martedì 30 maggio 2017

NON ESISTONO TERAPIE CON ACQUA E ZUCCHERO



Un curioso fenomeno ha lungamente interessato gli storici prima di trovare una spiegazione scientifica. Dall'anno Mille alla fine del XVIII secolo, si trovano resoconti di episodi di impazzimento collettivo che presentavano caratteristiche particolari: avvenivano improvvisamente; erano circoscritti a particolari zone dell'Europa - diverse ma sempre nel Nord Europa - che non avevano precedenti storie di follia; come erano comparsi, altrettanto improvvisamente scomparivano. Tali fenomeni erano collettivi, nel senso che coinvolgevano tutta la comunità della zona, erano caratterizzati anche da atti di violenza e in ogni caso da manifestazioni esagerate e incontrollate, da qui il detto popolare di "ballo di S. Vito" o "Tarantolati". A detta degli studiosi, l'ultimo di questi fenomeni è stato quello noto come "la Vandea Bianca".
Pazienti ricerche hanno incrociato tutti i dati disponibili ex post, mettendo in relazione i luoghi e i periodi in cui queste vere e proprie, seppur particolari, epidemie si manifestavano, con vari possibili fattori causali. Alla fine, è emerso che queste manifestazioni erano i sintomi neurologici di una particolare forma di intossicazione prodotta da una muffa della segale cornuta, con la cui farina è prodotto il pane in molte zone del Nord Europa. Questa muffa velenosa si sviluppava nella segale conservata nei granai solo in certe zone e solo in presenza di particolari condizioni ambientali: estati particolarmente umide e inverni particolarmente miti. Il termine "particolarmente" definisce un range specifico di temperatura/umidità al cui interno si verificava il fenomeno del fungo che intossicava il sistema nervoso dei nostri antenati. Non è stato semplice capire bene tutto il meccanismo, ma la scienza permette anche questo.
Ora, un'altra epidemia - anche più grave - sta avvelenando mentalmente tante persone, al punto da portarle alla loro stessa morte, o alla morte dei loro figli, cioè quanto di più caro un genitore possa avere: sto parlando della scelta di curarsi con metodi privi di efficacia, che equivale a scegliere di non curarsi. Quando la malattia è potenzialmente mortale, la scelta di non curarsi può significare morire.
La premessa di partenza è metaforica, va presa analogicamente, ovviamente non ci sono sostanze alimentari che possano ragionevolmente essere chiamate in causa come fattori responsabili, anche perché la scelta di medicine cosiddette alternative - spesso spacciate per naturalistiche - generalmente si accompagna a forme altrettanto naturalistiche di alimentazione, che vanno dalle scelte vegane in giù, fino a estremi difficili anche solo da immaginare.
I casi stanno aumentando drammaticamente, sia in termini numerici sia in termini di gravità delle conseguenze; ovviamente, i casi che arrivano a fare notizia sono quelli dagli esiti tragici, come appunto la tragedia che ha coinvolto il piccolo Francesco, il bambino morto ad Ancona per un'otite curata con farmaci omeopatici, cioè non curata. Questa è solo la punta dell'iceberg: sono 10 milioni gli italiani che si curano con l'omeopatia: è il 20% della popolazione, nel 2000 erano 6 milioni secondo il Rapporto Italia 2017 di Eurispes.
Fortunatamente, non tutti i casi di malanni trattati con rimedi omeopatici hanno esiti tragici, ma di certo tutti hanno esiti nulli, data la comprovata inefficacia dell'omeopatia nei numerosi trial clinici controllati randomizzati: è puro effetto placebo, che si può avere gratuitamente, mentre la cura omeopatica oltre che inefficace è anche costosa (e sugli aspetti economici torneremo presto). E, ripeto, fortunatamente pochi medici sono come il dottor Massimiliano Mecozzi, che ha una storia molto particolare: quando c'è una malattia seria, conosciuta nelle sue origini e per le sue possibili conseguenze, di cui esiste un protocollo di cura ben stabilito e validato, com'è il caso delle infezioni batteriche, la maggior parte degli omeopati responsabili prescrive un antibiotico. Quelli che non lo fanno, come il soprannominato, dovrebbero essere mandati per un anno in qualche ospedale pediatrico africano, come il Centro cardiochirurgico "Salam" di Kartum, uno degli ospedali di Emergency, a vedere di persona - come ha visto chi scrive - che cosa produce la "naturalezza" dell'infezione batterica non curata quando finisce nel sangue.
