lunedì 30 aprile 2012

LA LIBERTA' DEL CRISTIANO


Ci si domanda sempre più spesso, almeno per chi è credente, se e fino a che punto è plausibile assoggettarsi alla moltitudine di comandamenti e precetti predicati dalla Chiesa di Roma e metabolizzati dai tempi del catechismo. Ora, da una lettura accurata dei Vangeli, sappiamo che i comandamenti prescritti da Cristo sono pochi e precisi. Ama il prossimo tuo come te stesso, anzitutto. E' questa l'indicazione che, probabilmente, contiene tutte le altre. Il ripudio dell'ipocrisia, dell'ostentazione del bene per fare bella mostra di sé, l'assenza di avarizia, cupidigia, la protezione dovuta ai più piccoli, per preservarli, in un momento delicato del loro sviluppo, dalla violenza delle cose adulte, l'abbandono alla Provvidenza, inteso come slancio fiducioso verso un avvenire che, pur celando le sue inquietudini, sarà prodigo di bontà e di buone novelle. L'esempio, la condotta, le parole del Cristo non fanno che rivelare, in ogni passo dei Vangeli, la presenza di un tenero e misericordioso Padre Celeste, che, pur nelle avversità e nella sofferenza della vita terrena, ama dolcemente le sue creature, e prepara per loro un radioso avvenire nel mondo che verrà. L'osservanza puntuale e farisaica dei precetti predisposti nel corso dei secoli dalla chiesa Cattolica, viene reputata dal figlio di Dio come “formalismo religioso”, non utile alla causa del buon cristiano. Si tratta del famoso “legalismo spirituale” professato dal Sinedrio, il tribunale ebraico, che avrà, nel cattolicesimo, la sua trista e criminale continuazione nel tribunale della Inquisizione. Questo vuol dire fare di una fede viva un insieme di norme morte. “Il giusto per fede vivrà”, la fede nel Padre, nella propria salvezza e nella propria liberazione dalla gabbia del proprio corpo, della propria anima, il ritorno alla “casa del Padre”, inteso qui letteralmente, come l'assunzione dello spirito dell'uomo nel principio della sua vita e della sua essenza, questo deve essere perseguito dal cristiano. Non ci sono comandamenti particolari, se non quello di amare il prossimo, facendo il possibile per emanciparci dal tratto fondamentale della nostra natura: l'egoismo. Sarà poi la fede a guidare le nostre azioni, sarà il Cristo che abbiamo assimilato nella nostra anima a guidarci nel nostro operare. Il cristiano è libero nella fede, è libero perchè ha Dio dentro di sé, perchè nessuna azione è impura per un cuore puro. Lasciamo ai cattolici la frequentazioni delle loro Messe, fatte di formule vuote cui risponde meccanicamente il fedele laico, lasciamogli i precetti come il digiuno, le elemosine, la confessione dei propri peccati ad un uomo come noi, propedeutica all'Eucarestia, la raccomandazione ai santi del paradiso, le preghiere per le anime del Purgatorio, le indulgenze parziali o plenarie, il culto della Madonna e tutto il seguito di atti esteriori non coincidenti con il giusto sentire ed operare. Il cristiano non è vincolato a tutti questi atti: è una concezione veterotestamentaria, farisaica, che si nutre di idolatria e di superstizione ellennistica quella che spinge i cattolici al compimento manierato e ripetitivo di questi gesti. Il cristiano è libero, libero veramente, si nutre della propria fede, non ha bisogno d'altro. Affrontiamo con slancio l'esistenza e le prove che ci riserva: il Padre nostro che è nei cieli saprà osservarci con indulgenza e sarà pronto ad accoglierci come il figliuol prodigo. Non c'è nulla di più lontano dallo spirito cristiano che il capitalismo: un recipiente senza contenuto utile solo a riempire i nostri ventri, ad arricchire di cose materiali le nostre esistenze. Ora sappiamo dove ci ha condotto la fede cieca e assoluta nel primato del profitto, del trionfo dell'egoismo. Pochi uomini al mondo posseggono ricchezze smisurate giocando con la finanza quasi fosse un giocattolo nelle loro mani, tengono in pugno le sorti di una moltitudine di propri simili. Il capitalismo è l'Anticristo, e la finanza il suo braccio armato. Questo lo abbiamo da tempo compreso, anche se con le nostre sole forze non possiamo modificare un ordine planetario. Ma noi, nella nostra vita, possiamo e dobbiamo abbandonarci a quello che ci detta la nostra coscienza, il giudice più severo di qualsiasi confessore, cerchiamo di guardare gioiosamente all'avvenire, non abbandoniamoci alle malinconie o alla disperazione che tutto un giorno, magari molto presto, avrà fine. Cerchiamo di sopportare il dolore e le sofferenze che spesso la vita ci riserva, in previsione non di un compenso, che non meritiamo, ma della vera liberazione finale, quella dalla materia e dalla morte. Tutto quello che abbiamo accumulato i una vita, in termini di affetti, amori, sentimenti, emozioni idee e percezioni non se ne andranno in polvere come i nostri poveri corpi mortali, continueranno e ci sopravviveranno nella dimensione celeste che il Padre ci ha già predisposto. Sentiamoci liberi, allora, nutriamo questo sentimento di libertà della nostra fede, che saprà ben guidarci non ai precetti elaborati da altri esseri umani come noi, ma all'unico comandamento: avere cura, attenzione e misericordia per tutti i nostri simili. Questo è il cristianesimo in una parola, questo è quanto ci viene richiesto dal Padre celeste. In questo consiste la "Buona Novella" di cui Cristo è al contempo oggetto e latore: la buona novella, la novità dirompente di cui è portatore non è una semplice "riforma" della legge farisaica, è la "notizia" che il Figlio di Dio è anche figlio dell'uomo, che si fa mediatore unico tra noi e l'onnipotente, che partecipa della nostra povera natura, fino al sacrificio estremo della croce. Ma il senso vero della novella è che in una dimensione ultraterrena, sovrannaturale il Padre nostro e di Cristo ci ama e sostanzia le nostre speranze, è il nostro inizio e il nostro fine, ci aspetta presso di lui al termine del nostro percorso terreno. La buona novella è che Cristo ci ha liberati, dalla legge, dai precetti degli uomini, dalla morte. La libertà del cristiano, per il segmento terreno della sua esistenza, è la vera rivoluzione che sovverte il rapporto tenuto sino a quel momento tra uomo e divinità, in tutte le religioni. La fede non viene più intesa come mera sottomissione, contrizione, espiazione. La rivoluzione della buona novella di Cristo è anche e soprattutto la nostra liberazione interiore, il nostro libero espanderci nella vita e nel mondo, procedendo diritti verso la nostra meta, la vita eterna, la comunione con il Padre.

giovedì 26 aprile 2012

CATASTO: ECCO LE NOVITA' DELLA RIFORMA


La revisione del Catasto, stante a quanto ritenuto opportuno dal governo Monti, si è resa necessaria al fine di allineare gli attuali valori catastali degli immobili ai reali valori di mercato.

 FINO AD OGGI si è tenuto conto delle varie caratteristiche che fanno parte di un immobile inquadrandolo in una determinata classe catastale, che a sua volta corrispondeva ad una determinata tariffa. Quindi per determinare il valore dell’immobile si moltiplicava tale tariffa per il numero di vani, gli ambienti abitabili da cui l’immobile è costituito.

MA OLTRE AL NON aggiornamento delle tariffe di base, il limite è determinato dal fatto che il numero di vani non è un indicatore attendibile per confrontare tra loro i valori di diversi immobili.

D’ORA IN POI saranno individuate all’interno del territorio comunale, delle microzone, cioè delle piccole parti di territorio che hanno tra loro caratteristiche omogenee. Per ogni microzona, e per ogni tipologia immobiliare, che siano abitazioni, negozi, ecc., sarà individuato il valore medio di mercato.

QUESTO VALORE non si applicherà allo stesso modo a tutti gli immobili, in quanto verranno utilizzati anche dei coefficienti correttivi, relativi all’ ubicazione, all’epoca di costruzione, alla tipologia del fabbricato, alla densità abitativa,alla destinazione d’uso, al grado di finitura.

SI OTTERRÀ COSÌ un valore il più vicino possibile a quello reale di mercato. I valori di mercato che verranno presi come riferimento saranno quelli definiti dall’Osservatorio del Mercato Immobiliare dell’Agenzia del Territorio. Per stabilire la grandezza degli immobili l’indicatore di riferimento non sarà più il vano, ma il metro quadro.

DOPO AVER DEFINITO il valore locativo annuo al metro quadro, si moltiplicherà per la superficie dell’immobile, dopo aver sottratto le spese, quali manutenzione, adeguamenti, ecc., così da arrivare a stabilire un reddito di locazione che corrisponderà alla vecchia rendita catastale.

 NATURALMENTE questo porterà a valori più alti, rispetto agli attuali, comportando quindi imposte più alte. Per l’attuazione di tale nuovo sistema serviranno almeno cinque anni.

CON LA RIFORMA si vuole ridefinire i fabbricati in base non solo a valori ma anche a criteri più aggiornati: localizzazione, qualità dell’immobile e superficie in metri quadri”. La riforma del catasto prevede che il valore dei fabbricati sarà determinato dai metri quadri, dalla posizione e dalla qualità dell’immobile, con meccanismi di adeguamento periodico dei valori e delle rendite delle case.

