giovedì 30 agosto 2012

DODICI TESI SUL CRISTIANESIMO


« Essere uno con il tutto, questo è il vivere degli dei; questo è il cielo per l'uomo [...] Essere uno con tutto ciò che vive! Con queste parole la virtù depone la sua austera corazza, lo spirito umano lo scettro e tutti i pensieri si disperdono innanzi all'immagine del mondo eternamente uno [...] e la ferrea fatalità rinuncia al suo potere e la morte scompare dalla società delle creature e l'indissolubilità e l'eterna giovinezza rendono felice e bello il mondo [...] un dio è l'uomo quando sogna, un mendicante quando riflette [...] »
(Hölderlin, Iperione)

  1. LA CREAZIONE
Alla luce dei principi e delle leggi della fisica e astrofisica moderne, e soprattutto dei modelli cosmologici esistenti, si può escludere qualsiasi tipo di creazione, non solo dell’uomo, prodotto dell’evoluzione della vita, ma anche della materia. Il cosiddetto “bosone di Higgs” definito del tutto impropriamente “particella di Dio”, con Dio non ha nulla a che vedere. E’ una sorta di “collante” della materia, nulla di più. Le due ipotesi fondamentali della cosmologia, quella del “big bang” e quella dell’universo “ciclico” escludono l’intervento divino. Nel primo caso, sebbene l’universo sia tuttora in espansione, si può supporre, ad un certo punto della sua storia, un movimento contrario di contrazione, sino a pervenire ad un “big crunch”, il ritorno del cosmo alla dimensione di un punto di densità infinita dal quale potrebbe ripartire un big bang e così via. L’altra ipotesi, quella degli universi ciclici, prevede l’esistenza di un numero indefinito di universi, che continuano ad espandersi, come il nostro, fino al raggiungimento massimo del grado di entropia, cioè fino al massimo dell’ordine possibile. La materia, allontanandosi da un nucleo centrale, finisce col diradarsi al punto che l’universo potrebbe essere costituito da soli buchi neri dove la materia si annulla. E’ la morte termica dell’universo. Dalla costituzione di un unico buco nero di dimensioni infinite potrebbe rigenerarsi un nuovo o altri nuovi universi, ciclicamente. In sostanza, sebbene sotto diversi aspetti, la materia esiste da sempre e sempre esisterà. Non c’è nessun Demiurgo che abbia dato vita all’universo per poi disinteressarsene, così come non esiste un Dio provvido, che crea la materia, la fa evolvere fino alla creazione della vita, intervenendo poi  periodicamente nella sua esistenza. Non dimentichiamo che, a livello probabilistico, la nostra posizione nel cosmo è talmente marginale da poter lecitamente supporre l’esistenza di un numero elevatissimo se non infinito di altri mondi le cui condizioni siano compatibili con la vita. Statisticamente la probabilità dell’esistenza di altre creature intelligenti nell’universo è elevatissima. Queste stesse creature potrebbero avere elaborato anche loro una teologia analoga o contraria alla nostra, sulla base delle loro conoscenze e del grado delle loro intelligenze. In conclusione è probabile che esistano altri esseri viventi che professino una religione non antitetica alla nostra ma anzi, egualmente possibile. Non possiamo, in un simile contesto, pretendere di possedere la chiave del mistero della vita, il nostro è solo un punto di vista molto limitato e marginale.

  1. LA TRINITA’
Non essendovi un Dio creatore, il dogma trinitario, di conseguenza, non ha più alcuna ragion d’essere. Si tratta di una sofisma, una elaborazione di qualche secolo posteriore alla vicenda di Cristo, una evidente forzatura di natura ellenistica per giustificare il più importante dogma dell’incarnazione. In epoca patristica, quando bisognava dare una sistemazione filosofica al cristianesimo, sotto la forte influenza di Paolo di Tarso e dell’impianto filosofico platonico, venne concepito, i maniera peraltro assai farraginosa, un dogma che contemplava tre aspetti della figura di Dio. Tre persone distinte che partecipano della stessa sostanza. Ora, se può essere comprensibile una distinzione tra Padre e Figlio, la persona dello Spirito Santo non è che il frutto di una elaborazione puramente umana, non essendovi in tutte le sacre scritture alcuna traccia di tale persona. Il dogma trinitario sfiora, di fatto, l’eresia, in quanto mette a serio rischio il monoteismo assoluto, presupposto fondamentale del cristianesimo. Esiste un unico Dio, una sola persona divina, le altre due non sono altro che “emanazioni”, che aspetti o riflessi dell’unica persona di Dio. 

