lunedì 30 marzo 2015

UN SACERDOTE ESEMPLARE? MONSIGNOR GALANTINO



È una persona schietta, monsignor Nunzio Galantino, che non ha timore di dire la verità, anche se scomoda, controcorrente.
Lo scelse per questo papa Francesco, andando a prenderlo – vescovo da soli due anni - nella piccola diocesi calabrese di Cassano allo Jonio per nominarlo segretario generale della Cei.
Una terra difficile, teatro di faide tra cosche mafiose, dove Galantino ha saputo farsi apprezzare, vivendo fra la gente e trasformandosi presto in un punto di riferimento per molti.
GALANTINO NON LASCIA LA DIOCESI. Umile nonostante le lauree, le docenze universitarie, gli incarichi di prestigio e le pubblicazioni a tema teologico, filosofico e politico. «Cosa me ne faccio delle mie lauree se non mi servono per poter leggere dentro il cuore delle persone?», ha osservato lui stesso in un’intervista recente.
Non ha voluto lasciarla, la sua diocesi, dopo la nomina a segretario generale della Cei: una deroga chiesta fin da subito al papa, per restare vicino alle sue comunità, e presto accordata, grazie alla quale, fino a poche settimane fa – quando Francesco ha indicato il suo successore - don Nunzio ha potuto fare la spola ogni settimana tra Roma e la Calabria, alternando gli impegni “istituzionali” a quelli in parrocchia.
NON USA AUTO BLU E VIVE IN SEMINARIO. «La scelta di rimanere vescovo residenziale penso che mi aiuterà a rendere il mio servizio senza perdere mai di vista tutta la bellezza, ma anche tutta la fatica che comporta la vita ordinaria di una Chiesa diocesana. Mi aiuterà a dare più senso a quanto andrò dicendo e facendo», spiegò all’indomani della nomina.
Oggi, che è a tempo pieno il numero due dei vescovi italiani, preferisce non farsi chiamare Eccellenza, continua a non avere un segretario personale, non usa auto blu e vive in seminario. In pieno stile bergogliano. E come Francesco non fa sconti a nessuno. Non ai politici. Non ai chierici.
Da Berlusconi al governo: don Nunzio non risparmia nessuno
Hanno suscitato clamore le parole con le quali Galantino ha commentato l'assoluzione di Silvio Berlusconi nel processo Ruby, che ha visto l’ex premier condannato in primo grado, poi assolto in Appello e di nuovo in Cassazione dalle accuse di concussione e prostituzione minorile.
«La legge arriva fino a un certo punto ma il discorso morale è un altro», ha detto il presule, prendendo ad esempio il caso della legge sull’aborto per sottolineare che «se un fatto è legale non è detto che sia morale».
«DISOCCUPAZIONE? MANCANO IDEE». Processi a parte, nemmeno il governo e la classe politica sono esenti da critiche. L’occasione è offerta dalla diffusione dei dati Istat sulla disoccupazione giovanile che Galantino ha definito «inquietanti», per poi aggiungere: «Ho l’impressione che, al riguardo, manchino idee forti sia da parte dalla classe politica sia da parte della società civile; mi sembra che parlare di disoccupazione stia diventando una sorta di triste sport nazionale».
E sul ritornello delle potenzialità inespresse del Mezzogiorno, lui, pugliese originario del piccolo Comune di Cerignola, ha ammonito con schiettezza: «Questa storia che il Sud Italia abbia delle potenzialità enormi mi ha un po’ rotto l’anima, sta diventando quasi una sorta di analgesico: ma dove sono queste potenzialità? Da sole non esistono, se non hanno gambe e qualcuno che le fa camminare quelle potenzialità sono perfettamente inutili».
«IN POLITICA CI SONO MEZZECALZETTE». Il suo giudizio generale sulla classe politica lo esplicita in un’intervista a TV2000: «Quello che manca veramente in questo momento, e non solo sul piano politico, è l’affetto, nel senso nobile della parola, per la cultura: noi abbiamo delle mezzecalzette sul piano culturale che poi fanno le mezzecalzette in politica».
