mercoledì 29 gennaio 2014

IL CASO ELECTROLUX CI MOSTRA IL VERO VOLTO DELL'ITALIA




Per salvare la produzione in Italia gli svedesi di Electrolux vogliono che gli stipendi calino da 1.400 a 800 euro al mese. Il costo del lavoro negli stabilimenti del Nord Est deve allinearsi il più possibile a quello di Polonia e Ungheria. Il Sole 24 Ore commenta serafico: "le multinazionali mirano sempre di più al taglio dei costi e all'aumento della produttività" e la colpa è tutta nostra che "non abbiamo fatto le riforme" per offrire migliori "condizioni di costo del lavoro, burocrazia e infrastrutture" (p. 35).
Sarà, ma ci sono altre due notizie che dovrebbero far riflettere: aumentano i poveri e un italiano su sei vive ormai con meno di 640 euro al mese, mentre la Bundesbank tedesca vorrebbe imporre una patrimoniale ai cittadini dei paesi che rischiano il default.
Queste tre notizie, se messe insieme, spiegano molto. Siamo un paese che si è svenato, si sta svenando e si svenerà sempre di più per restare nella moneta unica. Abbiamo accettato l'idea tedesca che il debito pubblico sia il male assoluto e ci siamo incaprettati con il pareggio di bilancio in Costituzione e il fiscal compact. Non ci possiamo salvare perché non abbiamo sovranità monetaria, non possiamo applicare dazi, non possiamo fare dumping fiscale, applicare cioè  una fiscalità agevolata a chi investe nel nostro paese, (anzi, dobbiamo subirlo), non abbiamo più la struttura industriale per vivere di esportazioni.
Siamo un paese profondamente impoverito, dove milioni di cittadine e cittadini accetterebbero di corsa quegli 800 euro al mese dell'Electrolux perché almeno non sono in nero e nei loro stabilimenti non ‘è il rischio di morire bruciati. Chi vuole un posto di lavoro deve lavorare di più ed essere pagato meno.
Se vogliamo mantenere una quota di produzione industriale - visto che non possiamo vivere tutti di turismo e agricoltura se non altro perché abbiamo devastato mezzo paese - il nostro posto è con Polonia, Ungheria, Bulgaria e Serbia. E dobbiamo anche rincorrere, nel campionato del dumping sociale. Per questo oggi bisognerebbe ringraziare i manager di Electrolux: con la loro durezza ci stanno solo dicendo chi siamo e dove stiamo andando. Loro hanno una politica industriale. I nostri governi neppure quella.
In effetti, “palle d’acciaio” Letta, dopo il suo soggiorno messicano, è praticamente sparito dalla circolazione. La riforma della legge elettorale, assai più importante, come è evidente per tutti, della desertificazione dell’Italia, sta monopolizzando l’attenzione del mondo dei politicanti di casa nostra. Il duo Renzi- Berlusconi, ormai divenuto un’idra a due teste, il “renzusconi” furoreggia in TV e su internet.  Si scambiano cortesie e pacche sulle spalle come due vecchi amici di bagordi. Il governo è semiparalizzato o si perde in quisquilie come questa benedetta seconda rata dell’IMU, mentre la casa prende fuoco. Letta, da par suo, continua a ripetere come un disco rotto: “la ripresa ci sarà, avremo un PIL a +2%, ma solo nel 2015” (almeno ha spostato in avanti una ripresa del tutto inesistente). E’ talmente sbiadito dall’essere diventato quasi invisibile, a fatica lo salutano a casa sua. Bisognerebbe andare alle urne e finirla con questa sospensione della democrazia voluta da Re Giorgio I, che ha prodotto un disastro dopo l’altro. Ma non sapremmo a chi dare il voto, con una classe politica come la nostra c’è ben poco da scegliere. Per risollevare le sorti di un paese arrivato al capolinea greco come il nostro ci vorrebbe un New Deal, ma i nostri politicanti preferiscono baloccarsi con l’italicum, non conoscendo neppure le basi dell’economia politica. Se andiamo  avanti di questo passo, la prossima fermata sarà Atene.

domenica 26 gennaio 2014

UNA VITA DIFFICILE



ROMA - Antonio Mastrapasqua è indagato dalla procura di Roma. Il presidente dell'Inps, uno degli uomini più potenti d'Italia, è sotto inchiesta per migliaia di cartelle cliniche taroccate e fatture gonfiate all'Ospedale Israelitico, di cui è direttore generale. In tutto 85 milioni di euro: 14 milioni sarebbero rimborsi "non dovuti" ma richiesti lo stesso alla Regione Lazio. Gli altri 71 sono un presunto "ingiusto vantaggio" conseguito dalla clinica romana dal 2011 al 2013. E al vaglio dei magistrati c'è pure la cessione all'Inps di una parte di questo credito "non esigibile", servita a sanare i conti della struttura romana. Manovra, questa, pensata, avviata e autorizzata da Mastrapasqua, nella doppia veste di debitore e creditore.

