mercoledì 11 giugno 2014

SE E' CORROTTO IL CONTROLLORE



Il Comandante provinciale della Guardia di Finanza di Livorno Fabio Massimo Mendella è stato arrestato con l'accusa di concorso in concussione nell'ambito di un'inchiesta della Procura di Napoli.
Insieme al colonnello Mendella è stato arrestato il commercialista Pietro de Riu, di Napoli. Le ipotesi di reato contestate nell'ordinanza della Procura di Napoli sono di concorso in concussione per induzione e rivelazione di segreto d'ufficio. De Riu avrebbe incassato per conto di Mendella, responsabile del settore verifiche del Comando provinciale di Napoli dal 2006 al 2012, oltre un milione di euro per evitare verifiche ed accertamenti fiscali.
Nell'ambito dell'inchiesta che ha portato all'arresto del col. Mendella, i pm Piscitelli e Woodcock hanno disposto una perquisizione nel comando generale della Gdf a Roma. A quanto si è appreso, risulta indagato il generale Vito Bardi per un'ipotesi di corruzione. La perquisizione nei confronti del generale Vito Bardi, che è il comandante in seconda della Guardia di Finanza, è avvenuta nella tarda mattinata e ha riguardato solo gli uffici dell'alto ufficiale nella sede del Comando generale della Gdf in viale XXI Aprile.
Imprenditori napoletani avrebbero versato oltre un milione di euro tra il 2006 ed il 2012 al commercialista Pietro De Riu, che faceva da tramite con il responsabile verifiche ed accertamenti del Comando provinciale Guardia di Finanza di Napoli, Fabio Massimo Mendella. E' quanto emerge dall'inchiesta della sezione reati contro la Pubblica amministrazione della Procura di Napoli che ha portato all'arresto del colonnello Mendella, attuale Comandante provinciale della Guardia di Finanza di Livorno e di De Riu. Dal Comando di Napoli Mendella era stato trasferito a Roma. Nell'occasione la holding "Gotha s.p.a.", oggetto di una verifica pilotata eseguita dall'ufficio coordinato dal colonnello Mendella, avrebbe trasferito la propria sede legale a Roma. Le indagini, ancora in corso, sono state condotte dalla Digos di Napoli, con il contributo della Direzione centrale di Polizia criminale, del Comando Provinciale e del nucleo di Polizia tributaria della Guardia di Finanza di Roma. (ANSA)


C’è di che vergognarsi. Tutti noi abbiamo sempre sospettato che nella Guardia di Finanza ci fosse qualcosa di sospetto, se non di illecito. L’esistenza stessa di un corpo militarizzato con finalità di controllo e verifica fiscale è completamente privo di senso. E’ solo costoso, molto costoso. In altri paesi, democrazie avanzate, non repubbliche africane come il nostro, non esiste alcuna Guardia di Finanza. Esiste una squadra di investigatori del fisco, di detective tributari che tallonano il presunto contribuente infedele fino ad incastrarlo. Questo fanno gli Stati Uniti. Se una cosa abbiamo capito, chiara e forte, dagli scandali dell’Expò milanese e del Mose veneziano è che non serve a nulla inasprire le pene, occorre snellire il sistema e sfrondare la burocrazia. Più passaggi bisogna superare, più carte bollate bisogna produrre, più permessi vanno richiesti, più, proporzionalmente, viene la tentazione di oliare il sistema per sveltire un disbrigo di una pratica altrimenti eterna. E’ il sistema legislativo italiano che non funziona, non la certezza della pena che è comunque totalmente inesistente. Ci vuole un genio a comprendere che un corpo come quello della Guardia di Finanza non ha senso, dilata solo i costi da parte dello Stato, non prepara a dovere dei militari che di economia e finanza ne masticano piuttosto poca? Potevamo seriamente pensare che un corpo militare, con tutte le sue gerarchie e i suoi comandi, con le sue caserme e le sue infrastrutture potesse essere esente dal tarlo della corruzione? Il fatto di essere anzitutto un militare non toglie forse risorse all’apprendimento delle dottrine economico finanziarie e tributarie che dovrebbero essere il patrimonio minimo di chi indaga sull’evasione fiscale? Civili ci vogliono, e con uno stipendio proporzionale agli illeciti scoperti. Altro che Guardia di Finanza.