lunedì 31 ottobre 2011

CAPORETTO


E infine, anche questo lunedi 31 ottobre ce lo ricorderemo come uno dei più neri in assoluto. Dal giugno 2011 la pressione sull'Italia e i suoi titoli di stato non si è mai allentata, e dopo una piccola pausa, si sta scatenando in tutta la sua virulenza. Lo abbiamo ripetuto più volte: i nostri fondamentali non sono cambiati da un anno a questa parte, tuttavia il fuoco di fila della speculazione sui nostri titoli viaggia a vele spiegate. E' probabile che la BCE abbia smesso di acquisire titoli italiani sul mercato secondario per costringere Berlusconi alle dimissioni. E' una ipotesi già formulata dalle pagine di questo blog. In questo caso, il premier, una volta arrivati a quota 7% di rendimento sui titoli di stato, sarebbe obbligato alle dimissioni, perchè oltre tale quota lo stato è praticamente obbligato a dichiarare bancarotta. E' solo una ipotesi. Fatto sta che un paese avezzo ad amministrare il proprio debito pubblico senza eccessivi scossoni, con un sistema bancario una volta solido e ben patrimonializzato, si trova sull'orlo della disfatta. Ma, a questo punto, occorre mettere mano ad un piano B che si sperava non dovesse mai essere applicato. Vero è che Berlusconi deve dimettersi, ha ragione Montezemolo ad invocare un esecutivo di “salute pubblica”. Tutto questo è vero. E' altrettanto vero che non esiste nessuna manovra finanziaria in grado di fermare questo “effetto valanga” sul nostro paese, e quindi, ammesso che Berlusconi faccia il passo indietro, non è detto che questo solo fatto, di per sé, raffreddi la pressione sui nostri titoli. Allora il piano B consiste in qualcosa che, tra le tante amenità che pronuncia quotidianamente, il cavaliere ha già detto in questi ultimi giorni: minacciare una uscita dell'Italia dall'Euro. So bene che un ritorno alla valuta nazionale, la lira, provocherebbe una depressione economica senza pari, ma è altrettanto vero che i nostri amici europei non se lo potrebbero permettere. Germania e Francia non solo posseggono circa il 40% del nostro debito, ma le loro banche fanno un largo uso della cosiddetta “leva finanziaria”. La leva finanziaria è la quantità di attività e di operazioni che una banca svolge oltre il suo effettivo capitale. Se le banche italiane si attestano sui 10 punti circa, la francesi e tedesche sono tra i 30 e i 40 punti. Sono, di conseguenza, fortemente indebitate perchè svolgono attività ben al di sopra delle loro reali possibilità. Se l'Italia dovesse uscire dall'Euro, le banche tedesche e francesi fallirebbero una dopo l'altra nel giro di pochi mesi, e così i loro rispettivi paesi. Ecco perchè, con tutto il disprezzo di cui sono capaci, Germania e Francia cercano disperatamente di farci galleggiare. Non per amore, ma per necessità. La minaccia di uscita dalla moneta unica potrebbe essere utilizzata anche per un secondo, più grave, motivo. Se lo spread e il triste mercato dei CDS non si allentano, l'Europa sarebbe costretta a “salvarci” ricorrendo al fondo di stabilità. Il che si tradurrebbe in un salvataggio delle nostre banche. Ma la contropartita sarebbe una ristrutturazione “soft” del nostro debito, e quello delle nostre banche. Il che significherebbe coinvolgere i soggetti privati nel salvataggio, banche e risparmiatori, come me, come voi. I nostri titoli, di qualsiasi natura essi siano, subirebbero un haircut, un “taglio” del valore nominale del 20 – 25% per le obbligazioni “senior”, e il rischio del mancato rimborso per tutti quei prodotti strutturati come i derivati o le obbligazioni subordinate sarebbe una concreta prospettiva. Ecco perchè, per una volta, il nostro premier non ha commesso un errore mettendo in discussione l'Euro. Nessuno vuole seriamente abbandonare questa moneta, ma se i nostri amati partners giocano “sporco”, per distogliere l'attenzione dei mercati dalle loro magagne (soprattutto la Francia, che in realtà dovrebbe rischiare qualcosa più di noi) o per disarcionare Berlusconi, allora diventa necessario raccogliere la sfida e giocare pesante, con le loro stesse armi. L'UE, il FMI e la BCE sanno perfettamente che non basterebbero dieci manovre a placare i mercati, eppure continuano a chiedere all'Italia di affamare la sua popolazione, come accaduto per la Grecia. Noi non dobbiamo stare a questo gioco al massacro. Anche perchè servirebbe solo ad azzerare il nostro stato sociale e a far pagare i ceti più deboli. Bisogna uscire dal ricatto di una Europa che (per chi ha assistito alla trasmissione “Report” del 30 ottobre) è essa stessa protagonista del deterioramento del nostro asset economico finanziario. Sarebbe come chiedere dei sacrifici alla persona che hai appena solennemente bastonato. Se ne vada pure Berlusconi, ormai non può fare altro, ma, nella considerazione che a sinistra regna la più totale confusione di idee e di programmi, cominciamo ad entrare nell'ordine di idee che sventolare lo spauracchio di una uscita dall'Euro da parte dell'Italia potrebbe costituire un primo passo in avanti. Speriamo di non arrivare mai a tanto, ma rendiamoci conto che è l'unico sistema per uscire dal vicolo cieco nel quale ci hanno cacciato i nostri stessi partners, che invece di aiutarci seriamente ci hanno chiuso nell'angolo dell'indebitamento senza ritorno.


venerdì 28 ottobre 2011

WATERLOO DIETRO L'ANGOLO

Il mercato fa i conti, ed è facile capire che l’accordo fra Sarkozy e la Merkel va a penalizzare gli altri Paesi dell’eurozona, è chiaro che così l’Europa non va da nessuna parte.
Con la scusa di “salvare gli altri” la Francia cerca di rubacchiare qua e la per salvare se stessa, è evidente che, a questo punto, anche i transalpini fanno parte, a tutti gli effetti, di quell’Europa del Sud la cui crisi rischia di minare la sopravvivenza dell’euro.
A tal proposito, io invito tutti i lettori ad una riflessione: tutto il mondo parla apertamente della crisi dell’euro che, a sentire autorevoli commentatori, potrebbe essere sull’orlo di un baratro, bene allora come si spiega che ancora oggi vale quasi il 42% in più del dollaro?
I dati macro provenienti dagli Usa non hanno destato sorprese per quanto riguarda le spese personali, mentre è stato davvero confortante l’incremento, ben oltre le attese, dell’indice di fiducia del Michigan balzato a 60,90 punti.
Sul nostro Ftse Mib pesante il comparto bancario, le ricapitalizzazioni non saranno indolore in un momento in cui anche le fondazioni potrebbero essere in difficoltà, oggi forse abbiamo assistito solo ad un “assaggio”, staremo a vedere nelle prossime settimane le ripercussioni sui titoli quando saranno noti anche i particolari.
Un anno fa, il 21 ottobre 2010, pubblicavamo un articolo dal titolo “Parigi è un po’ “Piigs”, nel quale dicevamo che il debito d’Oltralpe non era da tripla A (il livello più alto di giudizio), perché il deficit primario aumentava, ma i francesi non sembravano preoccupati. Infatti, i conti pubblici hanno continuato a deteriorarsi. Oggi, la Francia rischia il downgrade. Lo spread (differenziale) rispetto ai titoli decennali tedeschi è passato dai 70 punti base di settembre a 115 (al 26 ottobre).
Cosa c’è di nuovo
Perché le agenzie di rating hanno lanciato il monito solo ora? “Ci sono due fatti nuovi”, spiega Fabrizio Quirighetti, capo economista e gestore obbligazionario di Banque Syz&Co, che già un anno fa aveva messo in guardia sulla situazione francese. “Nel 2010 il disavanzo aumentava, ma l’economia cresceva. Oggi Parigi ha dovuto rivedere le stime del Pil (Prodotto interno lordo) al ribasso e nello stesso tempo deve prendere misure di austerità per risanare i conti pubblici”. Insomma è entrata nello stesso circolo perverso di altri paesi occidentali fortemente indebitati: una minor crescita significa meno entrate per lo stato; provvedimenti fiscali restrittivi compromettono ulteriormente lo sviluppo. In più, c’è il problema delle banche, che hanno in pancia titoli dei Piigs (acronimo di Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna) e hanno bisogno di essere ricapitalizzate.
Se l’Italia è “too big to fail” (troppo grande per fallire), il caso della Francia è ancor più critico per il futuro dell’Eurozona, perché mina le possibilità di successo dell’European financial stability facility (il cosidetto fondo salva-stati), che necessita di garanti solidi. Per questo agenzie di rating e analisti aspettano di vedere che misure intenderà prendere il governo francese per il 2012 e di capire se dovrà correre in soccorso agli istituti di credito. Se la situazione si deteriorerà ulteriormente è sicuro che Parigi perda lo status di tripla A.


Se poi consideriamo la totalità dei titoli pubblici dei paesi a rischio come la Grecia, l'Italia, la Spagna, il Portogallo e l'Irlanda arriviamo ad una cifra record in mano alla Francia di 412 miliardi di euro.

Se l'Italia sarà quindi la seconda nazione dopo la Grecia a chiedere un piano di ristrutturazione del debito e il ricorso al fondo salvastati dell'UE, la terza non sarà la Spagna o il Portogallo, ma appunto la Francia.




Non a caso la prima banca europea a subire un tracollo e a chiedere un piano di salvataggio all'UE è stata la francese Dexia.

