lunedì 22 maggio 2017

LA MARCIA DI MILANO FUORI DALLA RETORICA



Spesso, quelli che gridano accoglienza, sono quelli che hanno la scorta. Non l'ha detto uno di destra incallito, ma il sociologo Ricolfi, un tipo, considerato, dai più, un illuminato, durante un'intervista al quotidiano Il Giorno, a commento della marcia di Milano per l'accoglienza. L'accademico ha rincarato la dose sostenendo che, molti dei marciatori, non hanno il problema sicurezza perché ben attrezzati economicamente e, quindi, in grado di prendere tutte le precauzioni per salvaguardare se stessi e il loro patrimonio. Noi, siamo tra coloro che della manifestazione di Milano, del 20 maggio, non abbiamo capito nulla. E la pancia del paese, e dei milanesi, la pensa così. Obiettivi raggiunti? Divisivi e distintivi. "Divisivi" perché ha reso più stridenti i due pesi e le due misure in uso: allora perché non una marcia per i diritti di coloro che vorrebbero vivere civilmente nei quartieri periferici di Milano, visto che due per tre si cita Papa Francesco?
Qualche giorno fa, quattro arresti per il racket delle case popolari a Milano in zona San Siro: una banda di egiziani e nord africani gestivano 800 appartamenti. Dove sta il senso di quel sbracciarsi e gridare "accoglienza accoglienza" quando poi non si riesce garantire l'ordine e il rispetto delle regole che ci sono? (E lo ricordiamo anche alla Lega, che fa la voce grossa su questi episodi, ma si dimentica che l'Aler, l'istituto regionale lombardo delle case popolari, è anche nelle loro mani).
A meno che non ci sia un clubino della "sicurezza ma non troppo", di quelli che "ma anche no, ma anche sì": vogliamo la sicurezza ma anche l'accoglienza. Scusate, ma chi lo impedisce? Non ci sono muri invalicabili. Manca solo la volontà politica e, visto che tra i manifestanti per l'accoglienza c'erano molti politici con responsabilità alte (anche istituzionali), non capisco dove stanno gli ostacoli per darsi da fare.
A meno che si pensi che qualcuno lo faccia meglio di altri, che l'accoglienza la possano fare solo alcuni rispetto ad altri, quel manicheismo che crea divisioni tra società civile e non, i buoni e i cattivi, far leva su questo è da archeologia culturale dove cade il valore distintivo. Perché in quell'en marche meneghino c'era chi chiedeva il ritiro dei provvedimenti del Ministro Minniti, tra i pochi che ci capisce e fa qualcosa - e non gli lasciano fare il di più che andrebbe fatto - nell'universo mondo caotico della gestione dell'immigrazione.
Il Sindaco di Milano è tra coloro che hanno appoggiato la marcia contro il modello dei blitz, voluti da Minniti (il quale, i queste ore, ha riconfermato la necessità di quegli interventi), davanti alla Stazione Centrale. Chiedo all'ex manager, a quello che ha gestito Expo, come vedeva quell'orrendo spettacolo sulla piazza d'ingresso a Milano, in quale altro paese europeo sarebbe tollerata una situazione del genere? A Berlino? A Parigi?
Con chi sta Sala? Perché non ha speso una parola di solidarietà da collega-amministratore quella Debora Serracchiani, già vice segretaria del Pd e presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, che ha detto una cosa sensata su immigrati e violenza ed è stata sottoposta ad un linciaggio mediatico senza pudore, elevandola a razzista della peggior risma?
Purtroppo l'immagine che si dà è quella di sempre, delle istituzioni che confliggono tra di loro invece di proseguire insieme e convinte verso la soluzione dei problemi. E questo è il primo finale della vicenda. C'è poi una seconda trama che riguarda per lo meno il sindaco di Milano, Sala. Infatti non è comprensibile questa sua smania di protagonismo misto a decisionismo lisciando il pelo a un sinistrismo che non gli appartiene. È vero che dentro la sua giunta c'è molto il sentiment del Sindaco precedente (e ne vedremo delle belle quando si dovrà scegliere il candidato alla presidenza della Regione Lombardia), Pisapia, ma la società milanese nella stragrande maggioranza si sente lontanissima anni luce da quella esperienza.
E allora non rimane che l'ultima ipotesi: Sala for president di un centrosinistra unito. Fantapolitica? Non tanto. Milano è la piattaforma di lancio con un Pisapia regista. Poi c'è tutto il resto, prima di tutto quel Renzi che ormai si è accorto con grande evidenza l'errore che ha fatto nel consegnare nelle mani di Sala la città di Milano. L'outsider ambrosiano dell'ex presidente del Consiglio che si è guardato bene di fiancheggiare Renzi nelle prove più dure di questi mesi, fino al silenzio sulla preferenza del candidato scelto e votato alle primarie Pd. Forse Sala si è sentito prima in dovere di rendere grazie a quella sinistra sinistra che al secondo turno l'ha votato sindaco per un misero soffio su Parisi. Quel Parisi che in quel soffio di scarto ha evidenziato che il riformismo a Milano si può declinare attraverso altre aggregazioni politiche e ispirazioni culturali.
Maurizio Guandalini – Huffington Post