lunedì 31 agosto 2015

DIFFIDATE DAGLI PSICOLOGI DA TALK SHOW



Ci si può fidare della miriade di studi psicologici che quotidianamente vengono pubblicati e che affollano i nostri media? A volte sì, a volte no. Del resto, come ricorda il  New York Times, già in passato è accaduto che affermati psicologi e ricercatori siano stati presi con le mani nel sacco, intenti a fabbricare dati a tavolino per le loro ricerche "scientifiche". Nel 2011, ad esempio, è stata la volta dello psicologo olandese Diederik Stapel, della Università di Tilburg, il quale, nella sua prolifica carriera, ha pubblicato diversi studi sulle maggiori riviste scientifiche, su argomenti quali l'effetto del potere nell'ipocrisia, gli stereotipi razziali e gli effetti della pubblicità sull'identità personale.
Almeno una decina dei suoi studi sono risultati falsi, hanno appurato gli investigatori, dopo aver intervistato ex studenti, co-autori e colleghi. I suoi studi sono stati creati per fare colpo sui media, come quello pubblicato su Science, nel quale scriveva che i bianchi hanno maggiori pregiudizi nei confronti delle persone di colore se provengono da ambienti disagiati, rispetto a chi vive in un ambiente maggiormente organizzato. In un altro studio, pubblicato nel 2009, Stapel sosteneva invece che nei colloqui di lavoro avevano maggiore successo i soggetti con un timbro di voce maschile. Il Dr. Stapel, una volta scoperto, ha scritto nel suo blog di sentirsi un fallito, come scienziato e come ricercatore, e di provare vergogna e dispiacere per le sue azioni.
Dall'indagine condotta è emerso che il Dr. Stapel aveva potuto continuare per anni la sua falsa ricerca in quanto era "Signore dei Dati": visto infatti che era considerato da tutti un accademico molto carismatico, era lui l'unica persona che aveva accesso ai dati sperimentali delle sue ricerche. Il non voler condividere i dati della ricerca è una nota dolente che si ripropone spesso: un atteggiamento del genere infatti viola le norme etiche della ricerca scientifica, ma è molto praticato. Peraltro, in un'altra ricerca pubblicata nel 2011 su PLoS One, da Wicherts, Bakker e Molenaar, è stato scoperto, non troppo sorprendentemente, che più i ricercatori si mostrano riluttanti nel condividere i dati della loro ricerca, maggiori sono le probabilità che vi siano errori nell'evidenza scientifica dei loro studi.
L'atteggiamento riservato dei ricercatori tuttavia non è, in molti casi, del tutto incomprensibile, vista l'enorme competizione che c'è nel loro ambiente e la diretta correlazione fra scoperte scientifiche e carriera personale: non tutti vorranno certo avere esperienze come quella capitata a Rosalind Franklin, la vera scopritrice della struttura del DNA, sconosciuta ai più, sebbene altri con questa sua scoperta presero perfino il premio Nobel!
Oltre che completamente false, le ricerche psicologiche possono essere correttamente effettuate, ma piene di errori nel calcolo statistico: del resto gli psicologi hanno poco a che fare con la matematica! (Vedi in proposito la ricerca di Wicherts e Bakker, sempre dell'Università di Amsterdam, che prendeva in esame 281 studi pubblicati su note riviste scientifiche: i calcoli statistici erano completamente errati nel 50% dei casi, mentre nel 15% di esse vi erano errori di calcolo minori, in particolare quando i dati ottenuti erano in contrasto con le ipotesi iniziali degli autori).
Alcuni sono arrivati a chiamare, a ragion veduta, alcune di queste ricerche psicologiche come "scienza spazzatura" o, peggio, "scienza Voodoo", specialmente dopo che anche una rivista accreditata, come The Journal of Personality and Social Psychology ha accettato di pubblicare una ricerca sulla percezione extra-sensoriale. 