Ma Galantino picchia duro anche quando si parla di teoria del gender nelle scuole: «Si è cercato di far passare questo discorso come fosse soltanto un’educazione alla tolleranza, alla convivenza pacifica, e quindi l’impegno a educare, a essere più accoglienti nei confronti di altre realtà», dice a Radio Vaticana. «Di fatto è diventato soltanto un grimaldello per portare nella scuola un fatto culturale molto chiaro, che scardina l’antropologia, che scardina la concezione della persona. C’è un equivoco di fondo».
La stoccata sulle nozze gay: «Il dibattito è un diversivo»
Nel passaggio sulle unioni civili il presule si richiama alla Costituzione: «Lì abbiamo la confusione tra diritti individuali, che sono diritti sacrosanti, e il voler far passare questi diritti individuali come la strada che porta alla realizzazione del bene comune. E qui non ci siamo», attacca. «Intanto perché stiamo parlando di una realtà, quella della famiglia - fondata sul matrimonio di padre e madre, e sui figli - che è garantita dalla Costituzione: e allora chiunque fa passi che vanno avanti o al lato di questa realtà, cercando di scardinare dall’interno, a mio parere realizza una sorta di “bullismo costituzionale”».
Quindi sull’istituzione nella Capitale di un registro ad hoc per le nozze gay, per iniziativa del sindaco Ignazio Marino, Galantino dice senza riserve: «Una volta, proprio a Roma si parlava di panem et circenses. Oggi il pane le persone lo vanno a prendere alla Caritas, e i circenses nelle aule consiliari». Poi spiega: «Le unioni civili mi sembrano un diversivo per chi non è sintonizzato sul fuso orario della gente (…) per non guardare le buche per le strade».
«IL CLERICALE È UN REPLICANTE SENZ'ANIMA». Non meno duro il segretario generale della Cei si mostra verso la Chiesa, di cui – ancora su TV2000 - evidenzia le fragilità. Anzitutto il clericalismo, ovvero l’autoreferenzialità di molti ecclesiastici che usano un gergo incomprensibile per parlare di temi lontani dalla gente: «Il clericale», ammonisce monsignor Galantino, «è prima di tutto un replicante, senza anima, capace di fare sempre le stesse cose, di pensare sempre le stesse cose, di parlare sempre nello stesso dialetto».
E poi la confusione fra il Vangelo e le tradizioni: «Abbiamo assoggettato il Vangelo alla pigrizia mentale. Molti hanno messo il pannicello caldo del Vangelo dove non andava assolutamente messo. Spesso bisogna chiedersi: chi grida, chi va a mettersi sull’Aventino, chi decide di emarginare la persona, perché lo fa? Perché veramente vuole bene al Vangelo? Non è possibile. All’origine della divisione non può esserci mai la liturgia, mai il Vangelo, mai la carità».
«L'IMPEGNO È UNA COSA, L'INCIUCIO UN'ALTRA». Quindi parole chiare sul rapporto fra cattolici e politica: «Non possiamo ignorare che c’è stato un momento in cui il collateralismo l’ha fatta da padrone, ma», si chiede Galantino, «dietro il collateralismo c’è stata sempre la voglia di difendere i valori del Vangelo, i poveri? Oppure una forma non molto dissimulata di potere?».
«L’impegno è una cosa, l’inciucio è un’altra», chiarisce il vescovo: «L’impegno nella politica, secondo me, deriva direttamente dall’Incarnazione, cioè dal fatto che Gesù Cristo si è fatto carne, che Dio si è fatto uomo: lì nasce l’impegno politico».
È ovvio, prosegue, «che quando questo impegno politico nasce dalla voglia di mischiarmi con la gente, di porgere orecchio e cuore a quello che la gente avverte come problema, (…) io cerco di rispondere a quelle urgenze: quella è la politica che ci vuole». E in effetti alla politica Galantino ha dedicato buona parte dei suoi studi e lavori.
