Ovvero, come entrare nel porcellum e vivere felici
A norma dell’art.56 della Costituzione, la Camera dei Deputati è composta da 630
membri, dodici dei quali eletti nella circoscrizione estero. La prima
voce è l’indennità, quella che nel linguaggio comune è definita “stipendio”,
seguono la diaria e i rimborsi: per le “spese inerenti al rapporto tra eletto
ed elettori”, per le spese accessorie di viaggio e per i viaggi all’estero, per
le spese telefoniche. Completano la scheda le voci sull’assegno di fine
mandato, le prestazioni previdenziali e sanitarie e sui trasporti.
> Indennità parlamentare
L’indennità parlamentare è prevista dall’articolo 69 della Costituzione, a
garanzia del libero svolgimento del mandato elettivo. La legge 31 ottobre 1965,
n. 1261, ne fissa l’importo in misura non superiore al trattamento complessivo
massimo annuo lordo dei magistrati con funzioni di presidente di Sezione della
Corte di Cassazione ed equiparate. Peraltro, in considerazione dell’esigenza di
contenimento delle spese, l’Ufficio di Presidenza della Camera è intervenuto in
più occasioni con misure volte a ridurre il trattamento economico dei deputati,
che risulta oggi notevolmente inferiore rispetto al limite previsto dalla
legge (*).
A decorrere dal 1 gennaio 2012, l’importo netto dell’indennità parlamentare,
corrisposto per 12 mensilità, è pari a € 5.246,54, a cui devono poi essere
sottratte le addizionali regionali e comunali, la cui misura varia in relazione
al domicilio del deputato. Tenuto conto del valore medio di tali imposte addizionali,
l’importo netto mensile dell’indennità parlamentare risulta pari a circa €
5.000. Tale misura netta è determinata sulla base dell’importo lordo
di € 10.435,00, sul quale sono effettuate le dovute ritenute previdenziali
(pensione e assegno di fine mandato), assistenziali (assistenza sanitaria
integrativa) e fiscali (IRPEF e addizionali regionali e
comunali). Inoltre, l’importo netto dell’indennità scende a circa € 4.750
per i deputati che svolgono un’altra attività lavorativa.
(*) In particolare, nel 2006, l’importo dell’indennità
parlamentare è stato ridotto del 10%. Dal 2007 è stata disposta, per 5 anni, la
sospensione degli adeguamenti retributivi. Tale misura è stata successivamente
prorogata fino a tutto il 2013. Per il triennio 2011-2013, l’indennità è stata
di nuovo e ulteriormente ridotta nella misura del 10% per la parte eccedente i
90.000 euro, e del 20% per la parte eccedente i 150.000 euro lordi annui. Tale
riduzione è raddoppiata per i parlamentari che svolgono un’attività lavorativa
per la quale percepiscono un reddito uguale o superiore al 15% dell’indennità
parlamentare. Una ulteriore riduzione dell’indennità è stata da ultimo
deliberata dall’Ufficio di Presidenza in data 30 gennaio 2012.
> Diaria
Viene riconosciuta, a titolo di rimborso delle spese di soggiorno a Roma,
sulla base della stessa legge n.1261 del 1965. L’attuale misura mensile della
diaria, a seguito della riduzione disposta dall’Ufficio di Presidenza nella
riunione del 27 luglio 2010, è pari a 3.503,11 euro. Tale
somma viene decurtata di 206,58 euro per ogni giorno di assenza del deputato
dalle sedute dell’Assemblea in cui si svolgono votazioni con il procedimento
elettronico. È considerato presente il deputato che partecipa almeno al
30% delle votazioni effettuate nell’arco della giornata. L’Ufficio di
Presidenza, nelle riunioni del 25 ottobre 2011 e del 30 gennaio 2012, ha
inoltre deliberato l’applicazione di una ulteriore decurtazione fino a 500 euro
mensili in relazione alla percentuale di assenze dalle sedute delle Giunte, delle
Commissioni permanenti e speciali, del Comitato per la legislazione, delle
Commissioni bicamerali e d’inchiesta, nonché delle delegazioni parlamentari
presso le Assemblee internazionali.
> Rimborso delle spese per l’esercizio del mandato
Nella riunione del 30 gennaio 2012, l’Ufficio di Presidenza ha istituito un
“rimborso delle spese per l’esercizio del mandato” che sostituisce il
contributo per le spese inerenti al rapporto tra eletto ed elettori. Tale
rimborso, di importo complessivo invariato rispetto al precedente contributo, è
pari a 3.690 euro (dopo la riduzione di 500 euro del luglio 2010) ed è
corrisposto direttamente a ciascun deputato con le seguenti modalità:
- per un importo fino a un massimo del 50% a titolo di rimborso per
specifiche categorie di spese che devono essere documentate: collaboratori
(sulla base di una dichiarazione di assolvimento degli obblighi previsti dalla
legge, corredata da copia del contratto, con attestazione di conformità
sottoscritta da una professionista); consulenze, ricerche; gestione
dell’ufficio; utilizzo di reti pubbliche di consultazione di dati; convegni e
sostegno delle attività politiche.
- per un importo pari al 50% forfetariamente.
> Spese di trasporto e spese di viaggio
I deputati usufruiscono di tessere per la libera circolazione autostradale,
ferroviaria, marittima ed aerea per i trasferimenti sul territorio nazionale.
Per i trasferimenti dal luogo di residenza all’aeroporto più vicino e tra
l’aeroporto di Roma-Fiumicino e Montecitorio, è previsto un rimborso spese
trimestrale pari a 3.323,70 euro, per il deputato che deve percorrere fino a
100 km per raggiungere l’aeroporto più vicino al luogo di residenza, e a
3.995,10 euro se la distanza da percorrere è superiore a 100 km.
> Spese telefoniche
I deputati dispongono di una somma annua di 3.098,74 euro per le spese
telefoniche. La Camera non fornisce ai deputati telefoni cellulari.
> Assistenza sanitaria
Il deputato versa mensilmente, in un apposito fondo, una quota della propria
indennità lorda, pari a 526,66 euro, destinata al sistema di assistenza
sanitaria integrativa che eroga rimborsi secondo quanto previsto da un
tariffario.
> Assegno di fine mandato
Il deputato versa mensilmente, in un apposito fondo, una quota della propria
indennità lorda, pari a 784,14 euro. Al termine del mandato parlamentare, il
deputato riceve l’assegno di fine mandato, che è pari all’80% dell’importo
mensile lordo dell’indennità, per ogni anno di mandato effettivo (o frazione
non inferiore ai sei mesi).
> Pensione
Con deliberazioni del 14 dicembre 2011 e 30 gennaio 2012 l’Ufficio di
Presidenza della Camera ha operato una profonda trasformazione del regime
previdenziale dei deputati con il superamento dell’istituto dell’assegno
vitalizio – vigente fin dalla prima legislatura del Parlamento repubblicano – e
l’introduzione, con decorrenza dal 1 gennaio 2012, di un trattamento
pensionistico basato sul sistema di calcolo contributivo, sostanzialmente
analogo a quello vigente per i pubblici dipendenti.
Il nuovo sistema di calcolo contributivo si applica integralmente ai
deputati eletti dopo il 1 gennaio 2012, mentre per i deputati in carica, nonché
per i parlamentari già cessati dal mandato e successivamente rieletti, si
applica un sistema pro rata, determinato dalla somma della quota di assegno
vitalizio definitivamente maturato alla data del 31 dicembre 2011, e di una
quota corrispondente all’incremento contributivo riferito agli ulteriori anni
di mandato parlamentare esercitato.