Parliamo di omeopatia perché è la medicina alternativa più famosa e diffusa, ma accomuniamo in questa nostra analisi tutta la medicina alternativa, compreso il famoso "metodo Hamer" che tragicamente, come per Achille seppur meno nobilmente, "molte anzi tempo all'Orco generose travolse alme d'eroi". I casi sono recenti e sono ancora nella memoria di tutti.
Più che di eroi, rimanendo in metafora, parlerei di vittime innocenti, vittime di un'epidemia, o meglio di una pandemia. E le pandemie vanno prevenute laddove possibile con vaccinazioni individuali - per i naturisti un altro anatema - e curate con trattamenti a livello di popolazioni.
Soffermiamoci, però, prima sulle responsabilità di sistema. Per quanto tempo la scienza e la medicina - le definisco solo così senza ulteriori aggettivi caratterizzanti, perché non ne hanno bisogno - hanno quantomeno tollerato, se non anche incoraggiato, la nascita e la sopravvivenza di aberrazioni pseudo-terapeutiche incontrollate, quindi senza prove di efficacia, quindi potenzialmente dannose? Ci sono state molte pressioni per inserire l'omeopatia nelle facoltà di medicina e chirurgia, proposta scellerata che fortunatamente non è andata a buon fine.
Nell'ottobre 2016 Giovanni Gorga, presidente di Omeoimprese, scriveva su Il Sole 24 Ore: "L'omeopatia va in serie A", compiacendosi del fatto che "da oggi non si parla più di prodotto, rimedio o altro bensì di 'farmaco' vero e proprio", ma anche lamentando il fatto che l'omeopatia per molti accademici restava e resta ancora un tabù. Meno male. Io continuo a sostenere che "farmaco omeopatico" sia una contraddizione logica in termini. Va ricordato, per par condicio, anche che su Il Sole 24 Ore scrive Gilberto Corbellini, Ordinario di Storia della Medicina e autore di taglienti articoli in favore del metodo scientifico e contro le frodi e le falsità scientifiche: anche lui a suo tempo si era occupato di Wakefield e dei vaccini.
Tornando agli interventi, quello vaccinale preventivo non può che essere culturale: agisce sulle popolazioni e richiede tempo. È un intervento da Nudging, la spinta gentile di cui abbiamo già parlato. Ricordiamoci che l'Italia è storicamente paese in Europa con bassissimo livello culturale, misurato con la percentuale di persone laureate (solo la Romania si colloca dietro di noi), con il più basso consumo di libri e giornali – a chi importa? Tanto ora ci sono i post altrui su Facebook che ci istruiscono - e con uno dei più alti tassi di analfabetismo funzionale o di ritorno, cioè le persone leggono ma non capiscono e non sanno ripetere quello che hanno letto (ci ricordiamo ancora cosa ci veniva richiesto a scuola? "Ora ripetilo con parole tue"). Parliamo di percentuali attorno al 50% della popolazione, e sono destinate ad aumentare: i dati all'epoca raccolti dal mai abbastanza compianto linguista Tullio De Mauro sono ancora tristemente attuali.
E poi l'abbiamo visto con la polemica relativa ai vaccini: i credenti, in quanto tali, credono e non si convincono con le evidenze, c'è sempre una teoria complottistica che giustifica e spiega tutto e il suo contrario. Io li chiamo i credenti, o "webnubilati", mentre Enrico Mentana coniò il termine "webeti". Si tratta di coloro che non leggono i giornali, pieni di menzogne e falsità prezzolate, ma solo i sacri blog della purezza e verità: sono tanti, fanno tanti soldi, più bufale pubblicano più fanno soldi e più tenti di smascherare le bufale più i credenti si radicalizzano e credono più fortemente di prima, attivando un classico effetto backfire. Ora abbiamo scoperto, grazie al giornalista Jacopo Iacoboni, che si sono messi in mezzo pure gli hacker russi. Ma di questo parleremo un'altra volta.
Al netto dei bias, della copertura mediatica che hanno tragedie come quella di Ancona e della conseguente euristica della disponibilità, per cui il fenomeno per le persone risulta ingigantito, non c'è dubbio che il numero di persone che si affida a medicine alternative (scritto tra mille virgolette) è in aumento, i dati lo dicono chiaro.
