giovedì 30 agosto 2012

DODICI TESI SUL CRISTIANESIMO


« Essere uno con il tutto, questo è il vivere degli dei; questo è il cielo per l'uomo [...] Essere uno con tutto ciò che vive! Con queste parole la virtù depone la sua austera corazza, lo spirito umano lo scettro e tutti i pensieri si disperdono innanzi all'immagine del mondo eternamente uno [...] e la ferrea fatalità rinuncia al suo potere e la morte scompare dalla società delle creature e l'indissolubilità e l'eterna giovinezza rendono felice e bello il mondo [...] un dio è l'uomo quando sogna, un mendicante quando riflette [...] »
(Hölderlin, Iperione)

  1. LA CREAZIONE
Alla luce dei principi e delle leggi della fisica e astrofisica moderne, e soprattutto dei modelli cosmologici esistenti, si può escludere qualsiasi tipo di creazione, non solo dell’uomo, prodotto dell’evoluzione della vita, ma anche della materia. Il cosiddetto “bosone di Higgs” definito del tutto impropriamente “particella di Dio”, con Dio non ha nulla a che vedere. E’ una sorta di “collante” della materia, nulla di più. Le due ipotesi fondamentali della cosmologia, quella del “big bang” e quella dell’universo “ciclico” escludono l’intervento divino. Nel primo caso, sebbene l’universo sia tuttora in espansione, si può supporre, ad un certo punto della sua storia, un movimento contrario di contrazione, sino a pervenire ad un “big crunch”, il ritorno del cosmo alla dimensione di un punto di densità infinita dal quale potrebbe ripartire un big bang e così via. L’altra ipotesi, quella degli universi ciclici, prevede l’esistenza di un numero indefinito di universi, che continuano ad espandersi, come il nostro, fino al raggiungimento massimo del grado di entropia, cioè fino al massimo dell’ordine possibile. La materia, allontanandosi da un nucleo centrale, finisce col diradarsi al punto che l’universo potrebbe essere costituito da soli buchi neri dove la materia si annulla. E’ la morte termica dell’universo. Dalla costituzione di un unico buco nero di dimensioni infinite potrebbe rigenerarsi un nuovo o altri nuovi universi, ciclicamente. In sostanza, sebbene sotto diversi aspetti, la materia esiste da sempre e sempre esisterà. Non c’è nessun Demiurgo che abbia dato vita all’universo per poi disinteressarsene, così come non esiste un Dio provvido, che crea la materia, la fa evolvere fino alla creazione della vita, intervenendo poi  periodicamente nella sua esistenza. Non dimentichiamo che, a livello probabilistico, la nostra posizione nel cosmo è talmente marginale da poter lecitamente supporre l’esistenza di un numero elevatissimo se non infinito di altri mondi le cui condizioni siano compatibili con la vita. Statisticamente la probabilità dell’esistenza di altre creature intelligenti nell’universo è elevatissima. Queste stesse creature potrebbero avere elaborato anche loro una teologia analoga o contraria alla nostra, sulla base delle loro conoscenze e del grado delle loro intelligenze. In conclusione è probabile che esistano altri esseri viventi che professino una religione non antitetica alla nostra ma anzi, egualmente possibile. Non possiamo, in un simile contesto, pretendere di possedere la chiave del mistero della vita, il nostro è solo un punto di vista molto limitato e marginale.

  1. LA TRINITA’
Non essendovi un Dio creatore, il dogma trinitario, di conseguenza, non ha più alcuna ragion d’essere. Si tratta di una sofisma, una elaborazione di qualche secolo posteriore alla vicenda di Cristo, una evidente forzatura di natura ellenistica per giustificare il più importante dogma dell’incarnazione. In epoca patristica, quando bisognava dare una sistemazione filosofica al cristianesimo, sotto la forte influenza di Paolo di Tarso e dell’impianto filosofico platonico, venne concepito, i maniera peraltro assai farraginosa, un dogma che contemplava tre aspetti della figura di Dio. Tre persone distinte che partecipano della stessa sostanza. Ora, se può essere comprensibile una distinzione tra Padre e Figlio, la persona dello Spirito Santo non è che il frutto di una elaborazione puramente umana, non essendovi in tutte le sacre scritture alcuna traccia di tale persona. Il dogma trinitario sfiora, di fatto, l’eresia, in quanto mette a serio rischio il monoteismo assoluto, presupposto fondamentale del cristianesimo. Esiste un unico Dio, una sola persona divina, le altre due non sono altro che “emanazioni”, che aspetti o riflessi dell’unica persona di Dio. 

