lunedì 30 giugno 2014

LE PIVE NEL SACCO DI MATTEO RENZI



«Tocca a noi in Italia fare le riforme se vogliamo la flessibilità dall’Europa» ha detto, invitando a frenare i contrasti interni. «Spero che adesso sia chiaro perché abbiamo modulato sui mille giorni il nostro impegno: perché questo è l’orizzonte di cui necessitiamo» ha detto Renzi.(La Stampa)
Mille e non più mille verrebbe da dire ma la sostanza è che l’Italia non avrà tempo 1000 giorni, tempo 365 giorni e tutti i nodi verranno al pettine.
 «Torniamo dall’Europa avendo vinto una battaglia di metodo e di sostanza» ha detto Renzi. il quale non ha alcuna fretta e fa partire i 1000 giorni dal mese di settembre.
“Ci prendiamo, dopo i primi 100 giorni più o meno scoppiettanti, un arco di tempo più ampio, di medio periodo, mille giorni, dal primo settembre 2014 al 28 maggio 2017”
Quindi 100 diventano 1000 e intanto il tempo passa, come tutte le promesse sino ad ora fatte e non mantenute, soprattutto quella che riguarda i debiti della Pubblica Amministrazione.
Quale battaglia ha vinto Renzi in Europa?
I toni della Ue sono cambiati ora però tocca a noi” ha aggiunto alla fine.
Infatti… (Il Sole 24 Ore Radiocor) – Bruxelles, 27 giu – “Le conclusioni del Consiglio europeo indicano chiaramente che il patto di stabilita’ deve essere applicato pienamente e contiene flessibilita’ sufficiente tenuto conto delle esigenze della crescita”.
Quello che è chiaro a tutto e probabilmente non a Renzi è che la flessibilità è sparita  sul cofinanziamento dei fondi Ue e sul pagamento dei debiti della Pubblica Amministrazione.
Se rimanda tutto a settembre come pensa di onorare l’ennesima balla signor Renzi?
Aveva detto ” … 22 miliardi già pagati e altri 68 che pagheremo entro luglio ” . Poi a Porta a porta, rivolto a Vespa: ” Il 21 settembre, a San Matteo ultimo giorno d’estate, se abbiamo sbloccato tutti i debiti della Pa, lei va in pellegrinaggio a piedi da Firenze a Monte Senario “
Morto un clown se ne fa un’altro verrebbe da dire!
Non solo per chi non avesse ancora capito l’antifona…
“In questi giorni ho sentito dei commenti che facevano pensare a questo”, ha affermato Barroso, che ha invece precisato: “Nessun primo ministro ha proposto di cambiare le regole e nemmeno di emendare il trattato”. Per il Presidente “le regole sono chiare. Abbiamo anche il Fiscal Compact, il Two Pact e il Six Pact e nessuno Stato membro ha parlato di cambiare queste regole”.
Non ha importanza, chi vuole intendere intenda, gli altri continuino a sognare.
Quindi uno a zero per la Merkel, ma non è finita qua o almeno sembra, anche se Fubini su Repubblica sembra avere la memoria corta…
La UE all’Italia: pareggio di bilancio nel 2015. La Ue all’Italia: pareggio di bilancio nel 2015Malgrado l’accordo sulla flessibilità, le raccomandazioni del Consiglio sono più rigide di quelle di inizio giugno. Così il nostro Paese rischia di dover varare in autunno una manovra correttiva da almeno 25 miliardi
Se facciamo un passo indietro …
La questione è più politica che strettamente contabile. La bocciatura del rinvio del pareggio di bilancio decisa dall’Ecofin a metà giugno e ratificata nel vertice del Consiglio europeo appena concluso di cui parla oggi Repubblica peserà poco nella lista della spesa che il premier si prepara ad affrontare al ritorno della vacanze a settembre in vista del varo della legge di stabilità. Meno di due miliardi, sempre ammesso che le stime di crescita su cui si regge tutto l’impianto previsionale del governo non si rivelino poi infondate. Ma non passa comunque inosservata la coincidenza dei tempi: mentre il presidente del Consiglio era a Bruxelles per negoziare, a parole, maggiori margini di flessibilità all’interno del rispetto dei trattati esistenti, contemporaneamente lo stesso vertice sanciva nero su bianco la bocciatura alla prima e unica richiesta formale fatta dal governo di deroga ai patti europei.
…contemporaneamente lo stesso vertice sanciva nero su bianco la bocciatura alla prima e unica richiesta formale fatta dal governo di deroga ai patti europei...
Non c’è dubbio davvero una grande vittoria quella di Renzi, come Monti e Letta, la storia si ripete, due a zero per la Germania, due a zero per la Merkel.
«Non provate un brivido pensando di essere chiamati oggi a realizzare quel sogno degli Stati Uniti d’Europa, avuto da quella generazione che nelle macerie del dopoguerra iniziò la creazione di un nuovo soggetto?», dice Renzi.
Le macerie della Grecia le abbiamo già viste, qua e la anche quelle di altri paesi europei e anche in Italia si incomincia ad intravvedere qualcosa.
Ha dimenticavo! Se qualcuno crede davvero che la imminente riforma del lavoro possa produrre qualche effetto in assenza quasi totale di domanda, dia un’occhiata qui Flop del bonus giovani e continui a sognare. (source)