  1. L’INCARNAZIONE
Altro dogma fondamentale, che accomuna tutte le confessioni cristiane, cattoliche e protestanti, è costituito dall’Incarnazione di Dio o del figlio di Dio in un essere umano. Il dogma, anch’esso definito in epoca molto posteriore alla vicenda terrena di Cristo, si rese necessario per motivare la sostituzione vicaria del Cristo all’uomo imperfetto e peccatore. In altra parole, solo il sacrificio della divinità stessa poteva cancellare, al cospetto di Dio, la perdita dell’integrità della natura umana, la sua propensione al peccato, la sua imperfezione. L’obiezione non è difficile: se Dio, che possiede tutte le perfezioni, è onnisciente, onnipresente ecc. crea l’uomo imperfetto, lo dota di una natura corruttibile, è evidente che prevede anche la sua caduta. La perdita dell’Eden, la caduta dal paradiso terrestre non è altro che un mito. Dio crea l’uomo imperfetto, messo alla prova delude le aspettative del creatore, perde di conseguenza le prerogative dell’Eden, prima fra tutte l’immortalità. Per riparare ad un danno che Dio aveva ampiamente previsto, il Padre manda sulla terra il Figlio, lo fa patire e morire sulla croce per ricostituire una integrità perduta. Il ragionamento appare, francamente, un poco macchinoso. Che bisogno aveva Dio di farsi crocifiggere per la salvezza delle anime delle sue stesse creature, che essendo create imperfette non potevano che deludere il creatore. Non esiste dunque nessuna incarnazione divina in un uomo. Cristo è stato semplicemente l’ultimo dei profeti dell’Antico Testamento. L’ultimo ed il più importante, perché ha radicalmente riformato il giudaismo. Si badi bene, non ha fondato una nuova religione, questo lo farà Paolo di Tarso, come vedremo, ha riformato profondamente una religione già esistente, l’ebraismo. Ma la sua natura era umana, solo umana. 

  1. GESU’ CRISTO
Gesù, figura storica fuori discussione, viene trattato dalle cronache storiche dell’epoca come un profeta minore dell’epoca di Tiberio. La sua natura è solo umana, le sue doti, amplificate dai suoi agiografi, sono state esagerate, come spesso accadeva in quel tempo, in cui molti sedicenti profeti si proclamavano “l’unto del Signore, il figlio di Dio”. Il Cristo storico, probabilmente, non si proclamò mai tale, era sicuramente in possesso di doti particolari: le guarigioni miracolose erano, nella maggior parte dei casi, il frutto di doti da pranoterapeuta possedute da Cristo ed il prodotto di una possibile autosuggestione. Il Nuovo Testamento è un libro mitologico che descrive l’epica cristiana, non deve, necessariamente, essere preso alla lettera, non avendo pretese di essere una scrittura storica. La sua crocifissione, un fatto probabilmente reale, fu sicuramente dovuto al seguito sempre crescente che le sue parole di riformatore della proverbiale ipocrisia del sinedrio ebraico incontravano presso la popolazione della Palestina di allora. Il clero ebraico, ancorato a privilegi e favori non indifferenti, lasciato pressocchè libero di agire dai dominatori romani, racchiudeva nelle sue mani un potere considerevole, è evidente, quindi, che un predicatore che considerava come eretici i suoi componenti dovesse essere eliminato, quale scomodo elemento disturbatore e fomentatore di disordini. L’esecuzione di Cristo non aveva motivazioni solo religiose. L’atteggiamento permissivo del governo romano, rappresentato da Ponzio Pilato, ne è una chiara testimonianza. Per il sinedrio Gesù era uno scomodo disturbatore, per i romani era un perturbatore dell’ordine pubblico. Cristo fu concepito come un qualsiasi altro essere umano, Maria non possedeva, di conseguenza, prerogative particolari, né verginità, né, tantomeno, immacolata concezione, un dogma, quest’ultimo, che sfiora addirittura il ridicolo.

