venerdì 31 maggio 2013

QUESTA VOLTA PARLIAMO DI FARMACI

L'articolo che segue illustra molto bene la genesi del prezzo di un farmaco. Un dato innegabile, nonostante tutto, è che la stragrande maggioranza della ricerca scientifica sui farmaci, come ribadito più volte, viene effettuata dalle multinazionali del farmaco. La ricerca pubblica è, purtroppo, marginale. Questo non giustifica gli enormi profitti delle case farmaceutiche o le loro sfrontate strategie di marketing per mantenere alti i costi delle medicine. Ma ci fa riflettere sulla fine che fanno i soldi che generosamente versiamo nell'ambito delle campagne della "ricerca scientifica": più che a scoprire molecole nuove, sono utilizzati a dare lavoro ai ricercatori e all'apparato amministrativo. Può essere un obiettivo nobilissimo, non lo neghiamo, ma chi raccoglie i nostri denari queste cose le deve divulgare con la massima trasparenza.



L’INDIA E NOVARTIS
Qualche settimana fa, un colosso farmaceutico, la Novartis, ha perso in India un ricorso per la concessione del brevetto per il chemioterapico imatinib (Glivec) perché il farmaco, o meglio una sua variante cristallina, non è stato ritenuto innovativo rispetto al prodotto di origine del 1993. In quel paese un’azienda di farmaci generici può così produrlo a 175 dollari per mese di terapia, quindici volte meno rispetto ai 2600 della multinazionale svizzera.
Questo è solo l’ultimo di vari contenziosi legali, avvenuti soprattutto in India. Tra il 2012 e il 2013 altri esempi di battaglie legali perse dalle multinazionali con diverse motivazioni hanno riguardato il chemioterapico sorafenib (Nexavar della Bayer), il cui costo mensile per malato è sceso da 5.600 a 175 dollari, e l’interferone per il trattamento dell’epatite C (Pegasys – Roche). 
PERCHÉ I PREZZI SONO COSÌ ALTI?
L’industria farmaceutica è il comparto produttivo che spende di più in ricerca e sviluppo in rapporto ai propri ricavi. E proprio con la necessità di coprire gli investimenti in questo campo giustifica i prezzi così elevati dei farmaci. Tanto per dare un’idea, molte aziende del settore spendono, in termini relativi, più del triplo rispetto ai colossi automobilistici o dell’elettronica. La ricerca di base è realizzata prevalentemente da istituzioni accademiche,  mentre le aziende investono soprattutto nelle fasi di sviluppo, ovvero nella valutazione della sicurezza e dell’efficacia della molecola e dei dosaggi e forme farmaceutiche che sono infine approvate dalle autorità regolatorie.
Gli investimenti in ricerca e sviluppo sono tuttavia inferiori alle spese di marketing: i primi vanno in media dal 13 per cento (stima di uno studio indipendente) al 20 per cento dei ricavi (stima dell’industria), contro una stima del 25 per cento per quanto riguarda le spese di marketing. Anche considerando un progressivo aumento negli anni dei costi di ricerca e sviluppo, i ricavi delle aziende sono in proporzione aumentati molto di più: ad esempio, nel 2010 le multinazionali americane del farmaco hanno speso 34 miliardi di dollari in più in ricerca e sviluppo rispetto a quindici anni prima, ma i ricavi del 2010 rispetto al 1995 sono stati superiori di 200 miliardi di dollari (sei volte in più).
Un recentissimo editoriale sulla rivista Blood ha evidenziato come il costo annuo del Glivec per paziente negli Stati Uniti fosse stato calcolato nel 2001 in 30mila dollari, considerando il recupero dei costi d’impresa entro due anni e un ampio margine di profitto per l’azienda produttrice negli anni successivi; ma nel 2012, il costo appare più che triplicato, a 92mila dollari. Da notare che il costo del farmaco risulta progressivamente inferiore in paesi con Pil decrescente: in Italia è circa un terzo rispetto agli Stati Uniti e, nonostante ciò, appare comunque sproporzionato rispetto al recupero dei costi di impresa.