La Francia inoltre ha un tessuto economico basato soprattutto sulle grandi società e sulle multinazionali, che a differenza delle piccole e medie aziende italiane, hanno una maggiore propensione a ricorrere alla leva finanziaria per far quadrare i bilanci.

In un periodo di elevata volatilità dei mercati come questo, le grandi società francesi che hanno in cassa notevoli quantità di titoli azionari e titoli di stato esteri, sono sottoposte ad un continuo stress finanziario.


Questa strategia di accumulo aveva funzionato molto bene nel periodo in cui c'erano le premesse per un'espansione commerciale, perchè avere tanti titoli di stato di un paese straniero rappresentava un notevole vantaggio competitivo e una corsia preferenziale nei rapporti con la nazione in cui si voleva penetrare.





Pensiamo solamente all'invasione nei mercati italiani della grande distribuzione francese (Auchan, Carrefour e Leroy Merlin), alla scalata di Lactalis a Parmalat, alla fusione fra BNP Paribas e BNL, alla partecipazione di Air France in Alitalia, e all'accordo già raggiunto dall'EDF con il governo italiano per la costruzione delle sette centrali nucleari, stralciato poi dal referendum.

Paradossalmente adesso l'Italia ha il coltello dalla parte del manico, e utilizzando la minaccia dell'imminente fallimento, l'Italia potrebbe usare all'inverso la stessa strategia usata in passato dai francesi per ottenere agevolazioni commerciali in Francia.

Se il governo Berlusconi è un pugile alle corde, la Francia di Sarkozy è l'avversario a cui il pugile frastornato si è aggrappato al collo per non cadere; se fallimento sarà, Francia e Italia cadranno insieme.



Fonte: Trend-online - Diggita

A dire il vero la tripla A la dovrebbero perdere da oggi.  Sarkozy ha dichiarato: “se avessero lasciato cadere la Grecia, poi sarebbe toccato all’Italia”. No, caro Napoleone IV, non sarebbe toccato all’Italia, perché se l’Italia cade la prima a farne le spese è proprio la Francia, per le strette interconnessioni tra le nostre economie e per il fatto che le banche francesi rigurgitano di nostri titoli. Napoleone IV, accecato dal suo sciovinismo, dimentica che non ci sono soldi per salvare l’Italia, perchè se cade una economia complessa ed articolata come quella italiana, non solo implode l’Euro, ma si crea il collasso della finanza globale. In una parola, non ci trasciniamo dietro solo l’Europa, ma il mondo intero. Non esiste possibilità di default per l’Italia, l’Italia non è neppure lontanamente paragonabile alla Grecia, un paese non industrializzato, con una economia fortemente arretrata, una classe dirigente non solo corrotta ma che ha addirittura falsificato i bilanci a livello europeo. Il solo accostarci alla Grecia, da parte del novello Napoleone,  per il solo fatto di distogliere lo sguardo dei mercati da una deriva sicura del suo paese, è vile e puerile.


mercoledì 26 ottobre 2011

I SOTTERRANEI DI FRANCOFORTE


La domanda che ci poniamo sempre più di frequente è la seguente: per quale motivo un paese come l’Italia, che fino ad un mese fa era considerato non a rischio, con dei solidi fondamentali, con un sistema bancario ben strutturato, in grado di continuare a gestire un debito pubblico che si trascina, d’altronde, dalla nascita del Regno (1861) ai giorni nostri ad un alto livello, viene adesso bersagliata da un fuoco di fila anzitutto dalla Germania e dalla Francia, di conseguenza dai mercati e dagli speculatori internazionali, che fanno affari d’oro con i nostri titoli di stato, con strumenti impropri e da far west come gli hedge fund, e, dulcis in fundo, con i famigerati CDS (Credit default swap)? L’Italia è famosa nel mondo per l’abilità dimostrata dalla sua nascita ad oggi nel saper amministrare il proprio debito, anche se questo non significa che si debba persistere sulla strada del mantenimento di un debito sempre più pesante, ma non spiega l’identificazione del nostro paese come il “grande malato d’Europa”, il capro espiatorio che trascina l’Unione Europea alla rovina, all’esplosione dell’Euro, all’abisso della depressione economica. Ci domandiamo: che ne è della Spagna? Ha risanato i conti e raggiunto il pareggio di bilancio in un solo mese, senza un governo in carica? E che dire della Grecia, è stata assolta dal reato di falsificazione dei bilanci? E l’Irlanda, il Portogallo, il Belgio, la stessa Francia, che sta per veder schizzare lo spread tra i suoi titoli di stato e i bund tedeschi a livelli allarmanti, e il cui sistema bancario è più dissestato del nostro? E allora, a conti fatti, esiste una sola spiegazione, anzi due. La prima è che l’UE, la BCE e il FMI hanno deciso di sbarazzarsi di Berlusconi, dal momento che il popolo italiano non è stato in grado di farlo. Il primo motivo è dunque politico. Il secondo, ovvio, è quello di nascondere al mondo finanziario le proprie, enormi, magagne. Alla Francia dovrebbe essere attribuita una sola A, altro che tripla A, se le agenzie di rating conservassero un minimo di credibilità. Quanto alla Germania non cresce più come sperato, si è anzi fermata, logorata dal contagio del resto dell’Europa. Distogliere l’attenzione dai propri problemi indicando l’Italia quale causa di tutti i mali che affliggono l’Europa è un gioco infantile e vigliacco. Degno di una unione europea che esiste nelle carte ma non nelle menti dei cittadini e dei governanti. E’ una tattica sciocca e scarsamente lungimirante, in quanto il problema vero, per l’Italia, non è tanto e solo Berlusconi, quanto una intera classe politica non in grado di governare la crisi. Se pensiamo che l”esperto” di economia del PD è un signore che si chiama Fassino, c’è da augurarsi che Berlusconi rimanga in sella. L’Europa, lo abbiamo ripetuto più volte, è solo una espressione geografica (non politica!), in cui vige il sistema cannibalesco del tutti contro tutti. Con queste premesse non vorremmo essere nei panni di Draghi, impegnato nell’impresa impossibile di tenere insieme i pezzi della BCE. 

Riportiamo l’interessante intervista al Prof. Marco Fortis, economista e vicepresidente della fondazione Edison:
«È come se fosse scoppiata una guerra. Oggi ci sono bombardamenti che un anno fa non c’erano. La prima cosa da fare è dare l’allarme e correre nei rifugi anti-aerei. In Italia, invece, si pretende di stare all’aperto mentre cadono le bombe, mentre andrebbero prese decisioni da tempi di guerra, perché rispetto a un anno fa ora lo spread Btp-Bund viaggia sempre intorno ai 400 punti base, superando quello tra titoli di stato spagnoli e tedeschi. Siamo diventati il pungiball europeo al posto della Spagna, che fino a pochi mesi fa sembrava un Paese sul lastrico e adesso pare già uscito dalla crisi, mentre noi ci siamo dentro in pieno. Dobbiamo chiederci come mai è successo questo». Usa un’immagine bellica il Professor Marco Fortis, economista e Vicepresidente della Fondazione Edison, per descrivere il cambiamento di scenario avvenuto nel nostro Paese rispetto a meno di un anno fa, quando si pensava e scriveva che una crisi o un cambio di governo (ipotesi che si paventano anche in queste ore) potevano rivelarsi letali per l’Italia. La metafora della guerra sembra funzionare anche per descrivere lo scenario dei rapporti con i partner europei, visti gli ultimatum e le inopportune risate rivolte verso il nostro Paese dall’estero.

