sabato 29 gennaio 2011

METZENGERSTEIN

Ora che finalmente scende il crepuscolo ed io, ospite in una casa sulle alture della città, posso osservare, da dietro una finestra, l’ultimo bagliore del sole che tra poco scomparirà dietro l’orizzonte marino, mi ritrovo a pensare a quello che oggi è accaduto. Ho il cuore pesante e gli occhi gonfi di malinconia. Non è stata una buona giornata, anzi, uno dei punti più bassi toccati dopo il giro della  boa dei cinquant’anni. Una triste, dura giornata, fatta di delusioni, disillusioni, inganni e disinganni. Alla mia età non dovrei più cadere facile preda delle chimere, delle morgane, che qualcuno volontariamente o no, fa baluginare davanti al mio volto. Eppure, nonostante gli anni mi abbiano reso avezzo al pessimismo della realtà, una parte di me ancora spera che il mondo non sia quello che trasmettono i miei occhi, che rimandano i miei impietosi sguardi, ma ci sia ancora spazio per un bene vero, reale e tangibile. E invece, dopo un pomeriggio di picche, e di scacchi, sono qui, dietro alla finestra, aspettando che faccia buio, ed il mio ospite mi congedi in fretta. Sulla via del ritorno, mi capita di pensare alla frase che chiude il racconto di James Joyce “Arabia” dai “Dubliners” – “Alzando allora gli occhi su, nel cielo, mi vidi come una creatura trascinata e derisa dalla vanità. E gli occhi mi bruciarono d’angoscia e di rabbia”. E’, parola per parola, quello che provo in questo momento. Gli uomini ti deludono, ti lusingano fino a che hanno bisogno di te, mascherando dietro la sottile cortina delle buone maniere, i loro veri scopi. Si servono di te, cercando di blandirti, di stuzzicare quel poco o tanto di vanità che alberga in ognuno di noi, per poi defilarsi elegantemente, al momento in cui ti presenti, col cappello in mano, per raccogliere quello che hai, magari con fatica, seminato. Ma il cappello rimane vuoto, devi fare strada al passeggero successivo. Così, dopo avere tanto letto, studiato, e scritto, non solo sulle poche ed umili pagine di questo blog, credi di aver capito qualcosa della natura umana, forse persino di quella divina, e invece, niente, ogni volta si ricomincia, perché ogni volta è poi sempre lo stesso. Mi guardo intorno, sono nella mia città, percorro le strade che dovrei conoscere a memoria, cerco di vedere nei miei simili quello che da tempo non vedo neppure più in me stesso. Cerco di prendere tempo, di non tornare subito a casa, come a cercare qualcosa che mi dia consolazione. Ma non sono più triste, una volta sì, mi capitava, mi rinchiudevo nella mia casa come dentro ad un guscio, ascoltando qualche canzone tetra che fosse in sintonia con il mio cuore, magari solo tre accordi di una infinita malinconia. Ma adesso non è più così, adesso sono più forte della malasorte, degli amici fasulli che ti cercano quando hanno bisogno di qualcosa, degli incantatori di serpenti che provano giocare anche con la tua buona fede. Ci provino pure. Sono impotente solo davanti alla malattia, del resto me ne infischio. Potete deludermi, giocare con la mia sciocca vanità, cercare di lusingarmi o di minacciarmi, il mio spirito è calmo, è dolce il mio approdo. Da qualche tempo ho imparato l’unica forma possibile di tutela della sopravvivenza: prendermi cura di me stesso. Anche se sono solo, anche nelle avversità, ci sarà sempre una parte di me che si occuperà di non farmi soffrire troppo, e di cullarmi come un bambino. Se queste cose non le puoi avere al di fuori di te, le devi cercare dentro di te. E allora passa anche questa giornata. E poi, da qualche parte, c’è ancora una persona che mi vuole bene, c’è ancora un grembo dove poggiare il capo. Ormai è l’imbrunire, manca poco alla strada di casa. Entrerò dentro casa, chiuderò la porta alle mie spalle, e farò qualcosa che mi porterà una piccola gioia, anche se molto piccola. Cucinerò qualcosa che mi piace, indosserò un pigiama di bucato, mi sdraierò sul letto con un libro che devo terminare. La giornata terminerà a notte fonda, davanti ad un computer, parlando di me stesso, di questo momento. Domani sarò di nuovo sereno, e tutto sarà passato. Ma dentro di me, nel più profondo recesso della mia coscienza, si anniderà per sempre un pensiero indicibile, un fuoco inestinguibile. Un altro mattone è stato posato nella costruzione della mia nuova esistenza. Non mi fa più male, ma può far male. Al momento giusto, inaspettatamente, inopinatamente, salterà fuori dalla mia mente e dalle mie membra il cavallo del barone di Metzergenstein, un destriero bellissimo, dal pelo fulvo e dalle fattezze non paragonabili a nessun altro cavallo, lanciato in una folle corsa verso il palazzo in fiamme dei Berlifitzing, dei traditori, dei superbi, dei seminatori di discordia, dei consiglieri fraudolenti, lo cavalcherà il mio spirito in guerra, pronuncerà parole che solo allora si potranno comprendere, e riderà , riderà di un riso che farà gelare il sangue nelle vene, prima di scomparire per sempre tra le fiamme del palazzo di pietra e cristallo.