Tutto ciò mostra come la decisione sui prezzi dipenda soprattutto dalle potenzialità di profitto e dalla assenza di concorrenza per farmaci dello stesso tipo: famosa a questo proposito è un’affermazione fatta nel 2002 dal chief executive officer della Merck, che sottolineò come il prezzo non dipenda da quanto è costato lo sviluppo del farmaco, ma da quanto medici e pazienti (o per loro i sistemi sanitari) sono disposti a pagare.  Però il sistema di ricerca e sviluppo dei farmaci è di fatto misto: la ricerca è prevalentemente pubblica e lo sviluppo è prevalentemente realizzato dalle aziende, anche con il generoso e fondamentale contributo dei pazienti che partecipano agli studi clinici. Per questo una logica puramente commerciale per calcolare il prezzo dei farmaci è contestabile.
 QUALE IL RAPPORTO TRA COSTI E INNOVAZIONE?
C’è poi una seconda domanda da porsi a margine del caso India-Novartis, che riguarda il rapporto tra i costi e la reale innovatività dei farmaci, da cui dipende il loro valore sociale. Anche secondo le aziende, solo il 10-15 per cento dei nuovi farmaci costituiscono vere innovazioni o forniscono vantaggi clinici per i pazienti rispetto alle migliori alternative disponibili. Troppo spesso l’industria sembra focalizzare la sua attenzione sul massimo sfruttamento economico di quelli esistenti più che sulla ricerca di prodotti che apportino rilevanti benefici clinici. Questa strategia viene ad esempio perseguita attraverso modifiche non sostanziali alle molecole, che hanno lo scopo principale di estendere la durata dei brevetti (strategia definita “evergreeing”) e quindi mantenere alti i prezzi, senza dimostrare un miglioramento dell’efficacia terapeutica.
Il caso India-Novartis sembra rappresentare una lezione in tal senso. La legge indiana sui brevetti specifica che “(…) La semplice scoperta di una nuova forma di una sostanza nota che non risulta nel miglioramento dell’efficacia di quella sostanza … [non costituisce invenzione]” e quindi non è brevettabile. È qui evidente l’obiettivo di contrastare la strategia dell’evergreeing: l’imatinib è un farmaco di grande importanza, ma è stato brevettato venti anni fa. La Novartis ha tentato di brevettare in India una sua forma beta-cristallina, che migliorerebbe la biodisponibilità del 30 per cento rispetto alla precedente forma. La Corte suprema indiana ha contestato che ciò costituisca miglioramento dell’efficacia del farmaco (peraltro non dimostrato da indicatori clinici). Un farmaco molto innovativo ai tempi della sua scoperta, non lo è più venti anni dopo, e pertanto non è più brevettabile.
COSA PUÒ INSEGNARCI IL CASO INDIA-NOVARTIS?
Il caso India-Novartis sottolinea la necessità di promuovere una maggiore sostenibilità dei costi dei farmaci, in particolare in alcune aree terapeutiche, e di favorire lo sviluppo di nuovi prodotti sulla base di un profilo di efficacia e sicurezza sostanzialmente migliore rispetto alle molecole già disponibili. Lo evidenzia anche un recente rapporto Ocse, secondo il quale “(…) i decisori sono sempre più preoccupati dall’introduzione di nuovi farmaci che costano molto, ma hanno limitata o incerta efficacia clinica (…) e non sempre sono disposti a rimborsare farmaci con un basso rapporto tra costi ed efficacia e/o con benefici clinici incerti”.
Sarebbe opportuno avviare un confronto internazionale sia nell’ambito dell’Organizzazione mondiale di sanità, dei governi e delle agenzie regolatorie per una sostanziale ridefinizione delle attuali modalità, troppo unilaterali, di definizione dei prezzi, con un maggiore coinvolgimento dei terzi paganti; sia nell’ambito Trips (Agreement on Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights) per definire quali caratteristiche dovrebbe avere un farmaco per essere considerato innovativo e dunque brevettabile. In gioco ci sono la salute pubblica e la sostenibilità complessiva del sistema.
Giulio Formoso e Nicola Magrini per Lavoce.info

