sabato 30 giugno 2012

SIAMO UN POPOLO DI INCONTINENTI


Non si dirà mai abbastanza male della pubblicità. Riprendo una battuta della Littizzeto per attirare la vostra attenzione sulla stupidità, l’inutilità, la mancanza di idee, l’insensatezza del messaggio pubblicitario. Da qualche tempo, circa un anno, abbiamo scoperto di essere un popolo di incontinenti. O meglio, le donne italiane si contraddistinguono per lo scarso controllo delle proprie necessità fisiologiche. Ora, l’incontinenza nella donna è un fatto relativamente consueto nelle ultraottantenni, eccezionale nella giovane e media età. Nonostante questo dato consolidato, sono almeno tre le marche di salvaslip, miniassorbenti, dispositivi insomma per assorbire tali presunte perdite e nascondere allo steso tempo il cattivo odore che sarebbe l’inevitabile conseguenza di questi fenomeni. Vediamo cosa accade a  livello fisiologico. In queste pubblicità (che andrebbero stigmatizzate come “ingannevoli”) sono ritratte donne di mezza età, a volte persino giovani, comunque mai anziane. Il meccanismo che i “creativi” delle perdite di pipì cercano di attivare è il seguente: sono una donna sulla quarantina o cinquantina, non ho mai avuto, che io sappia, problemi di incontinenza, tuttavia, se la pubblictà ne parla in continuazione (ultimamente è un vero tormentone), ci deve essere qualcosa dai vero. Allora è meglio prevenire il fenomeno prima che si verifichi realmente, prima che io possa trovarmi, che so, in ascensore con un bell’uomo dal palato e l’olfatto fino, pronto a captare qualsiasi vago sentore di orina. Sarebbe terribile. Che vergogna! La signora in questione si reca al supermercato ed acquista questo inutilissimo orpello, con le conseguenza di crearsi una irritazione locale che, alla lunga, potrebbe provocarle una cistite con conseguente dolore, ematuria, e lieve incontinenza. La medicina provoca la malattia. La pubblicità, in questo caso, non è solo insulsa e priva di qualsiasi fondamento, ma, in modo premeditato, produce l’effetto che dichiara di combattere. Tutte le donne sanno che una sana fisiologia femminile non necessità di alcun dispositivo tra monte di venere e slip. Se ci mettiamo un corpo estraneo, fatto di cotone misto a fibre sintetiche che agevolano l’assorbimento, ed essenze profumate che si potrebbero rivelare irritanti o mal tollerate, cagioniamo un danno sicuro alla signora che indossa un simile prodotto, perché di questo, in definitiva si tratta. Il meccanismo perverso della pubblicità, questa volta delle case farmaceutiche, è simile a quello della vendita delle benzodiazepine: dovrebbero curare per periodi brevissimi l’ansia grave o l’insonnia incoercibile, ma dopo un solo mese di utilizzo provocano tolleranza ma soprattutto assuefazione, obbligando, di fatto il paziente a continuare, anche per tutta la vita, ad utilizzare questa classe di farmaci, essendone divenuto completamente schiavo. Si crea, in parole povere, una tossicodipendenza da benzodiazepine, un fenomeno diffusissimo tra tutta la popolazione adulta. Mi auguro che sia ovvio per qualsiasi donna che un salvaslip va indossato solo nel caso di perdite di origine vaginale, ed in nessun altro caso. Indossare un assorbente, per quanto sottile, a scopo preventivo è pura follia, perché, con il tempo, diverrà il fattore irritativo che causerà il sintomo che voleva mascherare. La cosa migliore da fare ritengo sia allontanarsi dalla televisione durante gli spazi pubblicitari, ma se proprio si vuole guardare è indispensabile farlo in modo critico, rilevando le contraddizioni e le sciocchezze che non mancano mai nel messaggio pubblicitario. Può addirittura essere una attività quasi divertente: osservare la pubblicità criticamente, con distacco e razionalità sarà non solo istruttivo, ma anche esilarante. Alcuni spot sono ben confezionati e di buon gusto (specie quelli sulle autovetture) ma ve ne sono alcuni che rasentano la comicità involontaria, un vero boomerang per il committente. Se per pubblicizzare un banale pollo confezionato mi trovo a dover assecondare la voglia di apparire sullo schermo da parte del produttore, contro ogni regola di telegenia, farò una figura non bella. Il signore che rassicura circa la bontà e la sostenibilità dell’allevamento dei propri polli ha una tale faccia da stupido ed una parlata cosi poco intelligibile da suscitare la generale ilarità. Guardiamola, allora, la pubblicità, ma ricordiamoci sempre di possedere una volontà indipendente, una mentalità critica, ed un generale disincanto nei confronti di “creativi” privi di fantasia e ricchi di pessimo gusto.

