Spesso,
quelli che gridano accoglienza, sono quelli che hanno la scorta. Non l'ha detto
uno di destra incallito, ma il sociologo Ricolfi, un tipo, considerato, dai
più, un illuminato, durante un'intervista al quotidiano Il Giorno, a commento
della marcia di Milano per l'accoglienza. L'accademico ha rincarato la dose
sostenendo che, molti dei marciatori, non hanno il problema sicurezza perché
ben attrezzati economicamente e, quindi, in grado di prendere tutte le precauzioni
per salvaguardare se stessi e il loro patrimonio. Noi, siamo tra coloro che
della manifestazione di Milano, del 20 maggio, non abbiamo capito nulla. E la
pancia del paese, e dei milanesi, la pensa così. Obiettivi raggiunti? Divisivi
e distintivi. "Divisivi" perché ha reso più stridenti i due pesi e le
due misure in uso: allora perché non una marcia per i diritti di coloro che
vorrebbero vivere civilmente nei quartieri periferici di Milano, visto che due
per tre si cita Papa Francesco?
Qualche
giorno fa, quattro arresti per il racket delle case popolari a Milano in zona San Siro: una
banda di egiziani e nord africani gestivano 800 appartamenti. Dove sta il senso
di quel sbracciarsi e gridare "accoglienza accoglienza" quando poi
non si riesce garantire l'ordine e il rispetto delle regole che ci sono? (E lo
ricordiamo anche alla Lega, che fa la voce grossa su questi episodi, ma si
dimentica che l'Aler, l'istituto
regionale lombardo delle case popolari, è anche nelle loro mani).
A
meno che non ci sia un clubino della "sicurezza ma non troppo", di
quelli che "ma anche no, ma anche sì": vogliamo la sicurezza ma anche
l'accoglienza. Scusate, ma chi lo impedisce? Non ci sono muri invalicabili.
Manca solo la volontà politica e, visto che tra i manifestanti per
l'accoglienza c'erano molti politici con responsabilità alte (anche istituzionali),
non capisco dove stanno gli ostacoli per darsi da fare.
A
meno che si pensi che qualcuno lo faccia meglio di altri, che l'accoglienza la
possano fare solo alcuni rispetto ad altri, quel manicheismo che crea divisioni
tra società civile e non, i buoni e i cattivi, far leva su questo è da
archeologia culturale dove cade il valore distintivo. Perché in quell'en marche
meneghino c'era chi chiedeva il ritiro dei provvedimenti del Ministro Minniti,
tra i pochi che ci capisce e fa qualcosa - e non gli lasciano fare il di più
che andrebbe fatto - nell'universo mondo caotico della gestione
dell'immigrazione.
Il
Sindaco di Milano è tra coloro che hanno appoggiato la marcia contro il modello
dei blitz, voluti da Minniti (il quale, i queste ore, ha riconfermato la necessità
di quegli interventi), davanti alla Stazione Centrale. Chiedo all'ex manager, a
quello che ha gestito Expo, come vedeva quell'orrendo spettacolo sulla piazza
d'ingresso a Milano, in quale altro paese europeo sarebbe tollerata una
situazione del genere? A Berlino? A Parigi?
Con chi sta Sala? Perché non ha speso una parola di
solidarietà da collega-amministratore quella Debora Serracchiani, già vice
segretaria del Pd e presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, che ha
detto una cosa sensata su immigrati e violenza ed è stata sottoposta ad
un linciaggio mediatico senza pudore, elevandola a razzista della peggior
risma?
Purtroppo
l'immagine che si dà è quella di sempre, delle istituzioni che confliggono tra
di loro invece di proseguire insieme e convinte verso la soluzione dei
problemi. E questo è il primo finale della vicenda. C'è poi una seconda trama
che riguarda per lo meno il sindaco di Milano, Sala. Infatti non è
comprensibile questa sua smania di protagonismo misto a decisionismo lisciando
il pelo a un sinistrismo che non gli appartiene. È vero che dentro la sua
giunta c'è molto il sentiment del Sindaco precedente (e ne vedremo delle belle
quando si dovrà scegliere il candidato alla presidenza della Regione
Lombardia), Pisapia, ma la società milanese nella stragrande maggioranza si
sente lontanissima anni luce da quella esperienza.
E
allora non rimane che l'ultima ipotesi: Sala for president di un centrosinistra
unito. Fantapolitica? Non tanto. Milano è la piattaforma di lancio con un
Pisapia regista. Poi c'è tutto il resto, prima di tutto quel Renzi che ormai si
è accorto con grande evidenza l'errore che ha fatto nel consegnare nelle mani
di Sala la città di Milano. L'outsider ambrosiano dell'ex presidente del
Consiglio che si è guardato bene di fiancheggiare Renzi nelle prove più dure di
questi mesi, fino al silenzio sulla preferenza del candidato scelto e votato
alle primarie Pd. Forse Sala si è sentito prima in dovere di rendere grazie a
quella sinistra sinistra che al secondo turno l'ha votato sindaco per un misero
soffio su Parisi. Quel Parisi che in quel soffio di scarto ha evidenziato che
il riformismo a Milano si può declinare attraverso altre aggregazioni politiche
e ispirazioni culturali.
Maurizio Guandalini – Huffington Post