I deputati cessati dal mandato, indipendentemente dall’inizio del mandato
medesimo, conseguono il diritto alla pensione al compimento dei 65 anni di età
e a seguito dell’esercizio del mandato parlamentare per almeno 5 anni
effettivi. Per ogni anno di mandato ulteriore, l’età richiesta per il
conseguimento del diritto è diminuita di un anno, con il limite all’età di 60
anni.
Lo stesso Regolamento prevede infine la sospensione del pagamento della
pensione qualora il deputato sia rieletto al Parlamento nazionale, sia eletto
al Parlamento europeo o ad un Consiglio regionale, ovvero sia nominato
componente del Governo nazionale, assessore regionale o titolare di incarico
istituzionale per il quale la Costituzione o altra legge costituzionale prevede
l’incompatibilità con il mandato parlamentare. La sospensione è inoltre
prevista in caso di nomina ad incarico per il quale la legge ordinaria prevede
l’incompatibilità con il mandato parlamentare, ove l’importo della relativa
indennità sia superiore al 50% dell’indennità parlamentare. Tale regime di
sospensioni costituisce una deroga rispetto alla normativa generale,
nell’ambito della quale le ipotesi di divieto di cumulo della pensione con
altri redditi sono state ormai abolite.
SENATO
DELLA REPUBBLICA
La Costituzione Italiana prevede che il Senato della Repubblica sia composto
da 315 membri eletti tra i cittadini italiani che
abbiano compiuto i 40 anni d’età.
Premessa
Il principio per cui debba essere garantito ai parlamentari, rappresentanti
del popolo sovrano, un trattamento economico adeguato ad assicurarne l’indipendenza
è un punto qualificante della concezione democratica dello Stato ed è
generalmente riconosciuto in tutti gli ordinamenti ispirati a tale concezione.
In Italia è stato introdotto con la Costituzione repubblicana, che all’art. 67
afferma: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue
funzioni senza vincolo di mandato” e poi all’art. 69 stabilisce: “I membri del
Parlamento ricevono un’indennità stabilita dalla legge”.
Le due norme, intimamente connesse, hanno trovato attuazione nella legge che
disciplina l’indennità – la legge 31 ottobre 1965, n. 1261 – in cui l’istituto
è precisamente definito come “l’indennità spettante ai membri del Parlamento
(…) per garantire il libero svolgimento del mandato”.
Il trattamento economico dei parlamentari, nel complesso, è dunque concepito
come condizione dell’esercizio indipendente di una fondamentale funzione
costituzionale e, al tempo stesso, come garanzia che tutti i cittadini, senza
riguardo al patrimonio o al reddito, possano realmente concorrere alla elezione
delle Camere. Tale trattamento, di cui è parte essenziale anche l’assegno
vitalizio spettante dopo la cessazione dal mandato, è finalizzato a creare le
condizioni per cui il parlamentare possa impegnarsi nelle sue funzioni – a
scapito del lavoro o di altre attività economiche – senza dover dipendere da
altri soggetti, incluso il partito politico cui appartiene.
La componente principale dello status economico del parlamentare è
l’indennità, non soltanto perché è espressamente prevista dalla Costituzione,
ma anche perché costituisce il vero “reddito” del parlamentare laddove le altre
componenti – di seguito analiticamente indicate – hanno natura di rimborsi
spese e sono dunque volte a soddisfare specifiche esigenze.
> Indennità parlamentare
L’art.1 della legge n. 1261 del 1965, già citata, attribuisce agli Uffici di
Presidenza delle Camere il compito di determinare l’ammontare della indennità
mensile in misura tale che non superi “il dodicesimo del trattamento
complessivo massimo annuo lordo dei magistrati con funzioni di presidente di
Sezione della Corte di cassazione ed equiparate”.
In tal modo il legislatore ha voluto stabilire un criterio preciso per la
determinazione dell’indennità parlamentare, rispettando così la riserva di
legge stabilita dall’art. 69 della Costituzione, ma al tempo stesso ha lasciato
alle Camere la possibilità di scegliere un livello più basso rispetto
all’ammontare massimo possibile nel rispetto della legge.
Tale discrezionalità è stata impiegata dagli Uffici di Presidenza delle
Camere per individuare un parametro stipendiale di gran lunga inferiore al
“trattamento complessivo massimo” dei magistrati su indicati. Si è così scelto
di parametrare l’indennità al 96 per cento del trattamento complessivo dei
magistrati di Cassazione nominati alle funzioni direttive superiori e
collocati, come progressione economica, al sedicesimo scatto biennale
dell’ottava classe stipendiale, che si articola in ben trenta scatti. (Per il
Senato, vedi delibera del Consiglio di Presidenza 30 giugno 1993, n. 45).
Successivamente l’importo dell’indennità è stato ridotto del 10 per cento
con la legge finanziaria 2006 e poi bloccato per cinque anni, dal 2008 al 2012,
con la legge finanziaria 2008. Per effetto di queste decisioni, attualmente
l’importo lordo dell’indennità dei Senatori è pari a 12.005,95 euro cioè al
70,59% del trattamento complessivo massimo dei magistrati di riferimento,
all’ultimo aumento biennale. Peraltro, in virtù di quanto disposto
dall’articolo 13 del decreto-legge n. 138 del 2011, infine, si segnala che per
il periodo 1 ottobre 2011 – 31 dicembre 2013, l’indennità parlamentare è
ridotta del 10% per la parte eccedente i 90 mila euro annui. Tale riduzione è
invece applicata nella misura del 20% ai Senatori che svolgono qualsiasi attività
lavorativa per la quale sia percepito un reddito uguale o superiore al 15%
dell’indennità parlamentare (pari a euro 21.610,71 annui). Pertanto, dal mese
di ottobre del 2011 sino al dicembre 2013 l’importo lordo dell’indennità
mensile è pari ad euro 11.555,37 in caso di riduzione del 10% e ad euro
11.104,79 in caso di applicazione della riduzione in misura doppia.
Benché non sia una retribuzione derivante da un rapporto lavorativo, ai fini
fiscali l’indennità è un reddito assimilato a quelli di lavoro dipendente e,
dal 1 gennaio 1995, è interamente assoggettato all’imposizione tributaria (è
quindi abrogato l’art.5 della legge n. 1261/1965 nella parte in cui prevedeva
una parziale esenzione fiscale per l’indennità parlamentare).
Al netto delle ritenute fiscali e dei contributi obbligatori per l’assegno
vitalizio, per l’assegno di fine mandato e per l’assistenza sanitaria,
l’indennità mensile si riduce ad euro 5.613,63 (euro 5.356,73 al netto della
decurtazione del 10 per cento di cui sopra) ed è erogata per 12 mensilità. Nel
caso in cui il Senatore versi anche la quota aggiuntiva per la reversibilità
dell’assegno vitalizio, l’importo indicato scende a 5.355,50 euro (ridotto ad
euro 5.098,60).
Ovviamente da tali importi vanno poi sottratte le addizionali all’IRPEF, che
variano a seconda della Regione e del Comune di residenza: l’indennità netta
mensile corrisposta ai Senatori nei nove mesi in cui sono trattenute le
predette addizionali attualmente oscilla da 4.970,65 a 4.709,09 euro.
Non è possibile cumulare l’indennità con alcun reddito da lavoro da impiego
pubblico, ai sensi dell’art. 68 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165,
che ha previsto per i pubblici dipendenti l’obbligo di aspettativa senza
assegni per mandato parlamentare. Tale disposizione ha esteso il divieto di
cumulo – che la legge n. 1261 del 1965 limitava a quattro decimi dell’indennità
– abrogando ogni disposizione contraria.