venerdì 29 giugno 2012

DOVEROSO TRIBUTO A MONTI


Bene, a conclusione di una giornata (o meglio nottata) in cui la nazionale di calcio ha stravinto sugli avversari tedeschi, e soprattutto in cui Mario Monti ha fatto tutto quello che era in suo potere, non possiamo che esprimere la più viva soddisfazione. Avevamo indicato in precedenza che qualsiasi tentennamento o forma di cedimento alle lusinghe tedesche da parte del premier italiano si sarebbe rivelata come il preludio dell'esplosione dell'euro. Così non è stato. Mario Monti ha battuto (metaforicamente) i pugni sul tavolo e le trattative con i riottosi tedeschi sono andate avanti fino al cedimento di questi ultimi. Era quello che ci aspettavamo dal Presidente del Consiglio. Sono state gettate le basi per una unione bancaria effettiva, i fondi Efsf ed Esm potranno aiutare direttamente i gruppi bancari senza il passaggio e la mediazione dei governi locali, i fondi medesimi potranno essere utilizzati, insieme ad altri strumenti della BCE per raffreddare gli spread dei paesi con un elevato debito. I risultati conseguiti, dobbiamo dirlo, sono andati al di là delle più rosee previsioni. Un po' come nella partita di calcio che si giocava parallelamente. Gli azzurri hanno dominato il campo dal'inizio alla fine, umiliando i tedeschi. Dobbiamo riconoscere a Monti che è stato bravo, molto bravo. Non gli abbiamo risparmiato critiche, quando le meritava, ma in questa delicatissima circostanza, non possiamo che elogiare il suo operato, anche in considerazione del fatto che ha puntualmente mantenuto quello che aveva promesso in patria. Onore al merito, dunque. Al suo ritorno in Italia si aprirà una questione politica non di poco conto. Il PDL non sarà più in condizione di far saltare il tavolo, e un governo Monti bis comincia a prefigurarsi all'orizzonte. Si voterà, con ogni probabilità il prossimo aprile, con un PDL in caduta libera, alleato ad una Lega che ha perduto qualsiasi forma di credibilità. Dall'altra parte si configura una alleanza tra terzo polo e sinistra di Bersani. Esiste, è vero, l'incognita 5 stelle, ma dopo l'esperienza di Pizzarotti a Parma, credo che gli elettori abbiano compreso quello che da tempo andiamo dicendo. I grillini sono giovani di buona volontà e buona fede, ma sono solo in grado di demolire, non di amministrare. Il sindaco di Parma, che non ha formato una giunta dopo un mese abbondante dalle elezioni, rischia di essere commissariato. Sarebbe una beffa. Ma governare, amministrare la cosa pubblica è ben altra cosa. Non servono i giovani che provengono dal volontariato: ci vuole una solida preparazione in economia, scienza delle finanze, diritto. Credo sia ovvio per tutti che un Beppe Grillo più comico che politico, dalle idee strampalate e spesso bislacche, non è in grado di esprimere una classe dirigente. In considerazione, inoltre, che il passo fatto dal consiglio europeo di ieri ed oggi è importante, ma è solo un primo passo, e la permanenza della crisi sarà lunga e difficile, crediamo sia preferibile mantenere al governo, almeno alla presidenza del consiglio, un tecnico di chiara fama. Si andrà ad elezioni dunque, gli italiani esprimeranno le loro preferenze, ma, a giudicare dalla classe politica che possediamo, ad occhio e croce ci conviene collocare alla guida del paese una personalità di spicco svincolata dalle logiche dei partiti. Lo ripetiamo, nonostante l'odierna euforia, sappiamo tutti bene quali difficili prove ci attendono: una contrazione mondiale di questo livello e portata, necessita di decenni prima di una risoluzione. Esultiamo dunque, ma nella consapevolezza che il paese è e resterà in recessione per un bel pezzo, e che il pareggio di bilancio lo raggiungeremo, se va bene, nel 2017, come previsto da Christine Lagarde.
Ma per una volta, dopo quasi cinque anni di crisi economica, lasciamoci andare ad un momento di serenità e di legittimo orgoglio: bravi ai tre Mario: Mario Monti, che ha saputo imporre, con il decisivo apporto di Hollande, non lo dimentichiamo, la propria linea al consiglio d'europa, Mario Draghi che sta modificando lentamente ma costantemente la linea della BCE e Mario Balotelli, che ha rifilato due goal ai superbi tedeschi, ridimensionandoli non poco. Godiamoci, allora queste giornate, ci attendono tempi non facili, ma un passo decisivo è stato finalmente attuato.