  1. L’INCARNAZIONE
Altro dogma fondamentale, che accomuna tutte le confessioni cristiane, cattoliche e protestanti, è costituito dall’Incarnazione di Dio o del figlio di Dio in un essere umano. Il dogma, anch’esso definito in epoca molto posteriore alla vicenda terrena di Cristo, si rese necessario per motivare la sostituzione vicaria del Cristo all’uomo imperfetto e peccatore. In altra parole, solo il sacrificio della divinità stessa poteva cancellare, al cospetto di Dio, la perdita dell’integrità della natura umana, la sua propensione al peccato, la sua imperfezione. L’obiezione non è difficile: se Dio, che possiede tutte le perfezioni, è onnisciente, onnipresente ecc. crea l’uomo imperfetto, lo dota di una natura corruttibile, è evidente che prevede anche la sua caduta. La perdita dell’Eden, la caduta dal paradiso terrestre non è altro che un mito. Dio crea l’uomo imperfetto, messo alla prova delude le aspettative del creatore, perde di conseguenza le prerogative dell’Eden, prima fra tutte l’immortalità. Per riparare ad un danno che Dio aveva ampiamente previsto, il Padre manda sulla terra il Figlio, lo fa patire e morire sulla croce per ricostituire una integrità perduta. Il ragionamento appare, francamente, un poco macchinoso. Che bisogno aveva Dio di farsi crocifiggere per la salvezza delle anime delle sue stesse creature, che essendo create imperfette non potevano che deludere il creatore. Non esiste dunque nessuna incarnazione divina in un uomo. Cristo è stato semplicemente l’ultimo dei profeti dell’Antico Testamento. L’ultimo ed il più importante, perché ha radicalmente riformato il giudaismo. Si badi bene, non ha fondato una nuova religione, questo lo farà Paolo di Tarso, come vedremo, ha riformato profondamente una religione già esistente, l’ebraismo. Ma la sua natura era umana, solo umana. 

  1. GESU’ CRISTO
Gesù, figura storica fuori discussione, viene trattato dalle cronache storiche dell’epoca come un profeta minore dell’epoca di Tiberio. La sua natura è solo umana, le sue doti, amplificate dai suoi agiografi, sono state esagerate, come spesso accadeva in quel tempo, in cui molti sedicenti profeti si proclamavano “l’unto del Signore, il figlio di Dio”. Il Cristo storico, probabilmente, non si proclamò mai tale, era sicuramente in possesso di doti particolari: le guarigioni miracolose erano, nella maggior parte dei casi, il frutto di doti da pranoterapeuta possedute da Cristo ed il prodotto di una possibile autosuggestione. Il Nuovo Testamento è un libro mitologico che descrive l’epica cristiana, non deve, necessariamente, essere preso alla lettera, non avendo pretese di essere una scrittura storica. La sua crocifissione, un fatto probabilmente reale, fu sicuramente dovuto al seguito sempre crescente che le sue parole di riformatore della proverbiale ipocrisia del sinedrio ebraico incontravano presso la popolazione della Palestina di allora. Il clero ebraico, ancorato a privilegi e favori non indifferenti, lasciato pressocchè libero di agire dai dominatori romani, racchiudeva nelle sue mani un potere considerevole, è evidente, quindi, che un predicatore che considerava come eretici i suoi componenti dovesse essere eliminato, quale scomodo elemento disturbatore e fomentatore di disordini. L’esecuzione di Cristo non aveva motivazioni solo religiose. L’atteggiamento permissivo del governo romano, rappresentato da Ponzio Pilato, ne è una chiara testimonianza. Per il sinedrio Gesù era uno scomodo disturbatore, per i romani era un perturbatore dell’ordine pubblico. Cristo fu concepito come un qualsiasi altro essere umano, Maria non possedeva, di conseguenza, prerogative particolari, né verginità, né, tantomeno, immacolata concezione, un dogma, quest’ultimo, che sfiora addirittura il ridicolo.

  1. LA NATURA DI DIO
Il Dio unico è una entità assoluta, metafisica, non creatore, puro spirito di cui noi siamo solo delle emanazioni. E’ un essere eterno, appartenente alla sfera spirituale cui noi partecipiamo con la parte spirituale della nostra anima. Essendo solo sue emanazioni, possedendo una sua scintilla dentro la nostra anima, a lui apparteniamo, e a lui torneremo alla fine del nostro percorso terreno. Dio non giudica nessuno, non essendo questo il suo compito, non ha creato degli esseri viventi imperfetti per poi giudicare le loro azioni. Al termine della nostra vicenda terrena, l’uomo viene riassunto nella sua essenza, torna a far parte del suo principio vitale. Dio non è il grande ragioniere dell’universo che alla fine della nostra esistenza fa un bilancio delle nostre opere, e su tale base decide se comminarci la pena eterna o il Paradiso. Ci accoglie semplicemente come un Padre, il nostro Padre celeste. In lui, la nostra anima, dopo le sofferenze e i dolori che la vita terrena comporta, trovano pace, ristoro, consolazione e misericordia. Torneremo a Dio perché siamo parte di Lui.

  1. L’UOMO
Nell’uomo esiste una parte dell’anima, intesa come complesso di emozioni, percezioni, sensazioni, amore, memorie, che non appartiene a questo mondo, ma lo trascende. E’, appunto, la parte spirituale. Esiste una distinzione fondamentale tra anima razionale (che si può identificare con il cervello e tutte le sue implicazioni neurologiche e psichiatriche) e la sfera spirituale che, non essendo materiale, è insondabile alla ricerca scientifica umana. Questa parte, che appartiene solo a Dio è quella che ci consente di tornare a lui al termine della nostra vita, conseguendo così l’immortalità. In questo senso l’immortalità dell’anima è la prerogativa fondamentale del nostro spirito, non della nostra anima. Ritorniamo a Dio, al nostro principio immortale. Non esistono opere meritorie, perchè Inferno, Purgatorio e Paradiso, sono delle pure invenzioni umane, anche piuttosto fantasiose e maldestre. Ricordiamo sempre che inferno e paradiso sono solo delle metafore o delle allegorie di cui si servono i compilatori delle sacre scritture, alludono all’unica realtà della vita eterna per tutti, una volta riassunti in Dio. La fede, in questo senso, non è un mezzo per destinarci alla salvezza, è solo un segno che possiedono alcuni uomini che riescono a raggiungere la consapevolezza del nostro destino. La fede non costituisce nessun merito, come le opere, è solo il mezzo con il quale l’uomo entra in comunicazione con Dio, e comprende il proprio destino finale. Il bene si compie come norma universale di comportamento, come imperativo categorico,  è doveroso compierlo di per sé stesso, non in vista di un tornaconto , ancorchè spirituale. 