mercoledì 29 maggio 2013

GERMANIA: UN PASSATO CHE NON PASSA



La Germania, il paese di Nietsche, di Wagner e di Hitler, non abbandona il suo mito di onnipotenza e di supremazia. Dopo aver causato e perduto due guerre mondiali, continua a trattare le altre nazioni come delle colonie. Il commissario europeo per l’energia Oettinger, infastidito dallo stop alla procedura per eccesso di deficit per l'Italia, da parte di Bruxelles, pronuncia le dichiarazioni farneticanti che seguono. A questo signore sono graditi solo rigore ed austerità per dei pezzenti come noi italiani, spagnoli, portoghesi e greci. Ringraziamo di cuore l’uomo politico tedesco e lo invitiamo, per il futuro, di occuparsi  solo di energia o, in caso contrario, di presentare le proprie dimissioni, possibilmente irrevocabili.

''A me preoccupano Paesi che complessivamente sono quasi ingovernabili come Bulgaria, Romania e Italia''. Lo ha detto il commissario europeo per l'energia Guenther Oettinger in un'intervista rilasciata alla Bild online. Oettinger - di cui Bild riferisce dichiarazioni fatte ieri a Bruxelles in un'occasione pubblica - esprime forti preoccupazioni sulla situazione europea, definita un ''caso di risanamento''. ''Mi preoccupa che troppi ritengano che tutto vada bene. Bruxelles non ha ancora riconosciuto la gravita' della situazione''. ''Invece di pensare a combattere la crisi del debito - aggiunge il commissario all'energia - l'Europa celebra il suo buonismo e si comporta come una istituzione educativa per il resto del mondo''.
''Superficiali e isolate''. Cosi' il ministro per gli Affari europei, Enzo Moavero, ha commentato, su richiesta dei giornalisti, le affermazioni sull'ingovernabilita' dell'Italia attribuite al commissario Ue. ''In Italia non c'e' nessun problema di governabilita''' ha detto Moavero.
"I commissari sono uomini politici" e Oettinger "ha parlato da politico", i suoi "sono punti di vista personali, che ha titolo di avere", ha replicato la portavoce della Commissione europea, Pia Ahrenkilde.
''Non sentirete mai espressioni del genere sull'Italia dal governo tedesco'', ha detto il portavoce del governo tedesco Steffen Seibert commentando le dichiarazioni di Guenther Oettinger.
''Le dichiarazioni del Commissario europeo per l'energia Gunther Oettinger sono francamente assai gravi, visto anche il ruolo che egli svolge e testimoniano l'esistenza di un atteggiamento di stampo coloniale''. Lo afferma il presidente della Commissione Esteri, Fabrizio Cicchitto (Pdl).
''Dietro le dichiarazioni per nulla istituzionali del Commissario europeo per l'energia Guenther Oettinger si nasconde, neanche troppo velatamente, un certo pregiudizio anti-italiano'',  sostiene in una nota Deborah Bergamini, capogruppo PdL in Commissione esteri della Camera. ''Da un rappresentante delle istituzioni comunitarie, per quanto possa parlare 'a titolo personale' come e' stato poi precisato - prosegue Bergamini - e' lecito comunque aspettarsi giudizi rispettosi e, soprattutto, informati. Tanto piu' se questi giudizi vengono espressi nei confronti di un Paese fondatore dell'Unione europea e secondo contributore del fondo Salva-stati; un Paese - ricorda la parlamentare - che ha scelto la pur difficile strada di un governo di larghe intese proprio per fronteggiare l'emergenza economica e centrare gli obiettivi di stabilita' imposti dalla politica di austerita' stabilita in sede comunitaria''. (ANSA)