C'è un comun denominatore alla base di questa follia. Abbiamo visto che per troppo tempo anche il mondo scientifico ha avuto un atteggiamento laissez-faire, talvolta anche compiacente, lasciando che un sottobosco di interventi senza efficacia - spacciati per medicina alternativa - proliferasse e facesse affari fin troppo a lungo. Pagano i più deboli e incolpevoli: i bambini.
Far affari: questa è una parola chiave. Basta prestare attenzione a quanta pubblicità passa nelle stazioni radio, durante l'inverno, per promuovere i farmaci omeopatici contro l'influenza senza effetti collaterali di una nota ditta francese di prodotti omeopatici, descritta dal proprietario come un'impresa familiare ma che ha quattromila dipendenti ed è quotata in borsa: non esattamente il profilo di una piccola o media impresa.
Girano molti soldi, ma stranamente i credenti in questo caso non si sono posti gli stessi interrogativi che pongono rispetto ai soggetti definiti "Big Pharma". Eppure, tempo addietro, negli Stati Uniti, qualcuno ha iniziato una class action proprio contro quel prodotto antinfluenzale che contiene solo acqua e zucchero. Come sappiamo, gli statunitensi sono molto pragmatici: non sono riusciti a fermare Al Capone per la Strage di S. Valentino, ma ci sono riusciti incriminandolo per evasione fiscale. La class action è già costata molto cara all'industria in oggetto, condannata a risarcire 12.5 milioni di dollari, ed è solo la prima, e nel tempo costerà caro anche l'obbligo di scrivere chiaramente sulle confezioni che il prodotto non è riconosciuto come farmaco dalla FDA.
Un'altra class action analoga è già partita in Quebec. Solo qualche anno fa, la stessa azienda aveva minacciato di adire le vie legali contro uno studioso italiano che in un blog, come questo, aveva osato parlare dell'inefficacia dei preparati omeopatici, inefficacia che centinaia di ricerche indipendenti e controllate hanno dimostrato ampiamente. I tribunali americani hanno aggirato il problema, poiché dichiarare di contenere ciò che un prodotto non contiene costituisce pubblicità truffaldina. Semplice.
Siamo tutti, almeno a parole, molto critici con Internet, compreso chi ha creato noti social network. Siamo in molti consapevoli che siamo intossicati digitali. Facciamo però attenzione a non dare la colpa anche di questo a Internet. Chi cercava le medicine alternative esisteva anche prima di Internet, solo che le cerchie comunicative sociali erano ristrette. "I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli", sosteneva Umberto Eco: i social media sono un mezzo di comunicazione sociale che ha contribuito ad allargare quelle cerchie consentendo anche agli imbecilli di esprimersi appunto da imbecilli (un'alternativa comunicativa sarebbe strutturalmente impossibile), ma non sono la causa degli imbecilli. L'utente che ha scritto su un post riferito a Roberto Burioni "ho una pallottola con il suo nome pronto in canna" (scovato dal debunker David Puente) andava ricoverato d'urgenza anche prima di Internet.
Considerazione conclusiva: in quale campo della scienza trova ancora applicazione una teoria settecentesca, formulata da un medico che viveva in un tempo in cui non esisteva ancora la medicina scientifica, si ignorava l'esistenza e il ruolo dei microorganismi, non c'era un modello razionale di malattia, l'aspettativa di vita era inferiore ai 50 anni e la mortalità infantile superiore al 40%?
Prevengo un'obiezione: lo so, in quanto psicologo dovrei guardare prima le travi nella nostra disciplina e poi le pagliuzze altrui. Anche in psicologia ci sono troppi trattamenti psicoterapeutici totalmente privi o gravemente carenti di prove di efficacia. Alcuni, ciò nonostante, sono ancora popolari, soprattutto in alcune fasce sociali che in parte coincidono con quelle degli utilizzatori di prodotti omeopatici.
Per quanto mi riguarda, ho fatto le mie scelte di campo e di metodo molti anni fa e cerco di trasmettere nel mio insegnamento la mia scelta non di fede, ma di fiducia razionale nel metodo scientifico anche in psicologia, che inevitabilmente porterà all'abbandono dei trattamenti sciamanici. Se sarà, quando sarà, sarà sempre troppo tardi.
Paolo Moderato – Huffington Post