  1. LA NATURA DI DIO
Il Dio unico è una entità assoluta, metafisica, non creatore, puro spirito di cui noi siamo solo delle emanazioni. E’ un essere eterno, appartenente alla sfera spirituale cui noi partecipiamo con la parte spirituale della nostra anima. Essendo solo sue emanazioni, possedendo una sua scintilla dentro la nostra anima, a lui apparteniamo, e a lui torneremo alla fine del nostro percorso terreno. Dio non giudica nessuno, non essendo questo il suo compito, non ha creato degli esseri viventi imperfetti per poi giudicare le loro azioni. Al termine della nostra vicenda terrena, l’uomo viene riassunto nella sua essenza, torna a far parte del suo principio vitale. Dio non è il grande ragioniere dell’universo che alla fine della nostra esistenza fa un bilancio delle nostre opere, e su tale base decide se comminarci la pena eterna o il Paradiso. Ci accoglie semplicemente come un Padre, il nostro Padre celeste. In lui, la nostra anima, dopo le sofferenze e i dolori che la vita terrena comporta, trovano pace, ristoro, consolazione e misericordia. Torneremo a Dio perché siamo parte di Lui.

  1. L’UOMO
Nell’uomo esiste una parte dell’anima, intesa come complesso di emozioni, percezioni, sensazioni, amore, memorie, che non appartiene a questo mondo, ma lo trascende. E’, appunto, la parte spirituale. Esiste una distinzione fondamentale tra anima razionale (che si può identificare con il cervello e tutte le sue implicazioni neurologiche e psichiatriche) e la sfera spirituale che, non essendo materiale, è insondabile alla ricerca scientifica umana. Questa parte, che appartiene solo a Dio è quella che ci consente di tornare a lui al termine della nostra vita, conseguendo così l’immortalità. In questo senso l’immortalità dell’anima è la prerogativa fondamentale del nostro spirito, non della nostra anima. Ritorniamo a Dio, al nostro principio immortale. Non esistono opere meritorie, perchè Inferno, Purgatorio e Paradiso, sono delle pure invenzioni umane, anche piuttosto fantasiose e maldestre. Ricordiamo sempre che inferno e paradiso sono solo delle metafore o delle allegorie di cui si servono i compilatori delle sacre scritture, alludono all’unica realtà della vita eterna per tutti, una volta riassunti in Dio. La fede, in questo senso, non è un mezzo per destinarci alla salvezza, è solo un segno che possiedono alcuni uomini che riescono a raggiungere la consapevolezza del nostro destino. La fede non costituisce nessun merito, come le opere, è solo il mezzo con il quale l’uomo entra in comunicazione con Dio, e comprende il proprio destino finale. Il bene si compie come norma universale di comportamento, come imperativo categorico,  è doveroso compierlo di per sé stesso, non in vista di un tornaconto , ancorchè spirituale. 