giovedì 23 maggio 2013

CHE COS'E' IL RAZZISMO



Hanno avuto grande eco in tutta Europa le esternazioni dell’On. Borghezio nei confronti del Ministro Kyenge, ci sono state levate di scudi da ogni parte e lo stesso esponente leghista si è successivamente scusato, ma la vicenda, a mio parere, merita forse di essere approfondita.
I media di tutta Europa, in sintesi, avevano titolato “Offese a Kyenge” e l’Ue chiedeva l’espulsione del parlamentare leghista mentre lo stesso si era autosospeso. Ho immediatamente pensato: “Borghezio ne avrà detta una delle sue”, poi però, ho letto i vari articoli e la vicenda ha rivestito un carattere diverso.
L’offesa sarebbe consistita nel fatto che l’esponente leghista ha dichiarata che la Ministra per l’integrazione ha “la faccia da casalinga”, ora, ma dev’essere proprio considerata un’offesa?
Togliamo subito ogni dubbio, Borghezio non voleva certo fare un complimento alla Ministra, ma perché “avere la faccia da casalinga” deve essere considerata un’offesa?
Si sta parlando di un rispettabilissimo lavoro, anzi, forse il più nobile, nessuna casalinga al mondo si sente umiliata dal fatto di appartenere a questa categoria. Certamente ci sono casalinghe che preferirebbero fare altro, avere una occupazione retribuita, ma come ci sono miliardi di donne (e uomini) che preferirebbero fare lavori diversi da quelli che svolgono.
Ed allora, mi sono chiesto: “Ma perché questa unanime levata di scudi?”
Perché una così forte indignazione nei confronti di questa esternazione?
Se Borghezio avesse detto che la Ministra Kyenge ha “la faccia da oculista”, sarebbe stata comunque un’offesa? O la frase sarebbe passata inosservata?
Se sì, perché? Se no, perché?
Ma poi mi sono fatto la domanda che tutti dovrebbero porsi, e cioè: se la Ministra Kyenge non fosse nera, ci sarebbe stata comunque questa reazione?
Che ne so, se Borghezio avesse detto “ha una faccia da casalinga” riferendosi alla Santanché, o alla Serracchiani, la frase avrebbe avuto tutta questa gigantesca esposizione mediatica?
Se ci sbarazziamo del becero perbenismo (ma non è il termine esatto), e ci imponiamo di essere profondamente sinceri con noi stessi, la risposta a questa domanda è: “NO”. Non avrebbe avuto neppure un rigo sui giornali e sarebbe passata del tutto inosservata.
Ed allora?
Ed allora questo è il punto fondamentale.
Cos’è il razzismo?
Il razzismo è il trattare in maniera diversa una persona solo per un differente colore della pelle.
E l’intera umanità avrà fatto un passo da gigante quando noi tutti vivremo, finalmente, in una società che “non conosce la parola razzismo”, non in una società “antirazzista”!!!
Anche questo è un concetto che vorrei sottolineare, l’antirazzismo è una risposta sbagliata perché si dà indirettamente “dignità” (naturalmente negativa) al razzismo, mentre la risposta corretta non è la contrapposizione, bensì la non considerazione.
L’”antirazzista”, in genere, è colui che vuole ergersi a paladino dei deboli, ma così facendo avvalora la tesi che egli vorrebbe proprio combattere, e cioè che esiste “un debole ed un forte”.
Nella realtà, invece, esistono solo persone, che hanno tutte pari dignità, senza distinzione alcuna.
Vivremo in una società migliore, dal punto di vista morale e culturale, quando le parole di Borghezio, non saranno mediaticamente commentate in maniera diversa se rivolte ad una persona bianca, oppure ad una nera.
Giancarlo Marcotti per Finanza In Chiaro

mercoledì 22 maggio 2013

CODICE DI AUTOREGOLAMENTAZIONE PER BLOGGER

Si sente sempre di più il bisogno di regolamentare un mondo che sempre di più assomiglia al Far West. Chiunque può scrivere qualsiasi cosa su chichessia. Può mentire, diffamare, ingiuriare. Senza essere, di fatto, perseguibile in quanto non titolare di una testata giornalistica, e per questo non soggetto alla disciplina dell'art. 8 della legge n. 47 del 1948. Si sente la necessità di istituire un albo dei blogger, o, quantomeno, di redigere un codice di autoregolamentazione del settore. Personalmente aderisco al codice utilizzato negli USA.



