 AGO - Il carcere per politici e banchieri responsabili della attuale crisi economica e finanziaria: lo propone oggi in una intervista a El Pais il leader della 'rivoluzione' islandese contro le banche Hordur Torfason. Da giugno l'ex-premier conservatore Geeir Haarde e' sotto processo, accusato, rileva il quotidiano di Madrid, ''di avere contribuito a trasformare un'isola invidiata dal resto del mondo in un paese in cui ogni famiglia avrebbe dovuto pagare 50mila euro per saldare il debito delle banche''.
Torfason, 65 anni, e' stato uno dei leader del movimento che ha portato al rifiuto per referendum da parte della popolazione islandese di pagare i debiti delle banche, e all'avvio del giudizio contro i politici responsabili. ''Anche in Usa ed Europa dei ladri ci hanno truffato'' afferma.
La 'rivoluzione islandese' e' il grande modello cui si ispira il movimento dei giovani indignados esploso da maggio in Spagna. La protesta islandese, rileva El Pais, ''chiedeva che se andassero tutti quelli che comandavano.
Governo, dirigenti della banca centrale, supervisore finanziario... e sorprendentemente lo hanno ottenuto''.
Per l'attore diventato leader del movimento della rivolta islandese l'ex-premier Haarder deve finire in carcere: ''Sapeva che cosa sarebbe successo otto mesi prima del crash, e non ha fatto nulla per impedirlo''. Ma, aggiunge, ''non e' il solo che deve andare in prigione. Devono pagare tutti i responsabili, tutti i banchieri.
Non e' vendetta, e' giustizia'' afferma, perche' ''lo hanno fatto sapendo il danno che potevano causare''.(ANSA).
"Secondo quanto riportano diverse fonti Lloyd Blankfein, il CEO di Goldman Sachs, avrebbe chiesto i servizi di Reid Weingarten, l'avvocato che in passato ha difeso i big coinvolti nei tracolli di Enron e WorldCom. Gli investitori temono di conseguenza che lo scandalo relativo al ruolo di Blankfein e di Goldman durante la crisi finanziaria possa allargarsi."
Il popolo islandese è riuscito a far dimettere un governo al completo; sono state nazionalizzate le principali banche commerciali; i cittadini hanno deciso all'unanimità di dichiarare l'insolvenza del debito che le stesse banche avevano sottoscritto con la Gran Bretagna e con l'Olanda, forti dell'inadeguatezza della loro politica finanziaria; infine, è stata creata un'assemblea popolare per riscrivere l'intera Costituzione. Il tutto in maniera pacifica. Una vera e propria Rivoluzione contro il potere che aveva condotto l'Islanda verso il recente collasso economico.
Sicuramente vi starete chiedendo perché questi eventi non siano stati resi pubblici durante gli ultimi due anni. La risposta ci conduce verso un'altra domanda, ancora più mortificante: cosa accadrebbe se il resto dei cittadini europei prendessero esempio dai "concittadini" islandesi?
Ecco brevemente la cronologia dei fatti:
2008 - A Settembre viene nazionalizzata la più importante banca dell'Islanda, la Glitnir Bank. La moneta crolla e la Borsa sospende tutte le attività: il paese viene dichiarato in bancarotta.
2009 - A Gennaio le proteste dei cittadini di fronte al Parlamento provocano le dimissioni del Primo Ministro Geir Haarde e di tutto il Governo - la Alleanza Social-Democratica (Samfylkingin) - costringendo il Paese alle elezioni anticipate.
La situazione economica resta precaria. Il Parlamento propone una legge che prevede il risanamento del debito nei confronti di Gran Bretagna e Olanda, attraverso il pagamento di 3,5 MILIARDI di Euro che avrebbe gravato su ogni famiglia islandese, mensilmente, per la durata di 15 anni e con un tasso di interesse del 5,5%.
2010 - I cittadini ritornano a occupare le piazze e chiedono a gran voce di sottoporre a Referendum il provvedimento sopracitato.
2011 - A Febbraio il Presidente Olafur Grimsson pone il veto alla ratifica della legge e annuncia il Referendum consultivo popolare. Le votazioni si tengono a Marzo ed i NO al pagamento del debito stravincono con il 93% dei voti.
Nel frattempo, il Governo ha disposto le inchieste per determinare giuridicamente le responsabilità civili e penali della crisi. Vengono emessi i primi mandati di arresto per diversi banchieri e membri dell'esecutivo.L'Interpol si incarica di ricercare e catturare i condannati: tutti i banchieri implicati abbandonano l'Islanda.
In questo contesto di crisi, viene eletta un'Assemblea per redigere una Nuova Costituzione che possa incorporare le lezioni apprese durante la crisi e che sostituisca l'attuale Costituzione (basata sul modello di quella Danese). Per lo scopo, ci si rivolge direttamente al Popolo Sovrano: vengono eletti legalmente 25 cittadini, liberi da affiliazione politica, tra i 522 che si sono presentati alle votazioni. Gli unici due vincoli per la candidatura, a parte quello di essere liberi dalla tessera di qualsiasi partito, erano quelli di essere maggiorenni e di disporre delle firme di almeno 30 sostenitori.
La nuova Assemblea Costituzionale inizia il suo lavoro in Febbraio e presenta un progetto chiamato Magna Carta in cui confluisce la maggior parte delle "linee guida" prodotte in modo consensuale nel corso delle diverse assemblee popolari che hanno avuto luogo in tutto il Paese. La Magna Carta dovrà essere sottoposta all'approvazione del Parlamento immediatamente dopo le prossime elezioni legislative.
Abbiamo forse sentito parlare di tutto ciò nei mezzi di comunicazione europei?
Abbiamo ricevuto un qualsiasi commento su questi avvenimenti nei noiosissimi salotti politici televisivi o nelle tribune elettorali radiofoniche?
Abbiamo visto nella nostra beneamata Televisione anche un solo fotogramma che raccontasse qualcuno di questi momenti?
I responsabili della attuale "contrazione" economica mondiale, che ci sta portando diritti verso una grande depressione a livello globale, hanno, per la massima parte, un nome e un cognome. Sono individui in carne e ossa, come noi. Sarebbe troppo auspicare un Processo di Norimberga per i responsabili della rovina del mondo? Questi signori sapevano perfettamente quello che stavano facendo, lo facevano con premeditazione, conoscendo le conseguenze del proprio agire, con il solo proposito del personale profitto. Queste persone, causando un crollo economico mondiale, hanno creato le condizioni per impoverire, emarginare ed annientare milioni di esseri umani. Le responsabilità sono spesso talmente frammentate e polverizzate da rendere difficile l'individuazione di colpevolezze soggettive. Anche questo è vero, ma a cosa servirebbe ispirarsi ad un processo come quello di Norimberga, che ha costituito uno sforzo di organizzazione, coordinamento e sintesi di indagini e documentazioni complesse ed articolate, se le soluzioni fossero semplici e alla portata di tutti? Escludendo, per ovvie ragioni, la pena di morte, purtroppo applicata in quella circostanza (ma si trattava di criminali nazisti), crediamo  che attendersi un simile evento, di respiro mondiale, non sia un'idea da scartare.