IL GOVERNO con la riforma, si pone l’obiettivo di ridefinire i fabbricati non solo in base al valore ma anche in base a criteri più aggiornati, quali la localizzazione, la qualità dell’immobile e la superficie in metri quadri.

PER GLI IMMOBILI urbani si terrà conto dei rispettivi valori medi ordinari espressi dal mercato in un periodo di tempo triennale antecedente alla nuova determinazione. È prevista la definizione degli ambiti territoriali del mercato immobiliare, la rideterminazione delle destinazioni d’uso catastali ordinarie e speciali, la determinazione del valore patrimoniale medio ordinario. Per tutti gli immobili la rendita media ordinaria verrà valutata mediante l’analisi  statistica sui valori di mercato.

 Carlo Vallotto per professionefinanza.com



mercoledì 25 aprile 2012

PRIVATIZZARE? NO, NAZIONALIZZARE


In pochi ne sono a conoscenza, ma Cristina Fernandez de Kirchner, attuale primo ministro argentino (in vero il titolo è Presidente della Nazione) è con grande presunzione uno tra i primi cinque migliori governatori al mondo. L'Argentina sotto la sua guida, emanazione e continuazione di quella del defunto marito Nestor Kirchner, sta sorprendendo il mondo, in tutti i sensi. Il programma di governo, di impronta socialista se non nazionalista, sta consentendo una impensabile recupero e trasformazione per l'economia del paese dei Tango Bond che fino a dieci anni fa veniva denigrato ed odiato da quasi tutto il mondo per il suo salutare default finanziario (salutare per la sua popolazione). Sotto la guida di Cristina, l'Argentina ha in meno di cinque anni dimezzato il tasso di povertà (su base demografica) e raddoppiato al tempo stesso il tasso di istruzione, aumentando la percentuale del PIL (dal 3% al 6%) investito in miglioramenti infrastrutturali per l'educazione scolastica proponendo ad esempio l'accesso al web a tutti.

La Fernandez è un premier da invidiare: il suo operato di stampo peronista è volto a far crescere il paese ed a proteggerlo al tempo stesso. Con il neocostituito Ministero della Produzione e la detassazione dei capitali provenienti dall'estero, Cristina dimostra di avere le idee molto chiare: la nuova politica industriale argentina deve essere volta a creare occupazione incentivando le grandi multinazionali ad insediarsi per creare nuovi posti di lavoro attraverso benefits fiscali allettanti (noi italiani facciamo il contrario). La politica nazionalista non trova miglior paese al mondo in cui manifestarsi ed esprimersi arrivando persino ai piani di rimpatrio dei ricercatori argentini trasferitisi all'estero: sostanzialmente si richiamano in patria gli argentini che se ne sono andati perchè non remunerati o gratificati in patria (anche qui noi italiani potremmo fare scuola). L'ultima provocazione (da ammirare e copiare) è il piano di nazionalizzazione (per non dire esproprio) della partecipazione detenuta dal gigante petrolifero spagnolo Repsol sulla YPF (Yacimientos Petrolíferos Fiscales), l'azienda petrolifera dello stato argentino.

Quest'ultima, prima privatizzata e dopo acquistata interamente nel 1999 dalla Repsol appunto. In buona sostanza la Kirchner vuole riprendersi con un atto di sovranità popolare una risorsa strategica per la nazione: il petrolio argentino. Vai Cristina facci sognare. Magari anche in Italia ci fossero leader e rappresentanti degli interessi della nazione di questa portata. Sulla scia dell'esempio argentino infatti il nuovo e futuro leader italiano (non Mario Monti che ormai si è trasformato di fatto da tecnico a politico) dovrebbe replicare questo operato, espropriando per motivazioni di interesse nazionale le partecipazioni che detengono le varie fondazioni nelle due grandi banche italiane (Unicredito e IntesaSanPaolo). Nello specifico, il nuovo premier italiano dovrebbe nazionalizzare le quote detenute da Fondazione Cariverona e Fondazione Caritorino in Unicredit Banca rispettivamente del 3,5 % ciascuna, trasformando lo Stato Italiano nel primo azionista assoluto (la Libia sarebbe al 7,5% mettendo insieme Libia Investment Authority e la Banca Centrale Libica).

Uguale operazione si dovrebbe implementare con IntesaSanPaolo nazionalizzando le quote detenute dalle Fondazioni San Paolo (10%), Cariparo (5%), Cariplo (4,7%) e Caribo (2,7%) arrivando a controllare quasi il 25% della banca. A quel punto spingere a una fusione tra i due istituti orchestrata dallo Stato per costituire la più grande banca italiana privata (ma soggetta a controllo e governance pubblico) e la terza in Europa per patrimonio netto tangibile dopo Deutsche Bank e Credit Agricole (stando almeno ai dati di Giugno 2011). La banca così costituita potrebbe migliorare notevolmente la propria redditività complessiva riducendo corposamente i costi operativi, rafforzando il suo patrimonio attraverso dismissioni di immobili (pensate a quante filiali verrebbero smantellate a parità di assets e impieghi complessivi postfusione). A quel punto avendo una banca a controllo statale rafforzata nel patrimonio e più competitiva (che detiene oltre il 60% del mercato dei servizi bancari) si potrebbero intraprendere tutte le nuove riforme che necessita oggi il mercato del credito rivedendo le modalità di supporto ed affiancamento alla piccola e media impresa, certi che la nuova banca diverrebbe uno straordinario strumento di politica economica non convenzionale sotto l'egida dello Stato nell'interesse della nazione.
Eugenio Benetazzo – eugeniobenetazzo.com

domenica 22 aprile 2012

GRAZIE PROF. MONTI, ORA PUO' ANDARE


IL VERO PROBLEMA dell’Italia non è lo spread a 400 punti,ma la crescita zero e la riduzione del Pil, che nel 2012 a causa della manovra recessiva del governo Monti sarà destinato a diminuire ancora. Troppe tasse, pochi aiuti concreti alle imprese, riforme solo abbozzate ed ecco, come del resto era prevedibile, che la troppa austerità non ha fatto altro che peggiorare la recessione già in atto, portando meno entrate allo stato e maggiori spese pubbliche.

LE ULTIME STIME del governo parlano di un calo del Prodotto interno lordo nel 2012 tra l’1,3 e l’1,5%, molto più ampio dello 0,4% previsto qualche mese addietro. Ma sarebbe già qualcosa di positivo, dal momento che le stime del Fondo Monetario Internazionale prevedono un crollo pari al 2,2%.

MA IN OGNI CASO, con un Pil comunque contratto, qualunque sia l'entità del segno meno, sarà sempre più difficile, se non impossibile centrare il pareggio di bilancio nel 2013.

I 100 MILIARDI, di cui i due terzi arrivati dalle tasse, racimolati con le manovre negli ultimi 18 mesi  non sono bastati. Dal punto di vista delle entrate Monti può stare tranquillo, tanto, tra Imu e Iva, i soldi arriveranno. Il problema sarà semmai dove destinarli, e di sicuro  non andranno alle aziende in quanto serviranno a soppiantare i disastri fatti dalla recessione.

RECESSIONE APPOGGIATA dalle manovre tasse,tasse, e ancora tasse volute dal professor Monti. E, “se vale la regola secondo cui ad ogni punto percentuale in meno del Pil il disavanzo pubblico cresce di mezzo punto, abbiamo già ingoiato, rispetto alle previsioni precedenti, tutti i risparmi dello spread”.

SE AVESSERO ragione le previsioni del Fmi, servirebbero 15 miliardi di euro, e se, come continua a ripetere Monti  non sarà necessaria altra manovra, non si può negare che non esisterà più il tesoretto derivato da spending review e vendita di parte del patrimonio pubblico.
(professionefinanza.com)