Più recentemente, nel Maggio 2015, è accaduto che la prestigiosa rivista Science abbia ritirato una ricerca da poco pubblicata, senza il consenso del suo autore, Michael J. LaCour, dell'Università di Los Angeles, sempre per quanto riguarda alcune irregolarità nel calcolo statistico dei dati, oltre che per alcune dichiarazioni false rese dall'autore in merito alle modalità di svolgimento dei sondaggi. In questo caso la ricerca riguardava le capacità di persuasione, che permettevano di convincere anche gli scettici alla normalità del matrimonio gay.
La situazione descritta fa molto male alla ricerca psicologica, la quale solo di recente ha ottenuto una sua credibilità in campo scientifico, seppure ancora piuttosto fragile. A peggiorare le cose arriva in questi giorni una nuova ricerca, Estimating the reproducibility of psychological science, condotta da Brian Nosek, psicologo sociale presso l'Università della Virginia, che conferma le difficoltà in cui versa il settore. Infatti, dopo aver selezionato 100 ricerche, pubblicate nel 2008 su tre delle più importanti riviste scientifiche del settore (Psychological Science, il Journal of Personality and Social Psychology, e il Journal of Experimental Psychology: Learning, Memory, and Cognition), i ricercatori hanno scoperto che il 50% di esse non sono riproducibili (come insegnò Galileo Galilei, la conoscenza della realtà può dirsi scientifica solo se è oggettiva, affidabileverificabile e condivisibile. Tutto quello che non può essere replicato non è scientifico).
Il Reproducibility Project è iniziato nel 2011, quando Nosek e colleghi hanno reclutato 250 ricercatori e selezionato 100 studi da replicare, per accertarne la validità. I ricercatori, consci del fatto che molte possono essere le variabili che influenzano gli studi, hanno lavorato in stretta collaborazione con gli autori originali delle ricerche, in modo da poter riprodurre i loro dati il più fedelmente possibile, utilizzando perfino un numero di soggetti più ampio di quello utilizzato nelle ricerche originali, per dare al loro lavoro il massimo della significatività statistica.
Ebbene, da questa ricerca è emerso che, a differenza dei casi precedentemente citati, gli studi non sono falsi, né errati: nella maggior parte dei casi, i dati sono risultati corretti, ma con una significatività statistica ai minimi livelli. In altre parole, i risultati ottenuti sono stati largamente enfatizzati, ingigantiti, gonfiati, per sorprendere i lettori e trovare così spazio nei media.
Tra gli studi esaminati nella ricerca del Reproducibility Project ce ne è uno sul libero arbitrio: sostiene che i partecipanti che leggono un brano in cui si sostiene che il volere individuale è predeterminato tendono poi a mentire in un test. Un altro riguarda l'influenza della distanza fisica: se ai partecipanti viene chiesto di unire due punti lontani su un grafico, questo determina un attaccamento emotivo inferiore verso la propria famiglia rispetto a chi deve unire due punti più vicini, sullo stesso grafico. Un altro studio riguarda la scelta del partner, in cui le donne con maggiore attaccamento danno dei punteggi più elevati ai possibili partners se sono nel loro periodo fertile (rispetto a quando non sono fertili).