> Rimborsi forfettari di spesa
— Diaria. E’ prevista dalla legge n.1261/1965 e spetta a tutti i
parlamentari, a titolo di rimborso delle spese di soggiorno. Periodicamente aggiornata
in funzione dell’aumento del costo della vita, la diaria è stata erogata dal
2001 al 2010 nella misura di 4.003 euro al mese. È stata poi ridotta a 3.500
euro a decorrere dal 1 gennaio 2011, per effetto della deliberazione adottata
dal Consiglio di Presidenza in data 25 novembre 2010. Tale somma viene ridotta
di un quindicesimo se il Senatore non partecipa almeno al 30% delle votazioni
effettuate nell’arco della giornata (in una o più sedute dell’Assemblea).
— Contributo per il supporto dell’attività dei Senatori. A titolo di
rimborso forfettario delle spese sostenute per le attività connesse con lo
svolgimento del mandato parlamentare, è previsto un contributo mensile erogato,
fino al 31 dicembre 2010, nella misura di euro 4.678,36. Dal 1 gennaio 2011 è
ridotto a 4.180 euro (1.680 corrisposti direttamente al Senatore e 2.500
versati al Gruppo parlamentare di appartenenza).
Nell’ambito dell’attività dei Senatori sono inclusi non solo gli atti e gli
adempimenti direttamente collegati alle funzioni svolte nelle Commissioni e
nell’Assemblea, ma anche tutte le iniziative politiche, sociali, culturali che
il parlamentare assume quale rappresentante della Nazione (ai sensi dell’art.
67 della Costituzione). La divisione del contributo in due quote rispecchia la
distinzione tra l’attività generale del Senatore – le cui spese sono rimborsate
attraverso il Gruppo – e l’impegno particolare nel territorio in cui è eletto.
Rimborso forfettario delle spese generali. A decorrere dal 1 gennaio 2011 i
Senatori ricevono un rimborso forfettario mensile di euro 1.650, che
sostituisce e assorbe i preesistenti rimborsi per le spese accessorie di
viaggio e per le spese telefoniche.
L’importo è stato determinato dal Collegio dei Senatori Questori,
nell’ambito del riordino delle competenze economiche dei Senatori, mantenendo
invariato l’onere complessivo che gravava sul bilancio del Senato per i due
rimborsi soppressi.
> Facilitazioni di trasporto
I Senatori usufruiscono di tessere strettamente personali per i
trasferimenti sul territorio nazionale, mediante viaggi aerei, ferroviari e
marittimi e la circolazione sulla rete autostradale.
> Assegno vitalizio
Il Regolamento per gli assegni vitalizi prevede che il Senatore cessato dal
mandato riceva tale prestazione a partire dal 65° anno di età, purché abbia
svolto il mandato parlamentare per almeno 5 anni. Il limite di età è ridotto di
1 anno per ogni anno di mandato effettivo oltre il quinto, fino al limite
inderogabile di 60 anni.
A tal fine il Senatore versa ogni mese una quota dell’indennità lorda –
l’8,6 per cento, pari a 1.032,51 euro – e facoltativamente una quota aggiuntiva
per la reversibilità (il 2,15% pari a 258,13 euro).
Lo stesso Regolamento prevede la sospensione del pagamento del vitalizio
qualora il Senatore sia rieletto al Parlamento nazionale ovvero sia eletto al
Parlamento europeo o ad un Consiglio regionale. Tale sospensione è stata estesa
– con la riforma approvata dal Consiglio di Presidenza nel luglio 2007 – a
tutti gli incarichi incompatibili con lo status di parlamentare, agli incarichi
di Governo e a tutte le cariche di nomina del Governo, del Parlamento o degli
enti territoriali, purché comportino un’indennità pari almeno al 40%
dell’indennità parlamentare lorda.
Nel contesto della medesima riforma regolamentare è stata approvata la nuova
tabella relativa alla misura degli assegni vitalizi, che è entrata in vigore
con la XVI legislatura. In base a tale tabella l’importo dell’assegno vitalizio
varia da un minimo del 20% a un massimo del 60% dell’indennità lorda, in
proporzione alla durata del mandato, e si calcola tenendo conto solo degli anni
effettivamente svolti (in precedenza gli assegni variavano da un minimo del 25%
a un massimo dell’80% dell’indennità lorda).
> Assegno di solidarietà (o di fine mandato)
Al termine del mandato parlamentare, il Senatore riceve dal Fondo di
solidarietà fra i Senatori l’assegno di solidarietà, che è pari all’80%
dell’importo mensile lordo dell’indennità, moltiplicato per il numero degli
anni di mandato effettivo. Tale assegno viene erogato sulla base di contributi
interamente a carico dei Senatori, cui è trattenuta mensilmente una quota
dell’indennità lorda (il 6,7%, pari attualmente a 804,40 euro).
> Assistenza Sanitaria Integrativa
Il Fondo di solidarietà fra i Senatori eroga un rimborso parziale di
determinate spese sanitarie sostenute dagli iscritti, nei limiti fissati dal
Regolamento e dal Tariffario. L’iscrizione è obbligatoria per i Senatori in
carica, che versano un contributo pari al 4,5% dell’indennità lorda; è facoltativa
per i titolari di assegni vitalizi, il cui contributo è pari al 4,7%
dell’importo lordo del proprio assegno. Con il versamento di quote aggiuntive è
possibile l’iscrizione dei familiari.
> La riduzione del trattamento economico dei Senatori
Nel corso degli ultimi anni il trattamento complessivo dei Senatori è stato
più volte ridimensionato, al fine di partecipare al generale sforzo di
riduzione della spesa pubblica. Si segnalano solo le più importanti novità.
Come si è già visto, con la legge finanziaria 2006 l’importo dell’indennità
parlamentare è stato ridotto strutturalmente del 10%. Successivamente la legge
finanziaria 2008 ha bloccato per cinque anni gli incrementi dell’indennità
spettanti a diritto vigente, dal 2008 al 2012. Con la deliberazione del
Consiglio di Presidenza già ricordata, dal 1 gennaio 2011 i rimborsi spesa
forfettari sono stati ridotti complessivamente di 1.000 euro al mese (500 euro
decurtati dalla diaria di soggiorno e 500 dal contributo per il supporto
dell’attività dei Senatori).
Nel 2007 è stata approvata una riforma degli assegni vitalizi, che ha
sensibilmente ridotto la misura di tali prestazioni e ha raddoppiato il periodo
minimo di mandato richiesto per maturare il diritto all’assegno vitalizio: fino
alla XV legislatura erano sufficienti 2 anni e 6 mesi – con il pagamento dei
contributi figurativi per il completamento del quinquennio contributivo –
mentre dalla legislatura in corso sono richiesti almeno 5 anni effettivi di
mandato, in una o più legislature.
Già nel 1997 era stato elevato il requisito di età richiesto per fruire del
vitalizio, che in precedenza variava da un minimo di 50 a un massimo di 60
anni, a seconda del numero di legislature svolte, mentre ora l’intervallo è tra
i 60 e i 65 anni.
Inoltre, a partire dal 1 gennaio 2010, sono state notevolmente ridotte le
facilitazioni di viaggio a favore degli ex senatori, con la soppressione di
ogni rimborso dei pedaggi autostradali e con l’introduzione di un tetto annuale
per i viaggi aerei e ferroviari sul territorio nazionale. Tali benefici sono
stati altresì limitati a un periodo di 10 anni dalla cessazione dal mandato,
oltre il quale cessa ogni facilitazione.