lunedì 29 maggio 2017

IL DEBITO CALERA’. PADOAN MENTE SAPENDO DI MENTIRE



Il debito pubblico italiano si è stabilizzato, ha smesso di crescere e non potrà stare fermo per molto tempo, scenderà rapidamente»: lo aveva assicurato, il 24 maggio 2016, il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan all’Ecofin a Bruxelles, confermando come il governo prevedeva una discesa già quell’anno. Nel Def di aprile il governo stimava che il rapporto debito/Pil sarebbe sceso dal 132,7% del 2015 al 132,4% nel 2016, per poi calare al 130,9% nel 2017, al 128% nel 2018 e al 123,8% nel 2019.
AFFERMAZIONI GIÀ SENTITE. Secondo le stime di allora della Commissione Ue, il debito italiano avrebbe cominciato invece a scendere solo nel 2017, un anno dopo il previsto, ma il ministro da un lato ha ricordato che «rispetto a qualche mese fa l'inflazione in Italia si è rivelata più bassa di quella attesa e quindi la crescita nominale è molto più bassa, ed è la crescita nominale, non la reale, che determina la dinamica del debito». Dall’altro ha aggiunto però: «Continuiamo a prevedere per il 2016 l'inizio della discesa del debito e questo dipende da una diversa valutazione che noi facciamo in tema di privatizzazioni rispetto a quella delle istituzioni internazionali». Va ricordato che anche il Fmi ha definito «difficile» il calo del debito italiano già dal 2016. Simili affermazioni le aveva già anticipate alla Camera, a fine gennaio 2016.
L'INPUT DI RENZI. Il debito pubblico italiano scenderà nei prossimi anni anche nel caso in cui il Pil dovesse diminuire, aveva affermato il ministro dell'Economia durante il question time alla Camera, citando alcune delle previsioni sui conti pubblici italiani redatte a livello internazionale (Ue, Ocse, Fmi). «Il debito comincerà a scendere a partire dall’anno prossimo», aveva detto ancora prima in un’intervista a Bloomberg il 6 settembre 2015, dopo che l'allora premier Matteo Renzi, nel suo intervento al forum Ambrosetti del 5 settembre 2015, aveva ribadito la necessità di un calo dal 2016.
Stiamo andando nella direzione giusta, forse staccheremo gli altri e questo sarebbe un vantaggio per Europa nel suo complesso
Pier Carlo Padoan
«Stiamo andando nella direzione giusta, forse staccheremo gli altri e questo sarebbe un vantaggio per Europa nel suo complesso»: così sempre il ministro, in un’intervista alla tivù Class Cnbc, tirando la volata a Renzi secondo il quale l’Italia punta a conquistare la maglia rosa nella crescita. «Il piano Juncker è uno strumento importante», aggiungeva. «Spero dia una grossa mano al Paese e all’Europa nel suo complesso. Per sfruttarlo al meglio l’Italia deve imparare a fare progetti e a usare strumenti pubblici». Stessi concetti espressi il 18 dicembre 2014, al Congresso della Lega Coop. Peccato che la realtà sia invece diversa, profondamente diversa.
SITUAZIONE DRAMMATICA. Pubblichiamo in calce una tabella riepilogativa del debito pubblico italiano, dalla quale emergono dati drammatici. La crescita annua è sempre significativa, nonostante il bassissimo livello degli interessi passivi che gravano sui titoli emessi dal Tesoro. Negli ultimi anni si è un po’ ridotto il trend di crescita, e si è passati da un aumento di 80 miliardi di euro circa all’anno a uno di circa 40. Però nei primi tre mesi del 2017 l’aumento è stato di 42 miliardi, 14 al mese, crescita storica, pur influenzata da effetti di stagionalità. Non possiamo stare tranquilli, con il debito che abbiamo; le affermazioni-placebo che ci vengono somministrate prima o poi perderanno gli effetti e la situazione emergerà in tutta la sua drammaticità. Il debito pubblico italiano è un mostro che nessuno saprà mai domare, al di là delle chiacchiere e dei proclami. Anzi, è una situazione che tutti cavalcano, alla grande, finché dura.
STESSO REFRAIN SULLE TASSE. Ora però siamo ancora più preoccupati. Padoan sta dicendo che ridurrà anche le imposte (17 maggio 2017). Speriamo proprio non accada come per il debito. Già in aprile aveva affermato, nel corso di un’audizione al Senato sul Def, che il governo intende evitare ogni aumento dell'Iva e procedere sulla strada del taglio alla pressione fiscale con misure credibili. Un anno prima (6 giugno 2016) aveva detto che la pressione fiscale «continuerà a scendere nei prossimi anni anche se non facessimo interventi specifici». Scenderà al 40% «non so se entro la legislatura» ma in ogni caso «in pochi anni», così a Porta a Porta. Anche la crescita «si rafforzerà perché dobbiamo vedere ancora in pieno l’impatto delle riforme strutturali, compresa la riforma costituzionale». Ma c’è da crederci?
Giuseppe Rebecca – Lettera 43