  1. LE SACRE SCRITTURE
Le sacre scritture, intendendo con esse sia il Vecchio che il Nuovo Testamento, sono da intendersi, ovviamente non come cronache storiche ma i libri dell’epica del popolo ebraico prima e di quello cristiano per quanto attiene il Nuovo Testamento. Quest’ultimo, in particolare, scritto a più mani e simbolicamente attribuito ai quattro evangelisti, riporta i racconti tramandati oralmente dai primi cristiani, coloro che hanno conosciuto personalmente il Cristo, e i fedeli che si sono succeduti nel tempo. I racconti orali passati di bocca in bocca, di memoria in memoria, si arricchivano ad ogni passaggio di qualche particolare miracolistico in più, allo scopo di alimentare la fede nel redentore. E’ probabile che le prime narrazioni fossero del tutto verosimili, riconducendo la figura del Cristo ad uno dei profeti dell’antico testamento, con l’accentuazione dell’aspetto riformatore del suo predicare. Gesù, lo ricordiamo, non si è mai sognato di fondare una nuova religione. Nel corso dei passaggi da una generazione all’altra, la sua figura, ad opera soprattutto di Paolo di Tarso, il vero fondatore del cristianesimo, si sono arricchiti di testimonianze dubbie se non talvolta del tutto fantasiose, che fecero di Gesù il Messia, il figlio di Dio morto sulla croce per la nostra salvezza. La moltitudine di Vangeli apocrifi non fa che avvalorare questa tesi. Sono stati accolti, in effetti, nel canone sia cattolico che protestante, solo quelle scritture che rimarcassero l’aspetto divino della natura di Cristo. Gli altri vangeli furono  scartati essenzialmente perché facevano di Gesù una figura esclusivamente umana. Il risultato fu che i Vangeli cosiddetti canonici sono dei racconti allegorici pieni di simbolismi e svincolati, per buona parte, dalla realtà dei fatti storici. Il cristianesimo propriamente detto, fu creato successivamente da Paolo di Tarso, la cui influenza, desumibile dalle sue celebri epistole, sui fedeli del tempo fu enorme. Egli sistematizzò anche filosoficamente la figura di Gesù, facendone il Cristo, l’Unto del Signore, attribuendo alla sua morte sulla croce un valore salvifico per tutta l’umanità (la sostituzione vicaria), gettò le basi per la creazione della chiesa cristiana, le diede una struttura gerarchica, si inventò la figura di un “pontefice”, un rappresentante di Dio sulla terra, ed un clero ad egli sottomesso. La distinzione, che poi generò il dogma trinitario, tra il Padre ed il Figlio è dovuta sempre all’opera di Paolo. A rigore, il cristianesimo, religione nata all’insaputa del suo ispiratore Gesù di Nazareth, dovrebbe chiamarsi “paolinismo”. 

  1. IL CULTO
Nella chiesa cattolica i cosiddetti “papisti” pensano che un uomo come tutti noi possa essere il vicario di Dio sulla terra. In effetti, nelle rare occasioni in cui il Pontefice parla “ex cathedra” il suo dire è vincolante per tutti i fedeli ed ha effetto dogmatico. E’ evidentemente una distorsione della realtà. Nessun essere umano è in grado di rappresentare Dio in questo mondo, Le nefandezze compiute dai pontefici nella storia sono abbastanza note a tutti per essere qui ricordate. Non esiste nessuna differenza di grado tra fedele e sacerdote: il sacerdote è solo un divulgatore della parola di Dio, nulla di più. Nel cattolicesimo il prete amministra i sacramenti e la differenza con i fedeli è di grado oltre che di funzione: egli solo può, per esempio, nell’ambito della Messa, bere il vino dal calice consacrato. Presso i protestanti, il pastore può avere una famiglia come un qualsiasi fedele, non amministra alcun sacramento, la comunione avviene sotto le due specie, del pane e del vino. La “libertà del cristiano” implica un libero esame delle scritture: in esse ciascuno di noi può trovare autonomamente l’ispirazione che più gli si addice. Non ha senso un apparato teologico ed un catechismo degli adulti che interpreti per noi quello che ha stabilito il Magistero cattolico. La teologia della chiesa di Roma è fortemente influenzata dal pensiero ellenico e dai culti precristiani: non è la teologia di Dio. Il culto della Madonna, dei santi ecc. è pura idolatria. Il culto mariano venne introdotto per accogliere alcune istanze femminili nell’alveo cattolico: le donne sono tuttora escluse, paradossalmente, dal sacerdozio, in  questo modo si è cercato di usare come contrappeso un culto della Vergine che potesse colmare l’esclusione di fatto della donna dall’amministrazione dei sacramenti e la sua posizione di secondo piano nella chiesa cattolica. La misoginia del cattolicesimo è nota a tutti. L’intercessione dei santi, il traffico delle indulgenze (che esiste tuttora in occasione, per esempio, dei giubilei), il culto mariano sono tutti esempi di neopaganesimo presente tuttora presso i papisti. L’olimpo degli dei Dei con a capo Zeus – Dio padre e Giunone nelle vesti della Vergine Maria. Come già ribadito, la madre di Cristo non ha meriti particolari, non essendo “madre di dio”, ma madre di un uomo,  per quanto eccezionale, ma solo un uomo. I protestanti rifiutano il culto mariano, considerandolo “iperdulia”, e rigettano il culto de santi e delle immagini, considerate inadeguate a rappresentare l’assoluto, e comunque pericolosi veicoli dell’idolatria e della superstizione. Il culto si deve ridurre alla sola Santa Cena, il memoriale della morte di Cristo, l’ispiratore della nuova religione.

