ROMA - Antonio
Mastrapasqua è indagato dalla procura di Roma. Il presidente dell'Inps, uno
degli uomini più potenti d'Italia, è sotto inchiesta per migliaia di cartelle
cliniche taroccate e fatture gonfiate all'Ospedale Israelitico, di cui è
direttore generale. In tutto 85 milioni di euro: 14 milioni sarebbero rimborsi
"non dovuti" ma richiesti lo stesso alla Regione Lazio. Gli altri 71
sono un presunto "ingiusto vantaggio" conseguito dalla clinica romana
dal 2011 al 2013. E al vaglio dei magistrati c'è pure la cessione all'Inps di
una parte di questo credito "non esigibile", servita a sanare i conti
della struttura romana. Manovra, questa, pensata, avviata e autorizzata da
Mastrapasqua, nella doppia veste di debitore e creditore.
L'indagine è delicatissima. Si basa sulla denuncia del
Nas di Roma, datata 16 settembre 2013 e consegnata in procura, nella quale si
ricostruisce la maxi truffa ai danni dello Stato. E dunque, migliaia di
semplici interventi svolti negli ambulatori del reparto di odontoiatria dell'Ospedale
Israelitico tra il 2006 e il 2009 si sono trasformati in "operazioni
invasive e con notevole carico assistenziale effettuate in ortopedia". In
totale sono state contate 12.164 schede di dimissione falsificate. Ad esempio
le estrazioni dei denti sono state classificate in qualche caso come
costosissime plastiche gengivali con innesto di osso. In che modo?
"Raggirando il sistema di controllo informatico - scrivono gli
investigatori - inserendo codici diversi da quelli riportati nelle cartelle cliniche".
C'è un "movente", naturalmente. La clinica non risulta accreditata
col Servizio sanitario per odontoiatria, quindi non può esigere il rimborso
delle prestazioni ambulatoriali erogate in quel reparto. Lo può fare invece per
ortopedia. Con questo trucco, ha chiesto alla Regione Lazio 13,8 milioni di
euro.
Nel luglio dello scorso anno sulla scrivania del
governatore Nicola Zingaretti è arrivato il rapporto dell'Agenzia di controllo
della sanità sull'Israelitico che certificava un 94 per cento di ricoveri incongrui
e inappropriati. Subito è stato firmato il decreto per bloccare il pagamento
degli arretrati. "Non dovuti". Intanto le indagini andavano avanti.
Il primo filone si è chiuso con il rinvio a giudizio, lo scorso ottobre, di
dieci tra medici e dirigenti richiesto dai pm Maria Cristina Palaia e Sabina
Calabretta: il nome di Mastrapasqua non è mai citato. Poi però sono intervenuti
i carabinieri del Nas.
Hanno sequestrato tutte le cartelle cliniche di
odontoiatria, hanno letto centinaia di incartamenti, hanno parlato con i
responsabili di sala e con i direttori nella sede di piazza San Bartolomeo
all'Isola. E a settembre hanno depositato un'informativa molto circostanziata,
con allegata la denuncia a carico di Mastrapasqua (truffa, falso ideologico e abuso
d'ufficio i reati ipotizzati), del direttore sanitario Giovanni Spinelli e di
Ferdinando Romano, ex direttore regionale "programmazione e risorse della
sanità". Spinelli perché, in quanto "responsabile delle cartelle
cliniche", avrebbe "falsamente attestato l'avvenuta esecuzione di
prestazioni diverse da quelle rese". Romano perché, anziché sospendere
l'accreditamento provvisorio dell'Ospedale Israelitico, "sottoscriveva con
Mastrapasqua un protocollo d'intesa dove si accordavano sulle modalità di espletamento
dei controlli, in violazione alla normativa regionale". Favorendo così,
annotano i militari, un "ingiusto vantaggio patrimoniale all'ospedale pari
a 71,3 milioni di euro" negli anni 2011-2013.
A piazzale Clodio il dossier del Nas viene trattato con
la massima cautela e riservatezza, considerato il calibro del personaggio che,
alla poltrona di presidente dell'Inps, ne aggiunge almeno un'altra ventina, tra
incarichi di vertice (è anche vicepresidente di Equitalia e presidente della
società di fondi di investimenti immobiliari Idea Fimit Sgr) e posti nei
collegi sindacali di Eur spa, Coni Servizi spa, Autostrade per l'Italia. Solo
per citarne alcune. Tant'è che nelle settimane scorse è stato convocato e
sentito dai magistrati coordinati dal procuratore Giuseppe Pignatone.