Gli attacchi alla mafia, sulle orme di papa Francesco
Chi lo ha conosciuto, da vescovo di Cassano allo Jonio e ancor prima da parroco di Cerignola, lo ricorda per «la sua umanità, la vicinanza agli ultimi», racconta Angela Marino, presidente dell’Azione Cattolica della diocesi. «In questi anni è riuscito sempre ad andare oltre le apparenze e a prendersi cura dei singoli, è una persona che non ha paura di dire la verità, e lo fa parlando alla luce del Vangelo».
Un parlare franco e una fedeltà al Vangelo che – continua Marino - in Calabria lo hanno spinto a «esporsi anche contro la mafia, così come fece papa Francesco quando venne il 21 giugno scorso nella nostra diocesi: nelle sue omelie Galantino ha sempre cercato di far capire che la Misericordia di Dio è una cosa e l’omertà è un’altra, e ha rimarcato le parole del papa quando ha scomunicato gli uomini di mafia».
Poi ricorda l’episodio drammatico della morte del piccolo Cocò, il bambino ucciso un anno fa per una faida tra le ‘ndrine di Cassano: «Eravamo in cattedrale quando arrivò la notizia. Galantino è stato vicino alla famiglia di Cocò perché hanno perso una vita e per far comprendere loro che i bambini sono innocenti e non vanno usati per il regolamento dei conti. Voleva aiutarli a capire che dovevano cambiare la loro di vita, perché se la famiglia di Cocò si è trovata in quella vicenda allora quella famiglia non è una vittima».
MARINO: «PORTERÀ RINNOVAMENTO». Nonostante ciò, continua la presidente dell’Ac diocesana, «Galantino non è mai stato oggetto di intimidazioni e gesti eclatanti, perché forse alla fine gli vogliono bene tutti, anche loro, a modo loro. Piace proprio perché dice la verità». E sulla scelta di Francesco di nominarlo segretario Cei, Marino si dice sicura che «porterà rinnovamento in quanto è molto simile al papa, nei gesti, nel vivere la quotidianità, dall’andare a comprare il giornale da solo al guidare senza autista, per il suo stare a contatto diretto con le persone, fra le gente. Secondo me è stato scelto per questo».
Infine il ricordo più indelebile: «La prima volta che l’ho incontrato, per salutarlo, come è consuetudine con i vescovi, mi chinai per baciargli la mano. Lui però con mia sorpresa ritirò la mano e mi abbracciò. Per me era la prima volta che un vescovo mi salutava così».
NESSUN PIATTO PER LE OFFERTE. Andando a ritroso nel tempo, i ricordi di chi lo ha conosciuto a Cerignola, parroco della Chiesa di San Francesco d’Assisi, non sono dissimili. «Mi ha colpito il suo essere schivo nei confronti del denaro», ricorda Michele Monopoli, oggi 70enne. «Aveva deciso che durante la messa non doveva passare nessuno tra i banchi a raccogliere le offerte. Se qualcuno voleva dare un aiuto poteva farlo alla fine della celebrazione lasciando un’offerta in una cassetta in fondo alla chiesa».
La sua era una parrocchia difficile, «le sue messe, anche quelle per i bambini, erano sempre piene, come pure le catechesi per i giovani. Molte persone dopo averlo conosciuto e aver instaurato un rapporto con lui si sono convertite».
Un prete carismatico, don Nunzio Galantino. Un prete fra la gente. Un padre per molti e una guida, prima che vescovo o segretario generale della Cei. Che a chi gli chiede con quale titolo lo si debba chiamare – Eccellenza, Monsignore, don Nunzio - risponde: «Ma non avete altri problemi da porvi? Scegliete pure quel che volete, l’importante è che non mi chiami io da solo». (source)

domenica 29 marzo 2015

CAPORETTO IN TRIBUNALE (Meredith si è suicidata)



L’ASSOLUZIONE DI AMANDA E RAFFAELE LASCIA APERTE MOLTE QUESTIONI. DAI COLPEVOLI DELL’ASSASSINIO DI MEREDITH KERCHER ALLO STATO DELLA GIUSTIZIA ITALIANA.