Agata Marino per Finanzanostop
Il presente blog si propone di occuparsi di politica, costume, cronaca, attualità, da un punto di vista di un osservatore critico, soprattutto nei confronti della stampa e TV mainstream, cercando di mantenersi il più possibile equilibrato ed obiettivo. In un momento storico come quello attuale, caratterizzato da una deriva totalitaria, le voci veramente libere non sono solo scarse, ma emarginate entro i confini dei social media.
mercoledì 30 gennaio 2013
domenica 27 gennaio 2013
BERSANI VUOLE ABOLIRE IL CONTANTE. OPPONIAMOCI
Perchè l'abolizione del contante gioverebbe solo alle banche
La tecnologia come mezzo di controllo sociale per imporre, attraverso una continua induzione di paure ed ansie, moduli di pensiero e comportamenti umani totalmente spersonalizzati, asserviti e ideologizzati. Obbiettivo finale: annichilire qualsiasi sentire, agire e pensare che possa essere veramente alternativo e concorrente. In sintesi, annichilire la libertà.
Questo è il pericolo su cui ci ammonisce il celebre romanzo 1984 di George Orwell. Ciò nondimeno, in questi anni di crisi tale pericolo non è lontano da un suo pieno concretizzarsi. Buona parte della società civile e dell’opinione pubblica sembra non voler vedere questo mostro che cresce; lentamente e apaticamente essa sta lasciando la propria libertà nelle mani di un’entità manipolatrice dai tratti allo stesso tempo oligarchici e collettivistici.
Se vogliamo difendere la libertà (la nostra libertà) dobbiamo innanzitutto scrollarci di dosso l’apatia e prendere coscienza del nostro potere. Per far questo è necessario “educarci alla libertà” processo che in primo luogo implica il comprendere e il saper confutare rigorosamente la logica antirazionale propugnata dai nemici della libertà.
E’ nel suddetto contesto che va inserita “la battaglia per la difesa dell’utilizzo del denaro contante”. Una battaglia la cui finalità, pertanto, non consiste nel rivendicare la supremazia in termini assoluti di uno strumento di pagamento su un altro (banconote versus mezzi elettronici), bensì nel riaffermare il diritto delle persone di scegliere liberamente il modo che ritengono migliore di portare a termine i loro scambi economici.
Come tutti sanno nel nostro Paese la soglia al di sotto della quale è possibile utilizzare denaro contante per effettuare pagamenti tra privati o privati e società od amministrazioni non bancarie è stata recentemente abbassata fino all’attuale limite di 1000€ .
Nonostante ciò, qualcuno non ancora sazio di prescrivere restrizioni alle libertà individuali continua a richiedere l’implementazione di ulteriori “stratagemmi” per disincentivare e ridurre ancor di più gli spazi d’uso del contante, con l’intento più o meno esplicito e consapevole di giungere in un futuro alla totale, o pressoché totale, soppressione di questa modalità di pagamento, affermando contemporaneamente il dominio artificiale della moneta elettronica.
A supporto della bontà della loro tesi, i promotori ed i sostenitori della cosiddetta lotta al contante adducono il fatto che tutto ciò sia pensato e studiato al fine di ottenere gradi maggiori di benessere generale, equità, progresso, giustizia sociale.
La verità, tuttavia, è assolutamente un’altra: la lotta contro l’utilizzo del denaro contante non annovera alcuno scopo nobile e le argomentazioni a suo sostegno sono pure mistificazioni della realtà oggettiva. L’unico vero obbiettivo di questa crociata consiste nel proteggere e consolidare il potere, le prebende e l’influenza di quella variegata casta di soggetti improduttivi che vivono e prosperano soltanto a scapito del lavoro altrui.
Con il pretesto di perseguire buoni propositi si vuole soltanto fare razzia dei diritti naturali dei più inermi.
La lotta al contante in quanto strumento fondamentale per combattere l’evasione fiscale.
Questa è l’argomentazione principale che viene usata da chi si prodiga per avere una società senza contante. Ad una prima analisi questa giustificazione sembrerebbe inattaccabile; tuttavia, mediante una disamina più attenta e approfondita si scopre che il grosso dell’evasione fiscale non ruota affatto attorno l’utilizzo del denaro contante, ma riguarda invece transazioni decisamente più sofisticate.
I fenomeni evasivi/elusivi numericamente più rilevanti, quali l’occultamento di ricavi e compensi o l’indebita deduzione dei costi, vengono, infatti, messi in atto con l’impiego di strutture e comportamenti fittizi che prescindono dall’uso del contante e dall’obbligo di avvalersi del canale bancario per rendere le operazioni tracciabili.
Diffondere l’idea che la maniera più efficace per contrastare l’evasione fiscale risieda nella lotta al contante significa, dunque, pubblicizzare volutamente un erroneo convincimento. L’evasione si combatte mettendo a punto un quadro normativo stabile e facilmente comprensibile, tagliando il numero degli adempimenti, instaurando un rapporto di fiducia tra il Fisco e il contribuente e riducendo in maniera sistematica e ragionevole la pressione fiscale tramite un preventivo calo della spesa e dell’inefficienza pubblica.
A fronte delle sopraccitate misure, l’eliminazione del contante non serve praticamente a nulla se non a privare milioni di cittadini (il popolo minuto) dell’unico formidabile strumento di “dissenso di massa” che essi possono avere a loro disposizione per non essere sopraffatti da inique regole e politiche fiscali.
La lotta al contante non incide direttamente sulla libertà e le abitudini delle persone.
Affermazione semplicemente senza senso. Restringendo le possibilità per gli agenti economici di scegliere come metodo di pagamento ciò che essi considerano più adeguato, si va ad incidere per forza di cose direttamente sulla libertà e le abitudini delle persone.
Contante strumento scomodo ed obsoleto.
L’esperienza sostiene l’esatto contrario. Nella quotidianità solamente l’impiego del contante permette ad alcune transazioni di essere portate a termine in maniera celere e quindi proficua. Di conseguenza, eliminando o riducendo ancor più drasticamente questa modalità di pagamento, si introdurranno necessariamente in più parti del sistema economico rimarchevoli inefficienze che, in ultima analisi, avranno il demerito di rendere maggiormente complicata la vita delle persone.
La lotta al contante è decisiva anche nella lotta ai furti e alle rapine.
«Chi è pronto a dar via le proprie libertà fondamentali per comprarsi briciole di temporanea sicurezza non merita né la libertà né la sicurezza».
Basterebbe citare questo famoso aforisma di Benjamin Franklin, uno dei Padri Fondatori degli Stati Uniti d’America, per dimostrare l’illegittima sussistenza di questo assunto. Ma, poiché è necessario essere veritieri fino in fondo, si deve anche constatare come l’eliminazione del contante non rappresenti sicuramente la panacea contro furti e rapine. Clonazione di bancomat e di carte di credito, manipolazione di conti bancari, furto d’identità o anche le incresciose aggressioni alle abitazioni dei cittadini sono tutti esempi di fenomeni criminali sui quali la lotta al contante non può avere di certo un’incidenza decisiva.
La lotta al contante è una vera e propria battaglia di civiltà.
Alcuni si spingono a definire addirittura la lotta al contante come una vera e propria battaglia di civiltà, dando sostanzialmente origine ad una nuova forma di polilogismo (Il polilogismo è la dottrina che nega l’uniformità della struttura logica della mente umana): da una parte c’è chi ripudiando l’utilizzo del denaro contante ha sposato la cultura della legalità, dall’altra parte c’è chi non ripudiando tale utilizzo ha deciso di porsi, almeno teoricamente, al di fuori di questa cultura.
Questa presa di posizione è soltanto un grezzo espediente per evitare qualsiasi confronto approfondito, critica o discussione sul merito. Trattasi di falso razionalismo utile a nascondere l’irragionevolezza e l’illogicità di una tesi. Non avendo a proprio sostegno argomentazioni davvero valide, l’esercito della lotta al contante sposta la sua lotta sul terreno della pura ideologia allontanandosi così in maniera intenzionale dalla realtà delle cose.