Interrogatorio top secret, nel corso del quale ha respinto tutte le accuse.
Mastrapasqua è arrivato alla direzione generale
dell'Ospedale Israelitico nel 2001, ha ristrutturato e riorganizzato l'azienda
che era in grossa crisi: in quattro anni i ricavi sono passati da 17 a 40
milioni di euro, nel 2011 diventano 54. Struttura privata ma convenzionata,
oggi ha 96 posti letto per la degenza ordinaria e 22 in day hospital. Sul suo
doppio ruolo di dg e capo dell'Inps si avvita l'ultima delle contestazioni
rivoltegli dal Nas: quella di aver "accettato e fatto accettare crediti
non certi in favore dell'Istituto di previdenza ovvero dell'ospedale di cui è
rappresentante legale". In altri termini, per saldare un debito che la
clinica aveva con l'Inps per dei contributi previdenziali del personale non
versati, ha ceduto all'ente il credito "non esigibile" vantato con la
Regione Lazio fino al saldo di quanto dovuto. Mettendo così a posto i conti
dell'Israelitico. Un'operazione che, se riscontrata, renderà difficile per
Mastrapasqua sostenere di essere stato all'oscuro di tutto.
Fabio Tonacci e Francesco Viviano per
“Repubblica”
(ANSA) Confermata l'evasione fiscale del cantante
Tiziano Ferro per circa 3 milioni di euro. La commissione
Tributaria regionale ha respinto il ricorso di Ferro e confermato le sentenze
di primo grado che stabilivano la fittizietà della residenza all'estero del
cantante negli anni 2006, 2007 e 2008 condannandolo a pagare le spese
processuali.
Nel suo appello il cantante chiedeva l'annullamento dell'accertamento emesso
nei suo confronti per compensi non dichiarati pari a 2 milioni di euro oltre a
un maggiore imponibile Iva per 1,3 milioni. Si determinava così una maggiore
tassazione Irpef per 441mila euro, oltre a una addizionale regionale per
28.665, una comunale per circa 8mila, Irap per 98mila, Iva per 274mila e infine
sanzioni per 851mila. I legali di Ferro contestavano, fra l'altro, il mancato
riconoscimento della residenza nel regno Unito e in particolare nella città di Manchester.
L'Agenzia delle Entrate però si è vista riconoscere dalla Commissione la sua
posizione.
''La documentazione fornita - si legge nella sentenza - appare di fatto
inconsistente e non rappresentativa al punto da provare che il contribuente si
è realmente trasferito nel Regno Unito ovvero in grado di avallare la tesi''
suffragate ''dalle numerosissime apparizioni televisive e radiofoniche gestite
da società italiane, la prevalenza dell'attività artistica esercitata in Italia
rispetto a quella svolta nel Regno Unito, l'utilizzo di carte di credito,
praticamente quotidiano per acquisti effettuati in Italia, voli aerei, l'uso di
uno studio di registrazione a Milano, notizie stampa e profondi legami
familiari testimoniati dalla ricostruzione di viaggi effettuati da e verso
Latina'' oltre alla ''preminenza dei redditi ritratti dall'attività di artista
in Italia rispetto alla dichiarazione dei redditi presentata nel Regno Unito''.
Emerge quindi ''chiaramente l'intento evasivo consistente nell'aver fittiziamente
assunto la residenza fiscale nel Regno Unito creando una complessa compagine
sociale finalizzata a fungere da schermo e favorire l'occultamento in Italia
della sua reale capacità contributiva''. (ANSA – 25 gennaio 2014)
(Il Sole 24 ore – 20 gennaio 2014) Proprietaria
di 1.243 immobili, quasi tutti nella Capitale, ha "nascosto" al Fisco
oltre 2 miliardi di euro, un tesoro sparso in numerosi conti esteri. Per questo
Angiola Armellini, erede della
celebre famiglia di imprenditori romani, è stata denunciata dalla Guardia di
Finanza insieme con altre 11 persone, tutte accusate di associazione a
delinquere finalizzata all'evasione fiscale.