giovedì 28 giugno 2012

NIENTE PAURA, VA IN SCENA IL SOLITO COPIONE


Le cose stanno andando esattamente come ci si aspettava. La richiesta di Monti di utilizzare i fondi Efsf ed Esm direttamente per calmierare gli spread è stata gentilmente declinata dai tedeschi, i quali affermano che “è eccessivo il panico di Roma e Madrid sull'aumento degli spread, e che, comunque, ove ve ne fosse la necessità, i due paesi possono richiedere l'aiuto dei due fondi che abbiamo citato”. Intanto ci piacerebbe vedere la faccia dei tedeschi e sopratutto la tenuta dei loro nervi se dovessero pagare interessi vicini al 7% sui loro titoli di stato. Quando una cosa capita ad un altro, chissà perchè, è più facile minimizzare. Ma la verità è un'altra. I tedeschi si sono preparati per il Consiglio d'Europa del 28 e 29 giugno con il preciso intento di non modificare un bel nulla, le solite vaghe dichiarazioni d’ intenti. Obbligare prima la Spagna e poi l'Italia a ricorrere ai fondi Efsf ed Esm equivale ad obbligarli a cedere una buona quota di sovranità, non solo sulla moneta, ma sulla politica tout court. Ecco il vero intento dei tedeschi. Riunire sotto la loro sovranità tutti gli altri paesi europei, che diventerebbero satelliti della Germania, dei semplici vassalli. Dopo la Spagna toccherà a noi, e dopo di noi alla Francia. Poi verranno Belgio ed Austria e via dicendo. Nessuna unione bancaria, tantomeno politica. Bene, così non si va avanti. Se Monti non batterà entro domani i pugni sul tavolo, dopo aver fatto approvare una riforma del mondo del lavoro che è una autentica “boiata” secondo il giudizio unanime degli osservatori, deve minacciare le proprie dimissioni. Alla Merkel non farebbero tanto piacere, perchè la sostituzione di Monti significherebbe l'accelerazione del processo di deflagrazione dell'euro. Tanto, comunque, una volta tornato in patria a mani vuote, sarebbe, in pratica, costretto ugualmente ad un passo indietro, venendogli a mancare i voti del PDL. Bisogna far capire alla Germania che o accetta le ragionevoli condizioni poste da Spagna, Italia e Francia, oppure si imbocca la strada del break up dell'euro. E questo la Germani non lo vuole, dal momento che non le conviene. Deve essere chiaro per tutti che non intendiamo far la fine della Grecia, e che piuttosto siamo disposti a liberarci della moneta unica. Per la speculazione internazionale è diventato un videogioco: una specie di tiro all'orso. Prima hanno massacrato la Grecia, poi il Portogallo, poi l'Irlanda, adesso tirano sulla Spagna, il prossimo bersaglio siamo noi, e poi si va avanti, fino all'ultimo paese dell'eurozona. Sai che divertimento fare la fine dell'orso. L'Euro è stato un fallimento pieno, soprattutto per noi che ci siamo entrati con le condizioni più sfavorevoli possibili, ma non fa piacere a nessuno tornare alla lira. Sappiamo bene quali insidie si annidano dietro la valuta nazionale. Ma non siamo neppure disposti a continuare a prendere ordini da una cricca di politicanti, burocrati e banchieri tedeschi, con un patetico Mario Draghi, burattino nelle loro mani. Francia, Spagna e Italia sono sulla stessa linea: non piace ai signori tedeschi? Bene, se ne vadano pure loro dall'euro, le porte sono aperte. Dopo la seconda guerra mondiale, solo adesso ci rendiamo conto di quale tragico errore sia stato consentire ai tedeschi di riunificarsi e di abbattere il muro di Berlino. Sembrava una data fatidica, da ricordare per sempre. E' stato, viceversa, un tragico errore. Non possiamo attenderci nulla di buono da questo popolo predestinato a fare vittime,  a provocare conflitti, pur perdendoli regolarmente. Dopo il nazismo e la incancellabile vergogna dello sterminio degli ebrei, dovevano essere condannati a vita a rimanere divisi, per scontare, almeno in parte, l'orrore senza fine da loro provocato. Solo Primo Levi è riuscito in pieno, con una scrittura minimalista, che non cede mai alla retorica, tagliente come una lama, a descrivere compiutamente quello che un popolo intero è stato capace di perpetrare nei confronti di un altro popolo. Non ci sono e non ci possono essere attenuanti di sorta. I tedeschi sono sempre tedeschi, il loro DNA non è cambiato, la storia non insegna nulla. La volontà di potenza, di predominio, di sopraffazione li ha sempre contraddistinti, basta leggere Nietsche o Wagner.

mercoledì 27 giugno 2012

FORNERO: IL LAVORO NON E' UN DIRITTO


Roma - "Stiamo cercando di proteggere le persone e non i loro posti di lavoro. Gli atteggiamenti delle persone devono cambiare. Il lavoro non è un diritto; Deve essere guadagnato, anche attraverso il sacrificio". Le affermazioni del ministro Elsa Fornero al Wall Street Journal rappresentano un programma politico nella loro secchezza e anglosassone sintesi. Spesso, quando si danno interviste ai giornali stranieri, si dice meglio quello che si pensa davvero, lo spirito di fondo che muove le proprie azioni.

Da quello che capiamo noi, avendo seguito il ministro dal momento del suo insediamento, la filosofia che la ispira è quella di una società, probabilmente idealizzata, in cui le persone non stiano ferme sul posto, si diano da fare, si "guadagnino" appunto il lavoro piuttosto che aspettare che questo gli piova dal cielo. E’ un concetto che abbiamo sentito più e più volte, addirittura dagli anni 80 quando un craxiano con i boccoli, come Gianni De Michelis, consigliava ai giovani di imparare ad "arrangiarsi".

Solo che è un concetto che non fa i conti con quell’impegno certosino e generoso di migliaia e migliaia di giovani e meno giovani, precari e disoccupati, che accettano di combattere una quotidiana battaglia, sempre impari, per conquistare una vita decente. A sentire certe affermazioni del ministro sembra che questa realtà non esista e che, al contrario, i giovani disoccupati siano seduti sul divano ad aspettare l’offerta migliore. Il modo migliore per descriverli, del resto, da parte di chi non sa risolvere il problema dell’occupazione.

Per questo di un’espressione che dice che "il lavoro non è un diritto" resta solo la parte amara, quella vera. Il lavoro viene lentamente espunto dalla giurisprudenza europea dal novero dei diritti non tanto garantiti ma su cui una società è impostata e cerca di convergere. E non è un caso che nell’intervista al WSJ questo concetto venga declinato in altre forme. La riforma, spiega infatti Fornero, "è anche una scommessa sugli italiani cambiare il loro comportamento in molti modi".

Ma è il quotidiano finanziario a ricordare l’essenziale quando afferma che "uno dei principi chiave della nuova legge è che i datori di lavoro saranno in grado di licenziare i singoli lavoratori per motivi economici". "Forse il più grande significato dello sforzo della signora Fornero - continua il WSJ - è che la legge ha smantellato la vacca più sacra del lavoro in Italia, l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori". Si possono fare tutti i discorsi del mondo, teorizzare le migliori filosofie di vita e del lavoro, ma la "riforma Fornero" entrerà nella storia, e sarà ricordata, solo per questo.