venerdì 26 maggio 2017

LA VEGLIA DI SHIELDS



"Ribellione: alle tue condizioni". Recitava così la scritta sull'etichetta delle bottiglie di Shiraz, poggiate su un tavolo verde in una sala decorata con margherite e altri fiori di campo. In sottofondo la musica scandiva le ore di quell'inusuale veglia funebre, mentre i presenti ricordavano i momenti più belli trascorsi con l'amico: era stato lui a organizzare per se stesso quella festa commemorativa e, ancora vivo, ha ascoltato le loro parole, in attesa della sua morte.
John Shields ha scelto di andarsene in questo modo e ha scelto l'eutanasia. All''uomo di 78 anni qualche mese prima era stata diagnosticata l'amiloidosi, che ha danneggiato i nervi di braccia e gambe. Per lui avere il controllo sulla sua morte significava essere più potente della malattia, anziché paralizzato da essa, per questo ha scelto un'iniezione letale somministrata dal suo medico, una pratica ora possibile in Canada, il paese di John.

Come racconta il New York Times, due giorni prima della morte programmata si è svegliato nel suo letto d'ospedale con un'idea insolita. Voleva organizzare per se stesso una veglia irlandese, un'antica tradizione in base alla quale amici e parenti si riuniscono in casa per giorni, mangiando, bevendo e raccontando storie sul defunto. L'unico particolare è che lui sarebbe stato presente.

La festa si sarebbe dovuta tenere in un ristorante canadese, la sua ultima cena doveva prevedere le portate che più amava. Infine, la famiglia lo avrebbe accompagnato a casa e lui si sarebbe spento nel giardino, il suo posto preferito, roccioso e selvaggio, dove amava trascorrere il tempo prima che la malattia lo debilitasse.
Il piano non era però del tutto realizzabile: negli ultimi 17 giorni non era stato in grado di lasciare il letto d'ospedale e il suo fisico certamente non avrebbe sopportato quegli sforzi. Con l'aiuto della dottoressa ha raggiunto però un compromesso: l'ultima notte, il signor Shields l'avrebbe trascorsa celebrando la sua vita in una sala dell'ospedale. La mattina successiva il corpo sarebbe stato disteso per due giorni nell'amato giardino.
"La qualità della vita è importante, per me e per la mia dignità, per risparmiare ansie a mia moglie e mia figlia", diceva Shields, che ha sempre tenuto a mantenere la sua libertà intellettuale, spirituale e personale.
Ex prete cattolico, dopo quattro anni abbandonò il sacerdozio, perché contrario ad alcune posizioni della Chiesa. Poco più tardi conobbe Madeleine, diventata sua moglie e con lei si impegnò per difendere i diritti sociali, fino al giorno della morte di lei, a causa di un linfoma.

Al suo fianco, nelle ultime ore di vita, c'era un nuovo amore, Robin. Il 23 marzo era con lui nella sala, mentre gli amici lo ringraziavano per l'ultima volta, era al suo fianco nel letto d'ospedale, mentre la dottoressa dava le ultime direttive prima dell'iniezione letale e salutava John dicendogli che "non ci sono medaglie per chi resta e non c'è giudizio per chi lascia".