L'indagine è delicatissima. Si basa sulla denuncia del Nas di Roma, datata 16 settembre 2013 e consegnata in procura, nella quale si ricostruisce la maxi truffa ai danni dello Stato. E dunque, migliaia di semplici interventi svolti negli ambulatori del reparto di odontoiatria dell'Ospedale Israelitico tra il 2006 e il 2009 si sono trasformati in "operazioni invasive e con notevole carico assistenziale effettuate in ortopedia". In totale sono state contate 12.164 schede di dimissione falsificate. Ad esempio le estrazioni dei denti sono state classificate in qualche caso come costosissime plastiche gengivali con innesto di osso. In che modo? "Raggirando il sistema di controllo informatico - scrivono gli investigatori - inserendo codici diversi da quelli riportati nelle cartelle cliniche". C'è un "movente", naturalmente. La clinica non risulta accreditata col Servizio sanitario per odontoiatria, quindi non può esigere il rimborso delle prestazioni ambulatoriali erogate in quel reparto. Lo può fare invece per ortopedia. Con questo trucco, ha chiesto alla Regione Lazio 13,8 milioni di euro.

Nel luglio dello scorso anno sulla scrivania del governatore Nicola Zingaretti è arrivato il rapporto dell'Agenzia di controllo della sanità sull'Israelitico che certificava un 94 per cento di ricoveri incongrui e inappropriati. Subito è stato firmato il decreto per bloccare il pagamento degli arretrati. "Non dovuti". Intanto le indagini andavano avanti. Il primo filone si è chiuso con il rinvio a giudizio, lo scorso ottobre, di dieci tra medici e dirigenti richiesto dai pm Maria Cristina Palaia e Sabina Calabretta: il nome di Mastrapasqua non è mai citato. Poi però sono intervenuti i carabinieri del Nas.

 Hanno sequestrato tutte le cartelle cliniche di odontoiatria, hanno letto centinaia di incartamenti, hanno parlato con i responsabili di sala e con i direttori nella sede di piazza San Bartolomeo all'Isola. E a settembre hanno depositato un'informativa molto circostanziata, con allegata la denuncia a carico di Mastrapasqua (truffa, falso ideologico e abuso d'ufficio i reati ipotizzati), del direttore sanitario Giovanni Spinelli e di Ferdinando Romano, ex direttore regionale "programmazione e risorse della sanità". Spinelli perché, in quanto "responsabile delle cartelle cliniche", avrebbe "falsamente attestato l'avvenuta esecuzione di prestazioni diverse da quelle rese". Romano perché, anziché sospendere l'accreditamento provvisorio dell'Ospedale Israelitico, "sottoscriveva con Mastrapasqua un protocollo d'intesa dove si accordavano sulle modalità di espletamento dei controlli, in violazione alla normativa regionale". Favorendo così, annotano i militari, un "ingiusto vantaggio patrimoniale all'ospedale pari a 71,3 milioni di euro" negli anni 2011-2013.

A piazzale Clodio il dossier del Nas viene trattato con la massima cautela e riservatezza, considerato il calibro del personaggio che, alla poltrona di presidente dell'Inps, ne aggiunge almeno un'altra ventina, tra incarichi di vertice (è anche vicepresidente di Equitalia e presidente della società di fondi di investimenti immobiliari Idea Fimit Sgr) e posti nei collegi sindacali di Eur spa, Coni Servizi spa, Autostrade per l'Italia. Solo per citarne alcune. Tant'è che nelle settimane scorse è stato convocato e sentito dai magistrati coordinati dal procuratore Giuseppe Pignatone. Interrogatorio top secret, nel corso del quale ha respinto tutte le accuse.

Mastrapasqua è arrivato alla direzione generale dell'Ospedale Israelitico nel 2001, ha ristrutturato e riorganizzato l'azienda che era in grossa crisi: in quattro anni i ricavi sono passati da 17 a 40 milioni di euro, nel 2011 diventano 54. Struttura privata ma convenzionata, oggi ha 96 posti letto per la degenza ordinaria e 22 in day hospital. Sul suo doppio ruolo di dg e capo dell'Inps si avvita l'ultima delle contestazioni rivoltegli dal Nas: quella di aver "accettato e fatto accettare crediti non certi in favore dell'Istituto di previdenza ovvero dell'ospedale di cui è rappresentante legale". In altri termini, per saldare un debito che la clinica aveva con l'Inps per dei contributi previdenziali del personale non versati, ha ceduto all'ente il credito "non esigibile" vantato con la Regione Lazio fino al saldo di quanto dovuto. Mettendo così a posto i conti dell'Israelitico. Un'operazione che, se riscontrata, renderà difficile per Mastrapasqua sostenere di essere stato all'oscuro di tutto.