  1. LA GRAZIA
Da molti secoli si sono accese dispute tra cattolici e protestanti circa il ruolo dell’uomo nei confronti della Grazia, intesa come veicolo alla comunione con Dio e partecipazione al suo disegno nei nostri confronti. Secondo i cattolici i Sacramenti sono il veicolo della Grazia, e solo attraverso i Sacramenti l’uomo si può salvare, può cioè conseguire la vita eterna. Secondo la maggior parte delle confessioni Protestanti i Sacramenti  non sono altro che simboli che ricordano solo spiritualmente il ruolo di Gesù Cristo ed il confronto con la divinità. In realtà non esiste una Grazia propriamente detta. Dio non ha stabilito dall’eternità coloro che saranno salvati (predestinazione assoluta – posizione protestante) e tanto meno l’uomo è in grado ci collaborare con la Grazia di Dio per guadagnarsi il Paradiso (predestinazione relativa – posizione cattolica.)Dio non stabilisce nulla circa il nostro destino, non fa bilanci delle nostre esistenze, delle nostre opere pie e delle nostre malefatte in questo mondo. Anche la fede, invocata da sempre dai protestanti quale unico mezzo di salvezza, non ha valore salvifico, è solo un segno del nostro grado di consapevolezza della nostra finitudine, della nostra nullità al cospetto di Dio, della nostra convinzione che, al di là delle nostre intenzioni e del nostro grado di corruzione saremo comunque accolti dalle braccia del Padre che ci attende alla fine della vicenda terrena.

  1. I SACRAMENTI
Non hanno alcun valore, come pensano i cattolici, di veicolo alla grazia, hanno un valore puramente simbolico e spirituale, ma non mettono in comunicazione, trattandosi di azioni puramente umane, la creatura con Dio. Sono solo due, quelli istituiti direttamente da Cristo e menzionati dalla Scritture: il battesimo e la Santa Cena o eucarestia. Il battesimo ha un valore puramente formale e sociale, oltreché allegorico: designa l’ingresso della creatura nella comunità cristiana. La Santa Cena, fatta sotto le due specie del pane e del vino, ricorda l’agape ellenica. Si tratta della condivisione del pane del vino da parte della comunità dei fedeli a celebrare solo spiritualmente il sacrificio di Cristo, che, lo ricordiamo, essendo solo uomo è diventato un simbolo della vittima sacrificale, l’agnello di Dio. I cattolici credono che nel tabernacolo, fermo restando gli accidenti del pane del vino, sia realmente presente il Cristo crocifisso. In altre parole, noi umani percepiamo con gli occhi l’ostia consacrata, ma in realtà, dentro la teca, si nasconde il corpo di Cristo. Si tratta, ovviamente, di una posizione del tutto irrazionale e superstiziosa, ancora una volta paganeggiante. Nel tabernacolo è celato solo un simbolo, e la presenza di Dio è solo spirituale, come insegnava il riformatore zurighese Zwingli.

  1. IL PECCATO
Tutte le confessioni cristiane si sono sforzate di attribuire un senso ultimo al peccato, inteso come offesa a Dio, contravvenendo la sua legge, e offesa all’uomo, contravvenendo le leggi che gli uomini hanno stabilito per convivere in consorzi civili e sociali. Solo Dio è in grado di stabilire il nostro grado di consapevolezza, nel commettere una azione contraria alla sua legge o a quella degli uomini. Gli uomini non hanno le stesse possibilità genetiche, di evoluzione ambientale e di maturazione psichica e intellettuale. Un rampollo della famiglia Rothschild, i più ricchi del mondo, non si troverà a fronteggiare le stesse circostanze, gli stessi eventi di un figlio di Scampia, a Napoli. Esiste un ordine naturale delle cose, secondo il quale il nostro servo arbitrio sarà chiamato a misurarsi con avvenimenti che ad altri non toccheranno mai. E viceversa. Dal momento che solo Dio può vedere nella nostra coscienza come in una radiografia e leggere  i nostri cuori, non possiamo pretendere di condannare spiritualmente il nostro prossimo. Possiamo metterlo in carcere per tutelare la convivenza civile e l’ordine pubblico, ma Dio non fa i nostri stessi conti, ha un’altra misura di giudizio. Soprattutto non ha parametri di giudizio. Tutti gli uomini, indistintamente, non andranno in paradisi, inferni e purgatori, ma, alla fine dell’esistenza, torneranno al loro principio, la quintessenza di Dio, che tutti accoglierà come un Padre celeste. Dio non ha creato l’uomo per giudicarlo, non lo ha creato e basta. E quindi non lo giudica, siamo sue emanazione nel mondo, torneremo semplicemente al nostro principio spirituale. Il giusto compie il bene di per se stesso, come regola universale di comportamento. 

