sabato 1 settembre 2012

CONVIVERE CON LA CRISI PERMANENTE



Convivere con la crisi. Quante volte abbiamo letto queste parole, sui giornali, in giro per la città, alla TV. Ma ci sono diversi errori di fondo che contraddistinguono i luoghi comuni sulla crisi. Intanto, non si tratta di una crisi. Il termine “crisi” sarebbe estremamente riduttivo. Si tratta, in economia, di una “contrazione economica mondiale”. Si tratta di un evento straordinariamente raro, un “cigno nero” appunto. Non si ha memoria di una simile fenomeno da quando l’economia esiste come scienza umana. Trattandosi di un evento mai verificatosi, sarebbe meglio definirla come una “singolarità”, un evento che si presenta per la prima volta e del quale, di conseguenza, non si ha esperienza ed una storia sulla quale fondarsi per cercare di formulare previsioni. Detto questo, c’è un altro aspetto che va chiarito una volta per tutte: non trattandosi di una crisi, ma di un cataclisma sistemico, non c’è in previsione una fine, una conclusione. Non ci sarà mai un tempo che farà tornare indietro l’orologio al 2007. Non c’è la  luce alla fine del tunnel semplicemente perché non c’è un tunnel con una uscita. Nulla sarà più come prima. Il capitalismo è al suo tramonto, la sua lunghissima agonia la stiamo vivendo in questi anni di contraddizioni stridenti, assurde, paradossali, ma dopo il capitalismo non sappiamo cosa potrà verificarsi. Marx stesso aveva predetto che, alla lunga, il capitalismo, un sistema che ha posto il profitto, cioè il denaro, al primo posto nella scala dei valori, avrebbe sviluppato le contraddizioni che avrebbero decretato la sua fine. Le contraddizioni di cui parliamo sono appunto quelle che hanno causato la presente contrazione. Una finanza senza regole e senza controlli, che prende il sopravvento, diventa “creativa”, si svincola dalla realtà dell’economia e del lavoro, si eleva anzi sopra l’economia dominandola incontrastata. E nessuno, al mondo, ha il coraggio o la forza di proporre nuove regole che impediscano il dilagare dell’aggressività di una finanza che governa il mondo. Di questo tipo di finanza si avvalgono i famosi milionari americani che stanno dietro le società di rating, che spostano quantità di valuta e di commodities smisurate, facendo quotidianamente spostare la bilancia degli assetti e dei rapporti di forza dei diversi stati. Gli stessi paesi cosiddetti “emergenti” se ne avvalgono, la Cina in primo luogo, hanno imparato ad utilizzare strumenti da pirateria finanziaria come i fondi hedge, ci hanno anzi preso gusto ed è anche per la loro opposizione che non è possibile cambiare le regole del gioco. Perché una cosa è chiara ormai per tutti: o si istituiscono delle regole precise a livello di mercati globali, che siano le stesse per la Spagna come per l’india, o non usciremo mai dall’emergenza. Ma tutto questo, dal momento che conviene ai più potenti della terra, milionari ebrei americani e “BRICS”, appare una ipotesi remotissima. E allora ci dobbiamo tenere questa finanza deregolata, la stessa che dice che la differenza tra lo spread italiano e francese è di 400 (avete letto bene, quattrocento) punti base con i bund tedeschi. La Francia sta senza dubbio meglio di noi, ma ha un sistema bancario indebitato fino al collo, e tutti gli analisti si attendono i primi fallimenti da parte di alcune banche francesi. Una tale differenza non si giustifica se non in un quadro di finanza completamente svincolata dalla realtà. Dal momento che siamo sottoposti ad una dittatura, una tirannide finanziaria, dobbiamo imparare in qualche modo a conviverci. Ma non è semplice. Nessuno si azzarda più a fare previsioni. Non si può predire qualcosa che non si è mai conosciuto prima. Si sa solo che il capitalismo è al capolinea e che questo è il lungo colpo di coda finale. Ma potrebbe durare decenni. Nessuno, se non uno stupido o in cattiva fede parla più di fine imminente dell’euro. Il problema è che le cose non prendono una