Dinanzi ad un atteggiamento del genere si può comprendere appieno la posizione di chi ostinatamente porta avanti la crociata contro il contante: trovandosi nell’impossibilità di avere l’avallo della verità scientifica, tenta scorrettamente di plagiare la mente dei propri interlocutori
La progressiva eliminazione del contante e la simultanea imposizione dall’alto della moneta elettronica alimenta il potere arbitrario e discrezionale delle élites politiche e finanziarie. Il costante consolidamento di questo potere è da ritenersi estremamente pericoloso poiché sottende, in conclusione, l’indotta accettazione di una società dalle caratteristiche distopiche dove l’uomo non è concepito come fine, bensì come mero mezzo.
Per impedire tutto ciò bisogna iniziare a far sentire il nostro grido di disapprovazione.
Fonte: contantelibero.it
La tecnologia come mezzo di controllo sociale per imporre, attraverso una continua induzione di paure ed ansie, moduli di pensiero e comportamenti umani totalmente spersonalizzati, asserviti e ideologizzati. Obbiettivo finale: annichilire qualsiasi sentire, agire e pensare che possa essere veramente alternativo e concorrente. In sintesi, annichilire la libertà.
Questo è il pericolo su cui ci ammonisce il celebre romanzo 1984 di George Orwell. Ciò nondimeno, in questi anni di crisi tale pericolo non è lontano da un suo pieno concretizzarsi. Buona parte della società civile e dell’opinione pubblica sembra non voler vedere questo mostro che cresce; lentamente e apaticamente essa sta lasciando la propria libertà nelle mani di un’entità manipolatrice dai tratti allo stesso tempo oligarchici e collettivistici.
Se vogliamo difendere la libertà (la nostra libertà) dobbiamo innanzitutto scrollarci di dosso l’apatia e prendere coscienza del nostro potere. Per far questo è necessario “educarci alla libertà” processo che in primo luogo implica il comprendere e il saper confutare rigorosamente la logica antirazionale propugnata dai nemici della libertà.
E’ nel suddetto contesto che va inserita “la battaglia per la difesa dell’utilizzo del denaro contante”. Una battaglia la cui finalità, pertanto, non consiste nel rivendicare la supremazia in termini assoluti di uno strumento di pagamento su un altro (banconote versus mezzi elettronici), bensì nel riaffermare il diritto delle persone di scegliere liberamente il modo che ritengono migliore di portare a termine i loro scambi economici.
Come tutti sanno nel nostro Paese la soglia al di sotto della quale è possibile utilizzare denaro contante per effettuare pagamenti tra privati o privati e società od amministrazioni non bancarie è stata recentemente abbassata fino all’attuale limite di 1000€ .
Nonostante ciò, qualcuno non ancora sazio di prescrivere restrizioni alle libertà individuali continua a richiedere l’implementazione di ulteriori “stratagemmi” per disincentivare e ridurre ancor di più gli spazi d’uso del contante, con l’intento più o meno esplicito e consapevole di giungere in un futuro alla totale, o pressoché totale, soppressione di questa modalità di pagamento, affermando contemporaneamente il dominio artificiale della moneta elettronica.
A supporto della bontà della loro tesi, i promotori ed i sostenitori della cosiddetta lotta al contante adducono il fatto che tutto ciò sia pensato e studiato al fine di ottenere gradi maggiori di benessere generale, equità, progresso, giustizia sociale.
La verità, tuttavia, è assolutamente un’altra: la lotta contro l’utilizzo del denaro contante non annovera alcuno scopo nobile e le argomentazioni a suo sostegno sono pure mistificazioni della realtà oggettiva. L’unico vero obbiettivo di questa crociata consiste nel proteggere e consolidare il potere, le prebende e l’influenza di quella variegata casta di soggetti improduttivi che vivono e prosperano soltanto a scapito del lavoro altrui.
Con il pretesto di perseguire buoni propositi si vuole soltanto fare razzia dei diritti naturali dei più inermi.
La lotta al contante in quanto strumento fondamentale per combattere l’evasione fiscale.
Questa è l’argomentazione principale che viene usata da chi si prodiga per avere una società senza contante. Ad una prima analisi questa giustificazione sembrerebbe inattaccabile; tuttavia, mediante una disamina più attenta e approfondita si scopre che il grosso dell’evasione fiscale non ruota affatto attorno l’utilizzo del denaro contante, ma riguarda invece transazioni decisamente più sofisticate.
I fenomeni evasivi/elusivi numericamente più rilevanti, quali l’occultamento di ricavi e compensi o l’indebita deduzione dei costi, vengono, infatti, messi in atto con l’impiego di strutture e comportamenti fittizi che prescindono dall’uso del contante e dall’obbligo di avvalersi del canale bancario per rendere le operazioni tracciabili.
Diffondere l’idea che la maniera più efficace per contrastare l’evasione fiscale risieda nella lotta al contante significa, dunque, pubblicizzare volutamente un erroneo convincimento. L’evasione si combatte mettendo a punto un quadro normativo stabile e facilmente comprensibile, tagliando il numero degli adempimenti, instaurando un rapporto di fiducia tra il Fisco e il contribuente e riducendo in maniera sistematica e ragionevole la pressione fiscale tramite un preventivo calo della spesa e dell’inefficienza pubblica.
A fronte delle sopraccitate misure, l’eliminazione del contante non serve praticamente a nulla se non a privare milioni di cittadini (il popolo minuto) dell’unico formidabile strumento di “dissenso di massa” che essi possono avere a loro disposizione per non essere sopraffatti da inique regole e politiche fiscali.
La lotta al contante non incide direttamente sulla libertà e le abitudini delle persone.
Affermazione semplicemente senza senso. Restringendo le possibilità per gli agenti economici di scegliere come metodo di pagamento ciò che essi considerano più adeguato, si va ad incidere per forza di cose direttamente sulla libertà e le abitudini delle persone.
Contante strumento scomodo ed obsoleto.
L’esperienza sostiene l’esatto contrario. Nella quotidianità solamente l’impiego del contante permette ad alcune transazioni di essere portate a termine in maniera celere e quindi proficua. Di conseguenza, eliminando o riducendo ancor più drasticamente questa modalità di pagamento, si introdurranno necessariamente in più parti del sistema economico rimarchevoli inefficienze che, in ultima analisi, avranno il demerito di rendere maggiormente complicata la vita delle persone.
La lotta al contante è decisiva anche nella lotta ai furti e alle rapine.
«Chi è pronto a dar via le proprie libertà fondamentali per comprarsi briciole di temporanea sicurezza non merita né la libertà né la sicurezza».
Basterebbe citare questo famoso aforisma di Benjamin Franklin, uno dei Padri Fondatori degli Stati Uniti d’America, per dimostrare l’illegittima sussistenza di questo assunto. Ma, poiché è necessario essere veritieri fino in fondo, si deve anche constatare come l’eliminazione del contante non rappresenti sicuramente la panacea contro furti e rapine. Clonazione di bancomat e di carte di credito, manipolazione di conti bancari, furto d’identità o anche le incresciose aggressioni alle abitazioni dei cittadini sono tutti esempi di fenomeni criminali sui quali la lotta al contante non può avere di certo un’incidenza decisiva.
La lotta al contante è una vera e propria battaglia di civiltà.
Alcuni si spingono a definire addirittura la lotta al contante come una vera e propria battaglia di civiltà, dando sostanzialmente origine ad una nuova forma di polilogismo (Il polilogismo è la dottrina che nega l’uniformità della struttura logica della mente umana): da una parte c’è chi ripudiando l’utilizzo del denaro contante ha sposato la cultura della legalità, dall’altra parte c’è chi non ripudiando tale utilizzo ha deciso di porsi, almeno teoricamente, al di fuori di questa cultura.