Ora è arrivato il momento di dare a Monti quello che è di Monti. Gli siamo tutti grati per aver preso il posto del satiro dei burlesque (comunque si vogliano definire gli spettacolini da Fellini-Satyricon), ma la sua parlata al rallentatore, i suoi loden e il suo essere un buon cristiano hanno avuto un buon effetto sui mercati per tre-quattro mesi. Adesso, non solo l’effetto Monti è finito, ma rischiamo di finire nuovamente dietro la Spagna. Torni pure tra i suoi studenti, l’amatissimo Prof. Monti, di lui e della sua strana compagnia non c’è più bisogno. Il governo dei banchieri e dei "professori" ha esaurito il suo compito. Dopo una fase iniziale, la più semplice, quella della esecuzione punto per punto della letterina arrivata dalla UE e dalla BCE (imposizioni fiscali a go go , patrimoniale sugli immobili, la più odiosa, e nessuna patrimoniale sulle rendite finanziarie), l’azione di questo esecutivo, per così dire tecnico, si è completamente arenata. Le liberalizzazioni sono state appena abbozzate (ma un paese serio l’avrebbe fatta anche sui tassisti) ma con pochissima sostanza, la riforma del mondo del lavoro sta diventando un pateracchio che non contenta nessuno, tanto meno gli investitori esteri, che si guarderanno bene, d’ora in poi, ad aprire anche una pizzeria nel nostro paese. Se avesse un minimo di buon gusto, invece di continuare a girare per il mondo, il nostro caro Monti rassegnerebbe le dimissioni e se ne tornerebbe alla Bocconi, con un bilancio fallimentare sulle spalle.
A cosa serve un governo tecnico? A fare quello che una classe politica inetta e corrotta non è capace di fare. Un governo tecnico non ha bisogno di perdere mesi e mesi in consultazioni dei partiti e delle parti sociali, prosegue per la sua strada con un programma ben definito, senza scostamenti, neppure di una virgola. Si legifera per decreto, ponendo ogni volta, per un anno, la fiducia, prendere o lasciare. Se i partiti ci stanno, bene, altrimenti si prenderanno la responsabilità di una consultazione elettorale anticipata. Se sulla riforma del mercato del lavoro ascoltiamo il parere anche del bar dello sport non ne usciamo, più: ognuno dice la sua e vuole imporre il suo punti di vista, e il prodotto finale è un pasticcio senza capo né coda, che non riforma proprio niente. Piaccia o meno, questo deve fare un governo “tecnico”. Se detto governo si fa politicizzare è finita, torniamo ai giochetti delle clientele dei partiti e il perseguimento dei loro sporchi interessi. Monti ha fatto la prima parte, quella che poteva fare come lui e meglio di lui il Ragioniere generale dello Stato, ma quando si tratta di creare concorrenza, di liberalizzare i mercati, di rendere flessibile in entrata ed uscita il mercato del lavoro, allora diventa un politico come gli altri, deve sentire tutte le campane, anche la FIOM di un surreale Landini può dire la sua ed essere ascoltata.
Caro Monti, se questa era la tua idea di governo tecnico, lasciaci pure i nostri maledetti politici, ti sei incomodato per nulla, solo per fare pagare le tasse a chi già le paga, e per impoverire fino a farla scomparire la classe media. Non sei stato chiamato per questo, ma per cercare di far ripartire il paese. Ma questo, con lo spread a 400 punti, non lo potrebbe fare neppure Mandrake. Andremo ad elezioni politiche probabilmente ad ottobre, inutile proseguire l’ennesima lenta agonia di questo paese, che languirebbe tra un veto incrociato e l’altro per altri dieci mesi, i partiti sono in caduta libera, essendo considerati poco meno che associazioni per delinquere, se dovesse ottenere un buon risultato, come sembra, il movimento di Grillo, potremmo esaminare seriamente una uscita dall’Euro, terminando di strangolarci con le nostre mani. Monti è un uomo della Goldman Sachs, un banchiere, non ha la statura dello statista perché rimane, bene o male, un banchiere. Ci vorrebbe, non Grillo ovviamente, uno statista che avesse delle ottime competenze in economia e finanza e non facesse gli interessi di un solo gruppo di potere. Sarà difficile, i nuovi partiti che sorgeranno (il partito della Nazione di Casini e il nuovo soggetto politico di Alfano) avranno nomi diversi, ma le facce sono sempre le stesse. Alfano, Casini, Cicchitto, La Russa, Gasparri, Bersani, Letta, Calderoli, sono sempre lì, con il vestito nuovo ma le stesse idee inconcludenti di prima. Peccato, poteva andare meglio, abbiamo tutti, per qualche mese, sperato che Monti non fosse il bluff che si è rivelato. Ma è un italiano anche lui, non dimentichiamolo, produciamo la classe politica che ci meritiamo, che ci rappresenta. Nel nostro piccolo, più che proporre l’idea di tornare alla lira facendo saltare il banco dell’euro, non possiamo fare. Speriamo che qualcuno la raccolga, e ne faccia il programma di un partito vincente, dal prossimo autunno in poi.





venerdì 20 aprile 2012

USCIRE DALL'EURO NON SI PUO'. SI DEVE


Ormai tutti, anche i profani in economia e finanza, hanno la percezione di un girare a vuoto, fatto di aspri sacrifici ed inutile austerità se non accompagnata dallo sviluppo. Uno sviluppo ed una crescita che non arriveranno mai se continueremo a fare quello che ci impongono una Unione Europea ed una BCE nelle mani dei tedeschi. Non dimentichiamo mai la macelleria greca. Un paese devastato sul quale la Germania ha responsabilità enormi. Siamo dentro una lenta, lunghissima agonia che ci porterebbe comunque alla depressione economica e quindi al default. Non abbiamo molte alternative, ricordiamo che chi uscirà per primo dall’euro subirà i danni minori. Occorre tornare alla lira e ristrutturare il debito selettivamente, non ripagarlo, in sostanza, che parzialmente.
La Spagna è fra i paesi che hanno goduto del tasso unico europeo, ossia del denaro facile: negli ultimi 7 anni il PIL spagnolo pro capite è cresciuto del 3,8 % contro l'1,3 % della Germania, l'1,5 % dell'Olanda e l'1,7 % dell'Italia (il nostro Paese ha conosciuto già tre recessioni nel settennio).
Ma in Spagna, l'economia surriscaldata dal tasso reale d'interesse basso ha provocato bolle speculative, l'esplosione dei prezzi immobiliari (più 145 % in sette anni) e un deficit crescente delle partite correnti.
Lo stesso tasso d'interesse comune europeo è troppo alto per la Germania, dove l'inflazione è più bassa della media, e ne ha gelato l'economia.
Eppure la Germania ha aumentato con forza le sue esportazioni; ma è la domanda interna a restare esigua.
Un tempo, prima dell'euro, la crescita dell'export provocava anche l'aumento della domanda interna; ora non più.
La Germania è in deflazione da euro, come Spagna e Irlanda (dove le case sono rincarate del 192 %) sono in inflazione da euro.

La "taglia unica" e obbligatoria imposta dall'euro si traduce, per l'Italia, in un tasso reale rovinosamente aumentato (il costo del denaro da noi si è apprezzato del 20 %), il che spiega le nostre recessioni senza uscita.
In Germania, data la bassa inflazione locale, il tasso comune europeo si è tradotto in una maggiore competitività relativa rispetto agli altri paesi EU, ed ecco spiegato il boom tedesco dell'export; per il motivo uguale e contrario, la Spagna ha perso competitività, sicché il suo boom ha in sé le radici della rovina.
Dall'entrata dell'euro, la Germania ha visto crescere le sue esportazioni del 55 %, l'intera UE del 35 % e l'Italia solo dell'8 %.
Avremmo bisogno di far calare drammaticamente il costo del denaro; invece l'euro ce l'ha apprezzato in modo rovinoso.

Germania e Italia dovrebbero ridurre parecchio l'imposizione fiscale, per dare fiato ai consumi interni; invece, poiché la crescita bassa ha accresciuto il deficit pubblico, Italia e Germania sono premute più di altri paesi – dalla Banca Centrale europea – alla "austerità fiscale".
Ossia, l'UE ci obbliga a prendere le misure contrarie a quelle necessarie, e proprio quelle che rendono cronico il nostro declino.
E la severità fiscale che ci impone l'eurocrazia non ci serve nemmeno ad avvicinarci ai criteri di Maastricht: quando un'economia è debole ed esangue come la nostra, è inevitabile che il debito pubblico cresca.
I rincari generalizzati da euro hanno colpito dovunque, ma in Italia di più.
Da noi, i consumatori pospongono gli acquisti importanti, aggravando la depressione economica.
L'Italia è, secondo la HSBC, il grande perdente: anche perchè le sue produzioni (tessili, manifatturiere) sono le più esposte alla competizione cinese.

Non abbiamo il dubbio vantaggio della Germania, dove la bassa inflazione interna almeno stimola l'export; noi abbiamo un'inflazione interna alta; e abbiamo avuto, unici, aumenti salariali (anche se l'italiano non li ha davvero visti) che rincarano il nostro costo del lavoro.
Tutti i danni da moneta "forte" ma con "potere d'acquisto basso" si sono accumulati su di noi; abbiamo la recessione e, insieme, un'inflazione media superiore a quella europea.
Ma anche la Germania soffre.
Di fronte al pericolo di deflazione tedesca (un'economia che pesa da sola un terzo di quella europea) la Banca Centrale ha annunciato che non agirà.
"La politica della moneta unica della Banca Centrale europea non può reagire ad ogni caduta di prezzi di un singolo bene o di una regione o città".
Entro cinque anni, la Germania ha 60 probabilità su cento di cadere nella deflazione, l'Olanda 55 probabilità su cento.
A quel punto, anche se la Banca Centrale europea riducesse i tassi a zero, la Germania non ne avrebbe alcun vantaggio (il costo reale del denaro in deflazione è sempre eccessivo), mentre le altre economie subirebbero bolle e inflazione.
E poiché i poteri della Banca Centrale europea non sono sostenuti da una politica fiscale autonoma – al contrario delle Banche Centrali di USA, Giappone e Gran Bretagna – anche "stampare moneta" per uscire dalla deflazione le è vietato.

All'Italia, che ricade continuamente nelle sue recessioni, viene consigliato di "bloccare con fermezza costi e inflazione".
Ma nulla viene raccomandato per scongiurare l'aggravarsi del deficit pubblico, che è inevitabile se l'economia non cresce, per quante "austerità" vengano imposte.
L'impegno della Banca Centrale europea alla "stabilità dei prezzi" è, secondo la HSBC, irrealistico: fu stabilito quando l'inflazione europea era dell'1%; oggi tutto è cambiato.
Sarebbe meglio lasciasse un margine del 2-3 %.
L'inflessibilità in questo campo "non lascia margini ad errori": spinge la Germania in deflazione, e obbliga le economie più deboli a premere la leva fiscale, il che peggiora la loro situazione.
Ma la Banca Centrale europea, dura, rifiuta ogni proposta di allentamento dei suoi sacri principi.