  1. LE SACRE SCRITTURE
Le sacre scritture, intendendo con esse sia il Vecchio che il Nuovo Testamento, sono da intendersi, ovviamente non come cronache storiche ma i libri dell’epica del popolo ebraico prima e di quello cristiano per quanto attiene il Nuovo Testamento. Quest’ultimo, in particolare, scritto a più mani e simbolicamente attribuito ai quattro evangelisti, riporta i racconti tramandati oralmente dai primi cristiani, coloro che hanno conosciuto personalmente il Cristo, e i fedeli che si sono succeduti nel tempo. I racconti orali passati di bocca in bocca, di memoria in memoria, si arricchivano ad ogni passaggio di qualche particolare miracolistico in più, allo scopo di alimentare la fede nel redentore. E’ probabile che le prime narrazioni fossero del tutto verosimili, riconducendo la figura del Cristo ad uno dei profeti dell’antico testamento, con l’accentuazione dell’aspetto riformatore del suo predicare. Gesù, lo ricordiamo, non si è mai sognato di fondare una nuova religione. Nel corso dei passaggi da una generazione all’altra, la sua figura, ad opera soprattutto di Paolo di Tarso, il vero fondatore del cristianesimo, si sono arricchiti di testimonianze dubbie se non talvolta del tutto fantasiose, che fecero di Gesù il Messia, il figlio di Dio morto sulla croce per la nostra salvezza. La moltitudine di Vangeli apocrifi non fa che avvalorare questa tesi. Sono stati accolti, in effetti, nel canone sia cattolico che protestante, solo quelle scritture che rimarcassero l’aspetto divino della natura di Cristo. Gli altri vangeli furono  scartati essenzialmente perché facevano di Gesù una figura esclusivamente umana. Il risultato fu che i Vangeli cosiddetti canonici sono dei racconti allegorici pieni di simbolismi e svincolati, per buona parte, dalla realtà dei fatti storici. Il cristianesimo propriamente detto, fu creato successivamente da Paolo di Tarso, la cui influenza, desumibile dalle sue celebri epistole, sui fedeli del tempo fu enorme. Egli sistematizzò anche filosoficamente la figura di Gesù, facendone il Cristo, l’Unto del Signore, attribuendo alla sua morte sulla croce un valore salvifico per tutta l’umanità (la sostituzione vicaria), gettò le basi per la creazione della chiesa cristiana, le diede una struttura gerarchica, si inventò la figura di un “pontefice”, un rappresentante di Dio sulla terra, ed un clero ad egli sottomesso. La distinzione, che poi generò il dogma trinitario, tra il Padre ed il Figlio è dovuta sempre all’opera di Paolo. A rigore, il cristianesimo, religione nata all’insaputa del suo ispiratore Gesù di Nazareth, dovrebbe chiamarsi “paolinismo”. 

  1. IL CULTO
Nella chiesa cattolica i cosiddetti “papisti” pensano che un uomo come tutti noi possa essere il vicario di Dio sulla terra. In effetti, nelle rare occasioni in cui il Pontefice parla “ex cathedra” il suo dire è vincolante per tutti i fedeli ed ha effetto dogmatico. E’ evidentemente una distorsione della realtà. Nessun essere umano è in grado di rappresentare Dio in questo mondo, Le nefandezze compiute dai pontefici nella storia sono abbastanza note a tutti per essere qui ricordate. Non esiste nessuna differenza di grado tra fedele e sacerdote: il sacerdote è solo un divulgatore della parola di Dio, nulla di più. Nel cattolicesimo il prete amministra i sacramenti e la differenza con i fedeli è di grado oltre che di funzione: egli solo può, per esempio, nell’ambito della Messa, bere il vino dal calice consacrato. Presso i protestanti, il pastore può avere una famiglia come un qualsiasi fedele, non amministra alcun sacramento, la comunione avviene sotto le due specie, del pane e del vino. La “libertà del cristiano” implica un libero esame delle scritture: in esse ciascuno di noi può trovare autonomamente l’ispirazione che più gli si addice. Non ha senso un apparato teologico ed un catechismo degli adulti che interpreti per noi quello che ha stabilito il Magistero cattolico. La teologia della chiesa di Roma è fortemente influenzata dal pensiero ellenico e dai culti precristiani: non è la teologia di Dio. Il culto della Madonna, dei santi ecc. è pura idolatria. Il culto mariano venne introdotto per accogliere alcune istanze femminili nell’alveo cattolico: le donne sono tuttora escluse, paradossalmente, dal sacerdozio, in  questo modo si è cercato di usare come contrappeso un culto della Vergine che potesse colmare l’esclusione di fatto della donna dall’amministrazione dei sacramenti e la sua posizione di secondo piano nella chiesa cattolica. La misoginia del cattolicesimo è nota a tutti. L’intercessione dei santi, il traffico delle indulgenze (che esiste tuttora in occasione, per esempio, dei giubilei), il culto mariano sono tutti esempi di neopaganesimo presente tuttora presso i papisti. L’olimpo degli dei Dei con a capo Zeus – Dio padre e Giunone nelle vesti della Vergine Maria. Come già ribadito, la madre di Cristo non ha meriti particolari, non essendo “madre di dio”, ma madre di un uomo,  per quanto eccezionale, ma solo un uomo. I protestanti rifiutano il culto mariano, considerandolo “iperdulia”, e rigettano il culto de santi e delle immagini, considerate inadeguate a rappresentare l’assoluto, e comunque pericolosi veicoli dell’idolatria e della superstizione. Il culto si deve ridurre alla sola Santa Cena, il memoriale della morte di Cristo, l’ispiratore della nuova religione.