 MARIO GIORDANO: “DI FRONTE ALLA LEGITTIMA ESULTANZA DEGLI ASSOLTI, E ALLE ALTRETTANTO LEGITTIME RICHIESTE DI RISARCIMENTI, SCOPRIAMO CHE CI VOGLIONO 8 ANNI E 5  PROCESSI PER NON SAPERE CHI È STATO. LA NOSTRA GIUSTIZIA COLLEZIONA UNA FIGURACCIA PLANETARIA, UNA SPECIE DI CAPORETTO TOGATA, ROBA CHE WATERLOO FU UN TRIONFO”
MARCO TRAVAGLIO: “OGNUNO LA PENSI COME VUOLE. 35 GIUDICI E 6 SENTENZE HANNO DETTO CHE GLI ASSASSINI SONO AMANDA, RAFFAELE E RUDY. ALTRI 13 GIUDICI E DUE SENTENZE INVECE DICONO CHE SONO STATI RUDY E ALTRI DUE MISTER X”.
“NESSUN PROCESSO ALLA GIUSTIZIA ITALIANA, TANTOMENO DAGLI USA: LÌ, DOPO LA PRIMA CONDANNA, BUTTANO LA CHIAVE. NOI INVECE FACCIAMO I PROCESSI IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CON TANTO DI GIURIA POPOLARE, POI LI RIFACCIAMO IN NOME DI UN ALTRO POPOLO ITALIANO, E CI CONCEDIAMO PURE IL LUSSO DI DUE VERDETTI (CONTRASTANTI) DI CASSAZIONE” 

Come già l’altra in appello, anche l’assoluzione di Amanda Knox e Raffaele Sollecito in Cassazione ha innescato commenti demenziali sul delitto di Meredith Kercher: pare quasi che, 8 anni fa a Perugia, la studentessa inglese si sia suicidata. O che l’unico condannato (a 16 anni con lo sconto del rito abbreviato), il giovane ivoriano Rudy Guede, tuttora detenuto perché colpevole di “concorso in omicidio commesso da altri”, fosse solo soletto sulla scena del delitto. Non sappiamo che cosa scriveranno i supremi giudici nelle motivazioni, ma sappiamo quello che non potranno scrivere: e cioè che Amanda e Raffaele non c’entrino nulla con quel caso, o che gli inquirenti abbiano preso un abbaglio con un duplice scambio di persona, mettendo in carcere due estranei e tenendoceli per 4 anni. Probabilmente si limiteranno a dire che le prove ritenute sufficienti dalla Corte d’Assise di Perugia (2 giudici togati e 6 popolari) che li condannò, dalla Corte di Cassazione (5 togati) che annullò la loro assoluzione in appello, e dalla Corte d’Assise d’appello di Firenze (2 togati e 6 popolari) che li ricondannò,sono per loro insufficienti. E, siccome per convenzione l’ultimo verdetto è quello buono, la verità processuale si ferma qui. Il che non vuol dire che questa (fondata sulle prove certe e legittimamente raccolte) collimi con la verità dei fatti (che di solito è molto più vasta, ma spesso indimostrabile), né che le sentenze precedenti siano sbagliate. Ciascuno poi, se conosce le carte, è libero di pensare che Meredith l’abbiano uccisa Amanda, Raffaele e Rudy (come dicono ben 35 giudici in 6 sentenze: primo grado, secondo appello e prima Cassazione sui due ex fidanzatini, più le tre emesse su Guede dal gup, dalla Corte d’assise d’appello e dalla Cassazione), oppure Rudy con altri due Mister X (come pare desumersi dai due soli verdetti favorevoli, scritti da 13 giudici: il primo appello e la seconda Cassazione). Se una sezione di Cassazione dice che Amanda e Raffaele sono gli assassini e un’altra che le prove non bastano a dichiararli tali, non è che una è più Cassazione dell’altra: semplicemente hanno valutato diversamente gli indizi, come sempre avviene nei processi indiziari, cioè privi della prova schiacciante, la cosiddetta “pistola fumante”. Il risultato finale lo conosciamo e ne dobbiamo prendere atto: Guede condannato, Sollecito e Knox assolti. Ma siamo liberissimi di pensare, volendo, che si tratti di un errore giudiziario (lo è anche l’assoluzione di un colpevole, non solo la condanna di un innocente). Oppure che sia un verdetto giusto (non si condanna se non “oltre ogni ragionevole dubbio”). Ma