domenica 21 agosto 2011

IL CIGNO NERO

Pubblico con dolore il bellissimo articolo di Pierpaolo Benigno appena apparso sul “Sole 24 Ore”. Lo faccio in considerazione del fatto che da più parti mi pervengono critiche per il mio supposto “pessimismo” circa l’evoluzione della cosiddetta “crisi”. Nel ribadire che si tratta in realtà di una “contrazione economica”, un evento estremamente raro in economia, l’articolista, argomentando, mi permetto di farlo notare, avvalendosi di concetti non lontani da quelli da me espressi, introduce il concetto di “Cigno Nero”, tristemente famoso in economia e in filosofia della scienza. In concreto è  possibile che gli eventi rari siano più frequenti di quanto atteso: la distribuzione delle frequenze possiede “code larghe”, una caratteristica che è stata popolarizzata da Nicholas Taleb sotto il nome di “Cigno nero”. Il “Cigno nero” è una potente metafora sulla natura della scienza: in breve l’idea è che l’osservazione di un numero elevato e crescente di cigni bianchi non ci autorizza a concludere che tutti i cigni sono bianchi, poiché è sufficiente l’esistenza di un solo Cigno nero per negare la precedente asserzione universale (i cigni neri in effetti esistono). Applicato in economia, il concetto di Cigno Nero si traduce nel verificarsi di un evento considerato sino all’ultimo come talmente improbabile da risultare quasi impossibile: il collasso globale della finanza. E invece è esattamente quello che si sta verificando: la recessione che stiamo vivendo, il grottesco balletto della manovra italiana (uno spettacolo davvero avvilente), il ridicolo asse Parigi – Berlino che ha prodotto solo uno spot elettorale dei due protagonisti, l’ottusa resistenza della BCE nel respingere gli Eurobond, lo shock sistemico, infine, cui stiamo assistendo in tutto il mondo, tutto ci rimanda quasi profeticamente al Cigno Nero, che nella volgata del linguaggio politico vuol dire una sola cosa: “grande depressione”.

Non è solo la maggiore incertezza a spaventare i mercati. Quello che preoccupa è invece la possibilità che si realizzi un "cigno nero". Un evento raro e catastrofico, detto anche di coda. Evento che, giorno dopo giorno, sta diventando sempre più probabile e che sappiamo ha la caratteristica di manifestarsi nel modo più naturale e prevedibile possibile.
Non è una recessione a "W". Sarebbe troppo ottimistico pensare che se si dovesse imboccare la strada della recessione saremmo in grado di uscirne subito con una nuova espansione. È semplicemente la paura di una grande stagnazione che può condurre ad una nuova Grande Depressione.
Il cigno nero, che i mercati temono in questo momento, può scaturire dall'inizio di una piccola contrazione negli Stati Uniti che si propaga in Europa. A quel punto, con una crescita sotto zero, salterà qualsiasi parametro di sostenibilità dei debiti pubblici europei e sarà vano, anzi deleterio, continuare a perseguire manovre di aggiustamento fiscale. Salterà anche il sistema bancario che, nel suo complesso, ha un'esposizione debitoria maggiore rispetto alla taglia del settore pubblico, e non si sa chi lo può salvare. Le interconnessioni globali dei mercati finanziari faranno il resto per condurci ad una profonda contrazione. A quel punto anche la deflazione ci metterà il suo gonfiando i debiti privati e pubblici. L'euro si sdoppierà o sbriciolerà. Ecco quindi il decennio perduto, il cigno nero il cui sguardo dobbiamo rifuggire.
Non siamo però spettatori passivi e inermi rispetto al verificarsi di questi eventi. Da un lato, nell'oscurità del pessimismo delle aspettative, possiamo scambiare qualche cigno di colore bianco o grigio per nero. In effetti, in questo periodo, stiamo raccogliendo dati sull'andamento delle economie occidentali per capire se ci sarà o no una nuova recessione. Fino a poco tempo fa, queste informazioni erano di segno altalenante, mentre ora sono sempre più negative. Ma la velocità e la sfiducia, con le quali i mercati finanziari le processano, puntano direttamente al panico che contribuisce al verificarsi dell'evento sfavorevole. La distruzione di ricchezza finanziaria nei mercati azionari, le tensioni nei mercati creditizi vanno a sommarsi ad uno scenario già estremamente fragile che, diversamente dal 2007-2008, parte ora da un livello elevato di disoccupazione. Anche l'economia reale, per paura dell'evento sfavorevole, ritarda le decisioni di investimento di lungo periodo come quelle di assunzioni di forza lavoro indebolendo ulteriormente la domanda.
Non siamo spettatori inermi anche perché la politica economica può fare molto per il verificarsi, o non, del cigno nero. In fondo, le grandi depressioni sono il frutto degli errori di politica economica. Di errori già ne sono stati fatti abbastanza: uno stimolo di politica fiscale insufficiente negli Stati Uniti, il rientro anticipato verso l'austerità fiscale e monetaria in Europa, la mancata regolamentazione degli intermediari finanziari, la tragedia greca che per l'imbarazzante incapacità dei politici europei è divenuta tragedia europea a cui ha fatto da controcanto il dibattito inutile sul limite del debito negli Stati Uniti. Non si può sbagliare nuovamente e, per fortuna, ci sono ancora armi a disposizione.
Gli Stati Uniti possono contribuire con un nuovo stimolo di politica fiscale che crei domanda di beni e di lavoro e che colmi quel buco scavato dal crollo degli investimenti in edilizia. La fuga dei capitali verso la qualità ha portato i rendimenti dei titoli decennali americani a valori irrisori, il 2%. Sarebbe un grave errore ora avere paura della sostenibilità del debito pubblico americano e non direzionare questi capitali verso un ulteriore stimolo di domanda aggregata. Qualsiasi uso pubblico sarebbe più produttivo rispetto al non fare nulla e lasciare che l'economia imploda su se stessa.
L'Europa avrebbe la soluzione immediata dei suoi problemi se mai si decidesse a scambiare tutti i debiti pubblici in un debito federale garantito da una tassazione comunitaria. A quel punto il pareggio di bilancio, depurato dai debiti, sarebbe facilmente sostenibile da ciascun paese. Ma l'asse franco-tedesco ci ha fatto capire che non è questa la strada da percorrere.
Siamo nelle mani della Bce se mai, per evitare il collasso, decida di garantire tutto il debito pubblico dei singoli stati. Ma per arrivare a tanto, dovrà riuscire a scacciare quelle cattive idee che suggeriscono che aumenti della base monetaria portano necessariamente a maggiore inflazione. L'anello mancante a queste teorie è la sconnessione fra base monetaria e aggregati monetari, come M2 e M3, che si osserva in periodi di profonda contrazione che appunto lascia molto margine di manovra alle banche centrali. In fondo, una delle più belle lezioni sulla Grande Depressione viene non da Keynes ma da Milton Friedman, il padre del monetarismo, che con Anna Schwartz ha mostrato come la contrazione degli aggregati monetari sia stata una causa del perdurare della Grande Depressione. Non si può commettere lo stesso errore.
Sappiamo però che non possiamo aspettarci molto dall'Europa. Per ora accontentiamoci di pendere dalle parole di Bernanke, a Jackson Hole, e poi di Obama, dopo la festa americana del lavoro. Speriamo siano sufficienti anche per noi.
Pierpaolo Benigno – Il Sole 24 ore -©RIPRODUZIONE RISERVATA