Professore, cosa sta succedendo in Italia? La situazione a livello economico è davvero così grave?
Il vero problema è che l’Italia appare come un vaso di ferro che ha i manici di coccio, nel senso che mentre l’economia dà segnali molto buoni, la nostra credibilità internazionale ha subito una caduta verticale, a causa della mancanza di autorevolezza del governo. Tanto più che ci troviamo nel pieno di una guerra finanziaria dove tutti cercano di apparire più bravi degli altri per poter collocare i propri titoli di stato a scapito di quelli altrui. E cosi ci tocca sentir dire che l’Italia è il vero problema dell’Europa. Questo è veramente inaccettabile. Credo quindi che sia da stigmatizzare sia l’atteggiamento irresponsabile di Merkel e Sarkozy, che cercano di buttare una croce sull’Italia per nascondere i loro problemi, sia l’atteggiamento da dilettanti allo sbaraglio che sta offrendo in questo momento il nostro esecutivo. 
Di che cosa è colpevole in particolare il governo?
Sapendo che hai tutti i riflettori puntati addosso non può non prendere decisioni rapide e importanti. Visto che ha già approvato la manovra finanziaria che mette al sicuro i conti pubblici, ora potrebbe mettere in campo qualche iniziativa ai fini della crescita, come quella di ridurre gli oneri contributivi non pensionistici per le imprese (che potrebbero portare a un aumento del Pil dello 0,3-0,4%), così come attivare qualche iniziativa in tema di liberalizzazioni o abbassare la soglia dei pagamenti in contanti a 500 euro per cercare di limitare l’evasione fiscale. Non mi pare che si tratti di misure così sconvolgenti da non poter essere adottate.
Il punto critico sembra essere rappresentato però dalle pensioni. 
La riforma potrebbe essere fatta meglio e con costi minori rispetto agli altri paesi, avendo per primi dei risultati importanti in termini di minor debito pubblico futuro e recupero di risorse che potrebbero essere destinate ad altri scopi. Se non altro, per esempio, per aiutare i giovani e tutti coloro che sono svantaggiati da un sistema pensionistico che in fondo è stato costruito per mantenere delle caste di privilegiati che hanno smesso di lavorare anche prima di aver compiuto 50 anni.
Prima ha parlato di atteggiamento irresponsabile da parte dei capi di Stato di Francia e Germania. Pensa che stiano puntando apposta il dito contro l’Italia?
Sicuramente stanno esagerando e giostrando sulle nostre disgrazie per nascondere le loro, in particolare le condizioni delle banche che sembrano degli zombie. Se Parigi dovesse salvare le proprie, il suo rapporto debito/Pil supererebbe quello dell’Italia. La Francia, inoltre, cresce meno di noi: nel secondo trimestre del 2011 ha avuto una crescita zero del Pil, mentre per noi è stata dello 0,3%. Bisognerebbe quindi avere la necessaria autorevolezza per ribattere alle critiche infondate, perché non possiamo essere trattati come i greci. Credo che siamo arrivati a un momento topico: o il governo dimostra di essere in grado di prendere decisioni importanti, al limite rischiando di essere abbandonato dalla propria maggioranza, ma almeno salvando la faccia, oppure si deve andare a elezioni anticipate o affidare a Napolitano il compito di prendere una decisione, magari per arrivare a un governo tecnico o di larghe intese per gestire l’emergenza. 
Se i numeri della nostra economia non sono inferiori a quelli degli altri paesi europei, non potrebbe bastare “sbandierarli” per recuperare credibilità?
Credo che sia inutile farsi illusioni: gli investitori internazionali stanno dicendo che non abbiamo più credibilità, ma non che l’economia italiana è in condizioni pietose. Stanno dicendo che il sistema è mal governato. Occorre un cambio di passo deciso, ma dubito che entro la scadenza dettata dall’Ue arriveranno riforme così rilevanti da tacitare tutti. Il problema sono quei veti incrociati interni alla maggioranza e quelle promesse della campagna elettorale che non si possono tradire a non permettere alcuna decisione importante. Penso che gran parte dell’elettorato di centrodestra (anche al Nord) sia oggi disposta a fare sacrifici se le vengono spiegate le ragioni per cui le sono richiesti.
Quale sarebbe il costo per l’economia reale derivante dal perdurare di una situazione di questo tipo, senza che vengano adottate misure o riforme? 
Quella parte di Paese che ce l’ha sempre fatta con i propri mezzi, quella delle imprese ben capitalizzate che non hanno bisogno di finanziamenti delle banche per investire e crescere e che sta trainando il nostro export, andrà avanti. Però c’è una parte di imprese un po’ meno forti che non possiamo trascurare e che ha bisogno dei finanziamenti delle banche. Una crisi dei debiti sovrani e bancari come quella stiamo vivendo, con i problemi legati alle ricapitalizzazione delle banche e ai nuovi coefficienti patrimoniali, ci sta portando a un nuovo credit crunch. Dato che abbiamo già avuto una “pelatura” di aziende marginali con lo scoppio della crisi, se ora facessimo "scremare" un’ulteriore fetta di imprese che non riescono più a finanziarsi finiremmo col fare harakiri. 
(Lorenzo Torrisi- Il Sussidiario.net)












domenica 23 ottobre 2011

NAPOLEONE IV ALL'ELISEO

Il vertice di Bruxelles del 23 ottobre. Il riso di scherno intercorso tra Sarkozy e Angela Merkel è “il foglio di via” per dirla con Fini, per il governo Berlusconi.  Apparentemente le cose non possono che stare così. Tuttavia, il cenno di intesa tra la Merkel  e Sarkozy merita qualche approfondimento. Anzitutto, si tratta di un episodio, a leggerlo attentamente, di considerevole gravità. Ora, sappiamo tutti, ne siamo consapevoli, che l’Italia, nel mondo intero, accomunata al suo premier Berlusconi, non gode della massima stima e considerazione. Per il largo pubblico, quello che legge i “tabloid”, è facile accomunare  una popolazione intera con le abitudini non proprio ortodosse del suo leader, e con i guai, anch’essi cospicui, giudiziari che lo hanno da sempre contraddistinto. Ma che due leader delle prime economie europee, in una circostanza ufficiale, il vertice di Bruxelles, durante una conferenza stampa, davanti al mondo, ammicchino e sorridano schernendo con il Cavaliere un paese intero, è francamente troppo. Si è passato il segno. Credo sia ovvio per tutti che Berlusconi debba fare un passo indietro, non per lasciare il testimone ad una sinistra in completa confusione, ma per creare un governo di transizione (eventualmente anche un Berlusconi II), un governo tecnico, o, al limite, annunciare nuove consultazioni elettorali. L’accanimento contro l’Italia, spinto al punto di paragonare il nostro paese alla Grecia, cosa che sia la Merkel e Sarkozy hanno puntualmente fatto, è cosa da far rabbrividire. Le realtà economico finanziarie di Italia e Grecia sono semplicemente imparagonabili. E poi, che dire della Spagna? Perché nessuno fa mai raccomandazioni ad un paese che versa in una crisi dello stato e delle banche peggiore della nostra? Si conferma una assurda tripla “A” alla Francia (fuori da ogni realtà), si conferma il giudizio del Belgio, un paese in una situazione non migliore della nostra, si plaude alla resurrezione dell’Irlanda (compiuta anche sulla pelle dei nostri risparmiatori), e all’Italia non si riservano che rampogne, la si accusa continuamente di essere il cuore del problema dell’Euro. Chiaramente questo scenario non rispecchia la realtà, e allora, l’unica conclusione possibile, è che il direttorio franco-tedesco e l’UE intera (accanto alla BCE e al FMI) abbiano in comune un solo obiettivo: eliminare Berlusconi, identificato ormai come l’unico artefice del problema del debito italiano e dei guai che passa l’Europa intera. Non è così, ovviamente, anche se dobbiamo ammettere tutti che Berlusconi , un Berlusconi vistosamente alle corde, che ha perduto interesse nel suo mandato, e che sembra un pugile suonato che brancola nel buio, è uno spettacolo avvilente. Troppe polemiche, troppi carichi pendenti con la giustizia, troppe situazioni al limite della decenza  hanno definitivamente appannato la sua immagine. La colpa di Berlusconi è stata, nella circostanza, quella di andare al vertice di Bruxelles con nulla, assolutamente nulla in mano. Davanti alla sua disarmante ignavia, la Merkel e Sarkozy non potevano fare altro che dargli una sonora tirata di orecchie. E questo va bene. Quello che non va bene e che due capi di stato, parlando di Berlusconi ma anche dell’Italia, si scabino una occhiata di intesa, ammicchino, e presentino un sorrisino di scherno che sottende: “Beh, insomma lo sapete come è Berlusconi, come sono fatti gli italiani, sono italiani, applicano il rigore all’italiana.” E’ giusto prendersela con un premier che, come abbiamo più volte ripetuto, rotolerà nella polvere trascinandosi dietro l’intero paese, ma è altrettanto giustificabile sottolineare che il panorama politico italiano non offre un solo nome in grado di fronteggiare la presente emergenza. Purtroppo, a destra come a sinistra, questa è la classe politica che abbiamo prodotto, occorre prenderne atto. Non possiamo accettare che una Germani a  che senza Euro conoscerebbe non la stagnazione, ma la recessione, e una Francia che nella stagnazione già si trova, si prendano il lusso di prendere in giro, in una circostanza ufficiale, un paese dell’Unione Europea. Questo non lo possiamo tollerare. La Merkel può avere diverse circostanze attenuanti, nella fattispecie, e passi, ma Sarkozy no, da un signore come Sarkozy non accettiamo lezioni di alcun tipo. Questo piccolo Napoleone  IV, ridottosi al rango di lacchè della Germania, premuroso e prono nei confronti della Merkel, capace di non essere presente al parto del proprio figlio per non lasciare la mano di una leader di un altro paese, tutto preso nel blandirla e giurarle fedeltà, questo sì è uno  spettacolo ridicolo. Napoleone IV si illude così di salvare la Francia dall’ingresso nel gruppo dei paesi periferici dell’Euro, senza capire che è nell’ordine delle cose, nei conti dello stato, e soprattutto nei ventri delle sue stesse banche che si sta preparando il crollo dello stato francese. La Germania resterà sola nel club dei paesi virtuosi, e dovrà, a questo punto, scendere a più miti consigli con i paesi fino a quel momento disprezzati e trattati con paternalistica benevolenza, come gettando un osso ad  un cane. “Nessuno è autorizzato a ridicolizzare l'Italia, neanche di fronte agli evidenti e imbarazzanti ritardi con cui Berlusconi affronta la crisi. Non mi è piaciuto il sorriso sarcastico di Sarkozy e credo che per lui sia il momento di dimostrare equilibrio all'altezza delle sue responsabilità". Queste parole sono appena state scritte sul suo blog dall’on. Casini. Le sottoscriviamo pienamente. Quanto a Napoleone IV, si accorgerà presto che fare il cavalier servente, il baciapile di madame Merkel, non gli servirà a salvare il suo paese dallo spietato giudizio dei mercati e degli investitori. Quando falliranno le prossime banche francesi, e lo spread tra titoli francesi e bund tedeschi salirà a livelli preoccupanti, torneranno alla sua memoria le sorti dei suoi illustri predecessori, soprattutto Napoleone I, e capirà che lo sciovinismo, di questi tempi, è completamente fuori luogo.
"Mentre lo spread tra Bund e Btp italiani si mantiene pericolosamente sui massimi e vicino alla soglia limite dei 400 punti, inizia a preoccupare in maniera concreta anche lo spread tra Bund e titoli di stato francesi.
Lo spread tra i titoli di stato decennali francesi e tedeschi è ai massimi livelli e sta schizzando verso l'alto.
Non è un bel segnale per la Francia e per i mercati finanziari europei.
Sarkozy riderà anche dell'Italia e del nostro governo, ma se guardasse anche a casa sua avrebbe meno da ridere.
Se volete monitorare la situaizone ( e magari farvi due risate ):
Gabriele Belelli (Traderlink)
Trichet stesso, nell’uscire dall’Eurotower, ha ricordato a tutti che non ci sono paesi di serie A o B, che si esce tutti insieme, tutti e 17 dalla crisi, o si precipiterà, ancora tutti insieme, nel vortice della Depressione.
