  1. LA GRAZIA
Da molti secoli si sono accese dispute tra cattolici e protestanti circa il ruolo dell’uomo nei confronti della Grazia, intesa come veicolo alla comunione con Dio e partecipazione al suo disegno nei nostri confronti. Secondo i cattolici i Sacramenti sono il veicolo della Grazia, e solo attraverso i Sacramenti l’uomo si può salvare, può cioè conseguire la vita eterna. Secondo la maggior parte delle confessioni Protestanti i Sacramenti  non sono altro che simboli che ricordano solo spiritualmente il ruolo di Gesù Cristo ed il confronto con la divinità. In realtà non esiste una Grazia propriamente detta. Dio non ha stabilito dall’eternità coloro che saranno salvati (predestinazione assoluta – posizione protestante) e tanto meno l’uomo è in grado ci collaborare con la Grazia di Dio per guadagnarsi il Paradiso (predestinazione relativa – posizione cattolica.)Dio non stabilisce nulla circa il nostro destino, non fa bilanci delle nostre esistenze, delle nostre opere pie e delle nostre malefatte in questo mondo. Anche la fede, invocata da sempre dai protestanti quale unico mezzo di salvezza, non ha valore salvifico, è solo un segno del nostro grado di consapevolezza della nostra finitudine, della nostra nullità al cospetto di Dio, della nostra convinzione che, al di là delle nostre intenzioni e del nostro grado di corruzione saremo comunque accolti dalle braccia del Padre che ci attende alla fine della vicenda terrena.

  1. I SACRAMENTI
Non hanno alcun valore, come pensano i cattolici, di veicolo alla grazia, hanno un valore puramente simbolico e spirituale, ma non mettono in comunicazione, trattandosi di azioni puramente umane, la creatura con Dio. Sono solo due, quelli istituiti direttamente da Cristo e menzionati dalla Scritture: il battesimo e la Santa Cena o eucarestia. Il battesimo ha un valore puramente formale e sociale, oltreché allegorico: designa l’ingresso della creatura nella comunità cristiana. La Santa Cena, fatta sotto le due specie del pane e del vino, ricorda l’agape ellenica. Si tratta della condivisione del pane del vino da parte della comunità dei fedeli a celebrare solo spiritualmente il sacrificio di Cristo, che, lo ricordiamo, essendo solo uomo è diventato un simbolo della vittima sacrificale, l’agnello di Dio. I cattolici credono che nel tabernacolo, fermo restando gli accidenti del pane del vino, sia realmente presente il Cristo crocifisso. In altre parole, noi umani percepiamo con gli occhi l’ostia consacrata, ma in realtà, dentro la teca, si nasconde il corpo di Cristo. Si tratta, ovviamente, di una posizione del tutto irrazionale e superstiziosa, ancora una volta paganeggiante. Nel tabernacolo è celato solo un simbolo, e la presenza di Dio è solo spirituale, come insegnava il riformatore zurighese Zwingli.