sabato 20 agosto 2011

IL DELTA AL TRAMONTO

La sera, quando il denso crepuscolo polveroso si stendeva sui canali e sui fangosi bacini prosciugati dal delta, mi sedevo sulla comoda sdraio di vimini sotto il telone della tenda, per osservare lo spettacolo del tramonto. Nell’opaca luce turchina, il crepuscolo illuminava come un faro pallido le spiagge umide, i canali profondi che si intrecciavano in disegni misteriosi, come in un labirinto di idee prima ancora che di fango, come un enigma che sapesse di eterno. In quell’ora la febbre diminuiva, ed ero in grado di guardare con maggiore lucidità lo spettacolo che mi si offriva. Dalla sdraio di vimini cercavo di indovinare il senso  di quell’intreccio, ed ogni volta, a metà percorso, ero costretto a ricominciare da capo, perdendo il bandolo della matassa. C’era qualcosa di soprannaturale nel dedalo di quei canali impolverati, ma non riuscivo, ogni volta che mi ci provavo, ad andare al di là della sensazione di osservare un nido di serpenti che si muovevano lenti e sinuosi gli uni verso gli altri, disegnando percorsi sempre interrotti. Non distinguevo bene il paesaggio del delta, ma il tramonto era l’unico periodo di tregua che mi concedevano le febbri, e nonostante facessi il possibile per aguzzare lo sguardo, il senso di mistero permaneva, sempre uguale. Guardavo l’ultima luce ritirarsi dai tortuosi viottoli di sabbia del delta e man mano che il caldo aumentava, con l’avanzare dell’estate, la luce indugiava sempre più a lungo, distendendosi lieve sulle spiagge sbiadite,  colorando di porpora i ciottoli aguzzi, inondando d’argento il buio dei canali. Poi il sole scompariva, e un tetro grigiore si adagiava sul delta, illuminato, per un breve intervallo, dalla luce di un faro lontano.

Non ricordavo da quanto tempo mi trovavo là, accanto al delta, da quanto le febbri malariche mi costringevano a periodi sempre più rari di lucidità: durante il giorno tutto si confondeva come in una nebbia, e non riuscivo a distinguere che poche figure evanescenti. In tutto quel tempo, che è ancora il mio tempo e che non appartiene più alla dimensione del ricordo, non facevo che passare da un sogno all’altro, da una fantasia all’altra, mentre i grandi mandala mi guidavano all’ingiù, inserendomi nei loro luminosi quadranti. In questa condizione, l’unica cosa reale era la spiaggia del delta, immersa in una completa assenza di tempo, dove, finalmente, potevo sentire la sincronia di tutti gli istanti, la coesistenza di tutti gli eventi che credevo passati. Alle mie spalle, un paesaggio desolato luccicava nelle ore torride del mezzogiorno, come una montagna morente i cui torbidi sentieri dessero un segno della loro luminosa presenza su di me e dentro di me, che, assorto e quasi trasognato, non potevo che chiudere gli occhi a quello spettacolo. Poi, verso sera, potevo distinguere i pendii di fango indurito e brillante come asfalto rovente, e soltanto un sottile rivolo di acqua nerastra scorreva lentamente tra i solchi. L’intero paesaggio sembrava perfettamente immobile, ed una strana inquietudine scendeva a farmi battere il cuore e pulsare le tempie.

Là, nella luce della sera, quando i miei sensi riprendevano la loro forma consueta, l’intero orizzonte sembrava aprirsi e dilatarsi all’infinito, nella pace dorata dell’imbrunire. Avevo la sensazione di  sprofondare sempre di più nel paesaggio del delta, nelle sue spiagge di madreperla, di trasfigurarmi fino a confondermi con l’intreccio dei canali bluastri ormai preda delle tenebre. Ciononostante, ero tranquillo, adagiato sulla sdraio di vimini, sotto la luna piena che saliva sulle spiagge addormentate. Sentivo il fruscio lieve del vento, smorzato dalla sabbia ancora calda e dall’aria scura, spessa come il talco. Come obbedendo ad un tacito richiamo, una notte mi alzai e mi diressi a fatica, affondando nella sabbia soffice, circondato dall’oscurità che si addensava intorno a me, verso i canali e verso il fango, cercando di guadagnare le spiagge argentate al colmo del chiarore lunare. Arrivai a fatica sui canali, scivolando sul fango indurito e venato come la creta, e dopo un tempo che mi parve infinito, arrivai sulla spiaggia. Mi voltai per un ultima volta: non c’era nessuno ad attendermi come a salutarmi. Con un ultimo sforzo, indebolito dalla febbre e dalla malinconia, raggiunsi l’acqua, che mi accolse tiepida e placida come una tenera madre. Dopo un ultimo sguardo al delta che mi circondava, scivolai nel mare che mi cinse il capo e mi chiuse gli occhi. E la luna, la notte e l’eternità dominarono su tutto.






