giovedì 6 settembre 2012

L'INTEGRAZIONE ASSENTE



Viviamo di luoghi comuni. La banalità, la retorica, il politicamente corretto, il linguaggio degli ipocriti dominano incontrastati. Stampa e televisione sono zeppi di questa melassa fatta di buoni sentimenti e di terminologie che non connotano quello che indicano, ma, al massimo, alludono a quello che si vuole realmente esprimere. In sostanza, non si chiamano le cose con il loro nome, ma si utilizza un lessico ripulito ed edulcorato per indorare la pillola. Un esempio? La “spending review”. La spending review esiste nei paesi anglosassoni, è una cosa seria, viene elaborata nel corso di almeno un quadriennio, stabilendo, avvalendosi di indagini trasformate in benchmark (indicatori statistici) quali sono le voci della spesa pubblica da tagliare e quali da incrementare. La spending review all’italiana è stata fatta non in quattro anni, ma in quattro settimane, ed il suo vero nome era “tagli alla spesa pubblica”, cioè al welfare. Tagli sono, altro che “spending review”. Poi ci sono gli argomenti tabù, quelli di cui non si può non dico parlare ma neppure alludere, senza essere tacciato di nazifascismo. Facciamo un altro esempio. Una donna incinta. Se è una dipendente pubblica, nel 80 - 90% dei casi sarà vittima di una gravidanza a rischio e chiederà, ottenendola regolarmente, una interdizione anticipata dal lavoro per complicanze della gestazione. La percentuale si inverte, vale a dire solo un 10 - 20% delle lavoratrici del settore privato presenta una minaccia di aborto. Perché? Ma perché al suo rientro al lavoro la dipendente pubblica troverà tutto come prima e meglio di prima, la lavoratrice privata, se è fortunata, troverà ancora la sua scrivania, ma magari sarà demansionata oppure oggetto di mobbing. Questo accade perché nessun ginecologo si prende la responsabilità di non fare il famoso certificato che parla di gravidanza a rischio, tanto lui non ci rimette nulla, e se poi dovesse veramente verificarsi un aborto e il professionista  non avesse emesso quel certificato,  si ritroverebbe in tribunale. Ma questa discriminazioni tra lavoratrice madre del pubblico e del privato è stridente e palesemente ingiusta. Nessuno, neppure quel vigliacco di Brunetta, il fustigatore dei costumi, si è azzardato a sollevare la questione. Sarebbe stato etichettato subito come razzista fascista. Vogliamo fare un altro esempio? Bene, parliamo un po’ di integrazione degli stranieri. Il termine “extracomunitario”, applicabile anche agli svizzeri, fa un po’ ridere, come fa sorridere il “diversamente abile” applicato ai disabili. Se un soggetto è balbuziente non sarà mai un grande oratore, ma non per questo lo si chiamerà “diversamente loquace”. A questa persona, semplicemente, difetta una componente delle complesse relazioni esterne dell’essere umano. I disabili, quelli veri, detestano essere definiti “diversamente abili”, perché comprendono l’ipocrisia che sta dietro questa terminologia. Dicevamo degli stranieri. Non è vero che siamo tutti uguali, che non esistono differenze, a volte macroscopiche, tra una popolazione ed un’altra. Non parliamo di “razza”, per carità, ma di popoli, di nazioni. Gli italiani non sono uguali agli olandesi, che hanno strappato al mare metà del loro territorio, ed in pochi milioni di anime hanno colonizzato mezzo mondo, e fatto fortuna con la loro compagnia delle Indie. Gli italiani sono stati divisi e frammentati fino a 150 anni fa, (siamo stati la famosa “espressione geografica” di Metternich), abbiamo il primato della criminalità organizzata (mafia, camorra e ‘ndrangheta le abbiamo inventate noi), siamo il paese con la maggiore corruzione ed il tasso più elevato di evasione fiscale d’Europa.  