Come spesso accade, la discussione partita dall'America arriva anche in Italia trovando subito fautori ed oppositori: i blog devono dotarsi di un codice deontologico? A lanciare il sasso nello stagno dei blog è stato l'editore americano Tim O'Relly, che ancora una volta è riuscito a muovere le acque. Partendo dagli insulti e dalle minacce arrivati alla collega esperta di tecnologie e amica Kathy Sierra, O'Reilly ha avanzato la proposta di un codice di autoregolamentazione per i blogger.
Sette regole per i blog
Nel suo blog Radar, O'Relly ha scritto un post su quelle che ritiene le regole indispensabili di autodisciplina.
Riassumendo un po' l'esposizione di O'Reilly, molto articolata (e già ripresa anche da altri blog italiani come Blogosfere), ecco le sette regole rivolte direttamente ai blogger:

1)


Prenditi la responsabilità non solo di ciò che scrivi in prima persona, ma anche dei commenti che consenti di lasciare. E non trascurare il tono dei tuoi messaggi, che è importante tanto quanto il contenuto.
2)


Manifesta chiaramente la policy di condotta del sito rispetto ai commenti, in particolare verso quelli fuori tono. Gli utenti sapranno cosa aspettarsi e probabilmente vi si atterranno.
3)


Considera la possibilità di eliminare i commenti anonimi. Se il nickname è di relativa importanza, la veridicità dell'indirizzo di posta elettronica costituisce un elemento di responsabilità e possibile controllo, lasciando comunque agli utenti la possibilità di mantenere celata l'identità visibile.
4)


Ignora i trolls (i guastatori che intervengono nelle discussioni al solo scopo di disturbare la conversazione): meglio non mischiarsi con le porcherie. Ignorandoli si ottiene il doppio effetto di non dare loro visibilità e di non innescare pericolosi strascichi agli insulti.
5)


Porta la conversazione offline, e parla direttamente con gli interessati o trova degli intermediari in grado di farlo, soprattutto nel caso di dissidi. La grande conversazione online è solo un modo di parlare, e non permette di guardarsi negli occhi. Parlarsi direttamente è il suo naturale compendio e può servire ad appianare i dissidi. I blog sono il mezzo, non il fine.
6)


Se un tuo conoscente si comporta male, non restare in silenzio, ma fallo notare con educazione ma con fermezza. Vale sia sul proprio blog sia su quello di altri.
7)


Non dire nulla online che non diresti di persona. Non usare il blog come braccio armato per le cose che non diresti a quattr'occhi o in pubblico. Pensa di trovarti di fronte a tua madre, o un'altra persona che rispetti o a qualcuno incontrato per strada. Oppure, semplicemente, pensa di avere di fronte la persona a cui sono indirizzate quelle parole.

Le reazioni in Italia
Come prevedibile, la blogosfera non ha atteso molto a recepire quanto proposto da O'Reilly, anche in Italia. Si va su fronti contrapposti. C'è chi ne dubita ritenendo che i blog abbiano al proprio interno anticorpi sufficienti a combattere le cattive pratiche. C'è chi rilancia, con una sorta di regole personali da sottoporre ai propri utenti. Per alcuni ancora, che una parte della blogosfera abbia comportamenti inadeguati, è intrinseco alla natura stessa dello strumento. Le opinioni in merito sono le più diverse, e per averne un quadro completo non si può far altro che seguire la discussione in divenire da post a post, da blog a blog. Qualcuno cerca di organizzare un dibattito, ma alla fine il senso compiuto delle conversazioni dei blog non riescono a essere chiuse in un recinto.