Fabio Tonacci e Francesco Viviano per “Repubblica”

(ANSA) Confermata l'evasione fiscale del cantante Tiziano Ferro per circa 3 milioni di euro. La commissione Tributaria regionale ha respinto il ricorso di Ferro e confermato le sentenze di primo grado che stabilivano la fittizietà della residenza all'estero del cantante negli anni 2006, 2007 e 2008 condannandolo a pagare le spese processuali.
Nel suo appello il cantante chiedeva l'annullamento dell'accertamento emesso nei suo confronti per compensi non dichiarati pari a 2 milioni di euro oltre a un maggiore imponibile Iva per 1,3 milioni. Si determinava così una maggiore tassazione Irpef per 441mila euro, oltre a una addizionale regionale per 28.665, una comunale per circa 8mila, Irap per 98mila, Iva per 274mila e infine sanzioni per 851mila. I legali di Ferro contestavano, fra l'altro, il mancato riconoscimento della residenza nel regno Unito e in particolare nella città di Manchester. L'Agenzia delle Entrate però si è vista riconoscere dalla Commissione la sua posizione.
''La documentazione fornita - si legge nella sentenza - appare di fatto inconsistente e non rappresentativa al punto da provare che il contribuente si è realmente trasferito nel Regno Unito ovvero in grado di avallare la tesi'' suffragate ''dalle numerosissime apparizioni televisive e radiofoniche gestite da società italiane, la prevalenza dell'attività artistica esercitata in Italia rispetto a quella svolta nel Regno Unito, l'utilizzo di carte di credito, praticamente quotidiano per acquisti effettuati in Italia, voli aerei, l'uso di uno studio di registrazione a Milano, notizie stampa e profondi legami familiari testimoniati dalla ricostruzione di viaggi effettuati da e verso Latina'' oltre alla ''preminenza dei redditi ritratti dall'attività di artista in Italia rispetto alla dichiarazione dei redditi presentata nel Regno Unito''. Emerge quindi ''chiaramente l'intento evasivo consistente nell'aver fittiziamente assunto la residenza fiscale nel Regno Unito creando una complessa compagine sociale finalizzata a fungere da schermo e favorire l'occultamento in Italia della sua reale capacità contributiva''. (ANSA – 25 gennaio 2014)

(Il Sole 24 ore – 20 gennaio 2014) Proprietaria di 1.243 immobili, quasi tutti nella Capitale, ha "nascosto" al Fisco oltre 2 miliardi di euro, un tesoro sparso in numerosi conti esteri. Per questo Angiola Armellini, erede della celebre famiglia di imprenditori romani, è stata denunciata dalla Guardia di Finanza insieme con altre 11 persone, tutte accusate di associazione a delinquere finalizzata all'evasione fiscale.
I finanzieri le hanno contestato, tra l'altro, la mancata dichiarazione di disponibilità estere in Lussemburgo, nel Principato di Monaco ed in Svizzera, in violazione del "monitoraggio fiscale" per un valore complessivo (considerando la somma di tutte le annualità accertate dal 2003) di oltre 2 miliardi.
I finanzieri del Nucleo di Polizia Tributaria hanno inoltre disconosciuto all'imprenditrice dieci scudi fiscali presentati nel 2009, con riferimento al patrimonio estero posseduto dall' indagata. Gli investigatori hanno anche eseguito verifiche fiscali sia nei confronti dell'imprenditrice che di tre holding lussemburghesi (riconducibili alla donna) registrando l'omessa dichiarazione di ricavi, al lordo dei costi sostenuti, per circa 190 milioni di euro (oltre ad un'imposta di registro evasa per circa 230 mila euro).
Le altre 11 persone denunciate sono consulenti, italiani ed esteri, che erano incaricati della gestione contabile e fiscale ed responsabili, per gli investigatori, della creazione del fraudolento gruppo societario estero.
Le indagini, dirette dalla Procura di Roma e svolte dai finanzieri del Comando Provinciale, hanno permesso di rilevare come la donna sia sempre stata «l' amministratore di fatto» di un'articolata struttura societaria ideata negli anni Novanta al fine di nascondere al Fisco l' effettiva disponibilità di ingenti capitali detenuti nei cosiddetti paesi a fiscalità privilegiata, come Principato di Monaco, Lussemburgo, Svizzera, Nuova Zelanda, Jersey e Bahamas.
Angiola Armellini, secondo la Guarda di Finanza, risulta aver dimorato, dapprima «senza dichiararlo, in un'ampia villa all'Eur e, successivamente, in un lussuoso appartamento su due piani intestato a società lussemburghesi», un attico e superattico nel centro di Roma «che non era classificato come civile abitazione».
Le attività investigative sviluppatesi anche tramite numerose perquisizioni presso le abitazioni di 8 persone fisiche indagate, 5 sedi societarie e 3 studi commercialistici (dando corso, tra l'altro, all'apertura di cassette di sicurezza presso banche ed all'audizione di numerosi soggetti ritenuti di interesse ai fini delle indagini), hanno preso in esame le annualità dal 2003 al 2012.