I finanzieri le hanno contestato,
tra l'altro, la mancata dichiarazione di disponibilità estere in Lussemburgo, nel Principato
di Monaco ed in Svizzera, in violazione del "monitoraggio fiscale"
per un valore complessivo (considerando la somma di tutte le annualità
accertate dal 2003) di oltre 2 miliardi.
I finanzieri del Nucleo di Polizia
Tributaria hanno inoltre disconosciuto all'imprenditrice dieci scudi fiscali presentati nel
2009, con riferimento al patrimonio estero posseduto dall' indagata. Gli
investigatori hanno anche eseguito verifiche fiscali sia nei confronti
dell'imprenditrice che di tre holding lussemburghesi (riconducibili alla donna)
registrando l'omessa dichiarazione di ricavi, al lordo dei costi sostenuti, per
circa 190 milioni di euro (oltre ad un'imposta di registro evasa per circa 230
mila euro).
Le altre 11 persone denunciate sono
consulenti, italiani ed esteri, che erano incaricati della gestione contabile e
fiscale ed responsabili, per gli investigatori, della creazione del fraudolento
gruppo societario estero.
Le indagini, dirette dalla Procura
di Roma e svolte dai
finanzieri del Comando Provinciale, hanno permesso di rilevare come la donna
sia sempre stata «l' amministratore di fatto» di un'articolata struttura
societaria ideata negli anni Novanta al fine di nascondere al Fisco l'
effettiva disponibilità di ingenti capitali detenuti nei cosiddetti paesi a
fiscalità privilegiata, come Principato di Monaco, Lussemburgo, Svizzera, Nuova
Zelanda, Jersey e Bahamas.
Angiola Armellini, secondo la Guarda
di Finanza, risulta
aver dimorato, dapprima «senza dichiararlo, in un'ampia villa all'Eur e,
successivamente, in un lussuoso appartamento su due piani intestato a società
lussemburghesi», un attico e superattico nel centro di Roma «che non era
classificato come civile abitazione».
Le attività investigative
sviluppatesi anche tramite numerose perquisizioni presso le abitazioni di 8 persone
fisiche indagate, 5 sedi societarie e 3 studi commercialistici (dando corso,
tra l'altro, all'apertura di cassette di sicurezza presso banche ed
all'audizione di numerosi soggetti ritenuti di interesse ai fini delle
indagini), hanno preso in esame le annualità dal 2003 al 2012.
Tre
storie. Tre storie quasi banali in una società e in un’epoca contrassegnate
unicamente dal malaffare, dalla truffa ai danni dello Stato, dalle
malversazioni di ogni specie, dall’evasione continua e reiterata,
dall’arroganza del potere. Apparentemente slegate fra di loro, eppure, a ben
guardare hanno un denominatore comune. L’avidità del possesso, la cupidigia del
potere, l’ansia dell’accumulo di cariche e denari, il disprezzo totale delle
leggi e delle norme di convivenza civile, la sensazione di essere furbi,
scaltri, al di sopra delle parti, al di sopra di tutto e di tutti, soprattutto
di quella massa di pecoroni (i poveri cristi) che tirano ogni mattina la
carretta per arrivare a fine mese, e sulle cui spalle pesa il carico di fare
andare avanti questo maledetto paese. Tre storie, tre personaggi molto diversi
fra loro: un top manager, un cantante di successo, la figlia di un palazzinaro.
Tre modi diversi di essere gaglioffi, ma simili nella convinzione di essere
intoccabili, immuni dalle tristi e scontate vicende quotidiane di noi tutti,
poveri ed umili esseri mortali. “Io no, io non sono come gli altri. Io accumulo
cariche come un collezionista di francobolli, io sono talmente esperta di fisco
e tributi da mettere in piedi un impero finanziario complicato come un
labirinto, pur di fregare finanzieri e povera gente, io sono un cantante talmente
famoso da essere idolatrato, cosa volete che sia qualche milione di euro evasi
al fisco, in fondo non ho fatto nulla di male, non ho mica ammazzato nessuno”.
Questo devono aver pensato questi tristi figuri. Evadere il fisco è una inezia,
roba da furbetti del quartierino, non è grave (lo diceva anche Berlusconi), se
sono così abile da riuscirci, allora è segno che me lo merito, che non faccio
nulla di particolarmente grave. E invece no. Le cose non stanno così. Se
abbiamo una pressione fiscale al 44,5% e
un debito pubblico pari al 133% del PIL lo dobbiamo proprio a questi signori.