A questo punto, si pone la domanda: conviene uscire dall'euro?
E cosa accadrebbe?
Lo studio della HSBC esamina il caso storico del 1992: l'uscita della sterlina non dall'euro (che non c'era), ma dal "serpente monetario europeo", il sistema di cambi fissi precedenti.
La sterlina si svalutò entro un mese del 10% sul marco tedesco; e la caduta fu accompagnata dal dimezzamento del tasso d'interesse: dal 12 % al 6 %.
Tutti gli esperti predissero che la svalutazione avrebbe seriamente danneggiato l'economia britannica, producendo inflazione e aumentato costo del debito (per il rincaro degli interessi sui Buoni del Tesoro in sterline).
"Ciò che avvenne è esattamente il contrario"; dice la HSBC.
Le esportazioni britanniche crebbero di un 5 % in più rispetto alle importazioni negli anni seguenti.
Per l'Italia, l'uscita dall'euro e l'emissione di una "nuova Lira" avrebbe lo stesso significato: svalutazione competitiva, e riduzione dei tassi d'interesse (costo del denaro) a breve, anche se qui lo spazio di manovra non è alto, dato che il tasso europeo è già un modesto 1 %.
Ciò provocherebbe una maggiore spesa interna, accrescendo il PIL italiano: in modo che la HSBC calcola come "sostanziale".
Ossia pari al 1% dal secondo anno dall'introduzione della "nuova Lira".
Altro vantaggio: i BOT italiani sarebbero ridenominati.
Non più nel "forte" euro (moneta su cui non abbiamo alcun potere), ma nella "debole" Lira (su cui avremmo un potere sovrano).
Il che equivale ad un ripudio parziale del debito (e non sarebbe un male).

D'altro canto, la storia delle svalutazioni italiane dice che esse non hanno portato a un durevole aumento della competitività, perché salari e prezzi sono stati sempre troppo lesti a salire, provocando inflazione.
Il rendimento dei BOT italiani dovrebbe essere molto elevato, e ciò danneggerebbe le finanze pubbliche.
In teoria.
Perché in pratica, lo Stato s'indebiterebbe con i suoi cittadini, pescando nel vasto serbatoio del risparmio delle famiglie; e i cittadini, non "investitori esteri", sarebbero i beneficiari dei più alti frutti.
L'italiano medio ricorda il periodo relativamente felice in cui i BOT gli rendevano il 10%.
Per contro, poiché l'introduzione della "nuova Lira" richiederebbe una preparazione (non potrebbe essere improvvisa), gli "investitori esteri" avrebbero il tempo di vendere "attivi" italiani (di prossima svalutazione) e cercherebbero di accumulare "passivi" in Italia (anche i passivi si svaluterebbero).

La Borsa italiana non ne avrebbe giovamento: ma vi nuotano i pescecani che sappiamo, non gli italiani normali.
Per questi, l'effetto avverso sulle azioni sarebbe più che compensato dalla rapida crescita del PIL (anche se di corta durata).
La crescita a breve darebbe respiro per le "riforme" del capitalismo mercantile egemone, "flessibilità" del lavoro e varie deregulation.
Ma giustamente, la HSBC (conosce i nostri politici) prevede che quel breve respiro indurrebbe piuttosto a rimandare le riforme.
Ma l'inconveniente peggiore sta altrove.
L'uscita dall'euro (forte) sarebbe difficile per un Paese che adottasse, come l'Italia, una "nuova Lira" debole.
L'Italia dovrebbe chiudere i suoi confini al "libero flusso di capitali" e costringere cittadini e stranieri a scambiare i loro euro per le "nuove Lire".
Ma i più si terrebbero i loro euro sotto il materasso, o li porterebbero comunque all'estero.
Il che obbligherebbe a mantenere per un lungo periodo il controllo sui cambi, isolando ancor più l'Italia dall'Europa.
I contratti non potrebbero essere realmente ridenominati in Lire; i contraenti preferiranno mantenerli in euro, provocando un doppio regime di prezzi.
Ma tutti questi effetti negativi si basano su una supposizione: che l'uscita dell'Italia dall'euro non modifichi il regime e il peso dell'euro stesso.
Che, senza l'Italia, l'euro continuerà a funzionare come prima.
La verità è che l’uscita dell’Italia dall’euro provocherebbe un tale terremoto finanziario da smantellare l’intera UE: di fatto metteremmo gli altri paesi nell’obbligo di uscire anch’essi dall’euro e porre, di conseguenza, fine alla moneta unica.
La Germania, nonostante la malcelata minaccia di uscire nell’euro, è in realtà l’unico paese a trarre un concreto vantaggio dalla moneta unica: il suo marco sarebbe una moneta troppo apprezzata per permettersi livelli di esportazione paragonabili a quelli attuali, e non dimentichiamo che il benessere della Germania non si fonda solo  sulle politiche di sacrificio condotte negli anni scorsi, ma soprattutto sulle nostre debolezze strutturali, dovute in massima parte alla costrizione della “gabbia” dei tassi di interesse unici e della BCE che non è una banca centrale e continua a fare i soli interessi dei tedeschi: l’economia tedesca sarebbe fortemente ridimensionata da un ritorno alle valute nazionali. Non dimentichiamo mai che la Germania ha sulla coscienza, oltre all’olocausto degli ebrei, la macellazione del popolo greco: diverse aree del paese sono tornate al baratto: inutile aggiungere altro.
A quel punto, anche l'Italia non avrebbe più gli svantaggi previsti dal passaggio dall'euro alla Lira: perché l'euro di fatto, semplicemente, non esisterebbe più senza Germania e Olanda.
Si può fare. Può convenire.
Anzi, dice la HSBC "più persiste la stagnazione europea" dovuta all'euro, "più l'incentivo ad uscirne diventa maggiore".
Liberamente tratto da “macropolis.org”


mercoledì 18 aprile 2012

LA MUSICA E' FINITA, I SUONATORI SE NE VANNO

E’ con immenso piacere che pubblico il seguente articolo del solito Eugenio Benetazzo, una delle poche voci fuori dal coro ed un analista finanziario di grande intelletto e preparazione. Sottoscrivo parola per parola quello che dice. Le due soluzioni che prospettavo nel precedente post (la svalutazione dell’euro fina alla parità con il dollaro e i massicci interventi keynesiani nell’economia) sono entrambe inattuabili, intanto perché la BCE non è una banca centrale (come la FED americana), ma una sezione staccata della Bundesbank, e non è in grado pertanto  di attivare alcuna politica monetaria indipendente, e poi perché l’egemonia tedesca impedisce e impedirà sempre un cambiamento a 360 gradi delle politiche di fiscal compact. La Germania vede solo nel sacrificio, individuale e collettivo, l’unica via di salvezza. Nel luteranesimo venato di calvinismo l’uomo deve conquistare la propria posizione sociale col sudore della fronte, a prezzo di grandi sforzi e a costo di stramazzare fulminato. Questo perché la sua natura è irrimediabilmente corrotta e l’unico modo per dimostrare a Domeneddio di meritare la sua grazia è quello di conquistarla con immensi sacrifici. Niente intervento dello stato nell’economia dunque, ma sempre e solo tasse e tagli alla spesa pubblica. I tedeschi non vogliono sentire altro, e, finchè l’Italia resterà nell’euro, dovrà subire questa impostazione. Tra l’altro, occorre aggiungere che il mio era un discorso puramente accademico: nel nostro paese fare investimenti pubblici in infrastrutture significa fare entrare automaticamente in gioco la criminalità organizzata, che non aspetta altro. Ha ragione dunque, Benetazzo a sottolineare che non c’è nessuna uscita dal tunnel, semplicemente perché il tunnel è e sarà per i decenni a venire il nostro unico contesto di vita. Non è facile, né bello vivere al buio, all’umido e senza luce, ma le cose stanno così, e non possiamo farci niente. Non ci sono più due blocchi contrapposti: l’Occidente decadente e corrotto e i paesi socialisti dove trionfa l’egualitarismo: il mondo è uno solo, globalizzato, valgono le stesse regole per tutti. Per questa ragione, i personaggi come Landini della FIOM fanno più che rabbia tenerezza: vivono in un altro mondo e non saranno mai in sintonia con questo. Anche le regole della finanza non cambieranno, cioè non ci saranno affatto. Dobbiamo rassegnarci. Lungimiranza, dunque, fare solo ciò che è indispensabile, cercare quella parsimonia che era retaggio dei nostri antenati e che i nostri genitori si sono dimenticati e lo hanno fatto dimenticare anche a noi. Non parliamo di scenari catastrofici con l’esplosione dell’euro e il ritorno alle valute nazionali: continueremo, presumibilmente, a restare a galla, tra mille difficoltà, ma arretrando non poco nella scale sociale. La classe media è destinata, in effetti, a sparire. Centelliniamo le nostre risorse e cerchiamo di dare il meglio di noi stessi. Sopravviveremo, certo,  ma nel buio umido e malsano di un tunnel.