Tre storie. Tre storie quasi banali in una società e in un’epoca contrassegnate unicamente dal malaffare, dalla truffa ai danni dello Stato, dalle malversazioni di ogni specie, dall’evasione continua e reiterata, dall’arroganza del potere. Apparentemente slegate fra di loro, eppure, a ben guardare hanno un denominatore comune. L’avidità del possesso, la cupidigia del potere, l’ansia dell’accumulo di cariche e denari, il disprezzo totale delle leggi e delle norme di convivenza civile, la sensazione di essere furbi, scaltri, al di sopra delle parti, al di sopra di tutto e di tutti, soprattutto di quella massa di pecoroni (i poveri cristi) che tirano ogni mattina la carretta per arrivare a fine mese, e sulle cui spalle pesa il carico di fare andare avanti questo maledetto paese. Tre storie, tre personaggi molto diversi fra loro: un top manager, un cantante di successo, la figlia di un palazzinaro. Tre modi diversi di essere gaglioffi, ma simili nella convinzione di essere intoccabili, immuni dalle tristi e scontate vicende quotidiane di noi tutti, poveri ed umili esseri mortali. “Io no, io non sono come gli altri. Io accumulo cariche come un collezionista di francobolli, io sono talmente esperta di fisco e tributi da mettere in piedi un impero finanziario complicato come un labirinto, pur di fregare finanzieri e povera gente, io sono un cantante talmente famoso da essere idolatrato, cosa volete che sia qualche milione di euro evasi al fisco, in fondo non ho fatto nulla di male, non ho mica ammazzato nessuno”. Questo devono aver pensato questi tristi figuri. Evadere il fisco è una inezia, roba da furbetti del quartierino, non è grave (lo diceva anche Berlusconi), se sono così abile da riuscirci, allora è segno che me lo merito, che non faccio nulla di particolarmente grave. E invece no. Le cose non stanno così. Se abbiamo una pressione fiscale al 44,5%  e un debito pubblico pari al 133% del PIL lo dobbiamo proprio a questi signori. Le tasse non pagate dalle centinaia di evasori sparsi per il territorio, gentaglia come i tre che abbiamo citato, le dobbiamo pagare noi, la pressione fiscale è così alta perché la platea dei contribuenti è ristretta ai soliti fessi che sono obbligati a versare i loro tributi. Se le pagassimo tutti, ovviamente, il carico sarebbe alleggerito. Ma questo non lo possono capire i tre personaggi menzionati. Guardiamoli più da vicino. Il primo, Antonio Mastrapasqua, è presidente dell’INPS. Già un simile incarico, soprattutto dopo l’accorpamento con l’INPDAP (l’istituto previdenziale degli statali), avrebbe fatto impallidire il migliore dei manager. Una simile carica deve assorbire le energie ed il tempo di un Enrico Mattei, considerata la sua enorme complessità. Eppure, il nostro Mastrapasqua, uomo dai superpoteri come un eroe dei fumetti della Marvel, assomma altre 24 cariche negli enti più disparati. Non sappiamo se Mastrapasqua è realmente implicato o no nella vicenda della truffa dell’Ospedale Israelitico, e non ci interessa neppure saperlo. Sappiamo che questo uomo vale tanto oro e diamanti quanto pesa. Non gli bastava lo stipendiuccio dell’INPS, ci volevano altre 24 incarichi. Ma il giorno è fatto di 24 ore, se vogliamo dormire almeno sei ore, ne rimangono altre 18. E poi, lavorare, sempre lavorare, passare la vita da una riunione ad una conferenza, da un pranzo di lavoro allo studio degli aggiornamenti normativi. Che vita è? Neppure uno svago, un aperitivo con gli amici, una passeggiate, una vacanza, fare l’amore con qualcuno. Ma il povero Mastrapasqua non ha il tempo per queste facezie, deve lavorare, ha 25 incarichi che lo reclamano tutti i giorni. Chissà quanto guadagna un uomo del genere? Probabilmente un cifra che non riusciamo neppure a quantificare tanto è alta. E potete stare certi che il signor Mastrapasqua il tempo per lo shopping, l’aperitivo e tutte le altre belle cose lo trova lo stesso. Semplicemente, essendo un comune mortale e non l’Uomo Ragno, fa male le cose che gli sono attribuite. Cercherà di tenere dietro al’essenziale, delegando a destra e a manca ad uno stuolo di collaboratori (anch’essi, ovviamente, super pagati dal munifico) la maggior parte del lavoro che dovrebbe fare lui,  si arrabatta come può, passando da un incarico all’altro finendo con produrre poco e male, ma radunando a fine mese una discreta sommetta, che lo ripaga ampiamente della vita spericolata che lo affligge. La domanda, spontanea, è: dal momento che i camposanti pullulano di persone insostituibili, non poteva il Mastrapasqua cedere a qualcun altro alcuni dei suoi incarichi? O non voleva spartire la torta con nessun altro? Crede il Mastrapasqua che fabbrichino bare con le tasche, in modo da portarsi nell’aldilà tutti i suoi incarichi, tutti i suoi emolumenti? La morte è una livella, come ci insegnava Totò, verrà il momento anche per lui di fare i conti con Domeneddio. Poi c’è il caso di “Angiolina” Armellini, (che tenerezza, “Angiolina”), figlia d’arte, ha ereditato dal padre non solo un impero immobiliare, ma soprattutto la scaltrezza che i napoletani riassumono nel famoso adagio del “cà nisciuno è fesso”. Si parte dal principio che chi ti sta di fronte è un pirla che puoi raggirare come ti pare, ti fai una bella cultura fiscale e tributaria, hai uno stuolo di consulenti e consiglieri finanziari, da qui a mettere in piedi un impero immobiliare sconosciuto al fisco il passo è breve. Però, però, pensandoci bene… E’ vero che Angiolina aveva edificato una struttura complessa e articolata di cittadinanze straniere, società intestate a prestanome e inscatolate in paradisi fiscali, esportato capitali ovunque, e via discorrendo, ma “nascondere” al fisco 1243 immobili, quasi tutti nella capitale, è un po’ troppo. Non sarà per caso che l’Angiolina possa aver goduto, in passato, di qualche protezione eccellente, di qualche paravento che abbia, per così dire, nascosto al fisco un simile patrimonio? Non ci sembra una ipotesi da escludere, dal momento che non viviamo precisamente in un paese di incorruttibili. Angiolina vive nel lusso più sfrenato, nello sfarzo più pomposo, si può togliere qualunque capriccio, qualsiasi sghiribizzo che le possa passare per la mente. Domani mi compro una Ferrari, Ma ne hai già una. E allora? Ne voglio un’altra,  ma non rossa come la prima, questa la voglio gialla. Tutte le sere ostriche e champagne innaffiati da Moet Chandon, diamanti river da diversi carati al collo e alle falangi delle mani. Beh, che avrò fatto mai? Ho evaso il fisco, ma questa è tutta roba mia, appartenuta alla mia famiglia , perché dovrei contribuire come tanti poveracci al rimpinguare le casse dello Stato? Non sono mica Babbo Natale. Che le paghino pure le tasse quei quattro pezzenti, io non sono mica come loro, io appartengo ad una nobile famiglia, faccio parte di un altro mondo, le tasse mi fanno ridere, non mi sporco le mani con questa roba da centro di assistenza fiscale. E’ sufficiente come ritratto? Infine, il cantante di grido, l’ottimo Tiziano Ferro. Faccia da bravo ragazzo, mediocre cantautore, (non stiamo parlando di di Dalla o De Gregori), abile confezionatore di canzonette per teen ager in delirio, recentemente ha fatto persino “outing”, come si dice oggi, e ha dichiarato la propria omosessualità. Bene, tanto di cappello. Una vita integerrima. Nessun eccesso particolare, nelle interviste utilizza sempre il linguaggio ripulito del politicamente corretto, un grande successo di vendite. E anche lui evade per diversi milioni il fisco. Perché un ragazzo all’apparenza semplice, pulito onesto deve fare il furbo come i due furfanti che lo hanno preceduto? Per una semplice ragione. Perché anche lui sente di appartenere ad un altro mondo, non quello dei comuni mortali che ascoltano le sue canzoni e comprano i suoi dischi. Lui è diventato “altro”, è entrato nel bel mondo, dei soldi facili, dei locali di lusso, delle mondane, o mondani, nel suo caso, d’alto bordo, delle feste principesche, dei ricevimenti eleganti, dei club esclusivi dove ti puoi iscrivere solo esibendo il tuo fatturato.  Da quanto tempo Tiziano Ferro non entra più in un bar qualsiasi, in una tabaccheria? Oppure non fa una coda alla Poste, alla filiale di una banca, non fa la spesa in un supermercato? Lui ormai è “oltre”, non è più un comune mortale, è facile quando si ha successo , dimenticare le proprie origini ed abituarsi al lusso e al denaro facile. Più difficile è fare il percorso  inverso. Ma Tiziano Ferro appartiene ormai alla casta dei famosi, degli idoli delle folle di ragazzini, cosa volete che sia se non dichiara al fisco tutto quello che guadagna onestamente con le canzonette? Lui si è guadagnato il pane con la creatività, non è da tutti, gli altri hanno ereditato un impero, lui è un poeta del pentagramma. Perché mai dovrebbe confondersi con la massa di gente comune che non ha niente di speciale, non crea, no inventa, non sa cantare o suonare, non vende i dischi, non è adorato e idolatrato? Le tasse sono roba da poveracci, lo abbiamo già detto, non è  il genere che fa per lui.