direzione definita. Non sappiamo verso cosa stiamo andando. Navighiamo a vista giorno dopo giorno, mese dopo mese, vorrei dire, anno dopo anno. Galleggiamo, semplicemente, vivacchiando come meglio possiamo, turando ogni tanto una falla, mettendo una toppa qua e là e andiamo avanti. Questa è la politica dei tedeschi. Non cambiare nulla, quando si presenta una emergenza, si cerca di porvi rimedio con un provvedimento assolutamente provvisorio, affinchè  nulla cambi. E’ ovvio che si tratta di una posizione antistorica per eccellenza. Non ci si può sforzare di far restare le cose come sono per anni e anni, la storia si evolve, le situazioni si trasformano, ma la mente ottusa dei tedeschi non lo vuole capire. Si potrebbe istituire una agenzia di rating europea, si potrebbe imboccare decisamente la strada dello sviluppo e della crescita, mutualizzando il debito e concedendo la licenza bancaria al fondo di stabilità ESM, si potrebbe dotare la BCE dei poteri di una vera banca centrale, compresa la capacità di stampare moneta. Ma si preferisce continuare a restar a galla navigando a vista, in attesa della Provvidenza. Questo è lo strano atteggiamento dei tedeschi che, prima o poi, finiranno con il pagare anche loro un immobilismo che non ci porta da nessuna parte. La stagnazione di cui siamo vittima, trovandoci da almeno un anno in recessione, una recessione che speriamo non diventi depressione, rischia di permanentizzarsi, e i tempi della crisi si dilaterebbero indefinitamente. Non avendo la possibilità di intervenire sui fatti appena illustrati, vediamo che cosa possiamo fare delle nostre vite, nel tempo immobile della crisi. Non ci possiamo fidare neppure dei cosiddetti “esperti” della finanza, nessuno è in grado di fare previsioni attendibili. Ci può guidare qualche buon consiglio e il nostro istinto, che in cinque anni di contrazione economica si è sviluppato. Se abbiamo da parte qualche denaro ed un’età non più giovanissima, diciamo sopra i cinquanta, troviamo il coraggio di abbandonare un lavoro che magari ci disgusta. L’ipotesi che l’Italia vada in default rimane alquanto remota, e con l’euro ancora in vita, possiamo diventare “esodati volontari”, persone che non percepiscono né stipendio nè pensione volontariamente. La riforma della signora Fornero ci manda a riposo a settant’anni, bene,  questa soluzione, per chi ne avesse la possibilità, va esaminata con cura. Se siamo giovani e quindi maggiormente colpiti da questa congiuntura, cerchiamo l’idea vincente, quella che potrebbe produrre non dico una fortuna, ma di che vivere più che dignitosamente. Il fenomeno dei giovani imprenditori di se stessi è uno dei pochi in larga espansione, e molte volte è vincente. Se siamo di mezza età e non abbiamo possibilità economiche per anticipare la pensione, non lasciamo che lo sconforto o, peggio, la depressione, prevalgano sul nostro amor proprio. Ritroviamo il gusto per le piccole cose, le “carabattole” magari di pessimo gusto a che ci danno quelle piccole soddisfazioni di cui tanto abbiamo bisogno. Coltiviamo sempre di più i rapporti umani, stiamo lontani dal ritiro sociale. Facciamo magari un lavoro che ci ripugna, massimizziamo allora il tempo libero, non sprechiamone un minuto, cercando le persone che ci fanno stare bene, facendo le cose che ci consolano. Non viviamo aspettando che succeda qualcosa, che la crisi finisca. Come già ribadito, la crisi non ha una fine. La crisi è già diventata permanente. E bisogna accettare quello che non si può evitare. Non ci sarà difficile, prendendone atto, trovare qualcosa che ci faccia ancora gioire: una gara di ballo, un abbonamento a cinema o teatro, l’esercizio in palestra, una partita di calcetto, una bella nuotata. Non vogliamo apparire troppo semplicistici, ma in tempi così duri ma soprattutto così lontani dalla fine, non è facile fabbricare ricette o dare suggerimenti. Seguite il vostro istinto migliore, quello più vitale, pensateci su, non vi tradirà di sicuro.