venerdì 19 agosto 2011

SCENDENDO

Se c’è una cosa che, a questo punto, tutti, compresi quelli che non hanno particolare dimestichezza con economia e finanza, hanno capito pienamente è che siamo vicini al crollo finale: non sappiamo ancora bene come e quando, ma sappiamo che il mondo così come lo abbiamo conosciuto finora, cesserà di esistere. E’ chiaro che non sarà la fine del capitalismo, almeno non subito, ma è certo che siamo alla vigilia di una lunga, difficile transizione tra un sistema e l’altro. Il liberismo sarà costretto ad apporre dei correttivi al suo sviluppo anarchico, la globalizzazione conoscerà, probabilmente, un forte ridimensionamento. I vincitori sono noti, i vinti anche: ma una Cina trionfante in mezzo ad un cumulo di macerie ha poco da stare allegra. I giornali di questi giorni titolano sui timori di recessione: viene da ridere. Come se non  sapessimo che ci stiamo già nella recessione, e da un pezzo. Come già detto, non si tratta di una crisi economica e neppure di una “grande recessione”, si tratta di una “contrazione”, un evento assai più grave della recessione, perché oltre alla crisi della produzione e del consumo, si affianca quella del livello di indebitamento dei vari paesi. Queste contrazioni, eventi rarissimi, al massimo uno ogni secolo, necessita di qualche decennio per risolversi. Il cosiddetto “vertice” tra Francia e Germania, non esente da qualche aspetto addirittura ridicolo, doveva tranquillizzare i mercati e ha ottenuto l’effetto contrario. E’ servito solo a sottolineare il fatto che non ci sono soldi per salvare tutti, che l’euro a due velocità si può fare, che i paesi in affanno devono arrangiarsi da soli. L’elemento che fa sorridere è che neppure loro si salveranno. Credono di essere il “direttorio” dell’Europa, di dettare l’agenda politica degli stati europei e non sanno che tra poco toccherà anche a loro. Dagli USA i dati macroeconomici sono pessimi, non lasciano alcun margine di speranza ad una inversione di tendenza. Cadremo, dunque, dopo questa manovra ce ne vorrà un’altra e poi un’altra ancora, e di manovra in manovra scivoleremo nella povertà. Non c’è un solo indicatore finanziario che lasci intravvedere un futuro diverso dal fallimento. Piovono le vendite sui bancari perché, con il nuovo regime di tassazione, non conviene neppure più investire in titoli, azionari e obbligazionari. Un risparmiatore medio, a questo punto, ritira quello che gli resta in banca e lo investe in oro o lo porta in Svizzera. Solo i ricchi possono permettersi ancora le rendite finanziarie, al risparmiatore medio, considerato il probabile taglio del tasso BCE all’1%, è difficile fare il solito discorsetto di stare fermo per attendere che passi la tempesta e arrivino tempi migliori. Tutti abbiamo capito che non passa nessuna tempesta e tempi migliori non ci saranno più. Lo spread tra BTP e bund ricomincia a crescere, l’effetto acquisizione da parte della BCE di titoli italiani è già finito.
Che fare, allora? Andarsene dall’euro prima che siano gli altri a buttarci fuori, e in un tempo in cui l’euro esiste ancora. La cosa è tecnicamente difficile, me ne rendo conto, ma non ci sono molte alternative. Il tasso di conversione è pressocchè stabile, stimato attualmente a 1939 lire per un euro. Il problema, piuttosto, sarebbe la svalutazione reale, che si potrebbe aggirare intorno ad un 30%, con la conseguente svalutazione dei nostri risparmi, che per una buona fetta, svanirebbero. I salari perderebbero una considerevole quota di potere di acquisto, ma a tutto questo potrebbe corrispondere il battere moneta senza particolari vincoli (ma cercando di limitare l’inflazione), ridare la parola alla Banca d’Italia per stabilire i tassi di sconto, che potrebbero essere tagliati fino allo 0,25%, come negli USA. In questo scenario il nostro paese, che possiede ancora una struttura industriale, potrebbe fare ripartire la nostra economia, ricominciando ad esportare in lire, divenendo di nuovo competitivo, e pervenendo in questo modo alla tanto agognata crescita del PIL, che potrebbe ricominciare a guadagnare punti, presupposto fondamentale per ristabilire un equilibrio economico. Ma gestire un simile passaggio necessita di personalità di grande statura, economica e politica, noi invece abbiamo gente come Brunetta, che pur spacciandosi per economista, non appare sinceramente in possesso di doti di grande statista.
Crolleremo dunque, malamente e insieme agli altri, nel caos e nell’incertezza, senza tentare neppure di mettere mano ad una contromisura. Dovremmo essere in grado di governare la caduta, e invece cadremo malamente facendoci molto male. Bisognerebbe gestire il crollo, ma con i politicanti che ci ritroviamo non sarà possibile. Chiariamo: per caduta intendiamo il default, il fallimento del nostro stato, e, conseguentemente delle nostre banche, data la stretta connessione tra stato e istituti di credito. Questo provocherebbe la ristrutturazione del debito, che comporta il coinvolgimento dei soggetti privati nel fallimento. In soldoni: i risparmiatori e gli investitori si vedrebbero il valore nominale dei propri titoli tagliato di un 20 – 25%, e un possibile differimento del rimborso. Una stato fallisce quando non è più in gradi di rimborsare ai risparmiatori quanto essi gli hanno prestato. Ovviamente non sarà lo stesso per tutti i titoli: i prodotti subordinati, o, peggio, derivati,  sono a rischio di rimborso zero. In questo caso al risparmiatore che ha investito in titoli potenzialmente pericolosi resterebbero in mano solo un pacco di carte bollate. La caduta dell’Italia, probabilmente contestuale a quella della Spagna e forse del Belgio (Grecia, Irlanda e Portogallo sono già falliti) provocherebbe comunque la fine dell’Euro. Per questa ragione, proponevo di giocare d’anticipo sfilandoci fin d’ora dalla moneta unica e cercando di percorrere il difficile cammino di una resurrezione a partire dalla nostra valuta. Così non sarà, prepariamoci allora al peggio. I fatti di Londra e, in queste ore di Berlino, ci indicano che non si tratta di disordini dovuti a motivazioni poitico-ideologiche: si tratta di una manzoniana rivolta del pane. Sono i consumatori che non riescono più a consumare. E’ una lezione per tutti. Tra non molto queste rivolte arriveranno in Spagna e quindi in Italia. Prepariamoci ad un periodo di grande instabilità sociale e politica, con questo governo letteralmente alle corde, ed una opposizione che appare sempre più attonita dinanzi alla crisi che incalza. Torneremo alla lira, dunque, un euro a due velocità è solo una trovata, neppure troppo originale, finalizzata a rimandare l’estinzione della moneta europea. Ma non è detto che sia il male peggiore. Finora abbiamo fatto quello che voleva la Germania e la BCE, il suo braccio armato. Ora basta. Uscire dal vassallaggio tedesco non è di  per sé un male: ci attendono anni di sacrifici, questo è certo, ma con una nuova lira, governata da noi senza supervisioni franco tedesche, sarà possibile, in uno scenario diverso, con una globalizzazione ridimensionata, e delle regole dei mercati modificate, una lenta ripresa. Sarà difficile per tutti, questo è sicuro, ma non abbandoniamoci alla disperazione e allo sconforto. Pensiamo che, se non altro, finirà questo lento e insopportabile stillicidio, e che finalmente saremo noi e solo noi gli artefici dei nostri destini.