  1. LA CHIESA
Non c’è bisogna di alcuna Chiesa, tanto meno papista. La Chiesa è una invenzione dell’uomo, Gesù non si è mai sognato di fondare una chiesa nuova, al di fuori del culto giudaico. La chiesa è una innovazione di Paolo di Tarso, che si è inventato una struttura gerarchica, una struttura che, col tempo, è diventata per il mondo intero  un centro di potere temporale formidabile. Non occorre ripercorrere la storia di questa situazione per sapere quanto male ha fatto al mondo, di quante nefandezze, violenze, sopraffazioni si è macchiata. All’epoca della riforma protestante si era toccato il culmine. I Papi si comportavano come principi rinascimentali, circondati da fasti e atmosfere grevi da basso impero. Il solo fatto che fino al 1850 la chiesa di Cristo avesse possedimenti secolari ed un governo politico sui suoi abitanti è una autentica bestemmia dinanzi al Padre. Per sua stessa natura la chiesa deve essere esclusivamente spirituale, ciascun fedele può liberamente interpretare le scritture, non ha senso edificare una struttura materiale con delle regole ed una gerarchia, ma anche e soprattutto una amministrazione. Il denaro non deve scorrere nelle vene della vera chiesa, che è e deve restare solo spirituale, una comunità di fedeli accomunati solo dallo stesso pensiero e dalla stesa fede. Le opere di carità si possono svolgere benissimo in forma laica, non dobbiamo alcun rispetto, anzi dobbiamo riservare solo il nostro fiero disprezzo nei confronti di coloro che, vestendo i panni di “uomini di dio” hanno la convinzione di agire nel suo nome. Sono solo dei postulanti, degli impostori, millantatori di un credito che non  ha dato loro nessuno.

“E così dopo tanto tempo
Son tornato a Te
E viverti, credi, è sufficiente,
Te che io uso come alibi d’amore
Perché è davvero orribile
Accettare il niente.”
A. Fortis : “Dio volesse”










domenica 26 agosto 2012

PANICO IN BORSA: IL PRESIDENTE DELLA BUNDESBANK HA STARNUTITO TRE VOLTE

Roma (ANSA). Questa mattina, intorno alle ore 9,30, durante una intervista rilasciata tra gli altri al Daily Telegraph, il Presidente della Bundesbank Jens Weidmann, mentre stava rispondendo ad una delle domande, ha starnutito per tre volte consecutive. Immediatamente, nella sala stampa, si è diffuso un sentimento di sorpresa e sgomento. Secondo una diffusa credenza popolare, originaria, sembra, della Renania Westfalia, uno starnuto ripetuto per tre volte, è foriero di disgrazie per almeno tre anni. Un po’ come lo specchio infranto o il sale versato in tavola per noi italiani. L’unico modo, al pari di lanciare un pizzico di sale dietro le spalle, per stemperare la funesta eventualità, non è, come si potrebbe facilmente credere, rispondere alla serie di starnuti con un “salute!”, ma, viceversa, mandare a quel paese l’autore degli stessi. Nella sala, come un sol uomo, si è levato il grido, da parte di tutti gli astanti, “crepa!”, un grido liberatorio che ha ridato un po’ di calma a tutti i rappresentanti della stampa. Ciononostante, la notizia è quasi subito trapelata e ripresa dalle maggiori agenzie di stampa di tutto il mondo. Di lì a poco, si sono levati i primi commenti. Barack Obama, uno dei primi a rilasciare un breve comunicato, ha parlato di “scarsa volontà da parte dell’Europa di varare misure non depressive e volte alla crescita e allo sviluppo. “I tre starnuti di Weidmann sono un chiaro segno della debolezza dei propositi dei  tedeschi di voler veramente fare qualcosa per uscire dalla crisi”. Mario Monti, uno dei primi intervistati, ha cercato di minimizzare: “Non credo nella volontarietà del gesto di Weidmann, Angela Merkel mi ha recentemente rassicurato sullo scudo antispread. Penso che nel sistema di condizionamento della sala possa essersi introdotta qualche spora o polline che ha provocato il doloroso incidente”. L’on. Di Pietro ha parlato apertamente di “provocazione da parte della banda di crucchi che domina l’Europa, e di atteggiamento arrogante da parte di Weidmann, che vorrebbe, di fatto, sostituire Mario Draghi alla guida della BCE. Sulla scia di queste dichiarazioni, Beppe Grillo ha invitato, senza mezzi termini, l’Italia ad uscire dal’Euro, “se agli starnuti fosse seguito anche un colpo di tosse, sarebbe stata la fine per l’Euro”, ha aggiunto. In ordine sparso gli economisti. Se Roubini legge nella serie di starnuti di Weidmann  “la sicura esplosione dell’E uro nell’arco di 24 – 48 ore”, più cauto appare Krugman :“Weidmann ha voluto lanciare, attraverso i suoi turbinati, un chiaro segnale di ulteriore cautela e fermezza: viene, in sostanza, ribadito il no della Germania all’emissione di eurobond e alla condivisione del debito, forse si configura una accelerazione dell’espulsione della Grecia dall’eurozona”. Una delle poche voci fuori dal coro è proprio quella di Angela Merkel, che si è detta addirittura “felice della serie di starnuti di Weidmann, che avrebbe potuto “essere più nutrita se il Presidente della Bundesbank non si fosse immediatamente soffiato il naso”. “Consiglio Weidmann”, ha dichiarato, “per il futuro, a non trattenere più le sue manifestazioni raffredoriali, ma anzi ad incrementarle, esponendosi volutamente a correnti d’aria, o facendo delle solenni sudate ponendosi immediatamente dopo sotto un getto d’aria fredda di un condizionatore. Mi risulta peraltro che Jens abbia ancora le adenoidi, lo considero un segno del destino” ha poi aggiunto la Cancelliera tedesca. Purtroppo, nonostante le rassicurazioni pervenute dal presidente dell’eurogruppo Junkers “Gli starnuti di Weidmann non sposteranno di una virgola la nostra politica” e dal ministro dell’economia tedesco Schaeuble “E’ un segnale che ci riserviamo di valutare con calma il prossimo 19 ottobre, ma penso che si possa, tutto sommato, non essere troppo pessimisti.”, si è diffuso quasi immediatamente il panic selling nelle principali borse europee. Appena giunta la notizia le Borse hanno subito perdite di parecchi milioni di euro, andati in fumo in seguito alla serie di starnuti. Milano, maglia nera, ha chiuso la seduta lasciando sul parterre il 2, 45%, Parigi il 2,12, Francoforte l’1, 67%, Madrid il 2, 06%. Sono piovute le vendite sui bancari: Intesa Sanpaolo ha perduto il 3,67, Unicredit il 2,58. Weidmann si è detto, al termine dell’intervista, dispiaciuto per l’accaduto, promettendo di curare con maggiore attenzione le proprie manifestazioni flogistiche nasali, e, in ogni caso, molto sportivamente, ha dichiarato di aver augurato “crepa” anche a se stesso, in modo da cercar di scongiurare i tre anni di disgrazie non solo alla Germania ma all’intera eurozona. “Ho preferito sacrificare il mio destino”, ha aggiunto eroicamente, “piuttosto che coinvolgere le sorti delle popolazioni europee”. 