Le tasse non pagate dalle centinaia di evasori sparsi per il territorio,
gentaglia come i tre che abbiamo citato, le dobbiamo pagare noi, la pressione
fiscale è così alta perché la platea dei contribuenti è ristretta ai soliti
fessi che sono obbligati a versare i loro tributi. Se le pagassimo tutti,
ovviamente, il carico sarebbe alleggerito. Ma questo non lo possono capire i
tre personaggi menzionati. Guardiamoli più da vicino. Il primo, Antonio
Mastrapasqua, è presidente dell’INPS. Già un simile incarico, soprattutto dopo
l’accorpamento con l’INPDAP (l’istituto previdenziale degli statali), avrebbe
fatto impallidire il migliore dei manager. Una simile carica deve assorbire le energie
ed il tempo di un Enrico Mattei, considerata la sua enorme complessità. Eppure,
il nostro Mastrapasqua, uomo dai superpoteri come un eroe dei fumetti della
Marvel, assomma altre 24 cariche negli enti più disparati. Non sappiamo se Mastrapasqua
è realmente implicato o no nella vicenda della truffa dell’Ospedale
Israelitico, e non ci interessa neppure saperlo. Sappiamo che questo uomo vale
tanto oro e diamanti quanto pesa. Non gli bastava lo stipendiuccio dell’INPS,
ci volevano altre 24 incarichi. Ma il giorno è fatto di 24 ore, se vogliamo
dormire almeno sei ore, ne rimangono altre 18. E poi, lavorare, sempre lavorare,
passare la vita da una riunione ad una conferenza, da un pranzo di lavoro allo
studio degli aggiornamenti normativi. Che vita è? Neppure uno svago, un
aperitivo con gli amici, una passeggiate, una vacanza, fare l’amore con
qualcuno. Ma il povero Mastrapasqua non ha il tempo per queste facezie, deve
lavorare, ha 25 incarichi che lo reclamano tutti i giorni. Chissà quanto
guadagna un uomo del genere? Probabilmente un cifra che non riusciamo neppure a
quantificare tanto è alta. E potete stare certi che il signor Mastrapasqua il
tempo per lo shopping, l’aperitivo e tutte le altre belle cose lo trova lo
stesso. Semplicemente, essendo un comune mortale e non l’Uomo Ragno, fa male le
cose che gli sono attribuite. Cercherà di tenere dietro al’essenziale, delegando
a destra e a manca ad uno stuolo di collaboratori (anch’essi, ovviamente, super
pagati dal munifico) la maggior parte del lavoro che dovrebbe fare lui, si arrabatta come può, passando da un incarico
all’altro finendo con produrre poco e male, ma radunando a fine mese una
discreta sommetta, che lo ripaga ampiamente della vita spericolata che lo
affligge. La domanda, spontanea, è: dal momento che i camposanti pullulano di
persone insostituibili, non poteva il Mastrapasqua cedere a qualcun altro
alcuni dei suoi incarichi? O non voleva spartire la torta con nessun altro?