Allora qualcosa in comune, per questi tre personaggi lo abbiamo scoperto. E’ la distanza che corre tra le persone comuni, quelle che portano avanti, bene o male, con il proprio lavoro e i propri sacrifici, questo paese, e questi personaggi che, per ricchezza personale o per il successo raggiunto nella propria professione, sentono di appartenere ormai ad un altro mondo. Un mondo parallelo, d’accordo, ma che non converge e non sfiora mai quest’altro nel quale viviamo noi comuni mortali. Coltivano l’illusione della “diversità”, del proprio smisurato talento, professionale o nel fare fessi gli altri, hanno fatto un mito di se stessi, vivono la propria vita come se appartenessero ad una aristocrazia, se hanno fatto i soldi è segno che se lo meritavano e non considerano giusto spartirli, attraverso il fisco, con chicchessia. Una volta fatto il salto nella casta cui appartengono, guardano il resto del mondo con noia o con disprezzo, da lontano, anche se fisicamente appartengono ancora a questo mondo. Ma loro non possono confondersi o inchinarsi alle bassezze, alle meschinerie di tutti i giorni, alla gretta e squallida quotidianità dell’uomo comune. Vivono una vita dorata, nel culto di se stessi, contribuendo a fabbricare il mito, la leggenda del proprio operato e del proprio nome. “Non ammassate tesori sulla terra, dove le tarme e la ruggine distruggono e i ladri possono scassinare e rubare. Ammassate piuttosto tesori in cielo, dove né tarme né ruggine possono distruggere, né i ladri scassinare e rubare. Il tuo cuore sarà là dove è il tuo tesoro.” Questo dice il Vangelo di Matteo. Verrà anche per loro il momento di trovarsi sull’orlo dell’abisso, ad un passo dalla morte. Verrà la giustizia di Dio, allora. E la livella farà il resto. Qualcuno di accorgerà di aver vissuto una vita misera, inutile, priva di scopo. Di aver girato a vuoto per tutto il tempo che gli è stato concesso di vivere in questa terra, di non aver dato amore e di non averlo ricevuto, di non aver avuto una passione vera, sincera, pura e cristallina come l’acqua di una fonte. Si sarà circondato di una squadra di lacchè e di tirapiedi che lo hanno compiaciuto solo per raccogliere qualche briciola lanciata ogni tanto dal loro padrone. Adulatori e magari nessun amico sincero. Una vita senza amore, senza amici, in fondo una solitudine amara. Avranno radunato tesori in questo mondo, ma si ritroveranno soli con le loro colpe, con le loro malefatte. A tutto questo conduce il capitalismo, nella sua forma più deteriore, quella che stiamo conoscendo in questi anni. A questo ci ha condotto una ideologia senza contenuto, un sistema economico che mette al centro di qualsiasi valore il denaro e il potere. Ce ne siamo accorti troppo tardi, inebriati come eravamo dalla sconfitta dell’odiato comunismo. Anche questo non è il migliore dei sistemi possibili. Ora lo sappiamo per certo, ora che la crisi mondiale morde anche le nostre terga. Per questo la nostra è una vita difficile. Non solo per mantenere il posto di lavoro e la propria posizione sociale, non solo per risparmiare qualcosa che ci garantisca una vecchiaia se non serena almeno decorosa, non solo per la fatica di allevare dei figli in un  quadro educativo disgustoso, stomachevole, nel quale si muovono come protagonisti paradossalmente positivi squallidi e tristi personaggi come i tre sopra citati, ma anche e soprattutto perché è sempre più difficile, in un mondo così profondamente corrotto e disintegrato, cercare di essere se stessi, coerenti con la propria coscienza, amare ed essere riamati, coltivare le passioni più sane, l’attenzione per il prossimo per gli altri meno fortunati di noi, conoscere l’amicizia, quella vera, quella che ti fa correre al cospetto di un amico che ha bisogno di una parole di conforto, magari solo di un abbraccio per sentirsi meno solo. E’ una vita difficile, è vero. Ma noi dobbiamo non badare alle malinconiche macchiette che abbiamo esaminato, dobbiamo seguitare per la nostra strada, amare, appassionarci, aiutare chi è accanto a noi ed ha bisogno di noi, fare le piccole cose di tutti i giorni, quelle che ci possono offrire piccole e grandi soddisfazioni, regalarci qualche momento di serenità, accanto agli amici veri che solo noi possiamo conquistare e che sono sconosciuti ai tre loschi figuri di cui abbiamo parlato. Essere insomma, in una sola parola degli “esseri umani”. Ma i tre personaggi queste cose non le possono capire. In fondo, più che rabbia ci fanno malinconia, più che livore proviamo per loro una gran pena.