Ovviamente non è vero. Ma potrebbe esserlo. Siamo arrivati ad un punto tale di volatilità di borse e mercati, che un terremoto nel deserto del Gobi in Mongolia potrebbe causare il crollo di qualche titolo bancario. Nel mondo globale la dittatura della finanza senza regole ha partorito la distruzione della ragione. Lo spread, di per se stesso, non comporta nulla di particolare, è solo un indicatore finanziario, ma nella globalizzazione finanziaria può portare una nazione intera al default. E' grottesco, ma è così. Se non fosse che ci siamo dentro fino al collo, questa stupida commedia non ci farebbe neppure sorridere.




giovedì 23 agosto 2012

APPUNTI DI VIAGGIO


Reduce da un recente viaggio che mi ha condotto per mezza Europa, non posso fare a ameno di appuntarmi qualche rilievo. Ho attraversato, soffermandomi, nella Svizzera tedesca, in Francia, in Lussemburgo, in Belgio, in Olanda, in Germania. Indovinate un po’ in quale di questi paesi ho trovato il maggior grado di inciviltà, maleducazione, arroganza e ottusità mentale? Sì, proprio nella Svizzera tedesca e in Germania. Mentre non posso che tessere le lodi di un paese ad altissimo livello di qualità della vita, tenore dei servizi, capacità di accoglienza, cosmopolitismo, e lungimiranza come l’Olanda (Amsterdam ne è il più lampante degli esempi), i tedeschi continuano  a dimostrarsi ostili verso gli stranieri, soprattutto italiani, ciechi, sordi, protervi. In Olanda l’eutanasia, anche attiva, è consentita, nel senso che sebbene non sia specificamente legiferata è largamente tollerata, la prostituzione è regolamentata, non solo nel quartiere a luci rosse di Amsterdam, ma ovunque: le prostitute sono  controllate sotto il profilo sanitario e pagano le tasse come qualsiasi altro professionista. I matrimoni tra coppie dello stesso sesso è possibile, i diritti delle coppie di fatto sono identici a quelli delle coppie sposate. L’uso della marihuana è legalizzato (5 grammi per uso personale), è legale la vendita di piantine , la cannabis è largamente praticata e riconosciuta dalla farmacopea del paese. Particolare di non scarsa importanza: l’utilizzo del casco per la moto non è obbligatorio: per un paese nel quale la libertà individuale è il maggiore dei principi vigenti, una persona può essere lasciata libera, se lo crede necessario, di potersi rompere la testa andando in moto. In Italia il casco è diventato obbligatorio non per motivi umani o di prevenzione, ma solo per i costi sociali che rappresenterebbe un eventuale recupero di un sopravissuto ad un incidente. Il motivo è dunque puramente economico, non di principio. Lo stesso dicasi per la chiusura degli ospedali psichiatrici: con tutto il rispetto per il prof. Basaglia, la legge che porta il suo nome non è stata varata per i nobili contenuti che gli aveva attribuito il noto clinico, ma per il semplice fatto che, al pari di un carcerato, un degente psichiatrico cronico costava troppo. Una legge contrabbandata per civile e umanitaria aveva ancora una volta esclusive motivazioni finanziarie. Questa è l’Italia, e questa è l’Olanda. Un paese che ha raddoppiato il territorio strappandone la metà alle acque, e che con pochi milioni di abitanti ha edificato un impero (la compagnia olandese delle Indie spaziava dallo Suriname all’Indonesia). Una volta transitato in Germania, la musica cambiava totalmente. Nei locali se capiscono che sei italiano fanno di tutto per metterti in difficoltà e anche se comprendono quello che dici, in inglese o nella loro lingua, non abbandonano mai il loro atteggiamento canzonatorio. Gli alberghi, per quanto adeguati (4 stelle), cercano per gli italiani la sistemazione peggiore, e la sgarberia e la maleducazione regnano sovrane nei rapporti umani. Credono di mantenere il nostro paese. Monti, circa due settimane fa ha spiegato loro che è l’Italia, con gli altri paesi periferici, a mantenere la Germania. Con gli alti tassi di interesse applicati ai nostri titoli di stato (il famoso spread) noi paghiamo il debito tedesco, consentendo a questo popolo di finanziarsi praticamente a costo zero. Ma questo piccolo particolare sembra non essere avvertito dalla maggioranza della popolazione. Il nostro sentimento antitedesco non solo ha ragion d’essere, deve anzi accrescersi: sono i primi nemici dell’euro pur avendone tratto i maggiori profitti (ci si sono pagati ampiamente la riunificazione), sono spocchiosi, boriosi e strafottenti. Peggio di loro sono solo i finlandesi, un popolo di pochi milioni di anime, che abitano un territorio di laghi e betulle, che con un PIL insignificante fanno la voce grossa contro i “viziosi” popoli del sud Europa. Speriamo che se ne vadano