venerdì 21 ottobre 2011

TRICHET E IL MISTERO DELLA TRIPLA "A" (della Francia)


Nel congedarsi dalla scena dell’Eurotower, Jean Claude Trichet ha pronunciato uno dei suoi discorsi migliori, tenendosi a debita distanza dalla retorica, con uno stile secco e asciutto ha semplicemente constatato che l’unica via di uscita, non dalla crisi (che non ha vie d’uscita) ma di gestione della crisi risiede unicamente in una maggiore collegialità europea, una governance comune in economia e finanza, magari auspicando la figura di un super ministro delle finanze europeo. Constatando, senza dirlo apertamente, che la crisi è ormai nel cuore dell’Europa, che la distinzioni tra il club dei paesi dalla tripla “A” e paesi periferici è nei fatti caduta, che paesi come la Francia sono vistosamente sopravvalutati (altro che tripla A). La Germania è rimasta l’unico paese a mantenere una economia tuttora solida. Ma la Germania senza euro e senza il resto dell’Europa avrebbe il fiato corto. Va da sé che o la crisi si amministra insieme, oppure, se si prosegue nella strada degli interessi particolari, siamo predestinati all’ingresso in un nuovo medioevo. Non gli ultimi della classe, le tanto vituperate Spagna e Italia, ma anche Belgio, Olanda, Austria, Regno Unito (il cui sistema bancario sta dando seri cenni di cedimento). O se ne esce insieme o non se ne esce. E’ una constatazione ovvia, ne convengo, ma credo che Trichet bene abbia fatto a ribadirlo un’ultima volta.
E, tanto per rinfrescarci un po’ la memoria, ricordiamo i due problemi fondamentali che le nostre banche (la fase 3 della crisi) si trovano a fronteggiare. Il primo problema è il cosiddetto “funding”, il finanziamento, i nostri istituti di credito sono poco patrimonializzati, hanno bisogno di aumenti di capitale e quindi di liquidità di difficile reperimento. Il secondo, ben più complesso, è il “deleveraging”.
Deleveraging: uno dei problemi delle istituzioni finanziarie oggi è quella di un troppo elevato livello di indebitamento (in inglese  si parla di leverage elevato). Da questo ha origine l’esigenza di un deleveraging, cioè di una riduzione del suo livello. Ora, un’operazione di questo genere si può fare, nella sostanza,  o aumentando il capitale sociale, o riducendo il livello dei prestiti alla clientela. La prima operazione appare difficile perchè mancano i soldi, l’altra comporta gravi difficoltà per l’economia reale. In questo momento è molto forte, tra l’altro,  l’intervento pubblico, con l’immissione nelle banche in crisi di rilevanti risorse di capitale.
Un'ultima postilla intorno ad uno strumento che è stato alla radice delle cause dello sfacelo finanziario cui stiamo assistendo: parliamo dei famigerati HEDGE FUND. Vediamo, intanto, cosa sono.
Una definizione appropriata di Hedge Fund potrebbe essere: "Qualsiasi fondo che non sia un convenzionale fondo d'investimento"; in altri termini qualsiasi fondo che utilizzi una strategia o una serie di strategie diverse dal semplice acquisto di obbligazioni, azioni (fondi comuni d'investimento a capitale variabile - mutual funds) e titoli di credito (money market funds) e il cui scopo è il raggiungimento di un rendimento assoluto e non in relazione ad un benchmark.
Gli Hedge Fund vengono di volta in volta indicati come strumenti di investimento alternativi, fondi speculativi, fondi di fondi, sempre in contrapposizione con le forme di gestione dei risparmio di tipo tradizionale, regolate da leggi e regolamenti specifici che ne limitano l'operatività e il rischio.
Il termine anglosassone "hedge" significa letteralmente copertura, protezione e, in effetti, questi fondi nascono proprio con l'intento di gestire il patrimonio eliminando in gran parte il rischio di mercato. La filosofia degli Hedge Fund è quella di ottenere risultati di gestione positivi indipendentemente dall'andamento dei mercati finanziari in cui operano.Ora, è chiaro per tutti che finchè simili strumenti non saranno soggetti ad alcun tipo di regolamento, continueranno la loro scellerata opera di smantellamento dei mercati e delle borse.
Trichet come De Gasperi: Per uscire dalla crisi è necessario che i Paesi europei uniscano le loro economie.
SE L'UNIONE EUROPEA vuole davvero impegnarsi a superare la crisi e rafforzare le proprie economie, deve provvedere al più presto alla creazione di una vera e solida unione economica tra gli stati, in grado di svolgere mansioni di "rigorosa sorveglianza sia delle politiche fiscali che delle politiche per la competitivita'" dei singoli Stati.
QUESTO QUANTO SUGGERITO da Jean-Claude Trichet, presidente uscente della Bce, nel discorso tenuto a Francoforte in occasione della cerimonia ufficiale per il suo addio all'Eurotower.
SECONDO TRICHET l'Unione europea deve muoversi in fretta, creando, nel più breve tempo possibile, un supporto operativo, che agisca nell'economia e nella finanza.
C’E BISOGNO di qualcuno che abbia responsabilità dirette in almeno tre campi, il primo riguarda la rigorosa sorveglianza delle politiche fiscali e di competitività, campo in cui deve avere la possibilità, in casi eccezionali, di prendere decisioni applicabili nell’immediato, soprattutto, in merito alle economie degli Stati che potrebbero mettere a repentaglio la stabilità finanziaria dell’intera Europa.
IL SECONDO CAMPO riguarda la volontà di realizzare una piena integrazione nei servizi finanziari ed il terzo deve rappresentare l'unione nelle istituzioni finanziarie internazionali.
NEGLI AUGURI RIVOLTI a Draghi, suo successore alla Bce, Trichet,si è lasciato andare ad una citazione di De Gasperi: "la volontà di realizzare l'Unione deve essere il fatto determinante, la forza di propulsione".
Lo aveva augurato a suo tempo De Gasperi all’Italia, oggi lo augura Trichet all’Europa.
Di contro, i tre porcellini, le tre agenzie di rating che continuano a sparare giudizi a ripetizione, come un disco rotto. Non possiedono la minima affidabilità, vivono un palese e sfrontato conflitto di interessi, sbagliano continuamente (come spiegare il mantenimento della tripla A alla Francia, o il giudizio stabile sul Belgio che si è appena svenato per salvare il gruppo Dexia), quando ci decideremo a ridurle al silenzio?
IL COMMISSARIO EUROPEO, Michel Barnier, lancia gravi accuse verso le agenzie di rating definendole, addirittura, una delle cause principali della crisi.

A NOVEMBRE, preannuncia, che sarà presentata una nuova regolamentazione al fine di evitare valutazioni sbagliate, molto spesso fatte senza giusta cognizione, ma che, purtroppo, non fanno altro che aggravare la situazione.

IN CONFERENZA STAMPA a Bruxelles, Michel Barnier, ha affermato che le agenzie di rating sono una delle cause della crisi, non hanno saputo anticiparla, non hanno dato il giusto rating ai prodotti, hanno fatto valutazioni sbagliate che hanno però



prodotto un effetto deleterio per l’Europa.

BARNIER VORREBBE IMPEDIRE alle tre agenzie di esprimere giudizi negativi nei confronti dei rating dei Paesi europei più vulnerabili.

UN GIUDIZIO NEGATIVO emesso contro un Paese "in un momento inopportuno", quando ad esempio lo stesso Paese è in trattative per ricevere aiuti dal fondo salva stati dell'Ue o dal Fmi, produce solo "effetti negativi per la stabilità finanziaria del paese e possibili conseguenze destabilizzanti per l'economia globale". Vediamo, tanto per intenderci, la definizione stessa di “rating” cosa recita:
Rating (classificazione, o votazione ) le agenzie di rating forniscono, senza richiesta alcuna da parte del soggetto sottoposto ad analisi, sia esso uno stato sovrano, un ente pubblico, locale, un istituto di credito, una società ecc., una valutazione della qualità dei titoli che saranno emessi o sono stati emessi da tali enti; la valutazione può cambiare nel tempo. Uno degli aspetti dello scatenamento della crisi attuale è stata costituita dal fatto che le agenzie hanno dato una valutazione troppo ottimistica dei titoli derivati dai prestiti sub-prime. Una delle ragioni dei pessimi risultati ottenuti da tali agenzie risiede nel fatto che esse vengono pagate dagli stessi enti che devono sottoporre a giudizio di affidabilità, trovandosi quindi in un rilevante conflitto di interessi. Non occorre aggiungere altro.
Fonti: trend-online, professionefinanza.com