giovedì 23 gennaio 2014

CARIGE E' IL MALE ASSOLUTO



(Il Sole 24 Ore Radiocor) - Milano, 22 gen - La Consob il 10 gennaio scorso ha assunto una delibera che ha come oggetto l'accertamento della non conformita' di bilancio consolidato e d'esercizio al 31 dicembre 2012 e del bilancio consolidato semestrale abbreviato al 30 giugno 2013 di Banca Carige. Lo rende noto la banca in una nota. La delibera e' stata trasmessa alla banca il 13 gennaio scorso. Consob ha chiesto a Carige di chiarire: in primo luogo le carenze e le criticita' rilevate in ordine alla correttezza dei due bilanci; in secondo luogo i principi internazionali applicabili e le violazioni riscontrate al riguardo e in terzo luogo l'illustrazione in un'apposita situazione economico-patrimoniale consolidata pro-forma degli effetti che una contabilizzazione conforme alle regole avrebbe prodotto sulla situazione patrimoniale, sul conto economico e sul patrimonio netto dei due bilanci "per i quali e' stata fornita un'informativa errata". La banca, nella nota, sottolinea di "non condividere il giudizio della Consob di non conformita' e si riserva l'impugnazione del provvedimento". Inoltre, afferma che "le ipotesi di non conformita' sono essenzialmente relative a poste di bilancio di natura interamente valutativa la cui eventuale rettifica non produce alcun effetto monetario e non incide sul patrimonio di vigilanza ne' sul patrimonio tangibile della banca". Ancora, rispetto alle valutazioni degli avviamenti e delle partecipazioni nelle controllate "gli impairment effettuati al 30 settembre 2013 hanno determinato una integrale svalutazione dell'avviamento delle due controllate (Banca Carige Italia e Banca del Monte di Lucca), recepita nelle scritture contabili della banca e pertanto gli effetti illustrati nelle situazioni economico-patrimoniali consolidate pro-forma sono comunque assorbiti nelle rilevazioni contabili al 30 settembre".