dall’Euro, una loro uscita non sposterebbe di un millimetro gli asset europei. Sono talmente stupidi  da non meritare neppure il nostro disprezzo. In conclusone: il viaggio appena compiuto è stato utile: mi ha confermato in alcune convinzioni, e ne ha generato altre: in ogni caso non è stato tempo sprecato. Vivere in mezzo alla gente, conversare con loro, osservare  i loro comportamenti vale più di qualsiasi summit del Parlamento europeo. A proposito, la visita del Belgio, altro paese civilissimo, mi ha lasciato l’amaro in bocca. L’aver veduto e visitato le istituzioni europee, con un Euro messo repentaglio dall’immobilismo tedesco, mi ha dato una stretta al cuore. Che peccato sarebbe perdere tutto quello che abbiamo sin qui faticosamente prodotto e rappresentato! Ma si farà come vogliono i tedeschi, e la fine dell’euro rischia di non essere lontana.


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sabato 11 agosto 2012

PER DIGNITA', NON PER ODIO

Ogni anno, una volta all’anno, si dedica una giornata alla shoah, l’olocausto degli ebrei da parte dei criminali nazisti. Si celebra questo memoriale stancamente, ogni volta con le stesse frasi di circostanza. Le stesse parole, qualche volta gonfie di retorica. Si parla del “diario di Anna Frank” per ingentilire la giornata, facendola affogare in un mare di melassa. Ricordare l’olocausto non vuol dire parlare di  Anna Frank e del suo diario. Significa studiare a fondo il fenomeno nazionalsocialista, significa guardare e riguardare le immagini atroci dei campi di sterminio, immagini che rimangono scolpite nei cuori di ognuno di noi. Ricordare l’olocausto non ha niente a che fare con le stanche e ripetitive celebrazioni di una giornata all’anno. Vuole dire leggere “Se questo è un uomo” di Primo Levi, un uomo eccezionale che scrisse la pagina di condanna del nazismo più eloquente e spietata di qualsiasi trattato o saggio su Hitler e il suo movimento. Levi, con uno stile asciutto e privo di qualsiasi accento enfatico, formula una condanna senza appello di quei crimini, crimini che non potevano essere ignorati dalla popolazione civile. Lo sterminio di sei milioni di ebrei, con campi di concentramento disseminati anche nella stessa Germania, esclude completamente la possibilità che il popolo tedesco fosse all’oscuro di quanto stava accadendo. C’erano i pienamente consapevoli, certo, ma soprattutto quelli che non sapevano perché si turavano il naso e le orecchie. La spiegazione antropologica del dilemma del nazismo, un enigma non ancora pienamente risolto, è contenuta nel magnifico saggio, scritto dallo stesso levi, “I salvati e i sommersi”. Primo Levi, dopo aver dato al mondo la più cruda e realistica interpretazione di quanto misero in atto i nazisti, pose fine alla sua stessa esistenza, suicidandosi. Tanto pesante era il fardello, anche a distanza di molti anni, di quanto aveva veduto, di quello che la sua mente aveva a stento assimilato. Una realtà incredibile, che non ha mai avuto precedenti nella storia del mondo, una storia di atrocità senza fine, di miseria, di povertà spirituale, di ferocia spietata, fatta non solo di azioni tremende e irripetibili, ma sorretta da una ideologia, soprattutto quella di Chamberlain e Rosenberg, i maggiori fautori del razzismo. La dottrina della razza si fondava su presupposti teorici, per quanto raffazzonati alla meglio e a volte del tutto fantasiosi. Ma il solo fatto che gli stermini avessero addirittura dei presupposti ideologici non fa che aggravare la posizione del popolo tedesco, che leggeva i giornali nazisti, ascoltava la radio di regime, assisteva alle loro manifestazioni e quindi sapeva perfettamente che il proposito di Hitler era quello di purificare la razza ariana e liberarla dal cancro ebraico. C’è una frase, nel libro di Levi, che è più eloquente di qualsiasi dissertazione: “Noi abbiamo viaggiato fin qui nei vagoni piombati; noi abbiamo visto partire verso il niente le nostre donne e i nostri bambini; noi fatti schiavi abbiamo marciato cento volte avanti e indietro alla fatica muta, spenti nell’anima prima che dalla morte anonima. Noi non ritorneremo. Nessuno deve uscire di qui, che potrebbe portare al mondo , insieme col segno impresso nella carne, la mala novella di quanto, ad Auschwitz, è bastato animo all’uomo di fare dell’uomo”. C’è un altro, memorabile passo, che ricordo nitidamente: nessuna pena, nessun castigo, nessun giudizio, insomma nulla che sia in potere dell’uomo può cancellare quanto avvenuto. Ci sono colpe che sono inemendabili, anche dopo secoli di storia, colpe che non si possono  più rimuovere. Sono scolpite nelle coscienze di ogni essere umano degno di essere tale. 