Questo tipo di ricerche psicologiche possono in effetti sorprendere per quanto sono strane, stravaganti e strampalate. Sarebbe sbagliato tuttavia pensare che esse siano ininfluenti: queste notizie, sparate sui media, contribuiscono alla conoscenza popolare della psicologia, cioè alla conoscenza che le persone hanno degli aspetti emotivi e cognitivi della personalità umana, delle dinamiche nelle relazioni interpersonali, ecc. Queste ricerche influiscono dunque sulla nostra vita, perché una volta apprese, guidano consciamente e inconsciamente le nostre scelte e diventano un punto di riferimento per i professionisti che operano in diversi settori: ad esempio, in campo scolastico o terapeutico. Per questo scoprire che queste ricerche, cui tutti diamo credito, siano "scienza voodoo" è veramente preoccupante.
Ciò che conforta è che la scienza psicologica stia facendo in realtà ciò che dovrebbe fare qualsiasi scienza esatta: cioè confutare le teorie false e sostituirle con teorie sempre più oggettive. Il solo fatto di parlarne apertamente rispecchia già un atteggiamento scientifico, e dunque va incoraggiato, anche in altri settori della ricerca.
Sarebbe ingenuo infatti pensare che questa situazione riguardi solo la psicologia: tutto quello che si è detto per la ricerca psicologica potrebbe avvenire anche in altri campi della ricerca scientifica, come sostiene il Dr. John Ioannidis, direttore dello Stanford University's Meta-Research Innovation Center, per quanto riguarda i campi della biologia cellulare, delle neuroscienze, della medicina clinica e della ricerca sugli animali (se la ricerca psicologica sugli atteggiamenti umani è importante, proviamo a pensare quanto sia importante la ricerca sul cancro...).
Voci critiche si sono levate anche nei confronti della ricerca di Nosek: chi controlla il controllore? Nel caso della ricerca di Paola Bressan dell'Università di Padova, che appare fra quelle esaminate, l'autrice si chiede ad esempio se sia corretto considerare equivalenti un campione di studentesse americane con un campione di donne italiane.
I ricercatori, in tutti i settori, lamentano la presenza di un ambiente troppo competitivo che, oltre tutto, favorisce e finanzia solo le ricerche più estrose e "sexy": i fondi pubblici e privati per chi desidera replicare i risultati sono invece scarsi o inesistenti e dunque le ricerche pubblicate e ampiamente diffuse dai media finiscono per esprimere l'ultima parola nei più vari argomenti, visto che nessuno prova a confutarle.
D'altro canto, a chi potrebbe interessare che una ricerca pubblicata sei mesi fa sia risultata falsa o parzialmente errata? I lettori sono in genere distratti ed i media, piuttosto che pubblicare sterili rettifiche, cercano piuttosto notizie "hot", in modo da attrarre un maggior numero di lettori, o di spettatori, per vendere la pubblicità.
Delle ricerche psicologiche si parla ormai nei media come si fa con gli oroscopi o il gossip sui vip, ma questo non è un bene per chi lavora seriamente. Sta dunque ai ricercatori, in primis, presentare i risultati ottenuti in modo accurato e onesto, senza esagerare le cose, senza cercare una facile notorietà. Non meno importante è un richiamo alla professionalità dei giornalisti (e di alcuni "esperti" o pseudo-tali), i quali dovrebbero fare divulgazione affrontando ogni nuovo studio con maggiore scetticismo, per cercare di capire se le ricerche pubblicate presentino o no degli aspetti di vulnerabilità (ad esempio, ricerche condotte su un campione di 30 persone non dovrebbero essere prese nemmeno in esame...). Infine, i lettori dovrebbero essere meno passivi rispetto a tutto quello che diffondono i media (Esempio tipico: "È vero, l'ha detto la tv").
Insomma, tutti partecipiamo, direttamente o indirettamente, al circo mediatico: un atteggiamento più critico da parte di tutti potrebbe essere di grande aiuto, non solo per la salute della ricerca scientifica, ma anche per la nostra salute, il nostro benessere e la qualità della nostra vita. (source)