Questa presa di posizione è soltanto un grezzo espediente per evitare qualsiasi confronto approfondito, critica o discussione sul merito. Trattasi di falso razionalismo utile a nascondere l’irragionevolezza e l’illogicità di una tesi. Non avendo a proprio sostegno argomentazioni davvero valide, l’esercito della lotta al contante sposta la sua lotta sul terreno della pura ideologia allontanandosi così in maniera intenzionale dalla realtà delle cose.
Dinanzi ad un atteggiamento del genere si può comprendere appieno la posizione di chi ostinatamente porta avanti la crociata contro il contante: trovandosi nell’impossibilità di avere l’avallo della verità scientifica, tenta scorrettamente di plagiare la mente dei propri interlocutori
«Chi cerca di realizzare il
paradiso in terra, sta in effetti preparando per gli altri un molto
rispettabile inferno»
(Paul Claudel)
“Eliminare il contante rappresenterebbe un atto di spoliazione dei nostri
diritti alla libertà”.La progressiva eliminazione del contante e la simultanea imposizione dall’alto della moneta elettronica alimenta il potere arbitrario e discrezionale delle élites politiche e finanziarie. Il costante consolidamento di questo potere è da ritenersi estremamente pericoloso poiché sottende, in conclusione, l’indotta accettazione di una società dalle caratteristiche distopiche dove l’uomo non è concepito come fine, bensì come mero mezzo.
Per impedire tutto ciò bisogna iniziare a far sentire il nostro grido di disapprovazione.
Fonte: contantelibero.it
venerdì 18 gennaio 2013
DALLA DISFATTA ALLA RISCOSSA. LA LEZIONE GIAPPONESE
(Quello che si dovrebbe fare e non si farà mai)
Il Giappone ha il 236% del
debito/Pil e un deficit/Pil al 10%. Numeri che farebbero impallidire Angela
Merkel, i trattati di Maastricht, Lisbona e compagnia bella. E cosa fa il
premier Shinzo Abe? Ha annunciato poche ore fa un ulteriore piano di espansione
della spesa pubblica con un primo intervento da 85 miliardi di euro. Insomma,
del mantra europeo dell' austerity dalle parti di Tokyo non c'è neanche l'ombra.
Ma come mai il Giappone - che resta
la terza economia del pianeta e può esibire un tasso di disoccupazione del 4,5%
contro l'11% europeo - può permettersi di far galoppare la spesa pubblica pur
convivendo da tempo con parametri di indebitamento molto simili a quelli della
Grecia? Non solo: lo stesso plurindebitato Giappone può permettersi di
finanziare il debito pubblico americano (facendo carry trade, ovvero pagando
interessi inferiori all'1% su titoli a 10 anni ai detentori dei titoli
nipponici e ricevendo quasi il 2% dal Tesoro Usa) e quello europeo (il Giappone
si è detto pronto ad acquistare titoli emessi dal Fondo Salva-Stati ESM). Come
mai?
Perché rispetto alla Grecia, o a un
qualunque Paese dell'Eurozona, ha almeno due cartucce in più da giocare: la
possibilità di stampare moneta della Bank of Japan e la protezione del debito
pubblico da parte dei cittadini e degli investitori interni che ne detengono la
quasi totalità.
Della possibilità di stampare moneta
e quindi del ruolo di prestatore di ultima istanza da parte della Bank of Japan
(facoltà condivisa, tra le varie, con la Federal Reserve statunitense, la Bank
of England e la Banca centrale svizzera) si è più volte parlato. Così come si è
parlato del fatto che la Banca centrale europea non contempla questa
possibilità, nonostante abbia attuato nel corso del 2012 misure ibride di
intervento come lo scudo anti-spread (che agisce sul mercato secondario) o
l'attivazione del fondo Esm (che può tecnicamente acquistare titoli di Stato
sul mercato primario qualora un Paese chieda esplicitamente aiuto).
Il principale rischio per un Paese
dove la rispettiva Banca centrale stampi moneta all'occorrenza per sostenere la
crescita (come peraltro la Federal Reserve ha già fatto tre volte dopo il
collasso di Lehman Brothers annunciando tre piani di quantitative easing) è di
alimentare potenzialmente l'inflazione.
Anche se non è un'equazione
scontata. Ad esempio negli Stati Uniti dal 2008, dopo tre piani di allentamento
monetario (l'ultimo dei quali prevede che la Fed stampi 40 miliardi di dollari
al mese per un periodo indefinito), l'inflazione non è andata oltre il 3,8% del
2008 (favorendo peraltro una ristrutturazione gratuita del mastodontico debito
pubblico americano, oltre 16mila miliardi di dollari) dato che i tassi nominali
che il governo Usa paga sui titoli a 10 anni sono inferiori al 2%.
Che non sia un'equazione scontata lo
dimostra anche quando accade in Giappone, dove da tempo la Banca centrale
persegue politiche di allentamento monetario, vive paradossalmente con lo
spettro della deflazione (dal 1997 al 2011 i prezzi sono scesi dello 0,08%
secondo dati Eurostat).
E veniamo all'altra arma su cui il
Giappone plurindebitato può contare rispetto a un Paese dell'area euro: il
debito pubblico è detenuto quasi totalmente al suo interno. Questa dinamica
offre il fianco a due vantaggi: 1) è tecnicamente inattaccabile dalla
speculazione di investitori stranieri; 2) permette ai cittadini di vivere in
uno strano, ma potenzialmente armonioso, equilibrio in cui siano loro stessi
attraverso i propri risparmi investiti a finanziare la spesa pubblica.
Ovviamente, non ci sono solo pro. Tra gli aspetti negativi dell'enorme
"debito pubblico interno" del Giappone c'è la minor liquidità
rispetto a un debito aperto a una platea più variegata di investitori. E,
soprattutto, su questo debito incombe una spada di Damocle: la demografia. La
gran parte della ricchezza dei risparmiatori giapponesi investita nel debito
interno è in mano a baby boomers, coloro che sono nati tra gli anni '40 e '60,
molti dei quali sono prossimi alla pensione: momento in cui – Come ricorda
Zingales- smetteranno di risparmiare e inizieranno a spendere. E, a quel punto,
il debito giapponese potrebbe aprisi agli investitori internazionali che, a
fronte di un debito pubblico pari al 236% del Pil, potrebbero chiedere un
interesse maggiore rispetto allo 0,82% pagato attualmente. Mettendo a
repentaglio la sostenibilità del debito.
E questo ragionamento ci porta a
quello che sta accadendo adesso in Italia. Lo spread tra BTP e Bund è
letteralmente crollato da luglio (quando il governatore della Bce Mario Draghi ha
lanciato lo scudo anti-spread) passato da un picco di 538 a un minimo a 236.
Secondo le ultime stime degli addetti ai lavori, dallo scorso novembre il flusso
degli investimenti esteri sul debito pubblico - che durante la crisi, stando ai
dati Bankitaila, è calato dal picco del giugno 2011 a quota 813 miliardi fino
ai 671 di ottobre 2012 - è stato positivo.