Non deve apparire strumentale il discorso appena fatto. So che l’accostamento alla contrazione economica che stiamo vivendo ormai da cinque anni, e che continuerà per diversi decenni, può apparire ad alcuni addirittura indecente. Eppure, c’è qualcosa nell’animo dei tedeschi di insopprimibile, una volontà di potenza, di dominio e di sopraffazione che ha i suoi prerequisiti in Nietzsche, in Wagner, in Hitler stesso. Qualcosa nella loro memoria ancestrale che li porta, dai tempi dei Visigoti, alla ricerca della conquista del “lebensraum” lo spazio vitale di cui il popolo tedesco non è mai sazio, è qualcosa che non ha una facile spiegazione, ma che ricompare ogni volta dopo le sconfitte. I tedeschi hanno causato due guerre mondiali, nel secolo scorso, le hanno perdute entrambe, lasciando dietro di sé una scia infinita di vittime. I conflitti armati, che nel civilissimo ventunesimo secolo si sono spostati sul piano dell’economia e della finanza, li vedono ancora una volta protagonisti. Abbiamo concesso loro di riunificarsi, anche se è stato un errore. Ma il blocco degli stati dell’est si era sgretolato e con essi anche il muro di Berlino è caduto. Ora abbiamo compreso che è stato uno sbaglio. Berlino e la Germania sono state divise solo per una cinquantina d’anni: per quello che hanno commesso non sarebbero bastati cinquanta secoli. Abbiamo dato vita all’euro, l’Italia è stato il paese, con i trattati di Roma, a dare l’avvio al processo di integrazione europea, prima con il MEC, poi con la CEE, infine con l’UE. Ci siamo dati una moneta comune, ma la BCE è rimasta ostaggio, a Francoforte, nel loro territorio, della Bundesbank, e con l’euro convertito alla pari con il marco, i tedeschi si sono pagati la difficile riunificazione. Adesso vivono loro alle nostre spalle, lucrando su tassi di interesse (il famoso spread), che siamo costretti a versare per vendere i nostri titoli di stato, pagando di fatto il loro debito, contratto, viceversa, a tassi prossimi allo zero. La politica comunitaria tedesca è molto semplice, l’ha spiegata molto bene , qualche giorno fa il signor Weidmann, presidente della Bundesbank; “si fa come diciamo noi, perché siamo i più forti e qui comandiamo noi”. Fine del discorso. Nessuna condivisione del debito con emissione di eurobond, nessuna  unione bancaria con relativo quantitative easing da parte della BCE alle banche in difficoltà, gli aiuti vengono concessi in cambio di cessione di sovranità. Il fondo di stabilità ESM non può partire perché la Corte Costituzionale tedesca si pronuncerà a riguardo solo a settembre. Tutto questo, se non avesse conseguenze drammatiche, dovrebbe suscitare la nostra ilarità. Il popolo rigoroso, austero, predicatore di sacrifici e privazioni, paladino dell’onestà e della rettitudine, la nazione più moralista, in economia, del mondo intero, è stata capace di compiere le orrende nefandezze dell’olocausto. Suona strano, oggi, ad appena settant’anni da quegli avvenimenti, sentire i fervorini che ci pervengono dal maggiore dei paesi “virtuosi”, a noi, che siamo un paese “vizioso”. La finanza, perché di questo si tratta, (l’economia reale è un’altra cosa), la dittatura finanziaria cui siamo sottoposti ha sovvertito qualunque valore, la realtà stessa. L’economia reale della Germania non è affatto come appare filtrata dalla finanza priva di regole: il debito pubblico implicito, se sommato a quello esplicito (quello delle statistiche) è molto superiore al nostro. Anche in economia la Germani non è affatto, rispetto all’Italia, un paese virtuoso. Ma le alchimie della finanza drogata dei mercati hanno ridato una verginità ad un paese che andava, per quanto aveva fatto, addirittura escluso dall’Unione europea, oppure condannato a restare diviso. Che i tedeschi, che hanno nel loro DNA l’ideologia di Nietzsche, vengano a farci la morale, beh, francamente, è cosa da far accapponare la pelle.


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