La vittoria di Macron alle presidenziali francesi ha scatenato
gli entusiasmi degli europeisti e degli ottimisti, che fino a pochi mesi fa
sembravano schiacciati nel silenzio dall'avanzata populista e dalla retorica
dell'odio.
In Italia il risveglio della fiducia, incarnato
soprattutto dal Pd del vecchio e nuovo segretario Matteo Renzi, è stato
particolarmente sonoro. Macron rappresenta infatti l'emblema di un nuovo corso,
sostanzialmente di sinistra liberale (anche se il neo-presidente francese non
appartiene formalmente a nessuno dei due schieramenti tradizionali),
orgogliosamente filoeuropeo, di rottura con il passato impaludato dei
"vecchi" partiti, che con i dovuti distinguo assomiglia molto
all'ascesa del renzismo di quattro/cinque anni fa.
Il leader Pd si rivede nel leader di "En Marche", e
pensa di potersi rifare dalle recenti difficoltà alle prossime elezioni,
sfruttando il vento favorevole proveniente d'Oltralpe. Purtroppo per lui, però,
le cose non saranno così semplici: tre sono gli errori in cui il Pd può
incorrere – se non vi sta già incorrendo – nel suo parallelismo tra Francia e
Italia.
- L'errore di pensare che, se l'orgoglio europeo in Francia ha pagato, possa pagare anche in Italia
Beninteso: questo non significa vergognarsi
dell'Europa o nascondere la bandiera europea dietro l'angolo. Piuttosto,
significa non illudersi che la retorica antieuropea in Italia possa essere
sconfitta con la stessa arma di Macron, ovvero ribaltandola in retorica
europea. È pur vero che perfino Macron, più che a "questa" Europa, si
è sempre riferito a un'Europa ideale che ancora non esiste; tuttavia in Italia
insistere su una "nuova" Europa, un'Europa "diversa" da
quella di oggi, non potrà essere sufficiente.
I motivi di risentimento degli italiani verso
l'autorità sovranazionale sono gli stessi dei francesi, ma amplificati dalla
crisi dell'Euro che si è abbattuta molto più pesantemente nei Paesi del sud del
continente. Inoltre Parigi è economicamente, culturalmente e storicamente la
seconda capitale "di fatto" del continente, dopo Berlino. La
cosiddetta locomotiva franco-tedesca, se pure ha subito rallentamenti negli
ultimi anni, rimane sempre la prima vettura del carrozzone. Roma può battere i
pugni sul tavolo di Bruxelles, così come può giovarsi dell'uscita di Londra, e
magari prenderne il posto in classifica, ma non può aspirare ad avere lo stesso
ruolo della capitale francese nel processo europeo, quantomeno per le peggiori
condizioni economiche del nostro Paese rispetto a quello transalpino (debito
pubblico in primis e crescita insufficiente immediatamente a seguire).
Quindi in Italia l'euroscetticismo non sarà facilmente
arginabile richiamandosi orgogliosamente ai valori europei, anche perché
l'unica fascia di popolazione che questi valori li vive, o dovrebbe vivere,
quotidianamente in prima persona, è proprio quella su cui il Pd è maggiormente
in difficoltà: i giovani.
- L'errore di pensare che una riforma elettorale in senso maggioritario, o che preveda addirittura il doppio turno alla francese, possa avvantaggiare il Pd
Beninteso: non si vuole dire che, se una legge
elettorale non è favorevole al Pd, non è favorevole al Paese. Qualsiasi riforma
che introduca governabilità politica è una riforma positiva per l'Italia. La
differenza tra Francia e Italia è però questa: che mentre la Francia al secondo
turno elettorale si è responsabilizzata e unita per sconfiggere il
"pericolo" Le Pen, l'Italia non è affatto detto che farebbe la stessa
cosa contro Grillo. Anzi, il referendum costituzionale, così come molti
ballottaggi alle scorse elezioni comunali, dimostrano come lo schieramento
comune si crei preferibilmente contro il Pd piuttosto che contro il Movimento 5
Stelle (sempre ammesso che siano questi due i primi partiti italiani).
Il motivo è che quello di Grillo, più che un movimento
antieuropeo (c'è già la Lega di Salvini per questo), è un movimento
antipolitico (inteso nell'accezione di politica tradizionale o partitica). In
questo senso, ha un'attrattiva molto più forte e trasversale. Se
all'antipolitica si somma una furba ambiguità sui temi europei, tale da
risultare appetibile anche ad elettorati nazionalisti e sovranisti, il rischio
per il Pd di una legge elettorale maggioritaria è forte. Detto questo,
l'auspicio è che una buona legge elettorale possa essere varata
indipendentemente dalle convenienze politiche.
- L'errore di pensare che Renzi sia il Macron italiano
Veniamo all'ultimo e più grosso errore di tutti. Che i
due leader abbiano molti punti in comune, lo si è già detto ed è innegabile. Ma
Macron è quello che Renzi avrebbe dovuto essere e non è. Poiché siamo in vena
di parallelismi, facciamo questo parallelismo fino in fondo.
Macron è diventato presidente francese – vincendo le
elezioni - dopo che Hollande, e con lui il partito socialista, e con loro tutto
il sistema partitico tradizionale francese, si è sostanzialmente sfasciato da solo.
Renzi sarebbe stato il Macron italiano se avesse aspettato il tracollo del
governo Letta-Alfano, e avesse vinto le elezioni politiche non appena tale
governo fosse caduto per propria debolezza intrinseca. Invece sappiamo tutti
che Renzi non ha aspettato questo momento, ma ha fatto le scarpe ad Enrico
Letta con una certa fretta, formando un proprio governo (che ha pure fatto bene
in diversi casi), e andando infine a sbattere contro il muro con il referendum
costituzionale dello scorso dicembre. In altri termini: si è bruciato da solo
come elemento di novità e di rottura col passato.
Adesso per Renzi è difficile presentarsi come l'homo
novus della politica italiana. Potrà provarci, rinnovando il Pd nel profondo
anche grazie alla fuoriuscita della vecchia minoranza, ma un conto è vincere le
primarie del partito (con affluenza mai così bassa, peraltro, centomila voti
più centomila voti meno), un altro è vincere le elezioni nel Paese.
Ecco, questi sono i tre errori in cui il Partito
democratico più facilmente può cadere in questa e nelle prossime settimane. Se
si vuole, si può aggiungere pure un quarto possibile errore, questo spiegato
brevemente. L'errore consisterebbe nel far cadere il governo Gentiloni per
andare al voto in autunno, credendo che il vento francese sia favorevole al Pd.
Marco D’Egidio – Huffington Post