solo perché l’insufficienza di prove dipende dalla scarsa bravura degli inquirenti nel trovarle, o dall’abilità degli assolti a nasconderle e a tappare la bocca ai complici e ai testimoni. Questo è l’atteggiamento corretto e laico che si dovrebbe tenere alla fine di un processo indiziario. Diversi indizi facevano ritenere gli imputati colpevoli, altri facevano dubitare che lo fossero: il classico bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto, rimesso alla discrezionalità dei giudici. La stragrande maggioranza di essi ha deciso per il mezzo pieno, la minoranza per quello vuoto, che ha prevalso solo perché ha convinto gli ultimi. Con l’“aiuto”, va detto, delle incredibili pressioni americane (chissà se il povero Guede sarebbe dentro a espiare la pena da solo per un delitto commesso con altri, se anziché un nero ivoriano fosse anche lui un bianco targato Usa). Chi poi sostiene che Amanda e Raffaele non andavano neppure processati non sa quel che dice. Le indagini della Scientifica e le ultime perizie sul coltello e sul gancetto del reggiseno della vittima, il memoriale scritto da Amanda e poi rimangiato, le mezze parole di Guede “chiamavano” la Knox e Sollecito sulla scena del delitto. Altrimenti perché Amanda, nel primo interrogatorio senza difensore, quando nessuno ancora sapeva nulla dell’esistenza di Rudy, descrisse l’omicidio attribuendolo a Patrick Lumumba, il “nero sbagliato” (“ricordo confusamente che Patrick ha ucciso Meredith”), e fu perciò condannata definitivamente a 3 anni per calunnia. Se lei non era lì, che ne sapeva del delitto e dell’assassino? E, se lei non c’entra, perché calunniare un innocente? E perché Raffaele mentì sull’alibi della fidanzata (“quella sera Amanda dormì a casa mia”), subito sbugiardato da vari testi? E chi sono i complici di Rudy, visto che nella stanza di Meredith c’erano tracce solo di Rudy, di Amanda (il suo Dna sul coltello) e di Raffaele (il suo Dna sul gancetto) e che il processo a Rudy ha accertato che il suo ingresso nell’alloggio fu “favorito da Amanda”? Gli indizi, anche scientifici, che han tenuto in carcere i due non li ha valutati solo la Procura: li hanno confermati un gup, 9 giudici di tre diversi Riesami e 5 di Cassazione. Se la Procura avesse messo in cassaforte la confessione di Amanda, scovando un avvocato d’ufficio la notte in cui sapeva tutto e accusava Patrick prima di chiudersi a riccio, anziché continuare a sentirla senza difensore e rendere così inutilizzabile quel verbale, forse oggi racconteremmo un’altra storia. Idem se Rudy avesse parlato chiaro. Quindi, per favore, si prenda atto dell’assoluzione. Ma nessun processo alla giustizia italiana, tantomeno dagli Usa: lì, dopo la prima condanna, buttano la chiave. Noi invece facciamo i processi in nome del popolo italiano con tanto di giuria popolare, poi li rifacciamo in nome di un altro popolo italiano, e ci concediamo pure il lusso di due verdetti (contrastanti) di Cassazione. Quindi, anziché vaneggiare di ingiustizie da risarcire, è il caso di frenare le isterie – come peraltro fanno saggiamente gli avvocati difensori – e accontentarsi. Qui gli unici da risarcire sono la buonanima di Meredith e la sua povera famiglia.
Marco Travaglio - Il fatto quotidiano

venerdì 27 marzo 2015

ANGOSCIA METROPOLITANA



Ieri sono stato al “Salone del Risparmio” la più importante manifestazione del settore che, come noto, si tiene ogni anno a Milano nella sede dell’Università “Bocconi”, l’ateneo più prestigioso nel campo delle scienze economiche e sociali.