lunedì 17 ottobre 2011

QUANDO LA CRISI E' DENTRO DI NOI

Abbiamo più volte parlato dell'evoluzione della crisi (che ormai perdura, inasprendosi sempre più, da quattro anni) nelle nostre coscienze, nella vita di tutti i giorni nelle relazioni interpersonali. E' più che ovvio che una contrazione mondiale di questa portata, che si protrarrà  per alcuni decenni, reca con sé un doloroso fardello psicologico e comportamentale. Ad una prima fase, contraddistinta dalla bolla immobiliare americana, dai mutui subprime, dal fallimento delle prime banche statunitensi, ha fatto seguito quella del debito sovrano europea, ed ora, da qualche tempo, è emersa la crisi di liquidità delle banche, sempre più a rischio fallimento. Nell'imboccare questa terza fase, e sull'onda degli “indignatos” spagnoli (ma soprattutto greci), ha fatto riscontro in tutto il mondo, non solo occidentale, una ondata di proteste e contestazioni giovanili con qualche accento (si veda il caso italiano) di violenza cieca e indiscriminata. Era un passaggio che tutti ci attendevamo: è più che naturale che i disoccupati di oggi, ma soprattutto di domani, comincino ad alzare la testa e sollevare lo sguardo oltre il tenue velo protettivo delle rispettive famiglie. Il futuro non si vede, c'è solo incertezza, indeterminazione, una nebbia assoluta con un solo dato sicuro: lo stato è indebitato per una somma ben superiore al PIL. Chi salderà questo conto che prima o poi la storia ci presenterà per intero? Hanno ragione, dunque, a protestare, i giovani delle piazze d'Europa, ma per il momento mancano loro alcuni elementi essenziali che fanno di una protesta spontaneistica, un movimento coordinato ed in grado di essere addirittura propositivo.
Al momento le contestazioni sono afinalistiche: non hanno cioè un obiettivo preciso, e questo per due ragioni. Le motivazioni della presente contrazione mondiale sono molteplici e articolate, non è possibile radunarle in pochi, elementari, sintetici principi. Gli studenti e i giovani senza lavoro che manifestano non hanno in generale, una solida preparazione economico finanziaria. A dire il vero, sembra che non la posseggano neppure alcuni dei loro stessi docenti di economia. A giudicare dalla serie di corbellerie che si sentono pronunciare in TV e sulla stampa. Ognuno vede solo il proprio pezzetto di crisi, non è in grado di elaborare una sintesi globale e complessa delle vicende che ci hanno condotto fin qui. La seconda ragione è che manca a questa moltitudine di giovani una copertura ideologica, politica. Non sembri un particolare trascurabile. Senza una ideologia portante, magari anche utopistica, non si va da nessuna parte perchè viene a mancare il volano, la spinta propulsiva per seguitare. Non si fa proselitismo, non si ha potere di traino senza un pensiero politico. Il problema è che, anche in questo caso, le università, che dovrebbero essere le fucine di tale pensiero,  non sembrano in grado di fornire alcunchè, se non poche idee e confuse. Una volta definitivamente sconfitto dalla realtà dei fatti storici il marxismo  e la sua applicazione maldestra alla realtà politica, non si scorgono alternative al sistema capitalistico. Il quale ha sì trionfato in tutto il mondo e permeato di sé tutte le economie, ma non ha sviluppato gli anticorpi per dirimere le sue contraddizioni, per risolvere i problemi nati dalla sua stessa involuzione. Nessun pensatore o filosofo della politica ha sviluppato, dalla caduta del muro di Berlino in poi, un pensiero  antagonista, una ideologia alternativa al capitalismo. E si capisce il perchè. Il capitalismo, per sua stessa natura, fa appello agli aspetti più bassi e istintivi dell'essere umano: il profitto personale, l'individualismo non solidale, il denaro come valore assoluto. Ci siamo pasciuti nell'illusione che si trattasse, per questi motivi, del migliore dei sistemi possibili, senza occuparci del fatto che si venivano a creare nel mondo enormi sacche di povertà, di miseria, di fame e di morte. Non abbiamo considerato che un mercato senza regole, abbandonato a se stesso, avrebbe finito col travalicare lo stesso dato politico e la finanza avrebbe potuto, come ha fatto, condizionare le stesse scelte politiche. Così, a cominciare dagli anni novanta, qualche giovanotto con una discreta cultura finanziaria, ha cominciato a giocare con le borse ed i mercati come se giocasse al Monopoli, non considerando, che in questo modo, piano piano, i nodi sarebbero arrivati al pettine, e qualcuno, più d’uno, sarebbe rimasto, alla fine della catena, col cerino in mano. Facciamo un esempio banale: ho un credito a rischio di esigibilità, una “sofferenza” come si dice, me ne voglio liberare e lo vendo sottocosto ad un acquirente che lo trasforma in un titolo, una obbligazione. Il rischio viene spostato su colui che acquisterà tale obbligazione, che avrà un rendimento alto, appetibile, ma che esporrà fatalmente l'acquirente ad un rischio elevato. Trattandosi in genere, di prodotti subordinati o strutturati, alla scadenza di tale obbligazione, se il primo debitore sarà insolvente, nulla potrà esigere l'ultimo acquirente, che non si vedrà rimborsare un bel nulla o una minima parte di quello che ha prestato con l'obbligazione. L'acquisitore di mezzo non correrà alcun rischio, avendolo spostato su chi ha acquisito il titolo subordinato. Su questo principio si basano buona parte dei cosiddetti “derivati”.
Chiusa questa piccola parentesi, se il neo nato movimento di “indignados” non saprà darsi delle buone basi ideologiche rischierà di cadere nella dispersione e nell'inconcludenza. Ma, come già accennato, per pervenire ad una ideologia che abbia anche un versante economico e politico, occorre prima compiere una serrata disamina degli avvenimenti e delle circostanze che ci hanno condotto fino a questo punto. Non è facile, ma, da che mondo è mondo, bisogna partire dalle Università, e dagli studi che sapranno portare avanti studenti e docenti. In un post di qualche tempo fa, l'”Autonomia possibile”, avevo brevemente descritto la situazione (non paragonabile a quella attuale) che aveva visto nascere il movimento degli anni settanta. Tralasciando, ovviamente, la deriva terroristica, sempre condannabile, il percorso ideologico della cosiddetta “Autonomia Operaia”, se non fosse stato bruscamente interrotto dalla morte di Aldo Moro, lasciava intravvedere interessanti sviluppi per il futuro. Abbandonato gradualmente il marxismo di fondo, facendo piuttosto riferimento a  agli scritti giovanili di Marx, si andava formando un pensiero che conciliava istanze peculiari della  sinistra con quelle sociali e più progredite della destra. Si tratta di uno sfondo ideologico che ritengo interessante per gli anni a venire, sarebbe un po' come riprendere un cammino interrotto. Sul versante, viceversa, economico, sarebbe bene guardare  con attenzione a quello che un po' genericamente si definisce “finanza etica”, che, sebbene ancora in nuce, comincia a sviluppare i primi concetti di una riforma del capitalismo “dal di dentro”, mitigando il conseguimento del profitto con finalità più attente al “sociale” e più rivolte ai reali bisogni delle persone. Le Banche Etiche sono un realtà anche nel nostro paese, per quanto siano costrette ad operare ancora in un ambito ostile e poco collaborativo. Non possiamo pensare di scardinare il capitalismo e le sue distorsioni, non al momento. E' inverosimile una rivoluzione anticapitalista che non saprebbe dove approdare. Non esiste alcun modello economico sociale diverso da quello attuale. I tempi non sono maturi per comprendere ancora quale sistema succederà al liberismo. Per adesso possiamo solo cercare di analizzare nel modo più approfondito possibile le molteplici cause che ci hanno condotto a questo punto e gettare le fondamenta di un pensiero alternativo al modello di finanza attuale e di una ideologia che possa, in economia, soppiantare il fallimentare neoliberismo. 

Un’ultima considerazione, a margine. Non sono tra quelli che hanno esultato alla fiducia votata in Parlamento al governo Berlusconi, ma, allo stesso tempo, devo rilevare che andare a nuove elezioni, in questo preciso momento storico, sarebbe assai rischioso. Il gioco non varrebbe la candela. Sei mesi di campagna elettorale, con le istituzioni semiparalizzate dalle diatribe politiche, non costituirebbe un segnale troppo positivo a mercati e investitori. Se poi si considera che, per dirla con Crozza, il PD di giorno vuole sfiduciare Berlusconi e la sera prega la Madonna che il premier arrivi al 2013, perché se così non fosse gli toccherebbe governare, è facile pervenire alle conclusioni. E allora Crozza, tra il serio e il faceto, ha detto una grossa verità: Non esiste nel PD e nell’opposizione in generale, un solo esponente in grado di fornire elementi nuovi alla risoluzione della crisi. Il fatto che l’opposizione sia priva di idee vincenti è una verità lampante per tutti. Anche per questa ragione l’antiberlusconismo, in Italia, non ha ancora assunto toni troppo accesi. Posto che un governo di “larghe intese” appare ancora più irrealizzabile (e non condurrebbe a nulla di nuovo) solo la soluzione del “governo tecnico” potrebbe costituire una novità degna di nota. Ma dal momento che anche questa soluzione appare poco praticabile, tutto considerato, temo che ci convenga (per ora) conservare, nella speranza che si occupi più di economia e meno di giustizia, l’attuale governo.












sabato 15 ottobre 2011

SE PER L'ANSA SIAMO DEI "TRAVET"

