Il debito
pubblico italiano si è stabilizzato, ha smesso di crescere e non potrà stare
fermo per molto tempo, scenderà rapidamente»: lo aveva assicurato, il 24 maggio
2016, il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan all’Ecofin a Bruxelles,
confermando come il governo prevedeva una discesa già quell’anno. Nel Def di
aprile il governo stimava che il rapporto debito/Pil sarebbe sceso dal 132,7%
del 2015 al 132,4% nel 2016, per poi calare al 130,9% nel 2017, al 128% nel
2018 e al 123,8% nel 2019.
AFFERMAZIONI
GIÀ SENTITE. Secondo le
stime di allora della Commissione Ue, il debito italiano avrebbe cominciato
invece a scendere solo nel 2017, un anno dopo il previsto, ma il ministro da un
lato ha ricordato che «rispetto a qualche mese fa l'inflazione in Italia si è
rivelata più bassa di quella attesa e quindi la crescita nominale è molto più
bassa, ed è la crescita nominale, non la reale, che determina la dinamica del
debito». Dall’altro ha aggiunto però: «Continuiamo a prevedere per il 2016
l'inizio della discesa del debito e questo dipende da una diversa valutazione
che noi facciamo in tema di privatizzazioni rispetto a quella delle istituzioni
internazionali». Va ricordato che anche il Fmi ha definito «difficile» il calo
del debito italiano già dal 2016. Simili affermazioni le aveva già anticipate
alla Camera, a fine gennaio 2016.
L'INPUT DI
RENZI. Il debito
pubblico italiano scenderà nei prossimi anni anche nel caso in cui il Pil
dovesse diminuire, aveva affermato il ministro dell'Economia durante il
question time alla Camera, citando alcune delle previsioni sui conti pubblici
italiani redatte a livello internazionale (Ue, Ocse, Fmi). «Il debito comincerà
a scendere a partire dall’anno prossimo», aveva detto ancora prima in
un’intervista a Bloomberg il 6 settembre 2015, dopo che l'allora premier
Matteo Renzi, nel suo intervento al forum Ambrosetti del 5 settembre 2015,
aveva ribadito la necessità di un calo dal 2016.
Stiamo
andando nella direzione giusta, forse staccheremo gli altri e questo sarebbe un
vantaggio per Europa nel suo complesso
Pier Carlo Padoan
«Stiamo
andando nella direzione giusta, forse staccheremo gli altri e questo sarebbe un
vantaggio per Europa nel suo complesso»: così sempre il ministro, in un’intervista
alla tivù Class Cnbc, tirando la volata a Renzi secondo il quale l’Italia punta
a conquistare la maglia rosa nella crescita. «Il piano Juncker è uno strumento
importante», aggiungeva. «Spero dia una grossa mano al Paese e all’Europa nel
suo complesso. Per sfruttarlo al meglio l’Italia deve imparare a fare progetti
e a usare strumenti pubblici». Stessi concetti espressi il 18 dicembre 2014, al
Congresso della Lega Coop. Peccato che la realtà sia invece diversa,
profondamente diversa.
SITUAZIONE DRAMMATICA.
Pubblichiamo
in calce una tabella riepilogativa del debito pubblico italiano, dalla quale
emergono dati drammatici. La crescita annua è sempre significativa, nonostante
il bassissimo livello degli interessi passivi che gravano sui titoli emessi dal
Tesoro. Negli ultimi anni si è un po’ ridotto il trend di crescita, e si è
passati da un aumento di 80 miliardi di euro circa all’anno a uno di circa 40.
Però nei primi tre mesi del 2017 l’aumento è stato di 42 miliardi, 14 al mese,
crescita storica, pur influenzata da effetti di stagionalità. Non possiamo
stare tranquilli, con il debito che abbiamo; le affermazioni-placebo che ci
vengono somministrate prima o poi perderanno gli effetti e la situazione
emergerà in tutta la sua drammaticità. Il debito pubblico italiano è un mostro
che nessuno saprà mai domare, al di là delle chiacchiere e dei proclami. Anzi,
è una situazione che tutti cavalcano, alla grande, finché dura.
STESSO
REFRAIN SULLE TASSE. Ora però
siamo ancora più preoccupati. Padoan sta dicendo che ridurrà anche le imposte
(17 maggio 2017). Speriamo proprio non accada come per il debito. Già in aprile
aveva affermato, nel corso di un’audizione al Senato sul Def, che il governo
intende evitare ogni aumento dell'Iva e procedere sulla strada del taglio alla
pressione fiscale con misure credibili. Un anno prima (6 giugno 2016) aveva
detto che la pressione fiscale «continuerà a scendere nei prossimi anni anche
se non facessimo interventi specifici». Scenderà al 40% «non so se entro la
legislatura» ma in ogni caso «in pochi anni», così a Porta a Porta.
Anche la crescita «si rafforzerà perché dobbiamo vedere ancora in pieno
l’impatto delle riforme strutturali, compresa la riforma costituzionale». Ma
c’è da crederci?
Giuseppe Rebecca – Lettera 43