I dubbi sul codice
Che i blog abbiano in sé alcuni strumenti di contenimento dei fenomeni di disturbo o delle derive diffamatorie delle conversazioni è sicuramente vero. La citazione delle fonti e l'autorità che ne deriva, la correttezza e il buon senso dei blogger più in vista nel panorama della blogosfera italiana rappresentano sicuramente un circolo virtuoso a cui inspirarsi. E anche con un codice di autoregolamentazione rimarrebbero aperte almeno due questioni. I blog sono siti Web: perché il codice dovrebbe valere solo per loro? L'autoregolamentazione avverrebbe su base volontaria, evidentemente. Come garantirsi da chi non vi aderirebbe?
I dubbi sull'assoluta libertà
Se le osservazioni precedenti sul circuito virtuoso dei blog sono vere, tuttavia il presupposto che le anima potrebbe essere sbagliato. Infatti la blogosfera tende a essere spesso interpretata pensando ai blog più visitati e autorevoli. La punta di un iceberg: perché il movimento, allargando la base dei blogger si apre anche a chi ha poco rispetto delle autoregolamentazioni seguite dai più seri blogger. E questo sarà sempre più vero in futuro. Si può pensare di continuare a ignorare la massa di blogger, oppure si può tentare un percorso, lungo e non semplice, di divulgazione della cultura dei blog. In un caso o nell'altro, l'esito arriverà dagli utenti stessi. 
www.shinynews.it