Potete lamentarvi, scioperare o peggio ancora suicidarvi ma il risultato non cambierà: stiamo vivendo una nuova selezione darwiniana sia sul piano imprenditoriale, professionale e familiare. Si salverà in qualità di imprenditore, lavoratore o padre di famiglia chi ha avuto più buon senso e lungimiranza degli altri negli anni passati, preservando il proprio patrimonio, continuando a risparmiare, limitando o proprio evitando il ricorso al debito, investendo nel nuovo che adesso sta emergendo, pensando come si suol dire fuori dal coro. Mi fanno ridere i servizi di inchiesta televisiva predisposti ad hoc dai talkshow italiani per cercare di suscitare la compassione dei telespettatori nei confronti di giovani coppie che si trovano adesso in difficoltà per il mutuo o gli eccessi di debito che hanno contratto con la loro banca. Sull'ultimo che ho visto veniva intervistata una giovane coppia in cui lei (in dolce attesa) lavorava a cottimo su chiamata in una cooperativa mentre lui faceva l'addetto in un call center. Si lamentavano del mutuo e inveivano con la banca perchè aveva inviato loro una comunicazione per il mancato pagamento delle ultime tre rate.

Parliamoci chiaro: a persone come queste, nessuno ha puntato una pistola alla tempia e li ha obbligati a contrarre un mutuo a trentanni a tasso fisso, nessuno li ha obbligati a comprare a rate un mega appartamento con la station wagon fiammante nuova sotto il culo, nessuno li ha obbligati a richiedere ed utilizzare una carta di credito con plafond revolving  per comprare la televisione al plasma o peggio ancora per andare in vacanza a rate. Troppo facile adesso prendersela con le banche. Prenditela con te stesso. Tu sei la causa dei tuoi mali se ti sei lasciato convincere a contrarre troppo debito facile, se hai intrapreso scelte di vita (come sposarsi e fare figli) senza avere messo da parte un minimo di risparmio per le spese di contingenza e i momenti di difficoltà. Sul fronte imprenditoriale forse è ancora peggio: adesso si vede chi è veramente imprenditore e ha capitalizzato la propria azienda, magari anche vendendola per abbandonare il mercato di riferimento iniziale per intraprendere un altro mestiere o una nuova attività imprenditoriale in altro settore.

La propaganda mediatica ogni giorno ci racconta di sempre più persone che decidono di togliersi la vita perchè hanno perso il lavoro o perchè la loro azienda è ormai in fin di vita: episodi di cronaca nera che purtroppo continueranno ad aumentare in numero crescente nei prossimi anni. Non si tratta di qualche mese e dopo ritornerà il sereno, siamo appena agli inizi. Una trasformazione epocale del mondo del lavoro, del modo di fare impresa e del modo di pianificare la nostra vita (famiglia, pensione, welfare). La maggior parte degli italiani (studenti, lavoratori e imprenditori) è psicologicamente ancora impreparata a metabolizzare quanto sta caratterizzando questi ultimi due anni: la causa è da ricercare proprio in un Paese come il nostro, il grande protettore, che ci ha sempre stati abituati ad essere protetti e supportati per qualsiasi richiesta o stato di malessere. Adesso che lo Stato deve limitare il suo intervento a sostegno del tessuto sociale, adesso che deve fare marcia indietro con il modello di stato sociale sfacciatamente protezionistico di cui si è vantato negli anni prima, adesso percepiamo cosa significava in passato essere coccolati.

Iniziate pertanto ad entrare il prima possibile in sintonia con questo cambiamento, come imprenditori e lavoratori metabolizzate il fatto che solo voi con le vostre risorse, il vostro estro, talento e i vostri risparmi potrete supportare momenti di tensione e di ulteriore futura contrazione economica. Non ci sarà mai più quella serenità che ha contraddistinto la vita dei nostri genitori: quanto è stato garantito loro infatti adesso lo dovranno pagare proprio i più giovani paradossalmente con ingenti sacrifici e rinunce, vivendo in  uno stato di insicurezza e disagio continui. Non confidate nella politica (presente o futura) per uscire dal tunnel: ci siamo entrati e non ne usciremo mai più. Cominciate a familiarizzare il più possibile sull'immagine che proiettarà il nostro paese tra una decina di anni: la maggior parte della popolazione ridotta in uno stato di povertà endemica, con livelli reddituali pavimentali, grande conflittualità sociale amplificata dalla presenza di maestranze extracomunitarie ed infine una piccola nicchia del paese molto ricca e benestante. Sostanzialmente il modello sudamericano degli anni settanta: tanti poveri e pochi ricchi.
Eugenio Benetazzo – eugeniobenetazzo.com