Un dato che si sposa con le
dichiarazioni di rinnovata fiducia degli investitori stranieri sull'Eurozona e
sul debito italiano (fra cui quella di Pimco, il maggior gestore al mondo di
fondi obbligazionari, che a novembre ha annunciato di vendere titoli francesi e
tedeschi rimpiazzandoli con quelli italiani e spagnoli). I mercati provano ad
anticipare la ripresa economica che potrebbe esserci a partire dal 2014 mentre
nel frattempo i dati del 2012 sono negativi (oggi l'Ocse ha pubblicato il Pil
del terzo trimestre con Italia maglia nera d'Europa a -0,2%)
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riservata © - Il Sole 24 ore
martedì 15 gennaio 2013
ELEZIONI INUTILI PER UN GOVERNO VIRTUALE
Andare a votare non è difficile. Non serve.
Da oltre dieci anni sono sotto i nostri occhi le prove della
progressiva perdita di qualsiasi sovranità politica e costituzionale degli
Stati occidentali (WTO, GATS, ecc.).
Oggi, nel caso dell’Eurozona, quella perdita è totale. Ciò significa che nessuno degli uomini o delle donne che oggi si azzuffano nelle liste elettorali, premier o parlamentari, ci potrà governare nei prossimi 5 anni. Essi eseguiranno solo ordini impartiti da tecnocrati europei, dai Trattati europei, e dai mercati finanziari, fine .
Oggi, nel caso dell’Eurozona, quella perdita è totale. Ciò significa che nessuno degli uomini o delle donne che oggi si azzuffano nelle liste elettorali, premier o parlamentari, ci potrà governare nei prossimi 5 anni. Essi eseguiranno solo ordini impartiti da tecnocrati europei, dai Trattati europei, e dai mercati finanziari, fine .
Fra Vendola e Monti lo spazio di manovra è non più dello
0,1%, se consideriamo le politiche nazionali che contano. Grillo ancora meno,
perché il suo team è talmente scadente che neppure riuscirebbe a capire come si
paga uno stipendio di un bidello, meno che meno cosa siano le Collective Action
Clauses sui titoli del Tesoro o il Correcting Macroeconomic Imbalances. Inutile
votare siti politici, inutile leggerne i programmi, guardare i dibattiti tv.
Essi sono figure virtuali, impotenti al 99,9%, sono morti viventi.
So che questa nozione sembra una boutade di un fesso, tanto è scioccante. Ma così è. Il mio lavoro ha portato prove autorevoli con documenti e testimonianze in numero talmente ampio che è impossibile persino riassumerle qui. Voglio solo ricordare i seguenti punti:
A) La Costituzione italiana non ha più valore sovrano, essendo stata sottomessa alla legge europea fin dal 1991.
(Chapter National constitutions and the Lisbon Treaty: conflicts are resolved by the EU Court, 344 TFEU - obligation of loyalty, 4.3 TEU, 24.3 TEU - In Opinion 1/91 of the European Court of Justice, the European treaties are described as 'the Constitutional Charter of a Community of Law, a new legal order for the sake of which the States have limited their sovereign rights").
B) La legge europea, redatta unicamente dalla Commissione Europea di tecnocrati che nessuno elegge, ha supremazia su ogni legge nazionale italiana. Ne consegue che il Parlamento nazionale è esautorato nella sovranità. Il ruolo subordinato dei Parlamenti nazionali nella nuova Europa significa che "essi dovranno fare gli interessi dell’Unione prima che i propri", come sancito dai Trattati.
(Art. 8c, TEU - The European Council of 21-23 June 2007 in Brussels: Presidency Conclusions, General Observations, point 3, page 16)
C) Il governo italiano non ha più alcuna sovranità nelle politiche economiche, di bilancio e sociali. Questo significa aver perso il 99,9% del potere di un governo. Ciò accade a causa dei Trattati europei che l’Italia ha firmato e ratificato in legge nazionale, e che da oggi costringono il governo e il Parlamento alle seguenti misure:
- Una spesa pubblica insignificante non oltre il 3% del PIL, che dovrà scendere allo 0,5% del PIL.
- Il pareggio di bilancio va inserito nella Costituzione (sancito dal Fiscal Compact nel TITOLO III art. 3/1 a - 3/2). Significa che il governo deve spendere 100 e tassarci 100, lasciando a noi cittadini e imprese esattamente 0 denaro. Unica nostra alternativa è erodere i risparmi o indebitarci con le banche. Questo è precisamente l’impoverimento automatico che oggi chiamiamo ‘la crisi’. L’Italia ha ubbidito e ha messo in Costituzione il pareggio di bilancio, ma ora sapete che non è stata affatto una scelta parlamentare per il bene del Paese, ma una costrizione esterna dettata dalla minaccia di sanzioni europee.
- Il governo dovrà sottomettere la legge di bilancio alla Commissione Europea prima che al Parlamento, e solo dopo l’approvazione di Bruxelles potrà interpellare i deputati.
- Se il governo sgarra, potrà essere multato di miliardi di euro e scatta una procedura chiamata Preventing Macroeconomic Imbalances. Concede alla Commissione e al Consiglio Europeo poteri di intervenire sulle politiche italiane del lavoro, sulla tassazione, sullo Stato Sociale, sui servizi essenziali e sui redditi per imporre tagli e maggiori tasse. Imporre, non suggerire.
- La competitività italiana sarà giudicata dai poteri europei superiori a governo e Parlamento in rapporto al contenimento degli stipendi e all’aumento della produttività. Gli stipendi pubblici devono essere tenuti sotto controllo per non danneggiare la competitività. La sostenibilità del debito nazionale viene giudicata a seconda della presunta generosità di spesa nella Sanità, Stato Sociale, e ammortizzatori sociali. Le pensioni e gli esborsi sociali devono essere riformati "allineando il sistema pensionistico alla situazione demografica nazionale, per esempio allineando l’età pensionistica con l’aspettativa di vita".
- L’Italia, Stato della zona Euro, dovrà chiedere l'approvazione alla Commissione Europea e al Consiglio Europeo prima di emettere i propri titoli di Stato. Anche qui la funzione primaria di autonomia di spesa dello Stato sovrano è cancellata (sancito dal Fiscal Compact nel TITOLO III art. 6).
- Se l’Italia dovrà chiedere un aiuto finanziario al Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) sarà obbligata a sottoscrivere, in accordo con la Commissione Europea, col FMI e con la BCE, un Memorandum dove si vincola a obbedire a tutto ciò che il MES e FMI gli imporranno, a tutti i Trattati, a tutte le condizioni del prestito, persino a critiche e suggerimenti dei sopraccitati. Il Parlamento italiano non ha alcuna voce in capitolo neppure qui.
(Fonti: The Stability and Growth Pact, The European Semester, Preventing Macroeconomic Imbalances, The Europact, The Fiscal Compact, The European Stability Mechanism (MES)).
Infine, il governatore della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, ha il potere sancito dallo statuto BCE di ricattare qualsiasi banca italiana attraverso i poteri della Struttura di Controllo del Rischio (Risk Contol Framework), e anche qui il governo italiano è impotente. E, come sapete, l’Italia, che ha perduto con l’Eurozona la sua moneta sovrana, dipende dai mercati di capitali internazionali per ricevere ogni centesimo di euro che spende per la vita dello Stato, per cui è da essi ricattabile al 100%, cioè il governo, il Parlamento, i cittadini, la Costituzione sono alla mercé dei mercati, interamente.
Bene. Ho finito. Voteremo dei morti, impotenti, inutili, senza alcun reale potere. Dobbiamo urlare alla politica che noi sappiamo tutto questo, e che loro devono promettere all’elettorato di portarci fuori da questo orrore europeo con un moto di orgoglio e di salvezza nazionale.
So che questa nozione sembra una boutade di un fesso, tanto è scioccante. Ma così è. Il mio lavoro ha portato prove autorevoli con documenti e testimonianze in numero talmente ampio che è impossibile persino riassumerle qui. Voglio solo ricordare i seguenti punti:
A) La Costituzione italiana non ha più valore sovrano, essendo stata sottomessa alla legge europea fin dal 1991.