domenica 19 maggio 2013

TEMPO LUNGO



Passa il tempo, passa e non me ne rendo conto. Quanti mesi sono trascorsi? Due? Cinque? Sei? Non lo so, non saprei dire. Te ne sei andata, un giorno di Diano Marina, te ne sei andata per sempre. Non fai altro che ricordarmelo. Non perdi occasione di vendicarti, di gettarmi sul viso la tua nuova condizione e le meraviglie che la contraddistinguono. Io non sono stato che una lunga interruzione tra un uomo mitizzato che mi ha preceduto ed un altro idealizzato che mi ha seguito. Non ti preoccupavi neppure quando tua figlia rincasava tardi, un tempo, quando era ancora una ragazza, ora stai in pensiero se colui arriva a casa qualche minuto dopo. Ma io non bado a queste sciocchezze, sono modalità infantili per ricordarmi quello che secondo te siamo stati. Quello che siamo stati, ecco. Per tanti, tanti anni. Quando mi sveglio, la mattina presto, il primo pensiero sei sempre tu, nonostante il tempo trascorso. “Ecco” mi dico, “lei non c’è, non c’è più. Non c’è più la mia bambina, non mi chiama per sollevarla dal letto, appena risvegliata, per farsi coprire il volto di baci”. Questo mi vado ripetendo ogni mattina, poi la vita passa ad altro, faccio la colazione, mi reco sul posto di lavoro, sorrido e scherzo pure, ma è un sorriso forzato, uno scherzo amaro. Con te un pezzo della mia vita e quindi di me stesso se ne è andato, sento solo un senso di vuoto e di carenza, come se mi mancasse una parte del mio corpo, che prima c’era, poi una mutilazione l’ha portata chissà dove. Cerco di impegnare le mie giornate, cerco di fare in modo di non restare per troppo tempo inoperoso, ma i fine settimana sono un dramma. Qualcuno mi vuole bene, anche se mi conosce poco, sono grato, sinceramente, a questa persona, che è disponibile, affabile, sensibile e intelligente. Ma ci sono dei momenti, ancora troppo lunghi, in cui devo restare da solo, in cui non riesco a dissimulare quello che si agita dentro di me, e non riesco a stare con chicchessia. Ora che ti vedo felice, finalmente, con il tuo superuomo, dotato di super poteri come un eroe della Marvel, capace di tutto e buono a niente, ma idealizzato nella tua mente, tanto che è già entrato a far parte della tua epica personale come un eroe omerico, dovrei anch’io essere felice per te, se realmente ti voglio bene. Ci provo, in effetti, ma non ci riesco proprio. Anche perché il processo di mitizzazione di questo personaggio, processo che non ha, ovviamente, nulla di oggettivo, ha conseguito come unico risultato quello di rendermelo inviso. Siamo esseri umani, con i propri difetti e le proprie lacune, nessuno, purtroppo è esente da questa realtà. Solo gli occhi resi appannati dall’amore fanno apparire quello che nella realtà non esiste. Questo avviene probabilmente nell’innamoramento. Buon per te, allora. Ma io seguito a vivere come sospeso in un tempo lungo, dove la misurazione stessa del tempo è mutata a tal punto da perdere ogni riferimento con la misurazione degli orologi. Vivo solo tra un intervallo di tempo e l’altro, tra un’azione e l’altra, ma in realtà, anche senza avvedermene, conto le ore e i minuti, sperando che passino in fretta, e che mi conducano nell’unica zona della giornata che mi dona un po’ di tranquillità, un poco di serenità: la sera. Aspetto la sera come una benedizione, come una carezza lieve che sfiora il mio viso ed i miei occhi. Non devo più simulare quello che non mi sento affatto, non devo più ricacciare indietro le lacrime che rimangono serrate in gola, prigioniere in un groviglio che mi impedisce di deglutire. Mollo gli ormeggi e navigo con la fantasia, di me , di te, di terre e tempi lontani, di orizzonti perduti, di distese immense bionde di granoturco, di prati smisurati di fiori variopinti, di luoghi visitati a volte per davvero, a volte solo con la fantasia, di cieli rutilanti di splendidi tramonti che si gettano in un mare placido come la mia anima in quei momenti. Allora e solo allora, in un istante tutto per me, sento di esistere qui, in questo mondo, concretamente , in carne ed ossa, riprendo contatto con la stucchevole realtà di ogni giorno, mi guardo allo specchio e vedo a malapena quello che gli altri non possono più vedere. Poi mi addormento con la faccia sul cuscino, come a nascondere a me stesso l’io di quel momento, pronto ad entrare nella dimensione dilatata del sogno, dove tutto è possibile, e dove rivivo giornate intere ancora con te, giornate vere o mai esistite, ma piene di sole, di calore, di  baci e di carezze, di pianti non più soffocati in gola, ma che si sciolgono finalmente in un torrente di lacrime inarrestabile. Lentamente mi ritiro dalla vita, da questa vita, che non è più in grado di darmi nulla se non rimpianti e nostalgie. Lentamente, tra qualche mese, se Dio vorrà e la salute me lo consentirà, entrerò in una esistenza nuova, lontano dalle scartoffie che hanno mortificato tanta parte della mia esistenza, a contatto con persone vere, magari sofferenti, ma vere, autentiche, là dove c’è bisogno di qualcuno che si occupi di loro, che possa in qualche modo dare un senso ad una vita che non avrebbe altrimenti alcun significato, non meriterebbe neppure di esere vissuta. Da tanto tempo ci penso. Ora che non ho più te, è venuto il momento di andarmene via, piano piano, non dal mondo che fisicamente ancora mi contiene, ma dalla ripugnante realtà ripetitiva di giorni sempre più inautentici e da persone che non hanno capito nulla della mia anima.  Per l’ultima parte della mia vita, quella stessa parte che avrei tanto voluto vivere con te, mi concedo agli altri, con pieno disinteresse, perché questo è l’unico comandamento che Cristo ha istituito nelle Sacre Scritture. Non ve ne sono altri. A te che te ne vai, auguro buona fortuna, e di conservare sempre quel po’ di me che ti è rimasto, se non altro per tutto il tempo che abbiamo condiviso, negli occhi, per sempre. 

e se adesso suono le canzoni
quelle stesse che tu amavi tanto
lei si siede accanto a me sorride e pensa
che le abbia dedicate a lei...
e non sa di quando ti dicevo
"mangia un po' di più che sei tutt'ossa"
non sa delle nostre fantasie del primo giorno
e di come te ne andasti via...
e chissà se prima o poi
se tu avrai compreso mai
se ti sei voltata indietro...
e chissà se prima o poi
se ogni tanto penserai
che io solo... resto qui
e canterò solo camminerò solo
 da solo continuerò.
Claudio Baglioni – “Solo”



A F.S., cui non importa assolutamente nulla di quello che penso e provo. Ma va bene così. Di conseguenza, la protagonista del presente post è da considerarsi puramente immaginaria.