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mercoledì 20 giugno 2012

NIENTE DI NUOVO SUL FRONTE OCCIDENTALE


Mi ripeto, lo so. Ma di fronte allo spettacolo offerto dai grandi della terra oggi e da un Consiglio d'Europa domani, dal quale è illecito attendersi grandi cose, non è facile non fare commenti. Il G20, anche per sua natura, non può deliberare grandi cose, al massimo, come avvenuto, l'allargamento del firewall del Fondo Monetario Internazionale. E' in atto un penoso scaricabarile tra i reali colpevoli della crisi (le banche americane, George Bush e Alan Greenspan che si sono voltati dall'altra parte per non vedere quanto accadeva sotto i loro occhi), con Obama che tenta senza troppa convinzione di accusare l'Europa di zavorrare gli USA, e l'Europa che gli ricorda le sue responsabilità e non è disposta ad accettare fervorini da nessuno. Ma l'appuntamento cruciale, lo sappiamo bene, è quello del 28 giugno al Consiglio d'Europa: un probabilissimo nulla di fatto pregiudicherebbe irreparabilmente la prosecuzione dell'Euro in quanto moneta e dell'Eurozona in quanto espressione geografica. La Germania ha già delineato la sua posizione: niente rinegoziazione (neppure dilatoria)  del debito greco, niente eurobond, niente project bond, niente mutamento delle prerogative della BCE sul versante delle politiche monetarie, un no parziale all'unione bancaria, un no assoluto ad una eventuale futura unione politica. L'unico sì che la Merkel è autorizzata a pronunciare è quello relativo all'unione fiscale, il fiscal compact, perchè presuppone comuni politiche e discipline di bilancio. Insomma, ancora e solo sacrifici. Il Consiglio di Europa si chiuderà con il consueto nulla di fatto, a parte qualche poco convinto annuncio di misure sempre differite ad un futuro indecifrabile. Se le cose dovessero disgraziatamente andare così, il break up dell'Euro sarebbe solo questione di tempo. L'unico modo per scongiurare quello che, francamente, appare ormai ineludibile, sarebbe quello di pervenire ad una unione politica. Gli Stati Uniti d'Europa, come sottolineato in un precedente post, si troverebbero nella condizione di schiacciare gli USA, sia economicamente che finanziariamente. Ma conoscendo Regno Unito, Germania e Francia, nazioni dotate di una fortissima identità nazionale, l'ipotesi di una confederazioni di stati europei appare piuttosto remota. I mercati, che hanno il fiuto buono hanno perfettamente capito dove andremo a parare e, complice la bolla dei derivati e la speculazione internazionale sui titoli di stato di mezza Europa, decreteranno la fine dell'eurozona, Germania compresa. Se l'unica salvezza per l'Euro e l'Unione Europea è costituita dalla creazione di una confederazione di stati sul modello americano, possiamo esser certi che la fine è vicina. La Spagna è un paese di fatto in fallimento, almeno in senso tecnico, considerata anche la stretta connessione con le sue banche. Il problema è che, al pari o quasi dell'Italia, non esiste denaro sufficiente per salvarla. Una volta crollata la Spagna sarebbe la volta dell'Italia, poi della Francia ecc. Per queste nazioni, troppo grandi per fallire, non esiste fondo salvastati al mondo che possa correre in soccorso. Ecco perchè insistiamo sull'unione poitica, perchè solo una confederazione di stati si può fondare sul principio della mutualità e della sussidiarietà, e con una vera banca centrale sarebbe possibile attuare una politica monetaria conveniente. Ma dal momento che tutto ciò è impossibile per gli egoismi e i tornaconti personali dei singoli stati membri, faremo (almeno lo spero) l'unica cosa sulla quale siamo d'accordo tutti, Germania esclusa, (tanto per cambiare): uscire dall'euro tutti insieme. Un ritorno alle valute nazionali ordinato e pilotato non sarebbe catastrofico, e dopo un paio di anni di svalutazione inflattiva, i motori delle nostre economie potrebbero ripartire. Solo la Germania, l'unico paese che ha realmente avuto grossi benefici dall'euro, sarebbe penalizzata con una valuta troppo apprezzata. Ma a questo punto, sia detto con il massimo rispetto, sono solo fatti loro. Si sono messi per traverso davanti a qualsiasi tentativo per salvare la moneta unica, hanno solo saputo imporre politiche lacrime e sangue, hanno massacrato, imponendo i loro stupidi criteri mezza Europa, sarebbe auspicabile, se non altro, un futuro fosco anche per loro. Insomma, in definitiva, non è possibile stravolgere gli equilibri tra i vari poteri di uno stato sovrano: le politiche non possono essere decise o pesantemente influenzate dai mercati finanziari, non ci possiamo rassegnare a vivere in una dittatura finanziaria. Non possiamo continuare a pendere dalle labbra dell’andamento delle Borse e dei mercati, trasalire per ogni punto di spread in più o in meno. Ci dobbiamo riprendere la nostra sovranità, non solo politica, ma anche economica e monetaria, basta con i vassallaggi della Germania. Fa venire una grande malinconia assistere a questa piena sottomissione, a questo presentarci con il cappello in mano dinanzi la BCE o il FMI. Non ha fallito solo l’Euro per i contrapposti egoismi degli stati membri, ha fallito il capitalismo. Nel descrivere la sua parabola finale sprigiona il peggiore dei suoi veleni, la recessione, la depressione. In cauda venenum.