venerdì 13 aprile 2012

GIU' LA TESTA


Dopo la breve parentesi montiana, durata circa sei mesi, ci ritroviamo, con qualche differenza, nella medesima situazione dello scorso autunno. Lo spread è tornato intorno ai 400 punti, un limite non sopportabile da nessuna economia, le borse registrano un crollo dopo l’altro, i titoli bancari sono oggetto di vendite continue, collezionando una batosta dopo l’altra. Il gruppo Monte dei Paschi sta attraversando un periodo di passione, e si avvia ad essere il primo gruppo bancario italiano ad essere obbligato a ricorrere ad un aiuto. E non è un buon segno. Tutto ci fa rientrare nel tunnel dal quale avevamo timidamente, per un momento, rialzato il capo. Ma no, niente, giù la testa, nuovamente, e questa volta per un pezzo. I dati deludenti dell’occupazione americana, la Cina che  arresta la sua crescita all’8.1%, le banche spagnole che chiedono un prestito alla BCE di circa 227 miliardi di euro, l’impennata dei CDS (credit default swap), le polizze sui titoli a difficile esigibilità, le riforme del mercato del lavoro italiana e spagnola che si sono letteralmente impantanate. Vi basta? L’effetto Monti è terminato, ma, non dimentichiamolo, il governo Monti si ritrova a fare in un anno quello che i paesi progrediti del nord Europa hanno fatto in dieci anni. La riforma della previdenza, iniziata in Germania venti anni fa, una manovra finanziaria che, pur essendo troppo sbilanciata sulla pressione fiscale, andava varata almeno due anni fa, invece di occuparsi dei guai giudiziari di Berlusconi, di Ruby Rubacuori, di case di Montecarlo e di lodi Schifani. Un decreto sulle liberalizzazioni appena abbozzato, è vero, ma che doveva da tempo essere in agenda. Ora l’errore che sta facendo Monti è quello, duole ammetterlo, di non aver blindato la riforma del mercato del lavoro, abrogando completamente l’art. 18, e modellandolo sui parametri europei. Doveva essere posta la fiducia anche sulla riforma del lavoro, prendere o lasciare. E poi avviare l’ultima fase del suo governo, il processo di privatizzazioni. Molti mi domandano perché l’Italia è bersagliata dagli speculatori internazionali. Perché è il ventre molle, con Portogallo, Irlanda e Spagna dell’Europa. Abbiamo un debito pubblico elevatissimo, rapportato ad un PIL col segno negativo, indice di recessione sicura, le misure restrittive e la pressione fiscale, deprimendo i consumi e l’iniziativa imprenditoriale con la stretta creditizia (il credit crunch) hanno fatto il resto. Ci stiamo strangolando da soli, avvitandoci sul debito, inseguendolo senza mai raggiungerlo. Le imposizioni fiscali forniscono un gettito immediato, ma sul lungo termine, le uniche iniziative che pagano veramente sono le politiche dello sviluppo economico. Ma per fare  in modo che le imprese straniere investano in Italia è necessaria una riforma del mondo del lavoro che lo liberi dalle pastoie burocratiche e soprattutto conferisca flessibilità al lavoro stesso. Soprattutto in entrata, ma anche in uscita. Perché una impresa straniera dovrebbe avere convenienza ad investire in un paese con una classe operaia fortemente politicizzata, rivendicativa in senso conservatore, dove le infrastrutture sono spesso insufficienti (al mezzogiorno) o inadeguate. Un paese con una classe politica inetta e corrotta, al pari di quella greca. Siamo vulnerabili, perché nonostante la faccia tranquillizzante di Monti avesse per qualche tempo fatto dimenticare al mondo di che stoffa siamo fatti, ci hanno pensato i politici di casa nostra a farcelo drammaticamente ricordare. Gli scandali dei rimborsi ai partiti, prima della Margherita, poi della Lega e poi di tutti gli altri, gli scandali della regione Lombardia, un arresto dopo l’altro, una banda di malfattori a governare la più avanzata delle regioni italiane. Tutto questo ha fatto di colpo ricordare al mondo che l’Italia riamane il pese dei “mariuoli”, degli Schettino, dell’arte di arrangiarsi cercando di fare fessi gli altri. Siamo bersagliati, in un parola sola, perché siamo italiani. Le eccezioni non mancano, Mario Monti stesso, Mario Draghi, e diversi altre personalità di spicco, ma il paese rimane quello che è: un’accozzaglia di staterelli messi assieme malamente e recentemente dal risorgimento, conservando tutte le diversità e le divisioni che non contribuiscono di certo a fare di noi una “nazione”. Monti non può fare in un anno il lavoro (manovra fiscale, riforma del mercato del lavoro, liberalizzazioni, riforma della previdenza, privatizzazioni) che i governi imbelli che lo hanno preceduto non hanno saputo o voluto fare in vent’anni. Siamo in ritardo, in grave ritardo, abbiamo vissuto, come gli spagnoli, al di sopra delle nostre possibilità per troppo tempo. Se avessimo iniziato la politica dei sacrifici qualche decennio fa, non ci troveremmo in questa situazione. Ora, però, a differenza del tempo di Berlusconi, abbiamo qualche elemento in più su cui riflettere:
1)      Monti è stata la migliore delle scelte possibili. Il nostro paese, con la classe politica che si ritrova, non era in grado di esprimere nulla di meglio. Il suo parziale fallimento, tenendo presente che la sua era comunque una impresa impossibile, ci riporta ai livelli occupazionali, inflattivi, di deficit pubblico e recessivi dello scorso anno. Monti stesso, sarà costretto ad una nuova manovra finanziaria entro l’anno (meglio d’estate), una manovra fatta di tagli alla spesa pubblica, e, questa volta, di una patrimoniale vera sui beni mobili (le rendite finanziarie). Con il ritorno dell’iniziativa ai partiti politici non possiamo che arretrare ulteriormente.
2)      La situazione macroeconomica sta degenerando di mese in mese. Ci sono diverse bolle non ancora esplose, come quella dei derivati, incamerati praticamente da tutti i nostri istituti di credito e non solo. La questione dei debiti sovrani non si può risolvere, per il semplice fatto che la politica dell’austerity e del fiscal compact imposta dalla Germania è solo depressiva e costringe i paesi che vi si adattano ad entrare nel circolo vizioso dell’inseguimento del debito. Il rigore non si sposa con la ripresa, conduce solamente ad un lento ma inesorabile declino.
3)      La mai realizzata unione politica europea ci condanna al fallimento a catena. Nessun paese è al sicuro, ha ragione Draghi nel dire che l’euro è una moneta “irreversibile”, ma quando le tensioni sono troppo forti, le banche non fanno più le banche, il sistema previdenziale e assistenziale va in tilt, lo Stato non è più in grado di garantire pensioni e stipendi correnti, strangolato dal debito che è costretto a ripagare continuamente, beh, c’è poco da fare. Ricordiamo le parole del premio Nobel Stiglitz, “il primo che uscirà dall’euro subirà i danni minori”.
4)      Le soluzioni possibili sono solo due: svalutare l’Euro arrivando al pareggio con il dollaro, anche per togliersi la spina che gli americani ci hanno conficcato nel fianco. Gli USA hanno giocato sporco con l’Europa, scaricando gran parte delle loro enormi responsabilità sul vecchio continente. Ma lo possono fare perché hanno una vera banca centrale che stampa moneta e conduce le politiche monetarie che vuole. Noi abbiamo una banca centrale che stabilisce i tassi di interesse e inietta liquidità alle banche drogando il mercato. Nulla di più. La seconda soluzione è procedere alle politiche keynesiane spinte:  lo stato deve intervenire pesantemente nell’economia, come nel 1929, regolando i mercati finanziari, debellando il banditismo dei fondi hedge e delle vendite allo scoperto, fornendo il quantitative easing che occorre alle banche, dotandosi di una vera banca centrale, procedendo con massicci investimenti pubblici, per esempio nelle infrastrutture, da noi così carenti. All’occorrenza nazionalizzando tutto quello che è sull’orlo del fallimento ed evitando così di ingrossare le fila dei cosiddetti “esodati”. Un intervento dello stato che regolarizzi ed incentivi l’economia reale e ridimensioni il ruolo della finanza è quanto di più urgente si debba fare.
5)      Dal momento che l’UE non ha la minima intenzione (perché la Germania non condivide queste posizioni) di procedere in tal senso, e considerando che noi non siamo la Grecia, nel senso che il botto che farebbe l’Italia avrebbe conseguenze devastanti per il mondo intero, non abbiamo le debolezze strutturali del popolo ellenico, e non consentiremo a nessuno di strangolarci arrivando ad affamare i nostri bambini (cosa che si sta verificando letteralmente in quel disgraziato paese), questa volta le condizioni le poniamo noi. Possiamo decidere una uscita unilaterale dall’euro. Secondo i trattati non si potrebbe, ma dei trattati, visto l’uso che ne hanno fatto finora Francia e Germania, ce ne possiamo anche fregare.
6)      Se l’Italia minaccia una uscita unilaterale dall’euro si potrebbero ottenere da subito almeno due risultati: la fine dell’egemonia tedesca e la fine della politica suicida del fiscal compact. Siamo l’unico paese occidentale ad aver avuto bisogno di un governo tecnico per tirarci fuori provvisoriamente dal default, questo significa qualche cosa. Non possiamo ridare la parola ai politici, sarebbe troppo rischioso. Alle prossime elezioni, indipendentemente dall’esito che avranno, si formerà un governo di unità nazionale con a capo un altro tecnico, non Monti, che per allora sarà ormai stracotto. Questa è una guerra, e le guerre non sono delle cene di gala come diceva Mao Tse Tung, non sono dei ricevimenti eleganti, le guerre si vincono o si perdono, i conti delle vittime li faranno alla fine i capellani. Se la Germania persiste nel suo atteggiamento di lassismo nei confronti dei mercati finanziari e di politiche restrittive fatte di rigore e sacrifici, ci opporremo fino alla eventuale uscita dall’euro. A quel punto i nostri amici tedeschi è probabile che si ammorbidiscano non poco. Non conviene a nessuno, tanto meno a loro l’esplosione dell’euro. Non sarà leale, ma è in gioco la sorte del nostro paese, delle nostre famiglie, dei pensionati, dei giovani, dobbiamo capire che continuare su questa strada, quella della BCE che è una succursale della Bundesbank, non farà che accrescere il nostro debito, acuire la nostra recessione trasformandola in depressione, ci farà scivolare lentamente sulla via della Grecia. Questo non lo permetteremo mai, a costo di sospendere la nostra già malata democrazia. Eugenio Benetazzo invoca un nuovo Lorenzo il Magnifico, non so se saremo capaci di tanto, quello che so è che i partiti devono farsi da parte, e che dobbiamo cominciare a giocare questa guerra sul serio, contando sulle nostre sole forze, e portandola a termine con cieca convinzione.
Aspettiamo questi undici mesi che ci separano dalle elezioni. Monti continuerà a vivacchiare, varando una riforma del mercato del lavoro che sarà una minestra riscaldata fatta di veti incrociati, cui bisognerà mettere mano nuovamente. Tenterà poi di privatizzare qualcosa, e infine ci regalerà la legnata di una seconda manovra finanziaria. Dopo di che è meglio che se ne torni alla Bocconi. Chi verrà dopo di lui, più che assomigliare a Lorenzo il Magnifico, mi perdoni Benetazzo, dovrà assomigliare a Giovanni dalle Bande Nere.

martedì 10 aprile 2012

MONTI BOCCIATO DELL'EUROPA E DAI MERCATI. NUOVA MANOVRA ENTRO L'ANNO


Quanto mi dispiace dire: “l’avevo detto”, sa di grillo parlante. Non ci voleva, comunque, un indovino per comprendere che la seconda manovra di tagli e imposizioni fiscali era dietro l’angolo. Tutto lasciava pensare ad un simile esito. La riforma del mercato del lavoro non ha accontentato nessuno: è venuta fuori una ministra riscaldata, è una riforma troppo “politica” e poco tecnica, non ha convinto i mercati e tanto meno gli investitori internazionali. La crisi delle banche spagnole e la loro riforma del lavoro che sta andando troppo per le lunghe hanno fatto il resto. I dati americani non sono confortanti, l’occupazione non sale quanto si sperava, la crisi dei paesi periferici dell’UE, con stime continuamente smentite al ribasso, il “credit crunch” diffuso in tutta l’eurozona, insomma, un concorso di circostanze ci stanno riportando a livelli pre Monti. Lo spread deve assolutamente scendere a quota almeno 300 punti, ma non sarà facile. Monti ha perduto, con questa riforma del lavoro annacquata, di credibilità, nel tempo che ci separa dalle elezioni non sappiamo se sarà in grado di riguadagnare la fiducia perduta. E poi, per favore, speriamo che lasci perdere Cina e Medio Oriente: è Roma che sta bruciando, è il caso che se ne stia al suo posto. Quanto all’eurozona, i grandi investitori la stanno abbandonando, ma in compenso i grandi speculatori la stanno riscoprendo: i fondi hedge e le vendite allo scoperto stanno dominando di nuovo la scena borsistica europea. Ci siamo illusi, da Monti in poi, di essere usciti dalla parte peggiore della contrazione economica: sbagliavamo, soprattutto penchè  la differenza fondamentale tra una crisi economica ed una contrazione è proprio il fattore tempo: una crisi si risolve in un decennio, per una contrazione, soprattutto globale, occorrono parecchi decenni. Stiamo pagando soprattutto il fatto di avere come unico collante proprio il motivo centrale della crisi : l’euro. E’ l’unico elemento che ci accomuna, dal momento che una unione politica ce la possiamo sognare, ma, paradossalmente, è anche il motivo delle nostre più immediate preoccupazioni, perché, essendo una moneta irreversibile, se dovesse esplodere, tutta l’Europa, con sfumature diverse, ricadrebbe in un nuovo medioevo.