Dato che, come tutti sanno, circolare in automobile per Milano è praticamente impossibile visti i provvedimenti per la limitazione del traffico, per recarsi in centro, non solo è consigliabile, ma si è quasi obbligati a lasciare l’autovettura in uno di quei grandi parcheggi in prossimità di una stazione della metropolitana di un paese (ma ormai sono diventate tutte città) dell’hinterland milanese.
Avete capito, quelle zone in cui la metropolitana “viene fuori” e non viaggia sotto terra, dal capolinea fino alla fermata della stazione Centrale, e poi il cambio sulla Linea 3 per andare fra Porta Romana e Porta Ticinese.
Perché vi racconto tutto questo? Penserete, per parlarvi del “Salone del risparmio”. Ebbene no, non è questo l’argomento che voglio trattare.
E’ che tornando la sera a casa ed accendendo il televisore che stava trasmettendo il notiziario serale (non importa quale, tanto danno tutti le stesse notizie, si assomigliano in una maniera impressionante), ebbene ho sentito il nostro Presidente del Consiglio rilasciare dichiarazioni entusiastiche circa i dati sulle assunzioni di personale in questi primi due mesi dell’anno.
Al solito Renzi era letteralmente “senza freni”, sembrava un bambino mentre scarta i regali che ha portato Babbo Natale. Non ce la faceva ad aspettare un minuto in più, doveva dire che il numero delle assunzioni a tempo indeterminato, nei primi due mesi dell’anno era superiore alle attese. Peccato che il “Jobs act” non era ancora in vigore, (i dati si riferiscono ai primi due mesi dell’anno) ed il merito delle assunzioni a tempo indeterminato non va al capolavoro di Renzi, ma agli sgravi fiscali applicati alle aziende che assumono con contratti a T.I.
La notizia, ovviamente, doveva essere resa pubblica dal Ministro competente, ossia il titolare del Dicastero del Lavoro, Giuliano Poletti, ma visto che il dato era “buono” il Premier ha voluto darla lui in anteprima (quanto ci scommettete che se il dato fosse stato negativo Renzi non sarebbe intervenuto, e forse neanche Poletti?), ma andiamo avanti, perché non è neppure di questo che voglio parlarvi.
Ciò che ha scaturito questo articolo è lo stato d’animo che ho avuto raffrontando il viso trionfante di Renzi alla Tv con quanto avevo visto nel mio “viaggio” in metropolitana, soprattutto al ritorno.
Le persone che affollano queste carrozze, hanno tutte la medesima espressione triste, malinconica, rassegnata ad una vita che non avrebbero voluto fosse così. Nessuno legge un libro, e questo succedeva anche prima, ora però, nessuno legge nemmeno un giornale, neppure di quelli … di gossip.
Tutti hanno in mano un telefonino e sono intenti a far cose disparate, c’è chi fa dei giochini, chi invia messaggi a raffica, chi guarda delle foto chi sfoglia freneticamente siti internet. Ma il telefonino ha soprattutto una funzione, permette loro di tenere la testa bassa e quindi di evitare l’imbarazzo di scuotere la testa in segno di diniego nei confronti della sfilata di disperati che si fanno tutte le carrozze avanti e indietro chiedendo l’elemosina.
In fianco a me una ragazza, avrà avuto una trentina d’anni, chiama al telefono una sua amica, il tema della conversazione è il lavoro, le racconta che le hanno imposto un cambio d’ufficio, fa più o meno la stessa cosa che faceva prima, ma ovviamente non ha la stessa dimestichezza, si capisce chiaramente che non ha gradito il cambio di mansione, ma si è guardata bene dar manifestarlo, il clima lavorativo deve essere pesante ed è preferibile tenersi tutto dentro e non creare attriti con nessuno, si considera fortunata ad avere un posto di lavoro, anche se chiaramente precario.
Poi si informa dell’amica, che probabilmente è in cerca di un lavoro, anche part-time, anche a 600 euro al mese. Improvvisamente, però, interrompe la comunicazione chiede all’amica di pazientare un attimo, l’avrebbe richiamata, ma doveva sentire assolutamente la mamma.