Sarà purtroppo sfuggito a molti un lancio dell’Ansa, la più prestigiosa (almeno fino a ieri) agenzia di informazione italiana. La notizia, pubblicata su internet ipotizzava un taglio relativo ai buoni pasto destinati ai “travet”, sì, avete letto bene, hanno utilizzato il termine “travet” per indicare i dipendenti pubblici. Sembra un dato irrilevante, e invece credo sia bene soffermarci un attimo. “Travet” è una parola di origine francese, poi inglobata nel vocabolario torinese, intorno al 1905, per connotare: “Impiegato diligente e puntuale, spec. con valore iron. o spreg.” (dal dizionario Sabatini Coletti). Oltre ad una pièce teatrale, ha ispirato un bellissimo film di Mario Soldati, interpretato da un Carlo Campanini in stato di grazia.  Ignazio Travet, il protagonista, è un impiegato pubblico che ritiene appunto di avere trovato "il posto sicuro" e soprattutto decoroso, ma in realtà non è altro che un umile impiegato che, per quanto laborioso sia, è sempre maltrattato. Tale raffigurazione non piacque al folto numero di impiegati statali che fischiò l'opera durante la prima; ma in seguito essa ebbe un grande successo, e il nome del protagonista (letteralmente Travicello) entrò nella lingua italiana ad indicare un impiegatuccio vessato. Ora, se una agenzia di informazione asettica e indipendente, quale dovrebbe essere l’ANSA, utilizza un termine chiaramente dispregiativo per indicare il pubblico dipendente, significa che qualcosa, in questo paese, è mutato, e non solo nel pubblico impiego. Diciassette anni di berlusconismo hanno, tra l’altro, prodotto anche questo. I dipendenti statali sono abituati a prendere schiaffi da ogni parte: a cominciare dal loro stravagante ministro, il primo ad utilizzare un linguaggio aggressivo e vessatorio nei confronti dei suoi amministrati. E allora, da Brunetta, primo responsabile, in poi, si è fatta strada nel paese l’idea che impiegato pubblico sia sinonimo di: cialtrone, fannullone, ottuso nullafacente, persona che svolge compiti meramente esecutivi, mangiapane a ufo, attaccato visceralmente al proprio posto di lavoro quasi fosse una miniera d’oro, una fonte redittuale inesauribile. Agli schiaffi, i dipendenti pubblici ci hanno fatto il callo, solo non si sarebbero attesi che tra gli schiaffeggiatori di turno questa volta ci fosse anche una agenzia di stampa, che utilizzando questa parola per indicare gli statali prende clamorosamente posizione a favore del pensiero (se così si può definire) berlusconiano. Vediamo di ristabilire, con buona pace dei signori dell’Ansa, come stanno le cose. I dipendenti pubblici sono un esercito variegato di persone che svolgono i compiti più disparati e nelle realtà più disparate. Esistono le sacche di privilegio, gli enti pubblici o sovvenzionati dallo stato, perfettamente inutili, ma mai soppressi non per accontentare la bramosia di posto fisso del povero “travet”, ma per mantenere i dirigenti raccomandati nelle loro rendite di posizione. I cosiddetti boiardi di stato. Esistono viceversa realtà (come quella scolastica), dove il “travet” svolge i compiti che fino a dieci anni fa erano disbrigati da tre persone, avendo continuamente a che fare con le “molestie burocratiche” che arrivano da ogni parte, fondando il proprio lavoro, per buona parte, sul puro e semplice “volontariato”. Ma per l’Ansa, come per buona parte del paese (i liberi professionisti, i farmacisti, gli avvocati, i commercialisti, i notai, gli imprenditori)un travet rimane un travet, un omuncolo pieno di limiti, con poche risorse  e poca sensibilità, una macchina con le mezze maniche e la penna d’oca che può al massimo fare il copista, o, al limite, eseguire i compiti assegnati da un dirigente in grado di possedere una mente pensante. Questo ha fatto il berlusconismo. E invece, a ben vedere, i travet sono utili per almeno un paio di cose, che possono essere tranquillamente riconosciute anche dalle altre, privilegiate e superiori, categorie: la prima è che si tratta di contribuenti sicuri, sono tassati alla fonte, si tratta di risorse certe, non so se si possa dire lo stesso della totalità dei soggetti privati. Secondo: c’è da reperire con urgenza dei quattrini sicuri? Dobbiamo fare cassa e abbiamo poco tempo a disposizione? Non ci rivolgiamo a chi ha il panfilo parcheggiato a Portorotondo, no, ma tagliamo una percentuale dello stipendio agli statali (come in Grecia e Portogallo)e gli tagliamo pure la tredicesima. Sono due aspetti positivi dei travet che non andrebbero trascurati. I signori dell’Ansa possono rispondere che hanno utilizzato quel termine (oggi scomparso dal sito internet) per brevità di notizia, per sintetizzare un concetto in un titolo. Non è vero. Si poteva utilizzare un’altra parola, per esempio “statali”. La verità è un’altra, grazie a gente come Brunetta e il berlusconismo, lo stereotipo del pubblico dipendente che fa la spesa nell’orario di servizio, della bidella che fa la calza, è entrato nel modo di pensare comune. Senza capire che gli statali non sono una poltiglia informe ed omogenea, ma presentano delle enormi differenziazioni da una realtà all’altra. Ringraziamo i signori dell’Ansa che ci hanno impartito l’ennesima lezione di civiltà, di correttezza, di rispetto e di trasparenza giornalistica. “Travet” è una parola che implicitamente contiene un giudizio, non proprio lusinghiero. A voi lettori ricordo che esistono anche altre agenzie (come l’ADNKronos) e ai “giornalisti” dell’Ansa pongo una domanda semplice semplice: esistono i “travet” dell’informazione?













giovedì 13 ottobre 2011

IN FONDO (come annegare nella crisi e vivere infelici)


Ricordate il post “La crisi del debito sovrano e il ministro inesorabile – ovvero come aggirare la crisi e vivere felici”? Ebbene, di contraltare, ecco una storia opposta a quella del ministro dell’economia che dalla crisi è addirittura riuscito a trar profitto. Questa è una storia un po’ diversa, che, se ce ne fosse ancora bisogno, allontana di qualche anno luce gli elettori dalla casta politica di questo sciagurato paese.
Composti, dignitosi. Per non occupare un appartamento vivono in un'automobile. In tre. Padre, madre e figlio maggiorenne. Gli altri due, i gemelli, stanno dalla nonna. Il caso è di quelli che fanno discutere. In una intervista ad Affaritaliani.it, mamma Antonella rivela tutta la propria disperazione: "Ogni notte tiriamo giù i sedili e cerchiamo di dormire. Mio marito sta nel bagagliaio, mio figlio sui sedili posteriori, io in quelli anteriori. Ho un'embolia polmonare recidiva e ogni settimana sono in ospedale. Siamo finiti in questa situazione perché io sono malata. Non è giusto che una famiglia intera debba vivere in auto per colpa della burocrazia..."

Perché vivete in un'automobile, una Fiat Doblò?
Noi abbiamo perso una casa popolare che ci era stata assegnata. Il motivo è semplice: io mi sono ammalata di embolia recidiva a entrambi polmoni, stavamo al quarto piano. Non riuscivo più a vivere. Sono rimasta incinta. Abbiamo chiesto lo spostamento al primo piano, dove c'era un appartamento sfitto, ma nessuno ci ha mai risposto. E io ho perso il bambino. Mio marito allora ha deciso che non si poteva andare avanti così: ha sfondato la porta dell'appartamento sfitto e lo abbiamo occupato.
Il risultato è che avete perso entrambi gli appartamenti.
Siamo stati sgomberati. Siamo finiti in comunità. E' stato un periodo duro. Adesso per fortuna mio marito ha trovato un lavoro. Noi vorremmo una casa, siamo in fase di assegnazione, ma ci hanno detto che sono tutte da ristrutturare. Il problema è che non possiamo accollarci questi costi. Se ci danno una mano, rifonderemo tutti i debiti.
Come fate a vivere in auto?
Tiriamo giù i sedili. Mio marito Nicola dorme nel bagagliaio. Io sto sui sedili davanti e poi c'è mio figlio Mario, che da anni vive in questo inferno. Ogni tanto si avvicinano le pattuglie della polizia o dei carabinieri. Puntano  il faro, guardano dentro. Noi usciamo e spieghiamo la situazione. Fino ad oggi siamo andati avanti così, ma ora arriva il freddo, io ho grossi problemi di salute ai polmoni e ogni settimana devo andare in ospedale a fare controlli.
Perché non occupate un'altra casa?
Perché non è giusto. Ma non è giusto neppure che in questa Milano della moda, della ricchezza, una famiglia intera debba stare in un'automobile tutte le notti, condannata dalla burocrazia. Io ho due gemelli, che ogni notte lascio da mia madre. Questo scombussolamento continuo ha portato uno dei due anche ad ammalarsi quando stavamo in comunità.
La storia di Antonella è stata portata alla luce da Roberto Poletti, il conduttore di Forte e Chiaro in onda ogni mercoledì su Antenna 3. I politici in studio, Carmela Rozza del Partito Democratico e Davide Boni della Lega Nord hanno promesso un impegno fattivo. La capogruppo democratica a Palazzo Marino, infatti, ha già fissato un appuntamento con la signora nel pomeriggio di oggi. Il presidente del consiglio regionale leghista, invece, ha assicurato che avvertirà subito l'assessore alla casa per risolvere il problema. Nell'ambito della trasmissione, alla quale ha partecipato anche Affaritaliani.it, è stata data voce anche agli sgomberati di viale Sarca, che hanno spiegato di "occupare continuamente, da dieci anni, perché nessuno ci dà ascolto". Poi, davanti alle obiezioni di Rozza e Boni, si è passati agli insulti, tanto che i due politici sono stati pesantemente minacciati e insultati fuori dagli studi. Carmela Rozza ha anche chiarito una volta per tutte la posizione della maggioranza sulla questione degli abusivi, mettendo la parola fine alle polemiche ingenerate da una dichiarazione dell'assessore Lucia Castellano: "Gli sgomberi non verranno interrotti - ha spiegato Carmela Rozza - Non ci sarà nessuno sconto per gli abusivi. Le parole dell'assessore sono state incaute e sono state fraintese".
Fonte: Affaritaliani.it