Monti Bocciato Dall’europa: Altra Manovra a Fine Anno

È una notizia che è trapelata grazie alle indiscrezioni del Financial Time, durante l’ultimo vertice. Il governo italiano smentisce ma il testo esiste

 PIÙ DI 100 MILIARDI di euro raccolti in meno di  due anni potrebbero non essere bastati. Il che significa che l’Italia potrebbe essere sottoposta ad un’ulteriore manovra. Secondo l’Unione europea, un’altra manovra finanziaria, potrebbe rendersi indispensabile per tenere in piedi le finanze pubbliche italiane e centrare il pareggio di bilancio nel 2013. La recessione, potrebbe annullare le misure già varate dal Governo Monti.

È STATO IL Financial Times a riportare i suggerimenti della Commissione Europea, facendo riferimento ad un documento riservato.  I suggerimenti della Commissione sono piuttosto netti, al contrario delle poco convincenti smentite del governo “non c’è bisogno di altre manovre correttive per far fronte alla crisi”. Del resto, il rapporto dell’Unione europea,  circolato nell’ultimo vertice di Copenhagen, esiste davvero, e la Commissione non ha smentito, parlando di un documento “a uso interno non dato ai ministri”.

IL PORTAVOCE DEL commissario Olli Rehn ha spiegato: “Non posso confermare la presunta fuga di notizie né lo status e l’autenticità del rapporto”. Ha sottolineato di non voler speculare su quanto potrebbe accadere in futuro in un clima caratterizzato da “incertezze che pesano su tutta l’Eurozona e, con gradi diversi, sui singoli Paesi”.

CHRISTINE LAGARDE, direttore generale del Fondo monetario internazionale ha affermato che una “corsa indifferenziata all’austerità si mostrerà controproducente”. In ogni caso le cose fatte dal governo Monti vengono messe in discussione dalle istituzioni comunitarie. A difendere  Monti ci hanno provato sia Passera che la Fornero. “Con l’austerità , ha detto il ministro, non si cresce, al contrario, dobbiamo mettere in moto tutte quelle operazioni per fare in modo che dopo aver messo in ordine i conti ci sia anche crescita”. E la Fornero: “Non parlerei di nuove misure di austerity, spero che ora il nostro Paese possa avere misure per la crescita”. Da una parte sembrerebbero le classiche dichiarazioni di circostanza.

SECONDO IL DOSSIER elaborato dalla Commissione, l’Italia da maggio 2010 ha varato misure “davvero notevoli” per consolidare il bilancio, pari a più di 100 miliardi ed equivalente al 7% del Pil. E questo le ha permesso “di riguadagnarsi la fiducia dei mercati ed ora è in rotta verso l’obiettivo del pareggio di bilancio nel 2013, dopo aver segnato un deficit pari al 3,9% del Pil nel 2011. 

MA GLI SFORZI DELL’ITALIA per raggiungere gli obiettivi di bilancio potrebbero essere messi a rischio da prospettive deprimenti per quanto riguarda la crescita e da tassi d’interesse relativamente alti. L’Esecutivo  dovrebbe essere pronto a evitare ogni ritardo nell’esecuzione delle misure e intraprendere ulteriori azioni se necessario”.  

TRA POCHI GIORNI, si tratterà d i riforma fiscale. Il Governo ha detto più volte che sarà,  quasi del tutto, una riforma a saldo zero sia per il nuovo catasto sia per le imposte sui redditi. Si vedrà in che direzione intenderà andare Monti.

Denise Tagnin – professionefinanza.com

sabato 7 aprile 2012

IL BUIO OLTRE MARIO MONTI


Con evidente delusione, il prestigioso “Wall Street Journal” ritira il parallelo, considerato a quanto pare lusinghiero, tra Margareth Tatcher e Mario Monti. Lo diciamo con dispiacere, al Wall Street Journal, ma a noi poco ce ne cale del suo impietoso giudizio. Prima di tutto perchè farebbe bene a dare un’occhiatina a casa propria (mi risulta che la crisi abbia avuto inizio proprio da quelle parti)e in secondo luogo, come ha fatto notare in una nota lo stesso Monti, perché consideriamo la Tatcher un esempio da non seguire. La sua politica fu di una banalità quasi disarmante: tutto agli industriali e poco o nulla alla popolazione. Una retriva, conservatrice reazionaria. Ha sconvolto il mercato del lavoro in senso globalizzante, questo è vero, lasciando, però, parecchie vittime lungo il percorso. Non mi risulta che la Tatcher abbia preso il Nobel per l’economia, come pietra di paragone avremmo preferito John Maynard Keynes. Secondo il WSJ Monti avrebbe dovuto varare una riforma del lavoro che avrebbe certamente scatenato un conflitto sociale del cui esito non sarebbe stato possibile essere certi. Il lungo paziente lavoro di mediazione ha prodotto un risultato sicuramente migliorabile, ma è pur vero che fino a sei mesi fa una simile riforma sarebbe stata inimmaginabile. L’art. 18 è solo un simbolo, uno spauracchio che nella realtà concreta dei fatti non troverà quasi mai applicazione: il reintegro per motivi non economici è più teorico che pratico. Ma queste cose, queste sfumature gli americani del WSJ non possono comprenderle. Hanno sposato, a quanto sembra le tesi del “Fiscal compact” della Merkel, del rigore a tutti i costi , delle manovre fiscali depressive, i nostri analisti d’oltreoceano: peccato che se avessero vigilato un po’ meglio su quanto accadeva da anni sotto i loto occhi, forse ci saremmo evitati la catastrofe finanziaria mondiale. E’ ridicolo e tragico allo stesso tempo che gente come gli americani si permetta di dare lezioni all’Europa, dopo che, con Bush e Greenspan, il mondo sta andando in malora per colpa loro. Additare la Tatcher come un esempio da seguire è stupido ma soprattutto offensivo.
In ogni modo, il testo della riforma del mercato del lavoro è quanto di meglio si poteva spuntare, dopo una lunga, difficile opera di mediazione tra le posizioni, necessariamente diverse di PD, PDL e Terzo Polo, Confindustria e sindacati. Non sappiamo ancora, come dice Marchionne, come sarà accolta dai mercati, sappiamo che di più non si poteva fare. L’art. 18 non poteva essere abrogato tout court, per il semplice fatto che tra qualche mese, entro l’estate, sarà necessaria (per quanto pateticamente smentita) una nuova manovra di tagli e imposizioni. Non possiamo fare ingoiare troppi bocconi amari, tutti insieme, ad una popolazione già abbastanza provata. Non sappiamo se la novella Tatcher tedesca apprezzerà o meno, lei gradisce solo le riforme che fanno macelleria sociale, quelle che fanno grondare sangue dalle rape, non sappiamo se la quantità ematica che scorrerà sarà sufficiente a placare la sua sete di vendetta sociale: da buona rappresentante della destra teutonica, confidiamo che il massacro della popolazione greca le sia bastato. Come si fa, come si fa sa non vedere una realtà così evidente! Di manovra in manovra ci avvitiamo sulla recessione, le imprese chiudono, i consumi crolleranno del tutto e la depressione economica è dietro l’angolo.
Ma la preoccupazione vera, della UE e d’oltreoceano, è quello che accadrà dopo la parentesi di Monti. Non c’è capo di stato o esponente delle istituzioni europee che non gli domandi preoccupato se dopo di lui i partiti che governeranno non disferanno di notte la tela che Monti ha pazientemente tessuto finora, e non ha ancora concluso. E’ un fondatissimo timore, tutti noi lo condividiamo. Lo scandalo della gestione dei rimborsi elettorali alla Margherita e alla Lega non sono che l’inizio di una seconda “mani pulite”. Tutti noi abbiamo compreso che questo sistema è largamente diffuso presso ogni partito politico, nessuno escluso. I due casi, con impressionante analogia, non possono essere isolati. Il problema è che i partiti politici italiani sono delle associazioni a delinquere, colpevoli di falso in bilancio, truffa ai danni dello stato, corruzione, peculato, falso in atto pubblico. Fabbricavano persino diplomi e lauree fasulle. E’ il colmo: sembrano usciti da un film di Totò. I partiti, per loro natura, sono consorterie che coltivano i propri interessi privati, dei loro congiunti e affiliati, poi, se avanza qualcosa, pensano al paese legiferando comunque a favore dei loro accoliti e compagni di cosca. In più, come valore aggiunto, sono dilettanti, velleitari, inetti ed incapaci a svolgere il loro ruolo istituzionale. Il ritorno dell’iniziativa ai partiti politici è guardato dalla maggioranza degli italiani (più del 50% dei nostri connazionali non saprebbe chi votare alle prossime elezioni) con terrore, nel timore fondatissimo che possano modificare, se non sfasciare completamente quello che il governo Monti ha pazientemente messo in piedi, facendoci perdere definitivamente la fiducia dei mercati e degli investitori internazionali, risollevando lo spread a 600 punti, portandoci diritti verso il default. La politica è una cosa troppo seria (soprattutto in questo periodo storico) per essere lasciata ai politici di casa nostra. Diamo un’occhiata ai seguenti dati, per farci una vaga idea delle ruberie perpetrate alle nostre spalle e con i nostri quattrini:

