lunedì 10 ottobre 2011

CRISI: SIAMO ENTRATI NELLA FASE 3

Stiamo entrando nella terza fase della crisi: dopo la bolla immobiliare e quella dei debiti sovrani, lontanissime dall’essere risolte, inizia il fallimento delle banche. Non ci vuole un indovino a capire che si tratta solo dell’inizio, e che la crisi di solvibilità che investe più o meno tutti gli istituti di credito europei è destinata ad allargarsi. L’aspetto comico (se di comicità si può parlare) è duplice: gli stress test si sono rivelati una ridicola commedia. Il noto gruppo DEXIA, oggetto del salvataggio in corso da parte di Belgio, Francia e Lussemburgo aveva ottenuto un Core Tier one di oltre il 10% (considerando il 5% il minimo consentito), le solite agenzie di rating avevano appena attribuito piena fiducia nel gruppo franco belga, come nel caso Lehman, (quando la finiremo di parlare delle agenzie di rating? Quando capiremo che sono solo dannose e nocive all’economia mondiale?)
Due banche europee falliscono durante il fine settimana: Proton in Grecia e Dexia in Francia e Belgio. Sono solo le prime due di quella che potrebbe essere un'ondata di fallimenti bancari nei prossimi mesi e anni.

PROTON è una piccola banca greca, la cui caduta è stata causata dal fallimento del proprio management: più specificamente, almeno così sembra, la banca è indagata per violazione delle norme antiriciclaggio. La banca centrale greca ha attivato un fondo di salvataggio, nazionalizzando di fatto questo piccolo istituto di credito. Paradossalmente, ora che è già fallita, potrebbe essere l'unica banca greca a non fallire in caso di default della Grecia. Ipotesi, quest'ultima, che sembra essere sempre più verosimile.
DEXIA è tuttavia un caso diverso. Semplicemente, i profitti del gruppo franco-belga non erano sufficienti per coprire le perdite sulle obbligazioni di stato. Niente di così insolito e sconosciuto al sistema bancario europeo.
Tuttavia, a far la differenza nel caso Dexia, è che la banca ha fatto in gran parte ricorso all' wholesale banking, rivolgendosi al mercato all'ingrosso.
Dexia, che ha utilizzato finanziamenti a breve termine per finanziare prestiti a lungo termine, ha trovato credito prosciugandosi, mentre la crisi del debito della zona euro si aggravava.

QUESTO è ciò che ha ucciso ha ucciso Lehmans. Quando su quel mercato all'ingrosso soffiano problemi, il denaro semplicemente si dissolve. E dato che le banche sono, per loro stessa natura, soggette a crisi di liquidità, quando il denaro comincia a volatilizzarsi, succede e basta.
Dexia è insolvente. Vero o forse no. Ma certamente non ha liquidità, almeno senza un'iniezione di denaro extra. E in virtù di tale condizione è fallita.
Ciò che preoccupa tutti è il fatto che gran parte del sistema bancario europeo è (potrebbe) essere solvente, ma è estremamente vulnerabile agli eventi, soprattutto ai test sulla loro liquidità. Dexia, oggi ridotta ad uno spezzatino dopo lo smantellamento forzato, è lo stesso istituto che quattro mesi fa celebrava la promozione a pieni voti nell'esame dei rigorosi stress test: "Il nostro Core tier one è stato calcolato al 10,4% contro un minimo richiesto del 5% - assicurava la banca -. La solidità del capitale ci consentirà di affrontare senza problemi il futuro anche in caso di corto circuiti sui debiti sovrani".
Notizie negative, intanto, anche dall’Austria, dove Erste Bank e Raiffeisen Bank registrano ribasso a due cifre percentuali. La prima ha dichiarato che prevede un esercizio in perdita dopo aver svalutato l’avviamento delle attività in Romania e Ungheria. Ma occorre tener presente che il gruppo Erste è il maggiore dell’Austria e che, di conseguenza, per salvare la maggiore banca del paese, la virtuosissima Austria sarà costretta a svenarsi, e a fare ingresso, insieme al Belgio, nel gruppo dei paesi cosiddetti “periferici”. Considerato che, a dispetto della tripla “A” appena confermata dalle agenzie di rating, anzi proprio in virtù di questo giudizio certamente sbagliato, presto anche i nostri amati cugini verranno a farci compagnia. Ora, se a ciò aggiungiamo che il Regno Unito ha già a che fare con il rischio di fallimento di almeno tre gruppi bancari, tra i quali spicca la Royal Bank of Scotland (già oggetto di aiuti nel 2008), il quadro è completo. Se andiamo avanti di questo passo, la Germania resterà da sola. E pensare che qualcuno ipotizzava un Euro a due velocità, un Euro1 (denominato “Uber Euro”) e un Euro2, destinato ai poveracci. Ma ora che il gruppo dei paesi periferici inizia ad ingrossarsi, la Germania rischia di restare l’unico esponente dell’Europa centrale, e tutti gli altri, nessuno escluso, a divenire “periferia”. C’è poco da esultare, ne convengo, ma certa spocchia neppure malcelata da parte di paesi come Francia o Austria era l’ora che si levasse di torno, o che, perlomeno, si ridimensionasse fortemente.
Della liquidità illimitata che la Banca centrale europea ha promesso alle banche, ben poco arriverà alla clientela. Servirà a tamponare l’emergenza, a neutralizzare la diffidenza fra gli istituti che oggi, come già all’indomani del crac della Lehman Brothers, non si fidano granché l’uno dell’altro. Non a convincere le banche ad allentare i cordoni della borsa.
Venerdì scorso i depositi delle banche presso lo sportello della Bce hanno fissato il nuovo record del 2011: 255,569 miliardi di euro contro il massimo di 229 miliardi toccato giusto il giorno prima. Questa modalità di impiego è remunerata a un tasso dello 0,75%, un terzo di quello che si potrebbe ottenere mediamente sul mercato interbancario (il segmento del mercato dei capitali in cui le banche si scambiano depositi a brevissimo termine). I banchieri in surplus di liquidità preferiscono così, anziché rischiare prestando denaro a chi “è corto” di cassa. E questi ultimi si guardano bene dall’allentare la stretta creditizia avviata fra luglio ad agosto, anche se la disponibilità della Bce aiuta a tamponare lo stress delle tesorerie.
Gli effetti sul mercato retail sono stati già emersi: minore disponibilità di credito e brusco aumento dei tassi. Sul mercato dei mutui per la casa la situazione peggiora settimana dopo settimana. Le banche stanno rivedendo le condizioni applicate alla clientela. Dopo Unicredit, che nei fogli informativi indica uno spread del 3,5% per i mutui a tasso variabile, e Popolare di Vicenza (oltre 4%), tutti i principali operatori si stanno muovendo in questa direzione. Intesa Sanpaolo, per esempio, ha aumentato il differenziale applicato al parametro Euribor al 2,50-2,70%.
Fonti: Trend-online – professionefinanza.com