venerdì 28 agosto 2015

L'ITALIA E' UN PAESE A DEMOCRAZIA SOSPESA



Il dibattito politico negli anni di Matteo Renzi è terribilmente noioso.
Perché è un dibattito a sinistra.
Nell'epoca di Silvio Berlusconi è stato non piacevole, ma divertente e carico di contrastanti visioni tra i due schieramenti.
Ora invece questa, ancora breve, guerra civile porta sempre gli stessi argomenti.
Renzi proclama di essere il solo ad aver raggiunto un importante risultato elettorale dimenticando l’Ulivo e il pregevole risultato di Walter Veltroni, malgrado la sconfitta.
Gli avversari di Renzi lo trovano macchiettistico e usurpatore del buon nome della Ditta.
ORMAI SENZA CONTROLLO. Nel frattempo l’Italia sembra un Paese senza controllo.
Per alcuni versi siamo precipitati molto indietro, pensiamo ai casi di “caporalato alias schiavismo” nelle campagne del Sud.
Ci sono ministri manifestamente inadeguati: l’ultimo caso sono le cifre sballate sull’occupazione fornite da Poletti.
C’è la continua fuga di Renzi dai luoghi di crisi, davanti alla protesta dell’Aquila invece di affrontare dignitosamente la folla ha preferito non presentarsi.
ROMA RIDICOLA E CLAMOROSA. Infine l'episodio clamoroso di Roma, ormai non più commentabile vista la torsione ridicola presa da tutta questa vicenda.
Tuttavia il premier, che pure ha avuto parole coraggiose sull’immigrazione, sembra avere in testa una Italia precisa.
Crede, cioè, di essere l’anima di un cambiamento culturale del Paese.
La sua polemica su berlusconismo-antiberlusconismo lo rivela.
MATTEO NON È COME SILVIO, MA... Intendiamoci, quelli che polemizzano con Renzi esagerano perché vogliono rappresentare il premier come il continuatore di Berlusconi, mentre a mio parere, con parole inadeguate, l’ex sindaco di Firenze voleva soltanto dire che il dibattito politico si è bloccato in un contrasto che ha fatto perdere di vista i contenuti.
Renzi, tuttavia, forse voleva suscitare proprio questa reazione per spingere la sua sinistra sempre più in braccia radicali e giustizialiste.
Deve sembrargli una mossa intelligente. Credo che sia il contrario.
SOLTANTO PAROLE AL VENTO. Il guaio di questo assommarsi di parole al vento, di parolacce, di anatemi è che avvengono in un Paese che sembra stia rinunciando, unico in Occidente, a votare.
Dovunque, vedi ultima la Grecia, i contrasti politici vengono risolti con la convocazione alle urne dei cittadini, qui no. Qui non è mai il momento.
SIAMO BRAVI A COMMISSARIARE. Qui l’arte del governo sta nel commissariamento al punto che su Roma è avvenuto il fatto più ridicolo della storia italiana visto che una assessora, molto brava, di Marino si è dimessa dalla giunta del medesimo ed è stata nominata commissaria per quelle stesse funzioni che con Marino diceva di non poter esercitare.
Non sono fra quelli che sostiene che in Italia è sospesa la democrazia. Ma un dubbio mi sta venendo.
Peppino Caldarola