  1. IL PECCATO
Tutte le confessioni cristiane si sono sforzate di attribuire un senso ultimo al peccato, inteso come offesa a Dio, contravvenendo la sua legge, e offesa all’uomo, contravvenendo le leggi che gli uomini hanno stabilito per convivere in consorzi civili e sociali. Solo Dio è in grado di stabilire il nostro grado di consapevolezza, nel commettere una azione contraria alla sua legge o a quella degli uomini. Gli uomini non hanno le stesse possibilità genetiche, di evoluzione ambientale e di maturazione psichica e intellettuale. Un rampollo della famiglia Rothschild, i più ricchi del mondo, non si troverà a fronteggiare le stesse circostanze, gli stessi eventi di un figlio di Scampia, a Napoli. Esiste un ordine naturale delle cose, secondo il quale il nostro servo arbitrio sarà chiamato a misurarsi con avvenimenti che ad altri non toccheranno mai. E viceversa. Dal momento che solo Dio può vedere nella nostra coscienza come in una radiografia e leggere  i nostri cuori, non possiamo pretendere di condannare spiritualmente il nostro prossimo. Possiamo metterlo in carcere per tutelare la convivenza civile e l’ordine pubblico, ma Dio non fa i nostri stessi conti, ha un’altra misura di giudizio. Soprattutto non ha parametri di giudizio. Tutti gli uomini, indistintamente, non andranno in paradisi, inferni e purgatori, ma, alla fine dell’esistenza, torneranno al loro principio, la quintessenza di Dio, che tutti accoglierà come un Padre celeste. Dio non ha creato l’uomo per giudicarlo, non lo ha creato e basta. E quindi non lo giudica, siamo sue emanazione nel mondo, torneremo semplicemente al nostro principio spirituale. Il giusto compie il bene di per se stesso, come regola universale di comportamento. 

  1. LA CHIESA
Non c’è bisogna di alcuna Chiesa, tanto meno papista. La Chiesa è una invenzione dell’uomo, Gesù non si è mai sognato di fondare una chiesa nuova, al di fuori del culto giudaico. La chiesa è una innovazione di Paolo di Tarso, che si è inventato una struttura gerarchica, una struttura che, col tempo, è diventata per il mondo intero  un centro di potere temporale formidabile. Non occorre ripercorrere la storia di questa situazione per sapere quanto male ha fatto al mondo, di quante nefandezze, violenze, sopraffazioni si è macchiata. All’epoca della riforma protestante si era toccato il culmine. I Papi si comportavano come principi rinascimentali, circondati da fasti e atmosfere grevi da basso impero. Il solo fatto che fino al 1850 la chiesa di Cristo avesse possedimenti secolari ed un governo politico sui suoi abitanti è una autentica bestemmia dinanzi al Padre. Per sua stessa natura la chiesa deve essere esclusivamente spirituale, ciascun fedele può liberamente interpretare le scritture, non ha senso edificare una struttura materiale con delle regole ed una gerarchia, ma anche e soprattutto una amministrazione. Il denaro non deve scorrere nelle vene della vera chiesa, che è e deve restare solo spirituale, una comunità di fedeli accomunati solo dallo stesso pensiero e dalla stesa fede. Le opere di carità si possono svolgere benissimo in forma laica, non dobbiamo alcun rispetto, anzi dobbiamo riservare solo il nostro fiero disprezzo nei confronti di coloro che, vestendo i panni di “uomini di dio” hanno la convinzione di agire nel suo nome. Sono solo dei postulanti, degli impostori, millantatori di un credito che non  ha dato loro nessuno.

“E così dopo tanto tempo
Son tornato a Te
E viverti, credi, è sufficiente,
Te che io uso come alibi d’amore
Perché è davvero orribile
Accettare il niente.”
A. Fortis : “Dio volesse”