venerdì 12 agosto 2011

VENGA A PRENDERE IL CAFFE' DA NOI

Credo sia chiaro per tutti coloro che hanno seguito  con qualche nozione di economia e finanza l’andamento della crisi dal 2008 in poi, che l’ennesima manovra finanziaria varata dal governo Berlusconi – Bossi – Scilipoti non raggiunge l’obiettivo che si prefigge. Si tratta solo della toppa per fermare una crepa che ci stava portando al default. Ma chiudere una crepa significa produrne un’altra che dovrà essere fermata per cercare di continuare a galleggiare per qualche mese o per qualche anno. Si tratta di provvedimenti completamente sbilanciati sui tagli e sulle imposizioni, e per questo destinati ad avere un effetto solo sul breve termine, per ritrovarsi tra sei mesi al massimo costretti a mettere mano ad una nuova manovra aggiuntiva.
E’ d’obbligo una piccola premessa: abbiamo, fino ad ora, parlato impropriamente di “crisi economica”, quando, secondo la precisazione del prof. Rogoff dell’Università di Harvard che riporto di seguito, ci troviamo di fronte ad una “contrazione” economica, un evento di portata ben maggiore e ben più grave di una semplice “grande recessione”. Non si tratta, come si vedrà, di un problema nominalistico, di una disputa sul sesso degli angeli, analizzare e fronteggiare una “contrazione” è ben diverso che misurarsi con una “recessione”, un evento, quest’ultimo, più frequente e facilmente aggredibile.
“Perché tutti continuano a far riferimento alla recente crisi finanziaria chiamandola “La Grande Recessione”? Dopotutto, questo termine è basato su una diagnosi sbagliata, e per questo pericolosa, circa i problemi che affliggono gli Stati Uniti ed altri paesi causando previsioni e policy erronee.
L’espressione “Grande Recessione” dà l’impressione che l’economia stia assumendo il profilo di una tipica recessione, anche se un po’ più severa – qualcosa come un’influenza molto brutta. Ecco perché, durante questo ribasso, gli esperti e gli analisti che hanno tentato di fare analogie con le precedenti recessioni americane post-belliche si sono sbagliati completamente. Inoltre, troppi policymaker si sono basati sulla convinzione che, alla fine dei conti, quella che osserviamo è solo una profonda recessione che può essere domata facendo generosamente affidamento sugli strumenti di policy convenzionali, come un’adeguata politica fiscale o bailout massicci.
Tuttavia il vero problema è che l’economia mondiale si è eccessivamente indebitata, e non c’è alcuna via di scampo veloce senza un piano per trasferire ricchezza dai creditori ai debitori, tramite dei default o delle repressioni finanziarie o utilizzando l’inflazione.  
Una più accurata, anche se meno rassicurante, definizione della crisi in corso è “la Seconda Grande Contrazione”. La prima “Grande Contrazione” naturalmente fu la Grande Depressione, come rilevato da Anna Schwarz e l’ultimo Milton Friedman. La contrazione si manifesta colpendo non solo la produzione e l’occupazione, come in una normale recessione, ma anche debito e credito, e con il deleveraging che tipicamente si completa in parecchi anni.
Perché discutere di semantica? Bè, immaginate di avere una polmonite e di pensare che sia solo una brutta influenza. Potreste facilmente prendere la medicina sbagliata e pensereste certamente di tornare alla vostra vita normale molto più velocemente di quanto sia realmente possibile.
Molti commentatori hanno sostenuto che lo stimolo fiscale ha per lo più fallito non perché è stato mal diretto, ma perché non è stato grande abbastanza per contrastare una “Grande Recessione”. Ma, in una “Grande Contrazione”, il problema numero uno è l’indebitamento esagerato. Se i governi che hanno un alto rating vogliono spendere le proprie risorse in maniera efficace, la cosa migliore da fare è di concentrarsi su cancellazioni o riduzioni del debito.
Alcuni osservatori guardano a qualsiasi suggerimento di inflazione anche poco elevata come ad un’eresia. Ma le Grandi Contrazioni, al contrario delle recessioni, sono eventi molto rari, che accadono ogni 70 o 80 anni. Ci sono momenti in cui le banche centrali devono spendere parte della credibilità accumulata durante gli anni normali.
La fretta di saltare sul carro della “Grande Recessione” è dovuta al fatto che molti analisti e policymaker semplicemente avevano una struttura erronea in mente. Sfortunatamente, adesso è anche troppo chiaro quanto si stessero sbagliando. 
Ammettere che abbiamo usato una struttura interpretativa fallace è il primo passo verso una soluzione. La storia suggerisce che le recessioni vengono sempre rinominate quando il fumo svanisce. Forse in questo caso il fumo svanirà più velocemente se abbandoniamo l’etichetta “Grande Recessione” immediatamente e la sostituiamo con qualcosa di più congruo, come “Grande Contrazione”. È troppo tardi per cancellare le previsioni sbagliate e le policy inopportune che hanno segnato il seguito della crisi finanziaria, ma non è troppo tardi per agire in maniera migliore.”  Kenneth Rogoff è Professore di Economia e Politiche Pubbliche all’Università di Harvard, è stato capo economist del FMI.(Source: ProjectSyndacate)