giovedì 27 agosto 2015

COSA NASCONDE LA BELLA FACCIATA DELL'EXPO MILANESE



Expo sì, Expo no. Alla fine ci sono andato (a moderare un dibattito) e mi sono convinto che non porterei mai una classe di ragazzi all’Esposizione mondiale, la Gardaland di Milano. Chi fa il maestro ha il dovere di chiedersi: cosa voglio insegnare ai ragazzi? Come voglio parlare loro del cibo, della terra, dell’aria? Vogliamo dire la verità ai futuri cittadini o mostrare loro una cartolina patinata del mondo? Ecco, se quest’ultima è la vostra intenzione, allora potete andare a visitare Expo 2015. Troverete un grande gioco: potrete timbrare il vostro “falso” passaporto (5 euro a documento) ad ogni Paese che visitate; divertirvi a fare l’henné sulle mani grazie alle donne ugandesi o della Mauritania; saltare sulle reti elastiche del padiglione del Brasile; fare fotografie seduti in una finta tenda berbera; realizzare il vostro menù greco preferito; scrivere il vostro nome con i chicchi di caffè o comprare braccialetti ricordo fatti con i semi. Ma non chiedetevi chi lavora quel caffè; non domandatevi quanti pozzi sono stati distrutti nei terreni dei territori occupati della Palestina; non azzardatevi a capire chi lavora nei campi del Mozambico o del Burundi; non iniziate a farvi domande sui landgrabbing, i ladri di terra. Expo non è il posto dove farvi questi interrogativi e nemmeno dove trovare risposte.
Girando tra i padiglioni dell’esposizione ho avuto la sensazione di aver fatto qualche errore: forse ho sbagliato, durante le lezioni di scienze, a raccontare ai miei ragazzi che il consumo giornaliero di acqua in Africa è di 30 litri rispetto ai 237 in Italia. Probabilmente ho raccontato una frottola quando ho parlato loro dei conflitti per l’oro blu. Devo aver letto male i dati sul Kenya dove il benessere di pochi (2%), è pagato con la miseria di molti (circa il 50% della popolazione vive sotto il livello di povertà). Devo aver visto un altro film finora perché ad Expo non ho trovato una sola riga, una sola informazione che raccontasse alle migliaia di persone che passano in quei padiglioni, il dramma che vivono le popolazioni africane.
Sono partito dalla Palestina: non un’immagine, una riga, una fotografia dell’occupazione. Ho chiesto come mai e mi è stato risposto che “non era opportuno”. Ho pensato che la scarsità di informazioni riguardasse solo quel Paese. Ho provato ad entrare negli spazi dell’Eritrea, della Giordania, della Mauritania: nulla di più che una sorta di mercatino dei prodotti locali, qualche bandiera, poche fotografie. Zero informazioni. Ho pensato che fosse impossibile ma nemmeno in Algeria ho trovato qualche spiegazione se non una bella esposizione di vasellame e di abiti tradizionali. Mai un solo cenno ai problemi di un Paese. A Expo il mondo è tutto bello: l’importante è non sapere.
Non ho imparato nulla visitando il padiglione del Burundi, del Ruanda, dell’Uganda. Nello Yemen hanno persino tentato, come in ogni mercato, di vendermi tre braccialetti con la tecnica dei venditori di strada: “Provali. Quale ti piace? Ti facciamo uno sconto”. Eppure i bambini e i ragazzi che lavorano nelle piantagioni di cacao africane sarebbero, secondo alcune stime, più di 200mila di età compresa tra i cinque e i quindici anni, vittime di una vera e propria “tratta”. L’ Unicef ricorda che 150 milioni di bambini tra i 5 e i 14 anni nei Paesi in via di sviluppo, circa il 16% di tutti i bambini e i ragazzi in quella fascia di età, sono coinvolti nel lavoro minorile.
A citare i problemi della terra ci ha pensato il Vaticano, presente ad Expo: 330 metri quadrati per dire ai cittadini attraverso una mostra fotografica e un tavolo interattivo che esiste il problema della sete, dell’ingiustizia, della fame. Tutto per slogan, nulla di più. E’ a quel punto che mi è venuta una curiosità, alla fine della rapida spiegazione dell’addetto della Santa Sede: “Scusi, quanto è costata la realizzazione?”. Risposta: “Mi dispiace non lo so”. Cerco la risposta via Twitter all’account del Vaticano (@ExpoSantaSede) che mi rimanda ad un articolo che parla della “sobrietà del padiglione”, secondo le parole del cardinale Gianfranco Ravasi. Viene da fare due conti: un’organizzazione italiana mi ha riferito di aver speso per partecipare a Expo (per organizzare eventi, padiglione, personale) circa 700 mila euro. E il Vaticano quanto avrà sborsato per dire che c’è la fame, la sete e l’ingiustizia?
Alle 21, stop. Ho deciso: meglio non portare i bambini a Expo. Che capirebbero del cibo, dello spreco, delle risorse?
Un solo consiglio: se proprio ci andate, vale la pena visitare il padiglione zero e quelli della Svizzera e dei Brunei. Naturalmente non li ho visti tutti, potrebbero essercene altri all’altezza di quest’ultimi. E non ho nemmeno timbrato il passaporto.
Un’ultima osservazione: non cercate un’edicola o una libreria (magari dedicata al cibo) a Expo. In una giornata non le ho trovate. Se le avete viste avvisatemi.
Infine due curiosità. La prima: andata e ritorno Treviglio – Milano Expo con Trenitalia è gratis, nessuno è passato a controllarmi il biglietto. La seconda: arrivato ai tornelli mi sono trovato di fronte delle file chilometriche. Avendo un appuntamento alle 10,30 ho tentato di passare attraverso il passaggio dei media pur non avendo l’accredito ma solo un regolare biglietto. Nessun problema: nessuno ha badato al fatto che avessi o meno il pass. Un abito elegante e una borsa d’ufficio ed è fatta. Fila evitata. (source)