Silvia Renda – Huffington Post

giovedì 25 maggio 2017

LA GRANDE IPOCRISIA SULLE INTERCETTAZIONI



Ora che Renzi s'è rimesso a fare Grillo, sarebbe stato divertente vedere Grillo smorzare i toni e spiazzare tutti; e invece no e, anzi, ultimamente i toni si sono alzati ancora, e al consueto e mortificante urlarsi addosso tra politici s'è aggiunto, come a volte accade, il chiasso di certi magistrati e di certi giornalisti, e tutto questo rumore confonde le idee e copre ogni altra cosa, persino ciò che altrimenti avrebbe fatto saltare in molti sulla sedia, come la circolazione - non la pubblicazione, bensì proprio la circolazione - di certe intercettazioni telefoniche.
C'è da dire che le discussioni sulle intercettazioni sono sempre alquanto indecenti poiché vivono di grandi ipocrisie, ma questa volta - e ci si riferisce alla inchiesta Consip - la situazione è persino peggiore. Di solito, infatti, si ha a che fare con intercettazioni allegate ad atti giudiziari inediti, ma oramai pubblici e quindi perfettamente pubblicabili, nonostante le proteste - piuttosto interessate, per così dire - del mondo politico. Ma questa volta è diverso e forse non si sbaglia a parlare di scandalo, il quale non risiede tanto nel contenuto di quelle intercettazioni, almeno non più del solito, e soprattutto non risiede nella pubblicazione di quelle stesse intercettazioni. No, lo scandalo risiede altrove. Lo scandalo sta appunto nella circolazione di quelle intercettazioni che è avvenuta in violazione di diverse, fondamentali norme di garanzia, circostanza che di norma non si verifica, come detto, quando si ha a che fare con la pubblicazione di intercettazioni inedite ma allegate agli atti.
Senza entrare nei dettagli della inchiesta Consip e, anzi, provando a fare un discorso generale, è evidente che non si possano divulgare le intercettazioni coperte da segreto come sono quelle non ancora trascritte, e quindi non agli atti, e che per questo non possono essere pubbliche né sono pubblicabili, anche nell'interesse stesso della inchiesta. È altrettanto evidente che, a maggior ragione, non si possano divulgare le conversazioni tra un avvocato e il proprio assistito. In questo caso, poi, il segreto è particolarmente rafforzato per evidenti ragioni di garanzia, tanto che le conversazioni tra avvocato e assistito sono di norma persino inintercettabili e, nel caso avvenisse comunque un'intercettazione, questa è inutilizzabile e deve essere senz'altro distrutta, e quindi mai dovrebbe avere circolazione neppure all'interno del procedimento, figurarsi se può averla all'esterno. Eppure è accaduto.
È innegabile che quando poi quegli atti finiscano nelle mani dei giornalisti, questi debbano pubblicarli. Nessuno può davvero pensare di metter mano a leggi più restrittive di quelle attualmente in vigore su questo fronte. Peraltro, il giornalista che dovesse pubblicare atti protetti da segreto lo fa assumendo su di sé una grave responsabilità, ma lo fa nell'interesse generale. Insomma, la pubblicazione risponde alla necessità fondamentale di informare i cittadini. Che invece quegli stessi atti abbiano una circolazione illecita e precedente alla eventuale entrata in scena dei giornalisti - a prescindere insomma dal fatto che si arrivi o meno alla loro pubblicazione - è piuttosto inquietante perché ciò avviene violando la legge e perché - soprattutto in alcuni casi, come anche alcuni magistrati di primo piano stanno riconoscendo in questi giorni - a violare la legge è presumibilmente chi dovrebbe applicarla: magistratura inquirente o polizia giudiziaria.
Ma, soprattutto, il fatto che gli atti coperti da segreto abbiano una circolazione illegale è inquietante per l'opacità delle ragioni per le quali quegli atti vengono fatti circolare. Non è cosa da poco se si considera che, a quanto pare, nei mesi scorsi la circolazione di alcune informazioni coperte da segreto e relative alle modalità con le quali venivano svolte le indagini sulla vicenda Consip, ha prodotto conseguenze piuttosto negative sulla inchiesta stessa.
Tuttavia, la politica preferisce scontrarsi invariabilmente sul contenuto delle conversazioni, che peraltro in questo caso è tutto sommato poca cosa. E puntualmente, salvo alcune eccezioni, si ripete la grande ipocrisia che da anni va in scena quando si discute di intercettazioni: non ci si chiede come mai i magistrati siano costretti a indagare i politici mentre, con prevedibile puntualità, si ricomincia a dire che si deve metter mano a una riforma delle intercettazioni, e puntualmente la sensazione è che si cercherà di approfittare della situazione per spuntare le armi ai magistrati. Poi, non riuscendo a riformare le norme, si getterà la croce addosso ai giornalisti, i quali fanno, invece, soltanto il proprio mestiere che è quello di cercare notizie e informare i lettori.
Alessandro Calvi – Huffington Post