IRLANDA: COME SI RISANANO I CONTI SPOGLIANDO I RISPARMIATORI (italiani)

Solo qualche settimana fa riportavo i dati incoraggianti che pervenivano dall’economia e dalla finanza irlandesi, uno dei primi stati a fallire in seguito ai comportamenti funambolici e sostanzialmente scorretti tenuti dalle sue banche principali. Si ventilava, addirittura, sulla scia della rivoluzione islandese, di un “piccolo miracolo” irlandese, quando, come una doccia gelata, arriva la notizia, riportata lodevolmente dal “sole 24 ore”, che una parte del risanamento dello stato irlandese poggia le sue fondamenta sulla rovina di numerosi risparmiatori italiani. Lo stato irlandese ha provveduto a “ristrutturare il debito”,  in particolare, nel caso della Bank of Ireland, ha proposto ai propri investitori di convertire le proprie obbligazioni in nuovi bond garantiti dalla stato irlandese. Ovvio che si trattasse di una operazione in perdita, ma sempre meglio di nulla. I risparmiatori che non hanno aderito a tale conversione, si sono ritrovati con un controvalore surreale: ogni mille euro si trasformava in un centesimo di euro! La responsabilità di questa rovinosa operazione viene rimpallata tra la Bank of Ireland che sostiene di aver avvisato gli istituti che hanno fatto intermediazione (le banche italiane), a loro volta i nostri istituti di credito invocano una normativa della Consob che non vincola l’istituto che opera come mediatore ad attivare una comunicazione di questo tipo.
Una cosa emerge da questa squallida, amara storia: ci possiamo fidare delle nostre banche solo fino ad un certo punto: non dimentichiamo mai che si tratta di istituti che sono chiamati a fare profitto, è naturalmente il loro scopo, non potranno, per loro stessa destinazione, comportarsi come una associazione di consumatori, quindi non confidiamo troppo in quanto ci viene comunicato, ma cerchiamo sempre di verificare per conto nostro (mediante il web, consultando un promotore finanziario che sia terzo ecc.). Le banche non sono enti morali, non fanno beneficienza, per quanto possano ispirarci fiducia perché siamo vecchi clienti, facciamo sempre la tara a quello che ci dicono.
Secondo, tragico aspetto: non solo non esiste una Unione Europea (è solo una espressione geografia), ma addirittura, nel coltivare il proprio interesse, arriviamo a farci la guerra, l’un contro l’altro armati, sbranandoci come cani rabbiosi chiusi in una gabbia. E’ fin troppo ovvio che l’Irlanda sapeva perfettamente, compiendo, tra l’altro, questa operazione in piena estate, che un numero considerevole di risparmiatori italiani sarebbe rimasta con il cerino in mano: chi ha investito 40.000 euro si è trovato sul deposito titoli 40 centesimi di euro. Lo sapeva bene, ma non ha esitato a creare un danno cospicuo a cittadini di una altro paese europeo, nel nome del “si salvi chi può”. Non abbiamo una unione politica, non abbiamo un politica fiscale comune, non abbiamo un unico super ministro delle finanze, ognuno se ne va per i fatti suoi, cercando di trarre compensi dalle disgrazie altrui. Quanti di noi, potendo tornare indietro, avrebbe creato un fantasma chiamato UE, un europarlamento di cartapesta, una moneta dalla quale (Germania esclusa) abbiamo ricavato solo dei dispiaceri? 

V.S., risparmiatore veneto, aveva investito 15mila euro in obbligazioni emesse dalla Bank of Ireland. Tornato dalle vacanze estive, ha scoperto che i suoi 15mila euro erano diventati 15 centesimi di euro: i risparmi faticosamente accumulati non bastavano più neppure per comprare una caramella. F.R e altri tre facoltosi risparmiatori romani hanno avuto lo stesso shock al ritorno dalle vacanze: il milione di euro investito nei bond di Bank of Ireland si era trasformato, senza alcun preavviso, in 10 euro. Sono almeno 150-200 le famiglie italiane coinvolte nell'incredibile storia di Bank of Ireland.
L'istituto di credito la scorsa estate ha ristrutturato il debito obbligazionario. Ma siccome nessuno si è preso la briga di informare i risparmiatori italiani, questi si sono trovati, ignari, a subire il trattamento riservato a chi non aderiva alla ristrutturazione: ogni mille euro investiti in obbligazioni di Bank of Ireland sono stati trasformati in un centesimo di euro. Morale: con la benedizione della Commissione europea e con il sacrificio di ignari risparmiatori italiani, è stata salvata una delle più speculative banche irlandesi. Da un lato Dublino è stata aiutata con i soldi europei, e anche italiani, dall'altro Dublino si è presa dai risparmiatori un "piccolo" extra. Senza dirglielo.
Il «Castello» di Kafka
La storia, che «Il Sole 24 Ore» è in grado di documentare, è degna dei migliori libri di Kafka. Bank of Ireland, in difficoltà per la crisi finanziaria, per tre volte è stata costretta a ristrutturare i suoi 18 prestiti obbligazionari subordinati. L'ultima ristrutturazione l'ha proposta agli investitori di tutto il mondo la scorsa estate. In pratica proponeva a chiunque possedesse una delle 18 obbligazioni subordinate, di scambiare – incassando una perdita – quei "vecchi" titoli con nuovi bond garantiti dallo Stato irlandese. La perdita c'era, ma chi accettava recuperava almeno parte dell'investimento. Ben peggiore era invece il trattamento previsto per chi decideva di non aderire: i loro bond sarebbero stati rimborsati quasi a zero. Ogni mille euro, come detto, sarebbe stato onorato con un solo misero centesimo di euro.
Ovvio che nessuno sano di mente avrebbe mai rifiutato l'offerta: meglio avere titoli nuovi, seppur penalizzanti, che un centesimo per ogni mille euro investito. Eppure, quando l'8 luglio scorso l'offerta di scambio si è chiusa, si è scoperto che tanti investitori non avevano aderito. Il gioco, a metà agosto, era fatto: Bank of Ireland ha rimborsato i bond rimasti in circolazione a un centesimo. Tra questi, tanti erano in mano ai risparmiatori italiani. Perché non hanno aderito all'offerta e sono rimasti ad attendere questo rimborso da fame? Per un motivo semplice e sconcertante: non sapevano nulla di questa operazione. «Il Sole 24 Ore» ha raccolto molte testimonianze, tutte uguali: «A me nessuno ha detto nulla», «Non lo sapevo», «La banca non mi ha informato». E non si tratta di alcuni istituti: la mancata informazione ha riguardato quasi tutte le banche italiane, con poche eccezioni.
Il muro dell'informazione
Come sia possibile è presto detto: Bank of Ireland ha giocato tra le maglie larghe della legislazione e le banche italiane hanno fatto come Ponzio Pilato. L'istituto irlandese non aveva veramente intenzione di coinvolgere i risparmiatori. Lo dimostrano due elementi. Uno: non ha chiesto l'autorizzazione alla Consob per pubblicare un prospetto italiano. Due: ha destinato l'offerta di scambio solo a chi possedesse obbligazioni per un importo superiore ai 50mila euro, aggirando la direttiva europea sui prospetti. Morale: Bank of Ireland non ha fatto alcun prospetto. Però, a modo suo, il suo dovere l'ha fatto: al «Sole 24 Ore» Brian Kealy, responsabile capital management dell'istituto irlandese, ha detto che tramite Clearstream (una delle maggiori casse di compensazione europee) sono stati avvertiti tutti gli obbligazionisti attraverso gli intermediari.
Insomma: non c'era un prospetto, ma alle banche italiane la comunicazione che Bank of Ireland avrebbe ristrutturato il debito è arrivata. Il problema è che le banche italiane, nella maggior parte dei casi, non hanno informato i clienti: secondo vari esperti forse non erano neppure obbligate a farlo – la questione è controversa –, essendo l'offerta indirizzata a chi possedesse più di 50mila euro di bond. Se avessero informato i risparmiatori, questi avrebbero potuto consorziarsi oppure vendere i bond sul mercato: ma dato che non l'hanno fatto, tante persone sono andate in vacanza ignare e tranquille. E, tornate dal mare, hanno avuto l'amara sorpresa. Anche la Consob si tira fuori: in effetti non le è mai arrivato nessun prospetto.
Ricapitoliamo, dunque. Bank of Ireland organizza una ristrutturazione del debito subordinato accettabile per chi aderisce alla sua offerta, ma capestro per chi non accetta: lo fa con l'Ok della Commissione europea. Poi comunica il tutto alle banche italiane, le quali decidono di stare zitte e di lavarsene le mani. I risparmiatori non ne sanno nulla, e dunque non aderiscono all'offerta. Morale: si trovano a pagare per il salvataggio di una delle più speculative banche irlandesi. Oggi sono aggrappati solo alle associazioni dei consumatori, come Adusbef e Aduc: quest'ultima – riferisce Giuseppe D'Orta di Aduc – ha già scritto alla Consob, sta per inviare una lettera di contestazione a Bank of Ireland e sta preparando i reclami alle banche. Qualcuno pensa anche alla class action.
M. Longo - Il Sole 24 ore RIPRODUZIONE RISERVATA