Da mesi ormai continua il bombardamento mediatico sulle pessime condizioni del principale istituto di credito ligure. Ogni qualvolta la stampa o qualche sito internet si occupa di banca Carige lo fa per dare una cattiva notizia o per formulare previsioni catastrofiche. E’ pur vero che la banca genovese  ha una lunga coda di paglia, in quanto le malversazioni vere o presunte compiute dalla precedente governance non si contano. Ma questa è ormai materia penale sulla quale stanno indagando le Procure di Genova e Savona, coadiuvate dalla Guardia di Finanza. Ricordiamoci sempre che stiamo parlando di uno dei primi dieci gruppi bancari italiani, una della 15 banche soggette al monitoraggio BCE per l’anno 2014. Ma adesso i vertici dell’istituto e della Fondazione ad esso correlata sono cambiati, l’amministratore delegato di Carige è Piero Montani, un professionista con un curriculum immacolato, grande tecnico ed esperto ristrutturatore, graditissimo a Bankitalia. A questo punto non si capisce più il vero e proprio accanimento (perché di questo si tratta) della stampa specializzata e di tutti i blog finanziari che si trovano sulla rete: sembra una gara a chi le spara più grosse, a chi prevede il commissariamento dell’istituto fino alla sua messa in liquidazione. Ora ci si mette anche la Consob. I rilievi sopra riportati sono stati ampiamente superati dalla pulizia del bilancio effettuata nella trimestrale del settembre 2013. Eppure, nonostante il periodo delicatissimo attraversato dalla banca, che cerca faticosamente di liberarsi dalle secche, la Consob si accanisce al solo scopo, evidente, di massacrare la banca e far sprofondare il titolo in borsa. Le osservazioni della Consob appaiono speciose e pregiudiziali, la nota di risposta di Carige, (15 pagine), redatta probabilmente dallo stesso Montani, è una dura accusa all’organo di vigilanza della borsa, numeri alla mano, che prevede, probabilmente, l’impugnazione del provvedimento. Montani non è uomo da farsi prendere per il naso. Il giudizio della Consob arriva come un abbassamento del rating, produce un effetto analogo sui mercati e sugli investitori. E la tempestività dell’intervento fa presagire non poche dietrologie. La fase attuale, per Carige, è delicatissima: Bankitalia richiede un aumento di capitale di 800 milioni, scesi a 700 per la cessione ad Arca di Carige SGR, un aumento che dovrebbe avere in ordine la cessione degli assets non strategici, come i rami assicurativi vita e danni. Ma nessuno sembra intenzionato a rilevarli. Ci vorrebbe l’ingresso di un nuovo socio che potrebbe diluire la quota detenuta in Carige dalla Fondazione (il 46% circa) ed alleggerire la quota di capitalizzazione. Ma non si profila all’orizzonte alcun nuovo socio. L’aumento di capitale, in questo caso, sarebbe sanguinoso: si tradurrebbe in un cash a carico dei poveri azionisti che vedono il valore del titolo scendere giorno dopo giorno, ormai sotto quota 0,45.  A cosa è dovuto questo tiro al bersaglio da parte di tutti, media, Bankitalia, Consob? Carige è dunque il male assoluto, ha solo compiuto malversazioni, ha truccato i bilanci, ha fatto aggiotaggio, insider trading, false comunicazioni sociali, riciclaggio di denaro sporco, insomma, è una associazione per delinquere? Ovviamente non è così, ma i media stanno facendo passare questa concezione nel pubblico di risparmiatori e investitori, che, sempre più spaventati corrono in filiale a vendere tutto quello che hanno. Si stabilisce il circolo vizioso del panico, il panic selling.  E poi, siamo sicuri che le altre banche siano così cristalline? Che nessun top manager di altri istituti si sia comportato come un’educanda? Le banche italiane hanno sofferenze per 150 miliardi di euro circa, tutti gli istituti, chi più chi meno, hanno fatto ricorso ad artifici contabili per mascherare il più possibile i crediti deteriorati. Si direbbe allora che Carige è diventata il capro espiatorio di una prassi largamente diffusa nella stesura dei bilanci delle banche, che lascia un certo margine di discrezionalità, per così dire, all’amministratore delegato. Carige è il parafulmine, il catalizzatore di tutto quello che di negativo ci perviene dal sistema bancario, è diventata, suo malgrado il simbolo di tutto questo. Ma ora la domanda è un’altra. A chi giova tutto ciò? Verrebbe da domandare a Consob e Banca d’Italia: volete commissariare l’istituto, perché non lo avete fatto prima che si insediasse il nuovo ad Montani? Volete fare fallire Carige? Prego, accomodatevi, commissariate l’istituto e mettetelo in liquidazione. Carige è una realtà profondamente ancorata al territorio ligure, ha diramazioni, anche attraverso l’attività della fondazione, un po’ ovunque: nella formazione, nella scuola, nella cultura cittadina, nelle attività a carattere sociale, nella promozione turistica della regione, nel tessuto commerciale.  Provocare il fallimento di questa banca significa mandare a gambe all’aria una intera regione. E’ questo che vogliono i signori analisti della carta stampata o di internet, è questo che vogliono i due organi di vigilanza, Consob e Bankitalia? Se così fosse lo dicano chiaramente, sapremo almeno come regolarci. Il fallimento di una banca prevede, allo stato attuale, il “bail in”, la partecipazione dei soggetti privati alla ristrutturazione del debito. Vale a dire che dagli azionisti ai correntisti, tutti sono chiamati ad un haircut, un taglio dei propri averi, una partecipazione alle perdite  per rimettere la banca in pista. La Consob e Bankitalia è questo che vogliono: che siano i risparmiatori a pagare un prezzo salatissimo? Lo dicano chiaramente, una buona volta.