giovedì 26 giugno 2014

RESTEREMO IN STAGNAZIONE PER TUTTO IL 2015 (alla faccia di #lasvoltabuona)



Economia italiana ancora impantanata e malata di lenta crescita. E' la fotografia fatta da Confindustria che non guarda con ottimismo alle prospettive dalla congiuntura nel breve-medio termine. L'Ufficio studi dell'associazione degli industriali ha tagliato le stime per il 2014 e il 2015 e ora vede il Pil espandersi solo dello 0,2% quest'anno rispetto al +0,7% indicato lo scorso dicembre. Per il 2015 la crescita è attesa nell'ordine dell'1% rispetto al +1,2% indicato in precedenza. 
Previsioni decisamente inferiori a quelle date dal governo che mantiene una stima di +0,8% per il 2014 e +1,3% per il 2015. Allineate invece a +0,6% le previsioni di Pil per il 2014 di Istat, Bankitalia, Commissione Europea e Fondo Monetario Internazionale. 

Quest’anno pesa falsa partenza nel primo trimestre
Sull'anno in corso pesa la falsa partenza con il calo dello 0,1 per cento congiunturale del Pil nei primi 3 mesi dell’anno. Per il trimestre in corso è attesa una moderata ripresa a +0,3% t/t. Confindustria rimarca come finora le previsioni di graduale progressione dell’economia tricolore sono state disattese e la maggiore fiducia di imprese e consumatori non si è tradotta in comportamenti di spesa. 
Bruciato un milione di posti di lavoro 
Indicazioni non confortanti anche sul fronte lavoro. Dall’inizio della crisi sono stati bruciati circa un milione di posti di lavoro. Per il Centro Studi di Confindustria il tasso di disoccupazione sta iniziando a scendere dai massimi toccati nel primo trimestre di quest'anno ma solo gradualmente andando sotto il 12,5% solo nel 2015 (ad aprile è risultato pari al 12,6%). Compresa la cassa integrazione il tasso di senza lavoro è stimato al 13,5% a fine 2015. 
Sul fronte debito Confindustria vede il rapporto debito/Pil salire quest'anno a 135,9% e il prossimo attestarsi a 135,1%, mentre il deficit/Pil 2014 è atteso a 2,9% dal 2,7% indicato in precedenza. (source)