Crede il Mastrapasqua che fabbrichino bare con le tasche, in modo da portarsi
nell’aldilà tutti i suoi incarichi, tutti i suoi emolumenti? La morte è una
livella, come ci insegnava Totò, verrà il momento anche per lui di fare i conti
con Domeneddio. Poi c’è il caso di “Angiolina” Armellini, (che tenerezza,
“Angiolina”), figlia d’arte, ha ereditato dal padre non solo un impero
immobiliare, ma soprattutto la scaltrezza che i napoletani riassumono nel
famoso adagio del “cà nisciuno è fesso”. Si parte dal principio che chi ti sta
di fronte è un pirla che puoi raggirare come ti pare, ti fai una bella cultura
fiscale e tributaria, hai uno stuolo di consulenti e consiglieri finanziari, da
qui a mettere in piedi un impero immobiliare sconosciuto al fisco il passo è
breve. Però, però, pensandoci bene… E’ vero che Angiolina aveva edificato una
struttura complessa e articolata di cittadinanze straniere, società intestate a
prestanome e inscatolate in paradisi fiscali, esportato capitali ovunque, e via
discorrendo, ma “nascondere” al fisco 1243 immobili, quasi tutti nella capitale,
è un po’ troppo. Non sarà per caso che l’Angiolina possa aver goduto, in
passato, di qualche protezione eccellente, di qualche paravento che abbia, per
così dire, nascosto al fisco un simile patrimonio? Non ci sembra una ipotesi da
escludere, dal momento che non viviamo precisamente in un paese di
incorruttibili. Angiolina vive nel lusso più sfrenato, nello sfarzo più
pomposo, si può togliere qualunque capriccio, qualsiasi sghiribizzo che le
possa passare per la mente. Domani mi compro una Ferrari, Ma ne hai già una. E
allora? Ne voglio un’altra, ma non rossa
come la prima, questa la voglio gialla. Tutte le sere ostriche e champagne
innaffiati da Moet Chandon, diamanti river da diversi carati al collo e alle
falangi delle mani. Beh, che avrò fatto mai? Ho evaso il fisco, ma questa è
tutta roba mia, appartenuta alla mia famiglia , perché dovrei contribuire come
tanti poveracci al rimpinguare le casse dello Stato? Non sono mica Babbo
Natale. Che le paghino pure le tasse quei quattro pezzenti, io non sono mica
come loro, io appartengo ad una nobile famiglia, faccio parte di un altro
mondo, le tasse mi fanno ridere, non mi sporco le mani con questa roba da
centro di assistenza fiscale. E’ sufficiente come ritratto? Infine, il cantante
di grido, l’ottimo Tiziano Ferro. Faccia da bravo ragazzo, mediocre cantautore,
(non stiamo parlando di di Dalla o De Gregori), abile confezionatore di canzonette
per teen ager in delirio, recentemente ha fatto persino “outing”, come si dice
oggi, e ha dichiarato la propria omosessualità. Bene, tanto di cappello. Una
vita integerrima. Nessun eccesso particolare, nelle interviste utilizza sempre
il linguaggio ripulito del politicamente corretto, un grande successo di
vendite. E anche lui evade per diversi milioni il fisco. Perché un ragazzo
all’apparenza semplice, pulito onesto deve fare il furbo come i due furfanti
che lo hanno preceduto? Per una semplice ragione. Perché anche lui sente di
appartenere ad un altro mondo, non quello dei comuni mortali che ascoltano le
sue canzoni e comprano i suoi dischi. Lui è diventato “altro”, è entrato nel
bel mondo, dei soldi facili, dei locali di lusso, delle mondane, o mondani, nel
suo caso, d’alto bordo, delle feste principesche, dei ricevimenti eleganti, dei
club esclusivi dove ti puoi iscrivere solo esibendo il tuo fatturato. Da quanto tempo Tiziano Ferro non entra più
in un bar qualsiasi, in una tabaccheria? Oppure non fa una coda alla Poste, alla
filiale di una banca, non fa la spesa in un supermercato? Lui ormai è “oltre”,
non è più un comune mortale, è facile quando si ha successo , dimenticare le
proprie origini ed abituarsi al lusso e al denaro facile. Più difficile è fare
il percorso inverso. Ma Tiziano Ferro
appartiene ormai alla casta dei famosi, degli idoli delle folle di ragazzini,
cosa volete che sia se non dichiara al fisco tutto quello che guadagna onestamente
con le canzonette? Lui si è guadagnato il pane con la creatività, non è da
tutti, gli altri hanno ereditato un impero, lui è un poeta del pentagramma.
Perché mai dovrebbe confondersi con la massa di gente comune che non ha niente
di speciale, non crea, no inventa, non sa cantare o suonare, non vende i
dischi, non è adorato e idolatrato? Le tasse sono roba da poveracci, lo abbiamo
già detto, non è il genere che fa per
lui.