Chiude la comunicazione ed in una frazione di secondo chiama la mamma e chiede di Christian, evidentemente suo figlio, la madre la tranquillizza, la informa che si è svegliato e adesso non piange. Chiude subito con la mamma e richiama l’amica, prosegue da dove si era interrotta.
Cerca di rincuorarla “vedrai che un lavoro in una maniera o nell’altra lo troverai”, l’amica le dice che ha fatto domanda di assunzione in una ditta non lontana dalla sua abitazione e dovrà andare a fare un colloquio. Lei si dimostra felice per la cosa e molto fiduciosa che potranno esserci sviluppi interessanti “sei una ragazza sveglia vedrai che ti prenderanno” le dice, ma l’amica, dall’altra parte del telefono, non è altrettanto ottimista perché la “concorrenza” è numerosissima.
Poi conclude la telefonata con delle considerazioni amare sull’attuale situazione soprattutto per quanto riguarda i giovani, “abbiamo tutti problemi con il lavoro, siamo tutti nelle stesse condizioni.
Ed allora guardando il volto sorridente di Renzi mentre annuncia trionfalmente “è il segnale che l’Italia riparte” mi è tornato alla mente il viso di quella ragazza ed ho pensato: “Quanto potrebbe giovare al nostro Paese se il Presidente del Consiglio, a volte, anziché i voli di Stato prendesse … la metropolitana”.  (source)

giovedì 26 marzo 2015

RENZI PARLA DI UNA CRESCITA INESISTENTE. LEVATEGLI IL FIASCO



Vanno ormai avanti da mesi a parlare in maniera entusiasta della ripresa economica italiana ed ora che stanno arrivando le prime stime pare dimostrarsi niente più che “ ’na fetecchia”.
Il Centro Studi di Confindustria, infatti, annuncia trionfalmente che al termine del primo quarto avremo davanti alla variazione del Pil un segno più, un rialzo, però, assolutamente insignificante (+0,2%), decisamente inferiore alle più pessimistiche previsioni, ma per l’Associazione degli industriali basta e avanza per festeggiare.
A dir la verità non si capisce davvero cosa si debba festeggiare perché solo due mesi fa la stessa Confindustria aveva previsto un Pil in crescita per il 2015 come minimo del 2,1%!!!
Veniva stimato infatti che i soli effetti combinati del minor prezzo del petrolio, euro più debole, calo dei tassi a lunga e maggior vivacità del commercio mondiale avrebbero avuto l’effetto di “spingere” il nostro Pil del +2,1% nell’anno in corso e del 2,5% nel prossimo. E veniva letteralmente sottolineato che questo “non si tratta della stima di crescita totale, ma dell’effetto composto dei quattro fattori sul Pil”.
Si specificava infatti che “Con gli Usa tornati a essere locomotiva number one, la Cina in rallentamento pilotato e l’India in accelerazione, il quadro internazionale resta propizio all’avvio della ripresa”. Quindi, ad una stima iniziale intorno al +0,9% andavano aggiunti quei fattori di “spinta” che lo stesso Centro studi di Confindustria definiva “una vera manna dal cielo” e che venivano calcolati “in maniera prudenziale” pari al +2,1%, fattori esterni che portavano così ad una previsione di crescita del nostro Pil nel 2015 probabilmente vicina al 3%. Ebbene se si parte con un primo trimestre a +0,2% ditemi voi come faremo centrare quelle stime.
Insomma se dopo anni di recessione siamo costretti a “festeggiare” un misero +0,2% significa proprio che siamo sull’orlo del baratro. E tutto questo ammesso e non concesso che questo dato (+0,2%) sia poi confermato dalla realtà.
Quante volte infatti negli ultimi anni le previsioni di crescita del nostro Pil si sono poi rivelate, alla prova dei fatti, errate. E, guarda te che caso, sempre, ma proprio sempre sono state sovrastimate.
Sotto il profilo statistico, quando tutte le previsioni fatte da Istituti diversi vengono sbagliate “in una unica direzione”, i casi sono due, o sono intervenuti fattori imprevedibili che hanno variato in maniera univoca il fattore di stima, oppure si tratta della solita propaganda politica del bullo di Firenze.  (source)