lunedì 23 giugno 2014

IL PD DI RENZI NON PERDE LA SUA VERA VOCAZIONE: AUMENTARE LA PRESSIONE FISCALE



Esaurita l’”euforia” per gli 80 euro in busta paga, gli italiani dovranno fare i conti con una sfilza di aumenti delle tasse, da fare impallidire pur il tristemente noto (sul fronte fiscale) governo Monti. Reduce dal successo elettorale più importante dal 1958, il premier Matteo Renzi giustamente passa all’incasso e da qui ai prossimi mesi plasmerà l’Italia a sua immagine e somiglianza, partendo dalla questione fiscale.
Dopo avere già aumentato la tassazione sul risparmio, nel weekend si è appreso che il ministro Dario Franceschini proporrà di adeguare in aumento il cosiddetto “equo compenso”, ossia la tassa che il consumatore paga, quando acquista un dispositivo elettronico. Dai CD alle memory cards, dagli smartphone ai tablet, passando per molti altri strumenti, la stangata è assicurata. A titolo di esempio: per una chiavetta di memoria da 32 giga, la tassa salirebbe a 4,80 euro e a 5,20 euro per un computer. Trattasi di un’addizionale IVA mascherata, che ufficialmente serve allo stato per tutelare il diritto d’autore, visto che questi dispositivi possono essere utilizzati per scaricarvi le copie private di file musicali e altro, tutelati dalla Siae.
Attenzione, però, perché la vera stangata del governo Renzi si avrà ancora una volta sulla casa e non solo. E’ in via di completamento il lavoro di rivisitazione dei valori catastali. Ad oggi, sono fermi all’anno 1989, pertanto, risultano mediamente più bassi di 2-3 volte rispetto ai valori di mercato. L’adeguamento non sarebbe in sé un fatto negativo, ma il trucco sta nel fatto che attualmente sui valori catastali si basa la tassazione della casa (ex IMU), per cui, se man mano che questi vengono rivalutati, le aliquote ex IMU non scenderanno, per il contribuente medio si tratterà di pagare un’imposta sulla casa di 2-3 volte in più dei livelli odierni.
Per ovviare alla questione, il governo potrebbe prendere in considerazione l’ipotesi – si apprende – di fare pagare la tassa sulla casa sui metri quadrati e non più sui valori catastali. Ma allora, perché la riforma?
Altra tassa in arrivo è sulla successione. Il governo Berlusconi l’aveva abrogata nel 2011, il governo Prodi l’aveva reintrodotta nel 2006, ma prevedendo una franchigia di un milione di euro. Al di sopra di questa cifra, l’eredità viene tassata al 4%. Se il lascito, ad esempio, è di 1,5 milioni di euro, il beneficiario dovrà sborsare il 4% sui 500 mila euro aldilà della soglia esentata, ossia 20 mila euro. Il premier Renzi, invece, vorrebbe abbassare la franchigia a soli 100 mila euro (meno di un immobile di periferia) e prevedere una tassazione progressiva, con aliquota anche del 30% oltre il milione di euro. Nell’esempio di prima, il beneficiario dovrebbe sborsare 186 mila euro, una batosta madornale.
La tassa di successione sarebbe il pilastro principale, ma non unico, della più ampia tassa patrimoniale che il governo avrebbe in mente. La misura metterebbe finalmente d’accordo tutta l’area di centro-sinistra, i sindacati e parte consistente del mondo bancario-finanziario e industriale, che finora non ha mai avuto la forza “politica” di imporre una tale scelta al paese, in assenza dei numeri in Parlamento. Ma con il centro-destra dell’ex premier Silvio Berlusconi allo sbando totale, un Movimento 5 Stelle non accreditabile quale forza di governo e gli alleati del Nuovo Centro-Destra elettoralmente innocui, il 41% del Partito Democratico è molto di più di quanto potrebbe servire a Renzi per fare dal centro quanto alla sinistra non era mai riuscito in 20 anni di Seconda Repubblica. (source)