Allora
qualcosa in comune, per questi tre personaggi lo abbiamo scoperto. E’ la
distanza che corre tra le persone comuni, quelle che portano avanti, bene o
male, con il proprio lavoro e i propri sacrifici, questo paese, e questi
personaggi che, per ricchezza personale o per il successo raggiunto nella
propria professione, sentono di appartenere ormai ad un altro mondo. Un mondo
parallelo, d’accordo, ma che non converge e non sfiora mai quest’altro nel
quale viviamo noi comuni mortali. Coltivano l’illusione della “diversità”, del
proprio smisurato talento, professionale o nel fare fessi gli altri, hanno
fatto un mito di se stessi, vivono la propria vita come se appartenessero ad
una aristocrazia, se hanno fatto i soldi è segno che se lo meritavano e non
considerano giusto spartirli, attraverso il fisco, con chicchessia. Una volta
fatto il salto nella casta cui appartengono, guardano il resto del mondo con
noia o con disprezzo, da lontano, anche se fisicamente appartengono ancora a
questo mondo. Ma loro non possono confondersi o inchinarsi alle bassezze, alle
meschinerie di tutti i giorni, alla gretta e squallida quotidianità dell’uomo comune.
Vivono una vita dorata, nel culto di se stessi, contribuendo a fabbricare il
mito, la leggenda del proprio operato e del proprio nome. “Non ammassate tesori sulla terra, dove le
tarme e la ruggine distruggono e i ladri possono scassinare e rubare. Ammassate
piuttosto tesori in cielo, dove né tarme né ruggine possono distruggere, né i
ladri scassinare e rubare. Il tuo cuore sarà là dove è il tuo tesoro.” Questo dice il
Vangelo di Matteo. Verrà anche per loro il momento di trovarsi sull’orlo
dell’abisso, ad un passo dalla morte. Verrà la giustizia di Dio, allora. E la
livella farà il resto. Qualcuno di accorgerà di aver vissuto una vita misera,
inutile, priva di scopo. Di aver girato a vuoto per tutto il tempo che gli è stato
concesso di vivere in questa terra, di non aver dato amore e di non averlo
ricevuto, di non aver avuto una passione vera, sincera, pura e cristallina come
l’acqua di una fonte. Si sarà circondato di una squadra di lacchè e di
tirapiedi che lo hanno compiaciuto solo per raccogliere qualche briciola
lanciata ogni tanto dal loro padrone. Adulatori e magari nessun amico sincero.
Una vita senza amore, senza amici, in fondo una solitudine amara. Avranno
radunato tesori in questo mondo, ma si ritroveranno soli con le loro colpe, con
le loro malefatte. A tutto questo conduce il capitalismo, nella sua forma più
deteriore, quella che stiamo conoscendo in questi anni. A questo ci ha condotto
una ideologia senza contenuto, un sistema economico che mette al centro di
qualsiasi valore il denaro e il potere. Ce ne siamo accorti troppo tardi, inebriati
come eravamo dalla sconfitta dell’odiato comunismo. Anche questo non è il migliore
dei sistemi possibili. Ora lo sappiamo per certo, ora che la crisi mondiale
morde anche le nostre terga. Per questo la nostra è una vita difficile. Non
solo per mantenere il posto di lavoro e la propria posizione sociale, non solo per
risparmiare qualcosa che ci garantisca una vecchiaia se non serena almeno
decorosa, non solo per la fatica di allevare dei figli in un quadro educativo disgustoso, stomachevole,
nel quale si muovono come protagonisti paradossalmente positivi squallidi e
tristi personaggi come i tre sopra citati, ma anche e soprattutto perché è
sempre più difficile, in un mondo così profondamente corrotto e disintegrato,
cercare di essere se stessi, coerenti con la propria coscienza, amare ed essere
riamati, coltivare le passioni più sane, l’attenzione per il prossimo per gli
altri meno fortunati di noi, conoscere l’amicizia, quella vera, quella che ti
fa correre al cospetto di un amico che ha bisogno di una parole di conforto,
magari solo di un abbraccio per sentirsi meno solo. E’ una vita difficile, è
vero. Ma noi dobbiamo non badare alle malinconiche macchiette che abbiamo
esaminato, dobbiamo seguitare per la nostra strada, amare, appassionarci,
aiutare chi è accanto a noi ed ha bisogno di noi, fare le piccole cose di tutti
i giorni, quelle che ci possono offrire piccole e grandi soddisfazioni,
regalarci qualche momento di serenità, accanto agli amici veri che solo noi
possiamo conquistare e che sono sconosciuti ai tre loschi figuri di cui abbiamo
parlato. Essere insomma, in una sola parola degli “esseri umani”. Ma i tre
personaggi queste cose non le possono capire. In fondo, più che rabbia ci fanno
malinconia, più che livore proviamo per loro una gran pena.