venerdì 15 giugno 2012

IL PRIMO CRACK DI UNA BANCA ITALIANA

Migliaia di clienti al varco, con i conti bloccati e l'impossibilità di utilizzare le proprie somme. È la situazione in cui si trovano in questo momento gli oltre 28mila clienti di Banca network investimenti (Bni) dopo la delibera della Banca d'Italia del 31 maggio (elenco delle altre banche italiane a rischio). Tra i clienti vi sono anche molti dei 69 dipendenti che, in caso di liquidazione dell'istituto, rischiano il posto di lavoro.
Una «misura si è resa necessaria per fronteggiare la situazione di difficoltà della banca» secondo quanto ha comunicato l'istituto di palazzo Koch che a novembre ha posto in amministrazione straordinaria la Banca nata da Bipielle Net, una costola della Banca popolare di Lodi di Giampiero Fioriani.  La banca, come tutte quelle operanti in Italia, è obbligata ad aderire al Fondo interbancario di tutela dei depositi che garantisce la restituzione delle disponibilità in conto corrente (liquidità, depositi vincolati, assegni circolari e certificati di depositi nominativi) fino a 100mila euro (la garanzia è per depositante e per banca, indipendentemente dal numero di conti aperti presso uno stesso istituto).
Su questo non ci piove. Gli oltre 28mila clienti di Banca Network potranno usufruire eventualmente di questa garanzia. Ma come funziona? E, intanto, chi li ripaga dei danni maturati dal momentaneo congelamento dei conti?
La garanzia fino a 100mila euro
Rispetto ai precedenti casi di risparmio tradito ci sono delle novità, sia positive che negative. Da maggio 2011 l'Italia ha infatto recepito la direttiva 2009/14/CE dell'11 marzo 2009 che stablisce nuovi limiti di copertura limite di copertura e i termini di rimborso. Partiamo dalla notizia più brutta. Il rimborso è garantito fino a 100mila euro, e non più fino a 103mila euro, come previsto in precedenza. La notizia buona riguarda invece i tempi del rimborso da parte del Fondo interbancario di tutela dei depositi. Questo deve avvenire dopo 20 giorni lavorativi dalla data in cui viene emesso il provvedimento di liquidazione coatta amministrativa da parte della Banca d'Italia. È prevista che questa possa prorogare il limite di ulteriori 10 giorni in circostanze del tutto eccezionali.
In precedenza invece il limite era di 3 mesi ma - secondo quanto comunica una fonte al Sole 24 Ore - gli slittamenti fino a 6-9 mesi sono stati frequenti.
Strumenti rimborsabili
Rientrano nell'ambito delle garanzie del fondo conti correnti, depositi (vincolati e no), assegni circolari, certificati di deposito nominativi (non al portatore).
Forme di investimento come obbligazioni aziendali, azioni, titoli di Stato, pronti contro termine non rientrano nelle garanzie del fondo ma restano di proprietà del cliente in quanto sono solo custoditi dalla banca insolvente (all'interno del conto titoli).
E l'oro? È escluso in quanto è un deposito fisico, non di denaro. Il Fondo Interbancario - come si apprende dal sito del fondo - protegge solo i depositi in denaro. In ogni caso non è necessario proteggere i depositi in oro. Infatti se una banca fallisce, l'oro come tutto ciò che è stato fisicamente depositato (beni di valore - securities) va restituito al legittimo proprietario perché non fa parte dell'attivo di una banca fallita. In altre parole, questi beni non fanno parte del processo di liquidazione, perché vengono direttamente riconsegnati al proprietario.
Il danno del momentaneo congelamento
Essendo una facoltà per la Banca d'Italia quella di sospendere i pagamenti per la banca in amministrazione controllata congelando difatti i conti correnti classici, non sono contemplate dal legislatore azioni legali specifiche per il danno derivante dal momentaneo congelamento delle somme.
Scenari che si aprono
Entro fine giugno, quando scadono i 30 giorni di sospensione previsti dalla Banca d'Italia si potranno aprire due scenari. Gli organi di controllo potrebbero aver bisogno di ulteriore tempo e chiedere una nuova proroga di 30 giorni. Oppure (scenario che pare più probabile) Banca d'Italia e i rappresentanti del Fondo interbancario - in queste ore stabilmente nella sede milanese dell'istituto - potranno aver terminato con successo per effettuare tutti gli accertamenti e le verifiche del caso per arrivare a una soluzione. In questo caso, dopo la dichiarazione di liquidazione coatta amministrativa da parte della Banca d'Italia, scatterà il conto alla rovescia dei 20 giorni per il rimborso. Che si stima quindi possa arrivare prima della fine dell'estate.
Banca d'Italia sotto accusa
Nella vicenda però è finita nel mirino la stessa Banca d'Italia. Il senatore dell'Italia dei Valori nonché presidente dell'associazione Adusbef, Elio Lannutti, ha infatti chiesto al governo tramite un'interrogazione parlamentare, di verificare l'operato della Banca d'Italia che aveva effettuato prime ispezioni su Banca Netowrk già nell'ottobre 2009 rivelando «carenze nell'organizzazione dell'istituto e nei controlli interni» e multando l'istituto per 153mila euro. Secondo Lannutti Palazzo Koch avrebbe dovuto individuare in anticipo il crack milionario a cui rischia di andare incontro adesso l'istituto trascinando con sè migliaia di clienti.
Ecco le altre banche a rischio:
DELTA/SEDICI BANCA
BCC DI COSENZA
CARIM – CASSA DI RISPARMIO DI RIMINI
BCC DI TARSIA
BCC “LUIGI STURZO” DI CALTAGIRONE
BCC DI ALTAVILLA SILENTINA E CALABRITTO
BANCA NETWORK INVESTIMENTI
ISTITUTO CREDITO SPORTIVO
BANCA TERCAS
BCC MONASTIER E DEL SILE