Ora, senza entrare nel merito della manovra, il testo si trova ovunque e ognuno lo giudicherà per quello che vale, due elementi emergono prepotentemente: l’assenza di misure incentivanti lo sviluppo e la crescita economica e l’assenza di misure cosiddette “strutturali”. La maggiore responsabilità che pesa sulle spalle del ministro Tremonti è stata quella di minimizzare, di stare immobile per due – tre anni. Per troppo tempo abbiamo avuto il parlamento impegnato in case di Montecarlo, lodi Alfano e Ruby Rubacuori. Se alla politica attendistica del ministro avessimo sostituito una politica di riforme progressive, non ci troveremmo adesso alle prese con una manovra fatta di sole imposizioni fiscali e tagli alla spesa che sortiranno come primo risultato quello di deprimere l’economia. I consumi caleranno verticalmente, e il divario tra i ricchi (quelli veri non saranno minimamente sfiorati dalla manovra) ed una classe media che sprofonda sempre di più verso l’indigenza è destinato ad aumentare. A questo primo, grave errore (guai ad aspettare che passi la nottata, l’entità della crisi era nota a tutti a partire dal 2008!) si poteva rimediare, almeno in parte, con misure, come l’alleggerimento degli oneri sociali, di incentivazione per l’industria e l’impresa, soprattutto quella piccola e di recente apertura. L'aumento di un punto relativo all'IVA poteva essere un utile espediente. Niente di tutto questo. Come andiamo ripetendo da molto tempo, una manovra che preveda solo tagli e tasse è una manovra recessiva, e necessiterà tra non molto di una replica ancora più aspra.
A questo punto, considerato che siamo di fatto commissariati dalle BCE, che abbiamo una classe politica del tutto inadeguata a fronteggiare l’attuale “contrazione”, cosa si potrebbe fare, che cosa si potrebbe auspicare? Non il commissariamento da parte della BCE, di sicuro. La Banca Centrale Europea, che ha sede a Francoforte, ha il difetto di essere controllata dalla Germania, e di agire quasi esclusivamente non per il bene comune della casa Europa, ma cercando di favorire in tutti i modi la super potenza (che superpotenza non è più) tedesca. Ovviamente la cosa migliore per noi sarebbe la costituzione di un governo tecnico, ma dal momento che questa strada appare impercorribile, in parte per il viscerale attaccamento alle rispettive poltrone da parte di questi parlamentari, un po’ perché il presidente della repubblica è una figura ornamentale della quale, francamente, si potrebbe fare anche a meno, l’unica strada che ci sembra praticabile è quella di uno svincolamento dalla pesante egida della BCE. Si tratta, come già detto, di una emanazione tedesca, tesa a favorire unicamente gli interessi tedeschi e, soprattutto, non esente da clamorosi errori, primo fra tutti quello di avere affrontato, come precisato più sopra, la presente contrazione economica come una semplice crisi passeggera. Ci dobbiamo persuadere del fatto che la Germania, per continuare a crescere e a fare la “locomotiva” europea ha un disperato bisogno di un paese come il nostro, come, ovviamente, della Spagna, Grecia, Irlanda e Portogallo. Non siamo dei semplici vassalli dell’Impero germanico, se i tedeschi dovessero tornare alla loro valuta, il marco, cadrebbero immediatamente in recessione, hanno bisogno di noi almeno quanto noi di loro. Questo “assoggettamento psicologico” che abbiamo sino ad ora nutrito nei confronti della Merkel, è dovuto quasi esclusivamente al pregiudizio che la Germania sia in grado di sfilarsi dall’Euro continuando tranquillamente a crescere. Nel nome del salvataggio della moneta unica, ci troviamo ad ingoiare rospi che altrimenti non avremmo mai accettato di mandare giù. Qualche analista comincia ad augurarsi timidamente un ritorno alla lira. Come ricordato più volte, è una strada percorribile ma densa di elementi negativi e di incertezze. Avremmo il vantaggio di non dipendere più da un organismo sovranazionale (lo spettacolo di Tremonti che legge in parlamento la letterina di Trichet è stato deprimente), saremmo in grado di esportare con maggiore facilità, possedendo una valuta infinitamente più debole dell'euro. Ma i fattori positivi si fermano qui. Tutti i nostri debiti sono stati contratti in euro e saremmo necessariamente obbligati a ripagarli con la stessa moneta, la conversione con la lira non sarebbe, come è ovvio, quella del 2002, ma molto, molto più svantaggiosa, di qui una pesante svalutazione ed una considerevole impennata inflazionistica. Aggiungiamo che il potere di acquisto, già scarso grazie al governo Berlusconi – Bossi – Scilipoti, dei nostri salari crollerebbe di colpo precipitandoci nella miseria, e la speculazione internazionale sulla nostra debolissima valuta farebbe il resto. Non si tratta, come è chiaro, di una strada percorribile. E non si può neppure eccepire che abbiamo fatto male, a suo tempo, ad entrare nell’euro. Noi non siamo il Regno Unito, avremmo fatto certamente la fine dell’Argentina dopo qualche mese. Ormai ci siamo, dunque, e dobbiamo restarci. Una cosa, però, possiamo fare: non considerarci una colonia tedesca, tenendo presente che siamo indispensabili alla Germania almeno quanto lei lo è per noi, e facendo il possibile, vivaddio, per cacciare i mercanti dal Tempio della politica. La stragrande maggioranza dell’opinione pubblica (basta consultare tutti gli ultimi sondaggi) considera questa classe politica incapace ed inefficiente, ottusa e sfrontata (si veda il caso del menu del Senato e della Camera). Un governo di tecnici potrebbe preparare una riforma della legge elettorale e prendere quelle misure che questo governo, troppo ancorato ai privilegi di chi lo compone non è in grado di predisporre. Se non si farà presto e bene, la conclusione è che ci ritroveremo, tra qualche mese, di fronte ad una nuova manovra correttiva, e che, comunque, di manovra in manovra, arriveremo in ogni caso al capolinea: i bookmaker inglesi, abituati a scommettere su tutto, danno per scontata la fine dell’Euro al massimo entro il 2012. Non sono uno scommettitore, ma questa volta mi sentirei di sacrificare una discreta somma per un risultato che, per una volta, mi appare scontato.