Ma dobbiamo coltivare la civiltà dell’accoglienza, dell’integrazione. Peccato che non tutti gli stranieri che arrivano o sbarcano da noi sia animato dalle stesse intenzioni. La comunità ecuadoriana di Genova, la più grande d’Italia, non ha alcuna voglia di integrarsi, le nuove generazioni si organizzano in bande che scorrazzano tutte le notti per la città a compiere atti di teppismo, di violenza, furti, rapine, accoltellamenti continui. Il presidente Napolitano dice che “gli immigrati sono la nostra ricchezza”, peccato che tutto questo arricchimento ci sfugga. E’ vero che non tutti gli immigrati sono uguali. Moltissime donne dell’est svolgono attività altamente utili e meritorie. Ma le comunità nordafricane, magrebine, albanesi, sudamericane non sono sempre propense all’integrazione ed alla pubblica utilità. Troppo spesso vivono in mondi chiusi, dove sono vigenti regole interne stabilite dalla comunità, e in situazioni come quella presente, dove il lavoro certo non abbonda, tirano a campare necessariamente di espedienti e di microcriminalità. Se un benpensante di “sinistra” vivesse in un condominio di Genova e accanto al suo appartamento entrassero due sudamericani, che dopo un mese diventano dieci, se questi stessi immigrati vivessero la notte e dormissero di giorno, ballando cantando e producendo un rumore assordante tutte le notti, impedendo il riposo del nostro amico, state certi che nel giro di una settimana questa persona si trasformerebbe in un feroce razzista. E’ sempre questione di punti di vista. E’ facile pontificare standosene tranquillamente seduti sulla poltrona del salone della propria villa. Provate a scendere nel degrado dei quartieri difficili, vedrete come cambia la musica. Ti senti uno straniero a casa tua, si verifica quello strano fenomeno di “spaesamento”, dovuto al fatto che sei circondato da volti stranieri che nulla hanno in comune con te e che non hanno nessuna voglia di “integrarsi”. Esistono artisti, filosofi, scienziati, pensatori, statisti, politologi sudamericani? Non mi risulta. Sono stati per secoli colonizzati dagli europei, è vero, ma l’indipendenza l’hanno conquistata parecchi decenni fa, e il modello sociale che sono riusciti a edificare è di tipo arcaico e tirannico. Le repubbliche “presidenziali” africane sono in pratica dittature o addirittura monarchie mascherate, il livello di riforme sociali, di struttura dello stato, di infrastrutture e di assistenza agli strati della popolazione più povera sono ancora estremamente arretrati. La corruzione, in questi paesi è un fenomeno assolutamente normale e largamente tollerato. In definitiva, non aveva tutti i torti Julius Evola quando parlava di una razza non del corpo o del sangue, ma dello spirito, dell’anima.  Ci sono popoli che per le loro vicende storiche, ma anche genetiche e biologiche, sono progrediiti vertiginosamente, e altri che si dibattono tuttora in modelli sociali primitivi e discriminanti. Noi italiani, fra l’altro, siamo talmente stupidi  da scivolare nel grottesco. Sempre a Genova, città amministrata dalla cosiddetta sinistra, nonostante i tempi di inaudita crisi globale, riserviamo delle borse di studio, presso gli istituti superiori, ai soli stranieri. Come se non esistessero italiani in condizione di necessità. Ma  ai primi si concedono le borse di studio in quanto “svantaggiati naturalmente” essendo stranieri, agli italiani non si concede nulla, anzi li si tartassa continuamente perché hanno la grandissima fortuna di calcare il patrio suolo. E non tiratemi fuori  per favore l’argomento che siamo stati anche noi un popolo di emigranti. Vi consiglio la visione del film “Pane e cioccolata”  di Franco Brusati con Nino Manfredi, per vedere come venivano trattati i nostri emigranti in Svizzera, in Germania, in Belgio, negli Stati Uniti, in Australia. Altro che borse di studio.