giovedì 14 giugno 2012

PERCHE' GLI U.S.A. AUSPICANO IL FALLIMENTO DELL'ITALIA E DEL PROGETTO EUROPEO


«L'economia italiana è moribonda», scriveva martedì sera il sito del Wall Street Journal, proprio mentre Monti era impegnato in un delicato vertice a Palazzo Chigi sulla crisi dell'Eurozona. Oggi, lo stesso giornale, nella sua edizione cartacea, ha aperto con un articolo in prima pagina dedicato al Premier Monti, in cui si spiega come sia finita «la luna di miele tra gli italiani e il premier Monti».
A poche ore di distanza il Financial Times ha fatto sponda. «Mamma mia, ci risiamo»: con questo incipit la testata inglese è tornata a occuparsi della crisi italiana in un editoriale dal titolo «Le onde che sciabordano alla porta di Roma.
Lasciando da parte la visione britannica, da sempre euroscettica, che cosa spinge i più autorevoli opinionisti degli Stati Uniti - proprio mentre il loro presidente Obama segue con apprensione l'evoluzione della crisi dell'eurozona - ad attaccare l'Italia e indebolire così le già minate fondamenta dell'euro?
Alle origini della crisi
In molti hanno parlato di un attacco all'Italia. Si tratta di qualcosa in più di un'ipotesi. Ma la spiegazione di quello che sta accadendo sui mercati va forse ricercata nella scintilla che ha scatenato le recenti crisi in Europa: la crisi dei mutui subprime, negli Stati Uniti. L'evento non poteva che essere scatenante. E non poteva non travolgere il già fragile e indebitato comparto finanziario europeo.
Perché gli Stati Uniti non tifano Europa
Se l'economia dell'Eurozona è in ginocchio, quella degli Stati Uniti d'America non è in piedi. Così, al di là delle dichiarazioni ufficiali, anche l'America confida, per il suo rilancio, in un'Europa più debole che in forze. Anche perché gli Stati Uniti d'Europa - qualora il processo d'integrazione arrivasse davvero a compimento - sarebbero un competitor molto agguerrito. Con fondamentali anche migliori di quelli degli Usa. Come dimostrano i dati aggregati dei 27 Paesi dell'Unione.
Il confronto tra i fondamentali
Ecco i numeri, elaborati sulle statistiche Eurostat (si veda la tabella). Prendendo i dati 2011, si scopre che gli Stati Uniti d'Europa hanno un Pil maggiore, in termini assoluti, rispetto agli Usa. La crescita annuale è simile (+1,5% per l'Europa, +1,7% per gli Usa). Ma soprattutto gli Stati Uniti d'Europa avrebbero un debito pubblico inferiore, sia in termini assoluti, che in % rispetto al Pil: gli Usa hanno infatti un indebitamento pari al 114,32% del Pil, gli Stati Uniti d'Europa si fermano all'82,5%.
Gli Stati Uniti d'Europa - che vanterebbero una popolazione di 502milioni di persone, contro i 313 degli Usa - sarebbero davanti anche in quanto a valore dell'export: 1.914 miliardi di dollari, contro 1.473.
Osservando questi dati, la domanda sorge spontanea: attaccare l'economia moribonda dell'Italia non è forse un tentativo per indebolire la più florida (anche se per ora solo virtualmente) economia degli Stati Uniti d'Europa?
Ecco il grafico:
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Antonio Larizza – Il sole 24 ore – RIPRODUZIONE RISERVATA®

giovedì 7 giugno 2012

L'AFFAIRE MOODY'S: MARIO MONTI CHIARISCA O SI DIMETTA


“La penosa tesi difensiva formulata dalle solite anonime “fonti di Palazzo Chigi” in merito alle pesanti insinuazioni veicolate da amplissimi lanci di agenzia che riprendono una pagina internet della New York University circa “Monti possibile indagato per manipolazione di mercato pluriaggravata e continuata” non inficia per niente l’assoluta veridicità di alcuni elementi di fatto incontrovertibili:
1) il ruolo del Prof. Mario Monti quale “Senior European Advisory Council of Moody’s”;
2) questo ruolo non risulta essere citato nella di lui biografia ufficiale così come appare sul sito della Presidenza del Consiglio;
3) i giudizi formulati da Moody’s e da altre agenzie di rating – attualmente oggetto di indagine da parte della procura di Trani – hanno contribuito indiscutibilmente al degradarsi della situazione economica del Paese etichettato come “Paese a rischio”;
4) la stessa commissione d’inchiesta del Parlamento europeo ha ben evidenziato il ruolo di tali agenzie di rating nello sviluppo dilagante della speculazione finanziaria, anche attraverso la disincentivazione all’acquisto di titoli del debito pubblico come nel caso di quelli del debito pubblico italiano;
5) anche volendo accettare per buona la traballante tesi secondo cui il Prof. Monti non abbia mai partecipato, quale membro del Senior European Advisory Council of Moody’s, alle valutazioni di Stati o imprese sotto il profilo di rating, è indubbio che, dallo stesso Monti, in tale periodo non sia stata formulata alcuna presa di distanza da tali valutazioni pesantemente negative e dannose nei confronti del rischio-Italia;
6) questa situazione personale del Prof. Monti, finora incredibilmente sottaciuta dagli organi di informazione italiani, costituiva e costituisce un oggettivo conflitto di interessi non solo per il ruolo che lo stesso ricopre quale principale responsabile della politica economico-finanziaria dell’Italia, ma ancor più per quello che svolge nel Consiglio Europeo di Bruxelles.
Carlo Scalzotto - finanzanostop
In buona sostanza, Monti ricopriva un importante incarico nell'agenzia di rating Moody's anche durante i primi declassamenti del nostro stato da parte di questi delinquenti finanziari. Era normale la presenza di una figura come quella di Mario Monti in una agenzia di rating internazionale che stava dando il proprio volenteroso contributo ad affondare lo stato italiano? Non si prospetta per caso un conflitto di interessi al contrario? Le agenzie di rating possono al massimo emettere giudizi sugli istituti di credito non oltre. Nello stesso momento in cui Moody's tagliava il rating dello stato sovrano Italia, il minimo che ci si poteva attendere erano le immediate ed irrevocabili dimissioni di Monti, maestro nel tenere il piede in due staffe. E' innamorato dell'Europa? Si trova a suo agio solo a Bruxelles? I suoi compagni di merende preferiti sono Barroso e Van Rompuy? Bene, faccia un passo indietro e se ne vada in Europa a far danno. Noi abbiamo bisogno di leader che facciano gli interessi dell'Italia, di gentlemen in doppiopetto che menino gran vanto della loro equidistanza non sappiamo che farcene. Per questo abbiamo già Mario Draghi. Al voto a ottobre, al voto.
Ricordiamo, se ancora ce ne fosse bisogno, che Moody’s e Standard & Poor’s sono indagate dalla Procura di Trani per manipolazione e turbativa dei mercati, che in parole povere significa aggiotaggio e insider trading, reati finanziari gravissimi. E’ notizia dell’ultima ora che l’agenzia Fitch ha declassato la Spagna di ben tre notchs a “BBB”, un gradino sopra “junk”. Le agenzie di rating, società per azioni con azionisti che investono e speculano sui mercati non devono nel modo più assoluto emettere giudizi su stati sovrani. Continuano a farlo indisturbati perché non esiste un governo mondiale della finanza, che continua ad essere lasciata a se stessa, libera di compiere operazioni che possono modificare la sorte di popolazioni intere. E’ una mostruosità giuridica. L’Europa non è stata neppure capace di costituire una agenzia propria: siamo alla frutta, non meritiamo neppure di essere salvati, parlare di Stati Uniti di Europa non è una barzelletta, è una tragica farsa.  

