La Germania è il Paese più virtuoso
e potente dell'area euro. Lo dicono i numeri del Pil e sulla solidità dei conti
(è riuscita per ora a evitare la recessione a differenza degli altri big, e non
solo, dell'area). Ed è lo stesso Paese che fino ad oggi si è opposto più
duramente alle modifiche dei trattati europei e all'introduzione degli EuroUnionBond facendo leva sul
principio di unanimità che regola (ma irrigidisce) il meccanismo riformatore
dell'Eurozona.
Ma negli ultimi giorni il
"nein" di Angela Merkel a modifiche statutarie che
implicano una maggiore condivisione degli oneri dell'appartenza all'euro ha
iniziato a scricchiolare. La stessa cancelliera - quando mancano 22 giorni al
vertice di Bruxelles in cui sarà presentata la prima bozza dei riforma
dell'Unione monetaria e in vista del quale Il Sole 24 Ore ha lanciato
l'iniziativa "Manifesto per gli Stati Uniti d'Europa"
- ha aperto qualche spiraglio alla creazione di un'unione bancaria europea su
cui, per stessa ammissione del governatore della Bce Mario Draghi, i cantieri sono ufficialmente
aperti. Apertura che arriva quando la Borsa tedesca ha fatto segnare
nell'ultima settimana la performance peggiore tra le Borse del Vecchio
Continente e nel momento in cui Moody's ha tagliato il rating di 4 banche
tedesche (tra cui la seconda del Paese, Commerzbank) mettendo sotto
osservazione Deutsche Bank.
L'augurio è che davvero questa volta
qualcosa di concreto esca dai palazzi di vetro di Bruxelles, dopo che difatti
gli ultimi 24 vertici si sono conclusi con sostanziali "nulla di
fatto" o, per dirla con un po' di retorica, con una strategia "wait
and see".
Resta il fatto che il mix tra
"wait and see" e "nein" ha fatto sì che nel frattempo i
problemi irrisolti dell'Eurozona e dei Paesi periferici si siano amplificati,
complice l'allargamento degli spread tra i rendimenti dei titoli di Stato dei
Paesi con conti pubblici meno virtuosi e quelli del Bund tedesco.
E qui arriva il primo dato che dà la
dimensione di quanto la Germania fino ad oggi stia tecnicamente beneficiando,
in termini finanziari ed economici, da questa crisi. Nei giorni scorsi il Bund
tedesco a 10 anni prezzava un rendimento dell'1,345% annuo, mai così basso
nella storia. Se si depura questo tasso per l'inflazione (che
viaggia oltre il 2%) si ottiene un rendimento reale negativo. Dato che, letto
al contrario, equivale a una sorta di ristrutturazione gratuita del debito
pubblico tedesco. Niente male, come vantaggio in tempi di crisi.
Anche perché questo avviene mentre i
vicini, quelli più a Sud, annaspano, costretti a pagare rendimenti reali da
record sul debito. E qui arriva il secondo vantaggio della Germania da questa
crisi, questa volta più economico che finanziario. Negli ultimi mesi è infatti
aumentato lo shopping della Germania di imprese italiane ed europee a prezzi
scontati.
Ma non finisce qui. La Germania,
quello stesso Paese che nel 1997 pagava sui Bund a 10 anni un tasso
del 5,5%, non lontano dal 6,1% dei BTp di quel tempo, funziona alla
grande con l'euro. Lo dimostrano i dati sulla bilancia dei pagamenti correnti (che registra
tutte le transazioni economiche di un Paese tra residenti e non residenti e
quindi anche il saldo import-export). Dal 1989 al 2000 (quindi in piena fase
pre-euro) la bilancia dei pagamenti correnti della Germania era in rosso per
126 miliardi. Dal 2001 al 2012 (qundi in piena fase euro, comprendendo anche
l'attuale fase di crisi dei Paesi periferici) è balzata in positivo a quota
1.791 miliardi. E l'Italia? Prima dell'introduzione dell'euro aveva una
bilancia dei pagamenti correnti positiva (53 miliardi) contro -388 accusati nel
periodo successivo.
Dati che si vanno ad aggiungere
nella lista degli onori per la Germania dall'ingresso nell'euro. Quanto agli
oneri, forse è arrivato il momento di condividerne qualcuno evitando di imporre
che Paesi con storie sociali, politiche ed economiche completamente differenti
adottino a tutti i costi e subito, a suon di austerity, il suo pur eccellente
modello di economia sociale basato sul principio di sussidiarietà. Questo può
certamente diventare il modello sociale della nuova visione d'Europa. A patto
però che la Germania, lo stesso Paese dove "debito" e
"colpa" si dicono allo stesso modo (schuld), faccia un passo indietro
(o in avanti?) e guardi al di là dei propri confini.