 

mercoledì 12 ottobre 2011

ALTRI UNIVERSI, NUOVI MONDI


Anche se sono gli stessi fisici ad invitare a prudenza, i neutrini più veloci della luce promettono di rivedere radicalmente la fisica moderna. Stupefatti, i fisici dell'esperimento internazionale Opera1 non credevano ai loro strumenti: il fascio di neutrini ha superato la velocità della luce, e scardinato le teorie di Einstein, basi della fisica moderna, che considerano appunto invalicabile questo limite. Lo studio pubblicato dal Cern e dal CNRS francese è il frutto di tre anni di osservazioni di oltre 15mila neutrini: sono questi elementi della materia che hanno percorso i 730 chilometri che separano i laboratori del Cern a Ginevra dal laboratorio sotterraneo dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare nel Gran Sasso in Abruzzo a una velocità di 300.006 chilometri al secondo, sei chilometri al secondo più della velocità della luce.
Insomma, "su una corsa di fondo di 730 chilometri i neutrini passano il traguardo con 20 metri di anticipo" specifica il Cern."Abbiamo passato sei mesi a rifare tutto daccapo" ha spiegato ai giornalisti Autiero. Misure e contromisure, incluse le verifiche dei rilievi topografici e l'analisi degli effetti del sisma dell'Aquila sul territorio. Ma il risultato è sempre lo stesso: i neutrini viaggiano più veloci di quanto dovrebbero secondo Einstein, sfidando la teoria della relatività. Intanto la comunità dei fisici si affanna a rielaborare: i neutrini hanno trovato una scorciatoia in un'altra dimensione, insomma le dimensioni non sono solo quattro (le tre dello spazio più quella temporale). Oppure, la velocità della luce non è l'ultimo limite: Einstein elaborò una teoria più generale che si sovrappone a quella di Newton, a sua volta non scorretta. E ancora, la teoria di Einstein potrebbe essere valida in certi campi ma ne esiste una ancora più generale, come un gioco di bambole russe. Il "modello standard", ovvero l'edificio concettuale elaborato dai fisici per chiarire come si organizza la materia, è come un palazzo che si regge su una serie di architravi. Queste architravi sono le costanti fondamentali della fisica: la costante di Planck, la costante gravitazionale, la carica dell'elettrone e numerose altre. Queste costanti sono legate fra loro: variando il valore di una, si deve tener conto della necessità di aggiustare anche le altre. Una delle costanti - forse quella di maggiore importanza, insieme con la costante di Planck - è la velocità della luce nel vuoto. Su di essa si basa in particolare l'edificio della Relatività Generale, la teoria formulata da Albert Einstein che spiega come si sia originato e sviluppato l'universo dal Big Bang ad oggi.
Secondo la teoria einsteiniana, esiste nell'universo una velocità limite, che non si può superare. A mano a mano che un corpo si avvicina a questa velocità limite, il suo tempo relativo (cioè il tempo misurato da un orologio connesso al corpo in moto) rallenta, le dimensioni del corpo si accorciano, la massa del corpo aumenta. Se si potesse raggiungere la velocità limite, il corpo avrebbe volume zero, massa infinita e il suo tempo sarebbe fermo. Per questo, dal punto di vista teorico, la velocità limite è per definizione irraggiungibile. Sempre secondo la teoria einsteiniana, tale velocità limite è quella della luce nel vuoto.

L'esperimento condotto dagli scienziati del Cern e dei laboratori del Gran Sasso sembra contraddire quest'ultimo punto. Esisterebbero particelle dotate di massa, i neutrini, in grado di viaggiare a velocità superiore a quella della luce. Se confermata, questa scoperta avrebbe pesanti ripercussioni su tutto il modello standard. Significherebbe che la velocità limite non è quella della luce nel vuoto, ma un'altra ancora indefinita e legata non si sa a che fenomeno (non può essere l'ipotetica velocità superluminale dei neutrini, perché non sarebbe compatibile con la loro massa). Ciò comporterebbe la revisione generale di tutte le principali costanti fondamentali, e un riaggiustamento dell'intero modello standard. Significherebbe anche che andrebbero ricalibrati teoricamente tutti gli esperimenti-limite che stanno conducendo i fisici per capire come sia fatto il cosmo. Per esempio, gli scienziati stanno cercando affannosamente la "particella di Higgs", che secondo il modello standard è quella che genera la massa. La si cerca all'interno di certi parametri definiti dalle costanti fondamentali: ma se i valori di queste ultime vanno ricalibrati, dovrà essere cercata in direzioni diverse da quelle seguite finora.

Non è detto che la scoperta del Cern - se confermata - significhi la demolizione completa della Teoria della Relatività Generale.
La scienza, come è noto, lavora per affinazioni successive. Prima della teoria einsteiniana, ciò che spiegava meglio il funzionamento del cosmo era la teoria della gravitazione universale di Isaac Newton. Poi, si è scoperto che la sua validità era confinata entro certi limiti, e che poteva essere considerata come un aspetto particolare della Teoria della Relatività Generale. E' possibile che ora si vada oltre la concezione einsteiniana, e che questa non sia che una situazione particolare nell'ambito di una teoria più vasta. Esistono già teorie del genere, per esempio la Teoria delle Stringhe, che contemplano la relatività come un caso particolare, prevedono un universo con molte dimensioni e diversi piani della realtà. Per ora, sono soltanto teorie, prive di riscontri sperimentali. L'esperimento del Cern potrebbe (sottolineiamo: potrebbe) essere un passo in quel senso.
Troppo presto per dirlo: occorrono riscontri e controprove. Ma se fosse vero, sarebbe il primo reale balzo avanti della fisica teorica da quasi un secolo a questa parte, cioè da quando vennero gettate le basi della Relatività e della Teoria dei Quanti: due modi di vedere l'universo che fino sono stati verificati sperimentalmente, ma si escludono l'un l'altro.
Fonte: Notizie Virgilio


La scoperta degli scienziati del CERN (comunque da verificare)che particelle come i neutrini siano in grado di superare la barriera che si riteneva invalicabile della velocità della luce non ha avuto, e non poteva essere diversamente, la risonanza che avrebbe meritato. Si tratta di una materia ostica per i non addetti, ma basta avere qualche nozione di fisica per comprendere che le conseguenze di questa notizia, sempre che sia confermata da analoghi esperimenti, sono dirompenti. Una delle cosiddette “costanti” cosmologiche è appunto, la velocità della luce, che si propaga nel vuoto, indipendentemente dalla posizione spaziotemporale di uno o più ipotetici osservatori, a circa 300.000 Km al secondo. Un presupposto fondamentale della relatività ristretta e, più tardi, di quella generale, è stata appunto questa costante. Questo non implica necessariamente il crollo della relatività einsteniana, solo una revisione delle sue teorie alla luce di una importante novità. I fisici lavorano da qualche decennio intorno ad una teoria unificata della fisica astronomica e subatomica, e per quanto non si sia pervenuti ancora ad una teoria unica in grado di spiegare l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo, si sono gettate le basi per l’elaborazione di una teoria omogenea. Requisiti fondamentali per tale teoria sono anche alcune costanti che sono ritenute valide per l’universo intero: la costante di Planck, per esempio, ha caratterizzato la fisica quantistica e introdotto una nuova concezione della fisica subatomica. Tale teoria, recependo il principio di indeterminatezza di Heisenberg, sostiene, in parole molto semplici, che una particella, a seconda della condizione e della situazione in cui si trova, può modificare non solo la sua posizione nell’atomo, ma soprattutto la sua stessa natura: talvolta ha natura corpuscolare, talvolta ondulatoria. E’ il caso dei fotoni, o quanti di luce. Ci sono particelle delle quali non possediamo la certezza che siano contraddistinte da una massa. In ogni caso, se la velocità della luce è superabile, si aprono scenari considerati prima d’ora fantascientifici. Esiste già una nota teoria, detta delle “stringhe” che apriva a scenari cosmici costituiti da dimensioni superiori alle quattro conosciute finora. E’ come se ci fossero delle “increspature” nello spaziotempo che aprono dei “varchi” attraverso i quali è possibile entrare in mondi a più dimensioni delle nostre, in universi paralleli, in cui le leggi della fisica del nostro mondo non valgono più. In questo modo, entrando in “gallerie” che si aprono nel tessuto dello spaziotempo, sarebbe possibile aggirare la velocità della luce, e coprire distanze di parecchi anni luce in pochi secondi. Ricordiamo che, secondo la teoria della relatività ristretta, suffragata da più di una evidenza sperimentale, man mano che ci si avvicina a tale velocità, i volumi diventano sempre più piccoli e le masse sempre più grandi, mentre gli orologi eventualmente in possesso del corpo che viaggia a tale velocità tende a fermarsi. Una volta raggiunto il limite dei 300.000 Km al secondo, i volumi si azzerano, la massa diventa infinita e il tempo si ferma. Per questi motivi la velocità della luce si è sempre considerata insuperabile. Ma se è vero che i neutrini hanno viaggiato ad una velocità maggiore, allora occorre rivedere molte posizioni considerate come acquisite, e si aprono scenari inusitati. Se esistessero universi con dimensioni maggiori delle nostre quattro, allora non esisterebbe più la “freccia del tempo”, la direzione nella quale il mondo va verso una sempre maggiore entropia, e mentre dal lavoro è sempre possibile trarre energia, non è vero il contrario, da una certa quantità di energia non è possibile riprodurre completamente il lavoro che l’ha generata: è, appunto, il principio dell’entropia, che nel sostenere che l’universo va verso il massimo disordine possibile, sottintende anche che una quantità considerevole di energia va dispersa. In un mondo a più dimensioni non ci sarebbe una direzione del tempo, non esisterebbero semplicemente passato e futuro. Ma queste sono , al momento solo fantasie. Vedremo cosa saranno in grado di elaborare fisici e cosmologi, la sfida è stata aperta.