mercoledì 6 giugno 2012

ECCO QUANTO LA GERMANIA GUADAGNA DALLA CRISI DELL'EUROZONA


La Germania è il Paese più virtuoso e potente dell'area euro. Lo dicono i numeri del Pil e sulla solidità dei conti (è riuscita per ora a evitare la recessione a differenza degli altri big, e non solo, dell'area). Ed è lo stesso Paese che fino ad oggi si è opposto più duramente alle modifiche dei trattati europei e all'introduzione degli EuroUnionBond facendo leva sul principio di unanimità che regola (ma irrigidisce) il meccanismo riformatore dell'Eurozona.
Ma negli ultimi giorni il "nein" di Angela Merkel a modifiche statutarie che implicano una maggiore condivisione degli oneri dell'appartenza all'euro ha iniziato a scricchiolare. La stessa cancelliera - quando mancano 22 giorni al vertice di Bruxelles in cui sarà presentata la prima bozza dei riforma dell'Unione monetaria e in vista del quale Il Sole 24 Ore ha lanciato l'iniziativa "Manifesto per gli Stati Uniti d'Europa" - ha aperto qualche spiraglio alla creazione di un'unione bancaria europea su cui, per stessa ammissione del governatore della Bce Mario Draghi, i cantieri sono ufficialmente aperti. Apertura che arriva quando la Borsa tedesca ha fatto segnare nell'ultima settimana la performance peggiore tra le Borse del Vecchio Continente e nel momento in cui Moody's ha tagliato il rating di 4 banche tedesche (tra cui la seconda del Paese, Commerzbank) mettendo sotto osservazione Deutsche Bank.

L'augurio è che davvero questa volta qualcosa di concreto esca dai palazzi di vetro di Bruxelles, dopo che difatti gli ultimi 24 vertici si sono conclusi con sostanziali "nulla di fatto" o, per dirla con un po' di retorica, con una strategia "wait and see".
Resta il fatto che il mix tra "wait and see" e "nein" ha fatto sì che nel frattempo i problemi irrisolti dell'Eurozona e dei Paesi periferici si siano amplificati, complice l'allargamento degli spread tra i rendimenti dei titoli di Stato dei Paesi con conti pubblici meno virtuosi e quelli del Bund tedesco.
E qui arriva il primo dato che dà la dimensione di quanto la Germania fino ad oggi stia tecnicamente beneficiando, in termini finanziari ed economici, da questa crisi. Nei giorni scorsi il Bund tedesco a 10 anni prezzava un rendimento dell'1,345% annuo, mai così basso nella storia. Se si depura questo tasso per l'inflazione (che viaggia oltre il 2%) si ottiene un rendimento reale negativo. Dato che, letto al contrario, equivale a una sorta di ristrutturazione gratuita del debito pubblico tedesco. Niente male, come vantaggio in tempi di crisi.
Anche perché questo avviene mentre i vicini, quelli più a Sud, annaspano, costretti a pagare rendimenti reali da record sul debito. E qui arriva il secondo vantaggio della Germania da questa crisi, questa volta più economico che finanziario. Negli ultimi mesi è infatti aumentato lo shopping della Germania di imprese italiane ed europee a prezzi scontati.
Ma non finisce qui. La Germania, quello stesso Paese che nel 1997 pagava sui Bund a 10 anni un tasso del 5,5%, non lontano dal 6,1% dei BTp di quel tempo, funziona alla grande con l'euro. Lo dimostrano i dati sulla bilancia dei pagamenti correnti (che registra tutte le transazioni economiche di un Paese tra residenti e non residenti e quindi anche il saldo import-export). Dal 1989 al 2000 (quindi in piena fase pre-euro) la bilancia dei pagamenti correnti della Germania era in rosso per 126 miliardi. Dal 2001 al 2012 (qundi in piena fase euro, comprendendo anche l'attuale fase di crisi dei Paesi periferici) è balzata in positivo a quota 1.791 miliardi. E l'Italia? Prima dell'introduzione dell'euro aveva una bilancia dei pagamenti correnti positiva (53 miliardi) contro -388 accusati nel periodo successivo.
Dati che si vanno ad aggiungere nella lista degli onori per la Germania dall'ingresso nell'euro. Quanto agli oneri, forse è arrivato il momento di condividerne qualcuno evitando di imporre che Paesi con storie sociali, politiche ed economiche completamente differenti adottino a tutti i costi e subito, a suon di austerity, il suo pur eccellente modello di economia sociale basato sul principio di sussidiarietà. Questo può certamente diventare il modello sociale della nuova visione d'Europa. A patto però che la Germania, lo stesso Paese dove "debito" e "colpa" si dicono allo stesso modo (schuld), faccia un passo indietro (o in avanti?) e guardi al di là dei propri confini.
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sabato 2 giugno 2012