lunedì 20 gennaio 2014

LA CRISI ITALIANA IN CIFRE. ALTRO CHE CRESCITA



Il calo dello spread sta facendo sperare nel superamento della crisi dei mercati finanziari, che ha iniziato a colpire con veemenza i nostri BTp due anni e mezzo fa. Se i rendimenti sui titoli del nostro debito pubblico sono in calo e i decennali si attestano al 3,8%, l’economia reale è di tutt’altro tenore. La crisi per essa sembra ben lungi dal finire.
Il tasso di disoccupazione a novembre è cresciuto al record storico del 12,7%, mentre tra i giovani è ad un allarmante 41,6% e l’occupazione è scivolata al 55,4%, pari a 22,3 milioni di persone dai 23,5 milioni dei livelli pre-crisi. Nel frattempo, il pil è sceso nel 2013 di un altro 1,8%, dopo il -2,5% del 2012 e oggi si attesta a un livello pari a circa il 9% in meno di quello raggiunto nel 2007. Prima di tornare a sette anni fa potrebbero volerci diversi anni e intanto avremo perso un decennio o forse di più.
Il saldo delle partite correnti, che misura il grado di competitività di un paese, essendo la somma tra le variazioni commerciali e quelle dei movimenti finanziari, è sì migliorato rispetto agli anni precedenti, ma ha chiuso pur sempre in rosso dello 0,7% del pil nel 2013, quando la Germania ha mostrato un +6,3%.
E cosa dire dei tassi bancari applicati al settore privato sui nuovi finanziamenti? Per quelli quinquennali, sono al 5%, in discesa dal picco del 6,5% medio del 2012, ma pur sempre 150 punti base in più degli omologhi tedeschi. Ma i contraccolpi della crisi si sono fatti sentire anche sulle banche italiane, che oggi hanno crediti dubbi per il 9% del totale, pari a circa 140 miliardi di euro.
In più, la crisi dei mutui ha messo in ginocchio anche il settore immobiliare, ai minimi delle compravendite negli ultimi trenta anni e con i prezzi delle case diminuiti del 20% in termini reali, rispetto al picco massimo raggiunto nel 2010.
E fatta 100 la nostra produzione industriale nel 2000, oggi siamo a 80, il 20% in meno, anche se negli ultimi mesi ci sarebbero segnali di ripresa.
Nel frattempo, il debito pubblico ha raggiunto il 133% del pil, anche se al netto dei contributi italiani ai paesi dell’Eurozona, sarebbe poco inferiore al 130%, ma la quota in mani straniere è diminuita sensibilmente dal 52% tra il 2010 e il 2011 a meno del 40% odierno. Un tonfo della nostra credibilità verso l’esterno.
Gli investimenti, che sono un fattore di crescita futura, sono scesi, poi, da una media del 20% degli anni pre-crisi al 17% del 2013 e quelli privati potrebbero presto essere insufficienti a coprire gli ammortamenti, di fatto rischiando di distruggere capitale fisico.
Sono queste solo alcune delle cifre che dimostrano che l’economia italiana è in stato comatoso e uno slancio non s’intravede. Al contrario, c’è il rischio che qualche timido balzo dagli infimi livelli a cui sono arrivati i nostri indicatori possa essere scambiato dalla politica come l’inizio di una ripresa che non c’è.
Giuseppe Timpone per Investireoggi