domenica 22 giugno 2014

DAL PREFETTO DI PERUGIA UNA BUONA RAGIONE PER ABOLIRE LE PREFETTURE



CHI ancora cerca delle buone ragioni per abolire prefetti e prefetture le trova tutte concentrate a Perugia, nell’agghiacciante esibizione, trasmessa ieri da “Umbria 24”, di S.E. Antonio Reppucci, drammatica paglietta napoletana che ha degradato lo Stato.
Renzi ovviamente lo ha rimosso, ma solo come prologo alla rottamazione di una Istituzione che già Luigi Einaudi voleva abolire e che oggi da «funzione puramente decorativa » è diventata «un Mostro che sragiona», «la burokrazia ottusa e nera» dello Stato in disfacimento di Jospeh Roth, i detriti marci dell’antica “prefettocrazia” di Salvemini.
Nel suo sfarzoso salotto il signor prefetto Reppucci sembrava il Caccamo di Teocoli, ma in piena ebbrezza tossica, mentre invitava le mamme dei drogati a suicidarsi e spiegava che la droga leggera «nun è ‘na strunzata».
E scompostamente addossava il fallimento suo e dello Stato alle famiglie, alla scuola, al volontariato, alla parrocchia: «Mica le forze di polizia possono fare da badante perché la famiglia arretra. Se ‘na madre non s’accorge che ‘o figlio suo si droga è na madre f-a-l-l-i-t-a. Si deve solo suicidare». Dunque, se a Perugia spadroneggiano gli spacciatori, se la città è diventata una capitale del narcotraffico, se i giovani bevono e si drogano, se c’è la morte nelle strade… la colpa non è di chi deve prevenire, lottare e fronteggiare la criminalità, ma delle mamme. Ecco: nessuno rida.
 L’errore più grave che si potrebbe commettere è di ridurre questo prefetto a una macchietta d’avanspettacolo e appunto di ridere invece di intristirsi ascoltando il suo sproloquio come un discorso di fine epoca, il requiem d’addio di quella burocrazia italiana operosa ma molliccia, scivolosa ma inesorabile, provinciale e ciceroniana, educativa e fastosa, che è stata preunitaria, fascista, democristiana e postdemocristiana.
Se poi si mette questo documento accanto a quell’altro video dove il prefetto di Napoli — rieccola, la città mortificata! — Andrea De Martino dava in escandescenze e umiliava don Patriciello perché si era permesso di chiamare signora e non “sua eccellenza” il prefetto di Caserta, sembra davvero di sfogliare il “dossier rottamazione” di Matteo Renzi che, «furioso» scrivono le agenzie di stampa «ha convocato Alfano».
E tutti capiscono che in altri tempi Reppucci non sarebbe stato rimosso, ma mandato in ferie per poi sbucare in un altro incarico più prestigioso anche se appartato. Non più dunque “promoveatur ut amoveatur” che era lo stigma della Prefettura italiana, i titoli e i gradi dell’insolente immunità, l’alchimia rubata all’eternità della Chiesa. Nel corpo a corpo di questo governo con la macchina dello Stato, la scena di Perugia è l’argomento ultimo e risolutivo, la pistola fumante che il premier stava cercando e che gli arriva come un dono preziosissimo: in latino maccheronico amoveatur ut rottamatur.
C’è infatti la morte del servitore meridionale dello Stato, magnificamente raccontato da “L’ultima Provincia” di Luisa Adorno, in quel gesticolare parodistico di sua eccellenza Reppucci. C’è la fine del blasone estetico dell’alto funzionario nell’abito nero con cravatta che sembra uno dei costumi di scena di “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” con la musica epica di Ennio Morricone. C’è la degradazione dell’autorità che diventa nomenklatura nei titoli e nelle divise che in silenzio annuendo fanno corona al prefetto: il procuratore generale, il questore, il colonnello dei carabinieri e il colonnello della Guardia di finanza.

E c’è la profanazione finale dei luoghi maestosi che hanno glorificato la nazione nel turpiloquio protocollare tra i ritratti del Perugino e del giovane Raffaello, il soffitto del Cherubini e le volte del Piervittori. Anche il decisionismo da prefetto di ferro, la tradizione che si rifà a Cesare Mori, si spegne nel “facimmo a faccia feroce” alle mamme di Perugia. Addio infine anche al forbito burocratese in carta bollata: Reppucci non usa più “gratissima”, “eccellentissima” e “ benigna attenzione”.
Sostituisce l’eloquio del prefetto Marascianno di Camilleri (“La concessione del telefono”) con la parola «strunzata». E nelle tombe non si agitano ma soltanto si rannuvolano i grandi prefetti d’antan, come La Marmora per esempio, il marchese di Rudinì, e Luigi Prezzolini che il figlio Giuseppe descriveva così: «Era un prefetto e un uomo di cultura umanistica che portava con sé, di residenza in residenza, solo un’enorme biblioteca ». (source)