giovedì 11 agosto 2011

LA SITUAZIONE E' GRAVE, MA NON SERIA

Il discorso pronunciato dal rag. Tremonti alla Camera è stato un capolavoro di comicità involontaria, una gag degna di un film di Mel Brooks. Prescindendo dal contenuto, addirittura surreale nei passaggi che riguardano la riduzione degli stipendi agli statali (un vero pezzo alla Ionesco), ma considerando il quadro entro il quale è stata inserita la serie di provvedimenti draconiani di prossima approvazione, meraviglia non poco la scoperta che si tratta di una “letterina” pervenuta al super ragioniere Tremonti dalla Banca Centrale Europea. Questa lettera, definita da Tremonti “confidenziale”, conterrebbe dunque un vero e proprio elenco di provvedimenti da varare al più presto, pena la chiusura dei rubinetti finanziari da parte della BCE. Si potrebbe, a ben guardare, considerarla una sorta di “pizzino” vergato da Trichet e destinato al picciotto Tremonti. Ma la ritrosia del ministro, la sua garbata riservatezza, le mezze parole colme di velata allusività, insomma tutto fa pensare, come ha acutamente notato  Di Pietro, ad una lettera di un fidanzato un po’ in collera per la conservazione dell’illibatezza della sua fidanzatina, al punto da spingerlo a stilare una serie di condizioni irrinunciabili, pena la rottura del fidanzamento.
Ci vuole una formidabile faccia tosta da parte del ragioniere, non solo ad alludere al carattere di riservatezza del diktat della BCE (che farebbe, tra parentesi, meglio a pensare alle scelleratezze compiute e a togliersi di dosso quel velo di ipocrita superbia che tanto disprezzo suscita), ci vuole una bella faccia di bronzo a sciorinare una serie di stupidaggini finanziarie come quella cui siamo stati costretti ad assistere. Il ragioniere non vuole proprio capire che una manovra di soli tagli non produce l’effetto voluto, ma, in assenza di misure volte a facilitare la crescita, si rischia solo di deprimere l’economia. L’ennesima stretta alle pensioni, l’ICI sulla prima o l’aumento di quella sulla seconda casa, il taglio degli stipendi agli statali (ma stiamo scherzando?), considerato che sono già stati bloccati da qui all’eternità, la tassazione delle rendite con una sola aliquota al 20% (che colpirà anche i piccoli risparmiatori che a ragione hanno deciso di non investire le loro modeste somme nei rischiosissimi titoli di stato italiani), la libertà di licenziare (la motivazione potrebbe anche essere la pura e semplice antipatia nei confronti di un dipendente)sono tutti provvedimenti di tipo recessivo. L’assenza di una seria politica anti evasione (è una barzelletta alla quale non crede più nessuno), l’assenza di una patrimoniale vera (ricordiamo che la tassa sui depositi finanziari è già stata approvata, chi possiede titoli dai 500.000 euro in su paga 1.100 euro l’anno, la stessa somma che paga Briatore per i titoli investiti in Italia)si fa sentire. Tassare, anzi tartassare le rendite dal milione di euro in su ci sembra il minimo che si possa fare. I patrimoni immobiliari ne escono indenni. Le grandi lobbies (notai, avvocati, commercialisti, farmacisti ecc.)ne escono incontaminate, la liberalizzazione delle loro professioni non è materia da finanziaria, d’altra parte una buona percentuale di parlamentari svolge la duplice, a volte triplice funzione di onorevole, avvocato e commercialista (o tributarista, come nel caso di Tremonti). Insomma, a farla breve, a pagare sono i soliti. Ora, che un deputato, per quanto ministro, venga in parlamento a leggere le condizioni dettate da Trichet, francamente fa ridere; che poi, in aggiunta, si schernisca, asserendo, nel caso degli stipendi degli statali, che, sebbene si tratti di una condizione posta dalla BCE, lui non è d’accordo, beh, sinceramente mi sembra il colmo. Non si sa se ridere o piangere di questa classe politica che, per quanto noi italiani non si brilli per intraprendenza e capacità d’innovazione, decisamente non ci meritiamo. Qui sembra di essere nel parlamento della Repubblica Centrafricana, con tutto il rispetto per il governo di Bangui.
C’è da ridere, abbiamo detto, ebbene ridiamo, per una volta ce n’era proprio  bisogno. Ma stiano attenti i signori della casta parlamentare, gli stessi che nel ristorante a 5 stelle del Senato possono gustare sofisticati piatti al prezzo unico di euro 1,60, stiano attenti a non forzare troppo la mano. Oggi ridiamo, perché lo spettacolino offerto da un ministro della repubblica che si presenta in parlamento leggendo un pizzino che arriva da Francoforte è di per sé uno spettacolo degradate e ridicolo, tanto più se, tanto per completare l’opera, parla di “rottura di coglioni” (sic!). Oggi ridiamo, dicevo, ma domani se questi paradossali provvedimenti dovessero essere presi per davvero, stiano all’erta i signori della politica. Abbiamo dimostrato uno spirito di sopportazione difficilmente eguagliabile, se si supera la misura nessuno sa  quello che potrebbe accadere.  I fatti di Londra dovrebbero essere un insegnamento ed un monito per tutti. 







mercoledì 10 agosto 2011

VEDRO' CAPORETTO?

