mercoledì 10 agosto 2011

VEDRO' CAPORETTO?

E’ sempre più difficile commentare i dati che ci pervengono dai mercati e dalle borse. Ogni giorno, sfogliare la stampa specializzata o consultare i siti internet del settore si configura sempre più come una via crucis che, stazione dopo stazione, non può che condurre al Calvario. Vi confesso che, personalmente e nonostante l’ottimismo di fondo che mi sostiene (ho recentemente acquistato, invece di vendere,  titoli azionari), lo scorrimento dei dati quotidiani (il cosiddetto intraday)mi procura una sofferenza quasi fisica. E’ talmente costante e progressiva la degenerazione della situazione che gli spazi per un ostinato ottimismo nonostante tutto, si fanno sempre più angusti.
Oggi, 10 agosto, altra giornata memorabile, la borsa di Milano ha subito un crollo che non si vedeva dal 2008. Perdite oltre il 5% dovrebbero causare una sospensione delle contrattazioni, ma non si può verosimilmente fare, e allora avanti fino alla chiusura al -6,67%. Titoli bancari come Intesa San Paolo perdono fino al 13%, anche in questo caso, varcata la soglia del 10%, il titolo andrebbe sospeso per eccesso di ribasso. Dobbiamo attenderci, inoltre, una risalita dello spread titoli di stato – bund, ed una conseguente crescita dei CDS (Credit default swap) applicati ai nostri titoli. Lo spread oggi è risalito fino a quota 290 punti, e sull’effetto acquisizione di titoli nostrani da parte della BCE non possiamo contare più di tanto. Presto passerà anch’esso. Possiamo aggiungere che il motivo dei crolli delle borse mondiali odierni, dopo una mattinata su livelli normali, è stato, sostanzialmente, la voce (i cosiddetti “rumors”) relativa ad un possibile declassamento del debito francese. Le solite agenzie di rating hanno prontamente smentito, ma è chiaro per tutti noi che il mantenimento della tripla “A” da parte della Francia è completamente fuori luogo. La tenuta di alcuni gruppi bancari francesi inizia a scricchiolare e lo spread fra i titoli francesi e i bund, pur mantenendosi su bassi livelli (siamo intorno ai 90 punti) è in  costante crescita. Questo può significare una cosa sola: il contagio non è più una ipotesi,  è una verità che si sta consumando sotto i nostri occhi. Quello che accade in questi giorni in alcune città inglesi, un paese abituato a livelli di welfare ben diversi dai nostri, è una sorta di “preview” di quello che potrà verificarsi nelle nostre città e in quelle di mezza Europa. Quando lo spettro della povertà, intesa non come discesa negli inferi della fame, ma come perdita del livello di vita fino ad allora mantenuto, arriverà anche a noi, rivolte simili saranno all’ordine del giorno. E’ la famosa instabilità sociale che farà seguito all’estinzione dell’Euro. Perché, lo ripetiamo ancora una volta, di questo si tratta. Il nostro è un paese strutturalmente debole, anzitutto sotto il profilo politico, per questo è soggetto alle attenzioni particolari della speculazione internazionale, che ci giudica il “ventre molle” dell’Europa: niente di particolare contro l’Italia in sé, ma è più facile colpire noi per colpire l’Euro, che risulterebbe troppo apprezzato rispetto al dollaro. E allora qualche benefattore degli USA ha pensato bene di metterci a tappeto per accorciare la divaricazione fra euro e dollaro. Il Financial Times, uno dei più autorevoli periodici di economia e finanza così descrive la nostra situazione: "con l'Italia nel bel mezzo di una tempesta finanziaria che sta agitando l'Europa il 74 enne Berlusconi ha l'ultima chance di mettere gli interessi della nazione davanti a quelli suoi personali, agli affari della sua famiglia e ai suoi guai giudiziari. E' difficile dire se gli italiani stiano perdendo la loro fiducia in Silvio Berlusconi più di quanto i mercati finanziari ne stiano perdendo nell'Italia, e ciò di cui l'Italia soffre in maggior misura, non è tanto il suo enorme debito, quanto piuttosto un deficit di leadership politica.” Se non ci mettiamo in testa una volta per tutte che il problema è politico, che la nostra classe politica va commissariata per manifesta incapacità, continueremo ad assistere al penoso teatrino dei veti incrociati: la Lega è contraria alla riforma delle pensioni, Berlusconi è contrario alla patrimoniale, la CGIL vorrebbe tassare le rendite finanziarie, la UIL è fermamente contraria perché il risparmio è già tassato, qualcuno vuole reintrodurre l’ICI alla prima casa, qualcun altro vorrebbe aumentare l’ICI sulla seconda. Insomma, con questa gente non si va da nessuna parte. Un governo tecnico, sul modello di quello belga, farebbe presto e meglio. Finchè non capiremo che non solo Berlusconi, ma anche Bersani e gli altri devono fare un passo indietro e fare posto ad un governo presieduto da una personalità avulsa dalla politica, continueremo ad inseguire, con sempre maggior affanno, la crisi, applicando una toppa dopo l’altra, chiudendo una crepa dopo l’altra, fino al crollo finale.