mercoledì 26 agosto 2015

LA TRUFFA DI TELETHON



Sono 20 anni che questa “grande fiera” televisiva continua… Ecco cosa ne pensa un ricercatore, uno specialista in biologia della riproduzione.
È scandaloso. Il Telethon raccoglie annualmente tanti euro quanto il bilancio di funzionamento di tutto l’Inserm. La gente pensa di donare soldi per la cura. Ma la terapia genica non è efficace. Se i donatori sapessero che il loro denaro, prima di tutto è utilizzato per finanziare le pubblicazioni scientifiche, ma anche i brevetti di poche imprese, o per eliminare gli embrioni dai geni deficienti, cambierebbero di parere.
Il professor Marc Peschanski, uno dei architetti di questa terapia genica, ha dichiarato che abbiamo intrapreso una strada sbagliata. Si stanno facendo progressi nella diagnosi, ma non per guarire. Inoltre, anche se progrediamo tecnicamente, noi non comprendiamo molto di più la complessità della vita. Poiché non possiamo guarire le malattie, sarebbe preferibile cercare di scoprirne l’origine, prima che si verifichino. Ciò consentirebbe l’assoluta comprensione dell’uomo, di una certa definizione di uomo
”. Da un’intervista con Medicina-Douces.com
Jacques Testard, è direttore della ricerca presso l’Istituto Nazionale della Sanità e della Ricerca Medica (Inserm), specialista in biologia della riproduzione, “padre scientifico” del primo bebè-provetta francese, e autore di numerose pubblicazioni scientifiche che dimostrano il suo impegno per una “scienza contenuta entro i limiti della dignità umana”.
Testard scrive sul suo blog, fra l’altro:
Gli OGM (organismi geneticamente modificati) sono disseminati inutilmente, perché non hanno dimostrato il loro potenziale, e presentano un reale rischio per l’ambiente, la salute e l’economia. Essi non sono che degli avatar dell’agricoltura intensiva che consentono ai produttori di fare fruttificare i brevetti sulla Natura e la Vita.
Al contrario, i test terapeutici sugli esseri umani sono giustificati quando sono l’unica possibilità, anche piccola, per salvare una vita. Ma è assolutamente contraria all’etica scientifica (e medica) far credere a dei successi imminenti di uno o di un altro farmaco. Nonostante i numerosi errori, i fautori della terapia genica (spesso gli stessi fra quelli degli OGM) sostengono che “finiremo per arrivarci”, e hanno creato un tale aspettativa sociale che il “misticismo del gene” si impone ovunque, sino nell’immaginario collettivo.
Il successo costante del Telethon dimostra questo effetto, poiché a forza di ripetute promesse, e grazie alla complicità di personalità mediatiche e scientifiche, questa operazione raccoglie donazioni per un importo vicino al bilancio di funzionamento di qualsiasi ricerca medica in Francia. Questa manna influisce drammaticamente sulla ricerca biologica in quanto la lobby del DNA dispone del quasi monopolio dei mezzi finanziari (finanziamenti pubblici, dell’industria e della beneficenza) e intellettuali (riviste mediche, convenzioni, contratti, man bassa sugli studenti…).
Quindi, la maggior parte delle altre ricerche sono gravemente impoverite – un risultato che sembra sfuggire ai generosi donatori di questa enorme operazione caritativa…
Per completare, ultima citazione estratta dal libro di Testard “La bicicletta, il muro e il cittadino”:
Tecnoscienza e mistificazione: il Telethon
Da due decenni, ogni anno, due giorni di programmazione della televisione pubblica sono esclusivamente riservati ad un’operazione orchestrata, alla quale contribuiscono tutti gli altri mezzi di comunicazione: il Telethon. Col risultato che, delle patologie, certamente drammatiche ma che, per fortuna, interessano relativamente poche persone (due o tre volte inferiore alla sola trisomia 21, per esempio), mobilitano molto di più la popolazione e raccolgono molti più soldi rispetto ad altrettante terribili malattie, un centinaio o un migliaio di volte più frequenti.
Possiamo solo constatare un meritato successo di una efficace attività di lobbying e consigliare a tutte le vittime, di tutte le malattie, di organizzarsi per fare altrettanto.
Ma si dimenticherebbe, per esempio, che:
• il potenziale caritativo non è illimitato. Quello che ci donano oggi contro la distrofia muscolare, non lo doneranno domani contro la malaria (2 milioni di decessi ogni anno, quasi tutti in Africa);
• quasi la metà dei fondi raccolti (che sono equivalenti al bilancio annuale di funzionamento di tutta la ricerca medica francese) alimentano innumerevoli laboratori che influenzano fortemente le linee guida. Contribuendo in tal modo alla supremazia finanziaria dell’Associazione francese contro la distrofia muscolare (l’AFM che raccoglie e ridistribuisce a suo piacimento i fondi raccolti), sarebbe anche e soprattutto impedire ai ricercatori (statutari per la maggior parte, e quindi pagati dallo Stato, ma anche laureati e, soprattutto, studenti, sicuramente raccomandati, post-dottorato che vivono sul finanziamento della AFM) di contribuire alla lotta contro altre malattie, e/o di aprire nuove strade;
• non è sufficiente disporre di mezzi finanziari per guarire tutte le patologie. Lasciar credere a questo strapotere della medicina, come lo fa il Telethon è indurre in errore i pazienti e le loro famiglie;
• dopo venti anni di promesse, la terapia genica, non sembra essere la buona strategia per curare la maggior parte delle malattie genetiche;
• quando delle somme così importanti sono raccolte, e portano a tali conseguenze, il loro utilizzo dovrebbe essere deciso da un comitato scientifico e sociale che non sia sottomesso all’organismo che le colletta.
Ma anche, come non domandarsi sul contenuto di una “magica” operazione in cui le persone, illuminate dalla fede scientifica, corrono fino ad esaurimento o fanno nuotare i loro cani nella piscina comunale… per “vincere la miopatia”? Alla fine della tecnoscienza, spuntano gli oracoli e i sacrifici di un tempo che credevamo finito…
In conclusione: Non fate donazioni al Telethon! (source)