E’ sempre più difficile commentare i dati che ci pervengono dai mercati e dalle borse. Ogni giorno, sfogliare la stampa specializzata o consultare i siti internet del settore si configura sempre più come una via crucis che, stazione dopo stazione, non può che condurre al Calvario. Vi confesso che, personalmente e nonostante l’ottimismo di fondo che mi sostiene (ho recentemente acquistato, invece di vendere,  titoli azionari), lo scorrimento dei dati quotidiani (il cosiddetto intraday)mi procura una sofferenza quasi fisica. E’ talmente costante e progressiva la degenerazione della situazione che gli spazi per un ostinato ottimismo nonostante tutto, si fanno sempre più angusti.
Oggi, 10 agosto, altra giornata memorabile, la borsa di Milano ha subito un crollo che non si vedeva dal 2008. Perdite oltre il 5% dovrebbero causare una sospensione delle contrattazioni, ma non si può verosimilmente fare, e allora avanti fino alla chiusura al -6,67%. Titoli bancari come Intesa San Paolo perdono fino al 13%, anche in questo caso, varcata la soglia del 10%, il titolo andrebbe sospeso per eccesso di ribasso. Dobbiamo attenderci, inoltre, una risalita dello spread titoli di stato – bund, ed una conseguente crescita dei CDS (Credit default swap) applicati ai nostri titoli. Lo spread oggi è risalito fino a quota 290 punti, e sull’effetto acquisizione di titoli nostrani da parte della BCE non possiamo contare più di tanto. Presto passerà anch’esso. Possiamo aggiungere che il motivo dei crolli delle borse mondiali odierni, dopo una mattinata su livelli normali, è stato, sostanzialmente, la voce (i cosiddetti “rumors”) relativa ad un possibile declassamento del debito francese. Le solite agenzie di rating hanno prontamente smentito, ma è chiaro per tutti noi che il mantenimento della tripla “A” da parte della Francia è completamente fuori luogo. La tenuta di alcuni gruppi bancari francesi inizia a scricchiolare e lo spread fra i titoli francesi e i bund, pur mantenendosi su bassi livelli (siamo intorno ai 90 punti) è in  costante crescita. Questo può significare una cosa sola: il contagio non è più una ipotesi,  è una verità che si sta consumando sotto i nostri occhi. Quello che accade in questi giorni in alcune città inglesi, un paese abituato a livelli di welfare ben diversi dai nostri, è una sorta di “preview” di quello che potrà verificarsi nelle nostre città e in quelle di mezza Europa. Quando lo spettro della povertà, intesa non come discesa negli inferi della fame, ma come perdita del livello di vita fino ad allora mantenuto, arriverà anche a noi, rivolte simili saranno all’ordine del giorno. E’ la famosa instabilità sociale che farà seguito all’estinzione dell’Euro. Perché, lo ripetiamo ancora una volta, di questo si tratta. Il nostro è un paese strutturalmente debole, anzitutto sotto il profilo politico, per questo è soggetto alle attenzioni particolari della speculazione internazionale, che ci giudica il “ventre molle” dell’Europa: niente di particolare contro l’Italia in sé, ma è più facile colpire noi per colpire l’Euro, che risulterebbe troppo apprezzato rispetto al dollaro. E allora qualche benefattore degli USA ha pensato bene di metterci a tappeto per accorciare la divaricazione fra euro e dollaro. Il Financial Times, uno dei più autorevoli periodici di economia e finanza così descrive la nostra situazione: "con l'Italia nel bel mezzo di una tempesta finanziaria che sta agitando l'Europa il 74 enne Berlusconi ha l'ultima chance di mettere gli interessi della nazione davanti a quelli suoi personali, agli affari della sua famiglia e ai suoi guai giudiziari. E' difficile dire se gli italiani stiano perdendo la loro fiducia in Silvio Berlusconi più di quanto i mercati finanziari ne stiano perdendo nell'Italia, e ciò di cui l'Italia soffre in maggior misura, non è tanto il suo enorme debito, quanto piuttosto un deficit di leadership politica.” Se non ci mettiamo in testa una volta per tutte che il problema è politico, che la nostra classe politica va commissariata per manifesta incapacità, continueremo ad assistere al penoso teatrino dei veti incrociati: la Lega è contraria alla riforma delle pensioni, Berlusconi è contrario alla patrimoniale, la CGIL vorrebbe tassare le rendite finanziarie, la UIL è fermamente contraria perché il risparmio è già tassato, qualcuno vuole reintrodurre l’ICI alla prima casa, qualcun altro vorrebbe aumentare l’ICI sulla seconda. Insomma, con questa gente non si va da nessuna parte. Un governo tecnico, sul modello di quello belga, farebbe presto e meglio. Finchè non capiremo che non solo Berlusconi, ma anche Bersani e gli altri devono fare un passo indietro e fare posto ad un governo presieduto da una personalità avulsa dalla politica, continueremo ad inseguire, con sempre maggior affanno, la crisi, applicando una toppa dopo l’altra, chiudendo una crepa dopo l’altra, fino al crollo finale.
D’altra parte anche la stessa Germania ha i suoi problemi, la sua crescita non va esattamente come stimato, la stessa Cina, la prima economia del mondo dopo il declassamento USA, si trova a fronteggiare, senza successo una spirale inflattiva che ha fatto lievitare i prezzi al consumo al punto da ingrossare le fila della classe più povera, una specie di controsenso per la prima economia del mondo. Quello al quale stiamo assistendo è il lento, ma non troppo, collasso della finanza globale. E’ ovvio per tutti che i mercati non possono reggere un crollo dopo l’altro, si stanno bruciando milioni di euro al giorno, le stesse banche, non possono far fronte alla necessaria liquidità, se sui propri titoli continuano a piovere le vendite. Il sistema imploderà su se stesso, decretando la fine del capitalismo come lo conosciamo. Qualche analista si spinge a predire la fine della globalizzazione. In effetti, quando i mercati erano chiusi, esistevano due sistemi contrapposti, il blocco comunista e quello occidentale-capitalista. In questa situazione le cose andavano, almeno per noi,di gran lunga meglio. La concorrenza dei paese asiatici, i cui costi di produzione sono abbattuti drasticamente rispetto all’occidente, ci ha travolto. E’ chiaro che non possiamo tornare indietro, non ci sono più due economie a confronto, ma è certo che la globalizzazione ha finito col produrre l’impoverimento dell’occidente, la crescita vertiginosa, ma difficile da gestire, delle economie asiatiche, e la crisi dei mercati del mondo intero. A che serve alla Cina essere diventata la prima economia del mondo se si troverà circondata da un cumulo di macerie fumanti? Non so se passeremo attraverso l’illusoria fase dell’euro a due velocità, di serie A e serie B, ma se così fosse, durerà poco. Quello che tutti avvertiamo come l’ultimo estremo esito della crisi, è l’uscita di scena dell’Euro stesso. Il fallimento di Spagna e Italia, andando avanti di questo passo, non è lontano, e il nostro default causerebbe inevitabilmente l’uscita del nostro paese dall’Euro (non ci sono denari per salvarci) e la probabile fine della stessa moneta unica. Il ritorno alle valute nazionali farà molto male a tutti, ma soprattutto a noi. I tedeschi eviteranno il peggio, riuscendo a galleggiare, ma noi con la nostra liretta, svalutata, in preda ad inflazione e speculazioni internazionali, con i salari ridotti al minimo, avrebbe il fiato corto. Gli scenari sul tipo di quello inglese di questi giorni, sarebbe il nostro pane quotidiano.  Sarebbe la fine, la rotta di Caporetto. Quando il nemico sfonda, come a Caporetto, è possibile tutto, la confusione di idee, l’assenza di prospettive di recupero, l’incertezza dilagante regnerebbero sovrane, fino a pervenire ad un bel governo autoritario in grado di fronteggiare i problemi di ordine pubblico. So che vado ripetendo da diversi mesi le stesse cose, ma è anche vero che non si vede alcun segno positivo che possa farci pensa che le cose possano prendere un’altra piega.
Un ultimo accenno a quelli che con la crisi hanno guadagnato una fortuna, sciacalli che si chiamano, per esempio,  George Soros, che con la crisi del 1992 aveva fatto una fortuna speculando sulla nostra lira. E’ ovvio per tutti che le tre (anzi due, perché Fitch si discosta dalle altre due) agenzie di rating hanno un potere smisurato ed una nefasta influenza sulle finanze del mondo, non è altrettanto ovvio il perché non si faccia nulla per limitare il loro potere di condizionamento. Moody’s e Standard & Poor’s non sono agenzie indipendenti, non possono esserlo perché dietro una facciata di internazionalità nascondono interessi di gruppi finanziari (americani) e di singoli milionari speculatori (sempre americani). Queste agenzie, che si sono mostrate tutt’altro che infallibili, attribuendo la tripla A a banche americane che sono fallite neppure un mese dopo l’emissione del rating, si stanno macchiando di un reato, che ha un nome preciso: aggiotaggio. L’aggiotaggio è la diffusione di notizie finanziarie tendenziose a fini speculativi. Questo è quanto stanno facendo. Occorre un provvedimento minimo, per limitare in qualche modo la loro nefasta influenza: non rendere possibile il giudizio sugli stati sovrani. Queste agenzie non hanno i mezzi né le possibilità per analizzare un paese intero, possono solo farlo su porzioni ben delimitate dei suoi aspetti finanziari: banche, enti locali, società partecipate dallo stato. Come mai non si è ancora concretizzata una simile, ovvia, decisione?
Un’ultima considerazione. Anche ammesso che, prima o poi, l’effetto contagio si allargherà anche agli stati centrali dell’Europa, e che il collasso sarà inevitabile, dovremmo poter fare il possibile per mettere in campo quelle misure che limiterebbero al massimo il danno subito. Una classe politica come la nostra, non all’altezza di fronteggiare l’emergenza, si deve fare da parte: se non lo farà si porterà per sempre appresso la responsabilità della nostra Caporetto, che a noi porterà il buio della recessione, a loro il sicuro rifugio in qualche paradiso fiscale. Non è una bella prospettiva, ma se a qualcuno venisse in mente un epilogo diverso da quello descritto, sarò ben lieto di leggere una conclusione diversa da quella descritta finora.