(Chapter National constitutions and the Lisbon Treaty: conflicts are resolved by the EU Court, 344 TFEU - obligation of loyalty, 4.3 TEU, 24.3 TEU - In Opinion 1/91 of the European Court of Justice, the European treaties are described as 'the Constitutional Charter of a Community of Law, a new legal order for the sake of which the States have limited their sovereign rights").
B) La legge europea, redatta unicamente dalla Commissione Europea di tecnocrati che nessuno elegge, ha supremazia su ogni legge nazionale italiana. Ne consegue che il Parlamento nazionale è esautorato nella sovranità. Il ruolo subordinato dei Parlamenti nazionali nella nuova Europa significa che "essi dovranno fare gli interessi dell’Unione prima che i propri", come sancito dai Trattati.
(Art. 8c, TEU - The European Council of 21-23 June 2007 in Brussels: Presidency Conclusions, General Observations, point 3, page 16)
C) Il governo italiano non ha più alcuna sovranità nelle politiche economiche, di bilancio e sociali. Questo significa aver perso il 99,9% del potere di un governo. Ciò accade a causa dei Trattati europei che l’Italia ha firmato e ratificato in legge nazionale, e che da oggi costringono il governo e il Parlamento alle seguenti misure:
- Una spesa pubblica insignificante non oltre il 3% del PIL, che dovrà scendere allo 0,5% del PIL.
- Il pareggio di bilancio va inserito nella Costituzione (sancito dal Fiscal Compact nel TITOLO III art. 3/1 a - 3/2). Significa che il governo deve spendere 100 e tassarci 100, lasciando a noi cittadini e imprese esattamente 0 denaro. Unica nostra alternativa è erodere i risparmi o indebitarci con le banche. Questo è precisamente l’impoverimento automatico che oggi chiamiamo ‘la crisi’. L’Italia ha ubbidito e ha messo in Costituzione il pareggio di bilancio, ma ora sapete che non è stata affatto una scelta parlamentare per il bene del Paese, ma una costrizione esterna dettata dalla minaccia di sanzioni europee.
- Il governo dovrà sottomettere la legge di bilancio alla Commissione Europea prima che al Parlamento, e solo dopo l’approvazione di Bruxelles potrà interpellare i deputati.
- Se il governo sgarra, potrà essere multato di miliardi di euro e scatta una procedura chiamata Preventing Macroeconomic Imbalances. Concede alla Commissione e al Consiglio Europeo poteri di intervenire sulle politiche italiane del lavoro, sulla tassazione, sullo Stato Sociale, sui servizi essenziali e sui redditi per imporre tagli e maggiori tasse. Imporre, non suggerire.
- La competitività italiana sarà giudicata dai poteri europei superiori a governo e Parlamento in rapporto al contenimento degli stipendi e all’aumento della produttività. Gli stipendi pubblici devono essere tenuti sotto controllo per non danneggiare la competitività. La sostenibilità del debito nazionale viene giudicata a seconda della presunta generosità di spesa nella Sanità, Stato Sociale, e ammortizzatori sociali. Le pensioni e gli esborsi sociali devono essere riformati "allineando il sistema pensionistico alla situazione demografica nazionale, per esempio allineando l’età pensionistica con l’aspettativa di vita".
- L’Italia, Stato della zona Euro, dovrà chiedere l'approvazione alla Commissione Europea e al Consiglio Europeo prima di emettere i propri titoli di Stato. Anche qui la funzione primaria di autonomia di spesa dello Stato sovrano è cancellata (sancito dal Fiscal Compact nel TITOLO III art. 6).
- Se l’Italia dovrà chiedere un aiuto finanziario al Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) sarà obbligata a sottoscrivere, in accordo con la Commissione Europea, col FMI e con la BCE, un Memorandum dove si vincola a obbedire a tutto ciò che il MES e FMI gli imporranno, a tutti i Trattati, a tutte le condizioni del prestito, persino a critiche e suggerimenti dei sopraccitati. Il Parlamento italiano non ha alcuna voce in capitolo neppure qui.
(Fonti: The Stability and Growth Pact, The European Semester, Preventing Macroeconomic Imbalances, The Europact, The Fiscal Compact, The European Stability Mechanism (MES)).
Infine, il governatore della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, ha il potere sancito dallo statuto BCE di ricattare qualsiasi banca italiana attraverso i poteri della Struttura di Controllo del Rischio (Risk Contol Framework), e anche qui il governo italiano è impotente. E, come sapete, l’Italia, che ha perduto con l’Eurozona la sua moneta sovrana, dipende dai mercati di capitali internazionali per ricevere ogni centesimo di euro che spende per la vita dello Stato, per cui è da essi ricattabile al 100%, cioè il governo, il Parlamento, i cittadini, la Costituzione sono alla mercé dei mercati, interamente.
Bene. Ho finito. Voteremo dei morti, impotenti, inutili, senza alcun reale potere. Dobbiamo urlare alla politica che noi sappiamo tutto questo, e che loro devono promettere all’elettorato di portarci fuori da questo orrore europeo con un moto di orgoglio e di salvezza nazionale.
Paolo Barnard.info
In ogni caso, per chi fosse di memoria corta, riteniamo utile ricordare alcuni nominativi di personaggi (non persone!) che farebbero parte di un eventuale esecutivo Berlusconi nella malaugurata quanto improbabile ipotesi di una sua vittoria elettorale. Si tratta di nomi pesanti, difficili da portare, sebbene i protagonisti detentori di tali nominativi lo facciano con grande disinvoltura. Teniamoli bene a mente.
In ogni caso, per chi fosse di memoria corta, riteniamo utile ricordare alcuni nominativi di personaggi (non persone!) che farebbero parte di un eventuale esecutivo Berlusconi nella malaugurata quanto improbabile ipotesi di una sua vittoria elettorale. Si tratta di nomi pesanti, difficili da portare, sebbene i protagonisti detentori di tali nominativi lo facciano con grande disinvoltura. Teniamoli bene a mente.
Marcello
Dell'Utri
Nicola Cosentino
Umberto Bossi
Luciano Moggi
Raffaele Lombardo
Alessandra Mussolini
Emilio Fede
Luigi "Giggino a' Purpett" Cesaro
Saverio Romano
Nicola Cosentino
Umberto Bossi
Luciano Moggi
Raffaele Lombardo
Alessandra Mussolini
Emilio Fede
Luigi "Giggino a' Purpett" Cesaro
Saverio Romano
Renato "o' curto" Brunetta
Magdi Cristiano Allam
Maurizio Gasparri
Roberto Calderoli
Michela Vittoria Brambilla
Marco Milanese
Alfonso Papa
Mara Carfagna
Angelo Pisani, avvocato di Maradona
Francesco Storace
Giulio Tremonti
Domenico Scilipoti
Claudio Scajola
Stefania Craxi
Renato Farina
Fabrizio Cicchitto
Gianfranco Micciché
Salvatore Sciacia
Mario Vattani, console "fascio-rock"
Denis Verdini
Ignazio La Russa
Sandro Bondi
Daniela Santanché
Magdi Cristiano Allam
Maurizio Gasparri
Roberto Calderoli
Michela Vittoria Brambilla
Marco Milanese
Alfonso Papa
Mara Carfagna
Angelo Pisani, avvocato di Maradona
Francesco Storace
Giulio Tremonti
Domenico Scilipoti
Claudio Scajola
Stefania Craxi
Renato Farina
Fabrizio Cicchitto
Gianfranco Micciché
Salvatore Sciacia
Mario Vattani, console "fascio-rock"
Denis Verdini
Ignazio La Russa
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