Cliccare sull'immagine per ingrandirla
 
Ma allora, che cosa ci attende, che cosa possiamo fare? Non possiamo, come vorremmo, sospendere le garanzie costituzionali (bisognerebbe emendare il testo della Costituzione)ed evitare le elezioni saltandone una tornata, per tornare alle urne solo tra cinque anni. Il problema appare insormontabile: dovremmo essere una repubblica presidenziale perfetta: il capo dello stato potrebbe decidere di saltare un turno elettorale e proseguire con il presente esecutivo. La nostra è una Repubblica parlamentare, ed ora, purtroppo, ne sentiamo tutto il peso. Non potendo cambiare la costituzione in quattro e quattr’otto, si prospetta un’unica soluzione. Un ulteriore settennato a Napolitano (ma occorre considerare le condizioni di salute del presidente), e la costituzione di un governo di larghe intese, o di salute pubblica, nel quale far convergere, come accade oggi, le maggiori forze parlamentari, e la designazione di un presidente del consiglio non politico, non necessariamente Monti, ma in ogni caso un tecnico esperto in economia e finanza che possa godere del rispetto internazionale. Con la disoccupazione che ci ritroviamo, il rapporto debito pubblico/Pil sempre peggiore, ci serve tempo, più tempo per mettere il paese al sicuro. Un solo anno non basta. In un quinquennio, se ben governati, possiamo sperare in una messa al sicuro dei nostri conti pubblici, e scongiurare definitivamente l a prospettiva del default, anche in presenza di paesi fortemente a rischio come Spagna e Portogallo. Non vediamo altre soluzioni possibili, lasciare l’iniziativa a personaggi stracotti come D’Alema, Rutelli, Cicchitto, Veltroni o La Russa equivarrebbe a bruciarsi le cervella. Con la sola eccezioni del sindaco di Firenze Renzi (personaggio comunque fortemente ambiguo) non ci sono volti nuovi all’orizzonte politico. Tra meno di un anno corriamo il serio rischio di ritrovarci un pugno di malfattori al governo. Cerchiamo di tenere presente che il governo Monti, comunque lo si giudichi, rappresenta uno spartiacque, c’è un prima di Monti e un dopo Monti. Le cose non possono tornare come erano a.m. (avanti Monti), l’intermezzo del suo esecutivo ci ha insegnato che senza un premier tecnico si riaprono per noi le porte dell’inferno della Grande Depressione. 

mercoledì 4 aprile 2012

HANNO LA FACCIA COME IL TRAVERTINO


La commissione Giovannini creata apposta dal governo Monti, per adeguare gli stipendi dei nostri parlamentari ai livelli della media Europa, ha fatto cilecca. La tanto attesa stangata ai politici non arriverà più, Giovannini si dimette, ecco le motivazioni: “Nonostante l’intenso lavoro svolto nei mesi scorsi, i vincoli della legge, l’eterogeneità delle situazioni riscontrate negli altri Paesi e le difficoltà incontrate nella raccolta dei dati non hanno consentito alla Commissione di produrre i risultati attesi. La difficoltà maggiore deriva dal fatto che su 30 istituzioni e enti per cui la Commissione stava lavorando, solo 9 hanno una corrispondenza nei 6 Paesi scelti per il confronto. In più, anche per quei pochi che avevano la corrispondenza, non è stato possibile acquisire i dati necessari e affidabili dal punto di vista statistico”.
Quindi si ricomincerà tutto daccapo? Peccato però che per varare le stangate ai cittadini della nostra penisola non ci vogliano mesi, come se ne parla, subito è legge. Dopo i suicidi per la crisi, arrivati oggi a 17, la reintroduzione dell’IMU, la modifica dell’ articolo 18 e la benzina a 2€… la manovra EQUA che doveva toccare anche chi chiede a noi i sacrifici, tanto EQUA non  è. Quando hanno dovuto stralciare l’emendamento che azzerava le commissioni bancarie però, per non far piangere Giuseppe Mussari dell’Abi, ci hanno messo 36 ore. E quando hanno tolto l’IMU alle Fondazioni Bancarie, che sono enti caritatevoli, non ci hanno pensato su due volte. Sono veloci solo quando devono pensare ai fatti loro!
In conclusione, avendo fallito il proprio mandato,  la commissione Giovannini (ma guarda che scalogna!) si ritira in buon ordine. Adesso occorre ricominciare da capo, anche se non si sa bene da dove. Eh, ci vorranno mesi se non anni per comprendere quale possa essere un adeguamento giusto degli stipendi dei nostri parlamentari alle medie europee. Prevedo tempi molto lunghi. Intanto, tanto per non sbagliare, gli stipendi, le prebende, le indennità, i rimborsi spese ecc. dei nostri parlamentari rimangono invariate. In un momento come questo, con in vista una sicura manovra correttiva per la prossima estate che colpirà inevitabilmente ancora le nostre tasche, l’unica conclusione possibile è che avevamo giudicato male i nostri politicanti. Avevamo detto che si trovano un gradino sopra quelli greci. Sbagliavamo, e di grosso. Sono esattamente come loro, se non peggio. Se consideriamo i recenti scandali dei “tesorieri “ della Margherita e della Lega, siamo certi che i politici ellenici non hanno nulla da invidiare ai nostri. Siamo agli ultimi gradini della dignità, del decoro, del pudore. Più in basso di così è difficile scendere.

lunedì 2 aprile 2012

IMU,ICI E TASSE: LA STANGATA DA 21,4 MILIARDI


Imu e Ici: i costi città per città. Le variazioni tra comune e comune. Le polemiche sui tempi del Caf Acli. Il livello dei rincari rispetto al passato. E le possibili modifiche.
21, 4 miliardi di euro. E’ questa la cifra (fonte: Sole 24 Ore) che la nuova imposta sulla casa, l’Imu, porterà nelle casse dello Stato e che inquieta i contribuenti italiani. Se da una parte la tassa che sostituisce l’Ici contribuirà in maniera determinante a rimettere in sesto i conti precari della finanza pubblica martoriata da un rapporto debito/pil che sfiora il 120%, il suo esordio viene percepito come una vera e propria stangata…..
LA STANGATA – Non è un caso. Il livello dei rincari, ai quali hanno contribuito l’aumento della base imponibile e la rivisitazione delle aliquote, è alto. Nel decreto di approvazione, il salva Italia di inizio dicembre, il governo ha ordinato l’aumento del 60% delle rendite catastali, ha fissato l’aliquota sulla prima casa al 4 per mille e ha fornito ai Comuni la possibilità di innalzare o abbassare (potranno decidere entro il 30 settembre) le stesse aliquote del 2 per mille. E le scelte di pochi sindaci che finora hanno deciso di far scattare le variazioni dell’aliquota fanno già capire che per i cittadini tira brutta aria e che l’aliquota nazionale verrà sensibilmente corretta al rialzo. In alcuni casi l’aliquota dell’Imu è stata alzata dal 4 al 5 o 5,5 per mille. Come riassumono le infografiche di Repubblica, a Roma la nuova tassa sulla casa potrebbe costare in media 178 euro in più (+ 38,6%) rispetto ai 461 euro della tariffa base. Per quanto riguarda la seconda casa l’incremento medio è di 479 euro (+34,1%).  Parma ha addirittura elevato l’aliquota al 6 per mille. Forlì al 5,5, Ravenna e Reggio Emilia al 5.  Le aliquote vengono corrette al rialzo anche per la seconda casa. L’aliquota base è fissata al 7,6 per mille, ma i Comuni possono intervenire aumentandola del 3 per mille, fino al 10,6. Roma, Parma, Firenze e Bologna hanno deciso di elevarla alla soglia massima possibile.
IL DOPPIO DELL’ICI – Il confronto con l’Ici è eloquente. La nuova tassa sulla casa costa più del doppio della vecchia imposta comunale sugli immobili se i comuni, come a Parma, decidono di alzare l’aliquota al massimo livello (6 per mille della rendita catastale). Per un appartamento di 50 metri quadrati si passerebbe, insomma, dai 203 euro circa del 2008 (ultimo anno dell’Ici) ai 409 euro di oggi. Per un appartamento di 100 metri quadrati, invece, dai 391 ai 793 euro. In alcuni casi si può arrivare al triplo rispetto alla vecchia Ici. Si paga di più anche semplicemente confrontando l’aliquota base. L’infografica del Corriere della Sera:

 
L’ALLARME – I centri di assistenza fiscale che aiutano ben 17 milioni di persone ogni anno a compilare il modello 730 e a versare le tasse sulla casa. E sono stati proprio i Caf, ieri, attraverso una lettera inviata dal presidente della loro consulta nazionale al ministero dell’Economia e delle Finanze, a lanciare l’allarme per il rischio caos che potrebbe accompagnare l’esordio dell’Imu, chiedendo un rinvio del pagamento della prima rata. I commercialisti popolari gestiti da sindacati e associazioni di categoria temono lunghe code agli sportelli (da quest’anno, infatti, chi paga Imu e 730 contestualmente dovrebbe pagare la tassa in un unica soluzione e non in due rate). Inoltre, non si conoscono ancora le aliquote Imu che adotteranno i sindaci. Il governo aveva imposto ai comuni di deliberare entro il 30 giugno, ma al Senato c’è un emendamento che lascia prevedere uno slittamento al 30 settembre. La data prevista per il primo versamento è il 18 giugno. Un’infografica del Sole 24 ore ripercorre le modifiche all’Imu in arrivo, e le correzioni bocciate.

 Fonte: finanzanostop