D’altra parte anche la stessa Germania ha i suoi problemi, la sua crescita non va esattamente come stimato, la stessa Cina, la prima economia del mondo dopo il declassamento USA, si trova a fronteggiare, senza successo una spirale inflattiva che ha fatto lievitare i prezzi al consumo al punto da ingrossare le fila della classe più povera, una specie di controsenso per la prima economia del mondo. Quello al quale stiamo assistendo è il lento, ma non troppo, collasso della finanza globale. E’ ovvio per tutti che i mercati non possono reggere un crollo dopo l’altro, si stanno bruciando milioni di euro al giorno, le stesse banche, non possono far fronte alla necessaria liquidità, se sui propri titoli continuano a piovere le vendite. Il sistema imploderà su se stesso, decretando la fine del capitalismo come lo conosciamo. Qualche analista si spinge a predire la fine della globalizzazione. In effetti, quando i mercati erano chiusi, esistevano due sistemi contrapposti, il blocco comunista e quello occidentale-capitalista. In questa situazione le cose andavano, almeno per noi,di gran lunga meglio. La concorrenza dei paese asiatici, i cui costi di produzione sono abbattuti drasticamente rispetto all’occidente, ci ha travolto. E’ chiaro che non possiamo tornare indietro, non ci sono più due economie a confronto, ma è certo che la globalizzazione ha finito col produrre l’impoverimento dell’occidente, la crescita vertiginosa, ma difficile da gestire, delle economie asiatiche, e la crisi dei mercati del mondo intero. A che serve alla Cina essere diventata la prima economia del mondo se si troverà circondata da un cumulo di macerie fumanti? Non so se passeremo attraverso l’illusoria fase dell’euro a due velocità, di serie A e serie B, ma se così fosse, durerà poco. Quello che tutti avvertiamo come l’ultimo estremo esito della crisi, è l’uscita di scena dell’Euro stesso. Il fallimento di Spagna e Italia, andando avanti di questo passo, non è lontano, e il nostro default causerebbe inevitabilmente l’uscita del nostro paese dall’Euro (non ci sono denari per salvarci) e la probabile fine della stessa moneta unica. Il ritorno alle valute nazionali farà molto male a tutti, ma soprattutto a noi. I tedeschi eviteranno il peggio, riuscendo a galleggiare, ma noi con la nostra liretta, svalutata, in preda ad inflazione e speculazioni internazionali, con i salari ridotti al minimo, avrebbe il fiato corto. Gli scenari sul tipo di quello inglese di questi giorni, sarebbe il nostro pane quotidiano.  Sarebbe la fine, la rotta di Caporetto. Quando il nemico sfonda, come a Caporetto, è possibile tutto, la confusione di idee, l’assenza di prospettive di recupero, l’incertezza dilagante regnerebbero sovrane, fino a pervenire ad un bel governo autoritario in grado di fronteggiare i problemi di ordine pubblico. So che vado ripetendo da diversi mesi le stesse cose, ma è anche vero che non si vede alcun segno positivo che possa farci pensa che le cose possano prendere un’altra piega.
Un ultimo accenno a quelli che con la crisi hanno guadagnato una fortuna, sciacalli che si chiamano, per esempio,  George Soros, che con la crisi del 1992 aveva fatto una fortuna speculando sulla nostra lira. E’ ovvio per tutti che le tre (anzi due, perché Fitch si discosta dalle altre due) agenzie di rating hanno un potere smisurato ed una nefasta influenza sulle finanze del mondo, non è altrettanto ovvio il perché non si faccia nulla per limitare il loro potere di condizionamento. Moody’s e Standard & Poor’s non sono agenzie indipendenti, non possono esserlo perché dietro una facciata di internazionalità nascondono interessi di gruppi finanziari (americani) e di singoli milionari speculatori (sempre americani). Queste agenzie, che si sono mostrate tutt’altro che infallibili, attribuendo la tripla A a banche americane che sono fallite neppure un mese dopo l’emissione del rating, si stanno macchiando di un reato, che ha un nome preciso: aggiotaggio. L’aggiotaggio è la diffusione di notizie finanziarie tendenziose a fini speculativi. Questo è quanto stanno facendo. Occorre un provvedimento minimo, per limitare in qualche modo la loro nefasta influenza: non rendere possibile il giudizio sugli stati sovrani. Queste agenzie non hanno i mezzi né le possibilità per analizzare un paese intero, possono solo farlo su porzioni ben delimitate dei suoi aspetti finanziari: banche, enti locali, società partecipate dallo stato. Come mai non si è ancora concretizzata una simile, ovvia, decisione?
Un’ultima considerazione. Anche ammesso che, prima o poi, l’effetto contagio si allargherà anche agli stati centrali dell’Europa, e che il collasso sarà inevitabile, dovremmo poter fare il possibile per mettere in campo quelle misure che limiterebbero al massimo il danno subito. Una classe politica come la nostra, non all’altezza di fronteggiare l’emergenza, si deve fare da parte: se non lo farà si porterà per sempre appresso la responsabilità della nostra Caporetto, che a noi porterà il buio della recessione, a loro il sicuro rifugio in qualche paradiso fiscale. Non è una bella prospettiva, ma se a qualcuno venisse in mente un epilogo diverso da quello descritto, sarò ben lieto di leggere una conclusione diversa da quella descritta finora.