LIBERA NOS DOMINE


Non ho mai avuto simpatia per Fabio Fazio. La sua piaggeria verso tutto e tutti, le sue buone maniere ipocrite, la sua leziosità, la sua melensaggine mi hanno sempre procurato un certo disagio. Come recita il suo cognome, nonostante i modi manierati ed il suo falso garbo, Fazio è estremamente fazioso. Lo è nel senso più deplorevole del termine: maschera la sua appartenenza acritica al Partito Democratico con un buonismo di stampo veltroniano, divenendo così un uomo per tutte le stagioni, esponente, pure lui, del “maanchismo” che ha reso celebre Veltroni. Gli piace Bersani, Vendola e Di Pietro, “ma anche” Casini, La Russa e Alfano. Il suo modo di parlare, studiato a tavolino (a meno che non ci troviamo di fronte ad un caso di balbuzie felicemente risolto), con la ripetizione, all’esordio di ogni discorso, delle prime sillabe, la sua voce carezzevole, mai un tono più alto del sussurro, l’apparente calma olimpica, le sue maniere da gentleman un po’ agé, il suo essere sempre composto, le sue giacchette stazzonate e le sue cravattine strette, il suo sforzo continuo di sedare animi potenzialmente in rivolta, procedendo come un moderatore che inviti costantemente alla serenità i suoi ospiti, tutto insomma fa di lui un perfetto ipocrita. Il suo comprimario Roberto Saviano, scrittore fallito e predicatore finito, viene, consapevolmente o meno, utilizzato dal nostro Fazio solo per mettere in risalto la sua fioca personalità, e mettere in luce una personalità altrimenti perfettamente anonima. Saviano, scrittore per una sola stagione, incapace di produrre altro che non riguardi la camorra, la benedetta camorra che gli ha dato visibilità, stringe il sodalizio con il damerino Fazio per trovare una strada qualunque che possa, in  assenza totale di idee nuove, protrarre in qualche modo il suo mestiere di predicatore televisivo. Saviano non sa scrivere e non sa parlare. Il libro “Gomorra”, praticamente l’unico scritto, è di un tedio mortale, si fatica non poco ad arrivare all’ultima pagina. La sua scrittura è piatta e priva di originalità, come il suo parlare. Il film tratto dal libro dell’ottimo regista Garrone, non solo con il libro ha poco a che fare, ma è un’opera che surclassa di gran lunga il barbosissimo libro di Saviano. Raramente è accaduto che un film tratto da un libro faccia meglio di quest’ultimo: questa volta è accaduto. Si tratta di due personaggi sopravvalutati, specchio fedele della povertà assoluta della televisione di oggi. Giulietto Chiesa giudica l’85% della TV da buttare, credo non sia lontano dalla verità. Le tre serate di Fazio e Saviano, dall’elevatissimo tasso zuccherino, mi hanno procurato un paio di nuove carie dentarie. Un programma noiosissimo che affondava nella melassa dei buoni sentimenti, della più trita banalità, dell’ovvio, dello scontato, del più vieto luogo comune, ci ha fatto scoprire che, tutto sommato, il bene è da preferire al male. Bene, ottimo risultato, dopo la visione delle tre serate siamo maturati non poco. Saviano, che ha stufato la grande maggioranza dei cittadini, deve tutto a Fazio, ma presto non sentiremo più parlare di lui. Quanto a Fazio, qualcuno può liberarci di questa triste presenza? Il nostro rispetto va piuttosto a persone come Santoro, una persona discutibile ma autentica, sanguigna, che dice pane al pane e vino al vino, non si trincera dietro i modi da manichino di Fabio Fazio. I suoi duetti con Gramellini sono indimenticabili: quando il giornalista della Stampa accenna un minimo di indignazione per una notizia che farebbe venire i capelli diritti a tutti quanti, Fazio lo invita alla moderazione, a comprendere le ragioni degli altri, a moderare i toni e ritrovare la calma. Con quella faccia da prete, sarebbe stato un ottimo benedettino. Ma dietro le apparenze buoniste e caritatevoli, si cela una personalità che ha preso nettamente posizione, sebbene in modo puramente retorico: a favore sempre  e comunque degli immigrati, siano essi regolari o no, siano essi criminali o no. A favore delle donne, degli anziani, dei bambini, dei più deboli, degli ultimi. Il suo spirito caritatevoli non conosce limiti: è rivolta soprattutto agli esponenti del PD, anche quando sono indifendibili, come nell’occasione nella quale, in Senato, hanno in blocco votato per il mantenimento degli stipendi e della pensione basata sul retributivo dei manager pubblici, una vergogna incancellabile. La sua figura mi fa venire in mente una felice frase di Pasolini: “E’ talmente ipocrita che quando l’ipocrisia lo avrà ucciso, precipiterà nell’inferno e si dirà in paradiso”. Dispiace per i non pochi ottimi autori che hanno partecipato alla sua kermesse: non ci hanno fatto una buona figura in quel polpettone troppo dolce. Non ci troviamo quasi mai d’accordo con questo personaggio, è per questo che ne abbiamo fatto un quadro così poco edificante: è proprio grazie ai politicanti che lui ammira e adula sempre che ci troviamo in una situazione di disperazione mai vissuta dal dopoguerra a questa parte. Non abbiamo bisogno di narcisisti mascherati da seminaristi, abbiamo bisogno di intrattenitori veri, autentici da una parte, e di politici che sappiano il fatto loro dall’altra parte. Ma temiamo di essere costretti, in entrambi i casi, ad abbassare l’asticella delle nostre pretese. In ogni caso, tanto per fare tre nomi a caso, Lilli Gruber,  Lucia Annunziata  e Luisella Costamagna fanno il loro mestiere egregiamente,  senza cadere nella stucchevole banalità di Fazio. Strano, sono tre donne: che sia meglio, in politica come nell’intrattenimento, un po’ più di rosa, nella carta stampata come in televisione?