POSTFAZIONE
Trattandosi di un post ad indirizzo intimistico è doverosa qualche nota di precisazione. La giornata descritta (il 28 gennaio) ha offerto all’autore, per il suo negativo andamento, qualche spunto di riflessione, spunto nel quale chiunque di noi, prima o poi, può ritrovarsi ed immedesimarsi, a seconda degli eventi che coinvolgono ciascuno di noi. Il titolo “Metzergenstein” è ispirato ad un racconto minore, ma non per questo meno affascinante, di E. A. Poe. Le persone e le circostanze descritte nel presente post non hanno, ovviamente, alcun riscontro con la realtà.

giovedì 27 gennaio 2011

IL MONDO CHE CI GUARDA

Pubblico sul mio blog un articolo di Elysa Fazzino apparso sul "Sole 24 ore" del 27 gennaio, articolo che considero uno dei migliori apparsi sulla stampa di questi giorni per chiarezza e capacità di sintesi, circa l'idea che il mondo intero si sta facendo in questi mesi del nostro triste paese. C'è poco da ridere: ci sono sberleffi, clichè duri a morire, giudizi impietosi che coinvolgono una nazione intera,  si tratta di un coro unanime di aspre critiche che colpiscono, più che l'uomo Berlusconi (da tutti ormai considerato una persona fuori controllo) l'inspiegabile consenso di cui - stando ai sondaggi - può avvalersi ancora questo signore. Non è facile trovare, al di là della facile satira, una spiegazione antropologica, storica o sociologica. Ci prova, con successo, il "New York Times", conducendo una analisi acuta e incisiva sulla "fenomenologia del berlusconismo". Nella maggior parte di tutti gli altri casi, purtroppo, non si va al di là della identificazione con il premier da parte della maggior parte del popolo italiano, che, nella fattispecie, si configura come un popolo che, perduta la capacità di raziocinio, ragiona e compie atti in modo istintivo e primitivo. Non ne viene fuori un bello spettacolo. 


Perché gli italiani – soprattutto le donne – hanno tollerato le buffonerie di Berlusconi per così tanto tempo? C'è un punto critico per gli italiani?". E' quanto si domanda il New York Times nell'introdurre un dibattito online su “Decadenza e democrazia in Italia”. La discussione si allarga dal premier al paese che lo appoggia: "Cosa ci dice sugli italiani la tolleranza che hanno per l'edonismo di Berlusconi?", incalza il Nyt. Le opinioni, ospitate nella rubrica "Room for Debate", tentano di fare luce sul fenomeno.
L'élite italiana preferisce Berlusconi, sostiene Federico Varese, docente di criminologia all'Università di Oxford. La gente comune avrà anche raggiunto il punto di saturazione, ma "non l'élite economica, sociale e politica". A suo parere, per lo più, i leader imprenditoriali "preferiscono tuttora il governo Berlusconi piuttosto che uno guidato dalla sinistra". E il Vaticano "è stato molto timido nella sua critica".

Chiara Volpato, docente di psicologia alla Bicocca, sottolinea il ruolo "decorativo" delle donne nei media di Berlusconi. In una società dove le donne svolgono un ruolo subordinato, "alcune donne cercano di migliorare la qualità della vita instaurando relazioni con uomini di potere". Gli italiani sono "profondamente cinici" sui loro leader politici – afferma Alexander Stille, autore de "Il sacco di Roma" - e non hanno mai pensato che la condotta "privata" di un politico possa avere serie implicazioni pubbliche. Ma adesso potrebbero non perdonarlo più. L'ossessione nell'attaccare la magistratura e nel forgiare leggi sull'immunità per proteggersi "ha paralizzato il Parlamento e creato la fondata impressione che i suoi affari personali siano al di sopra di ogni altra considerazione. E questo è un peccato che gli italiani potrebbero non perdonare".

Il problema – sottolinea il corrispondente de La Stampa Maurizio Molinari – è la mancanza di opzioni politiche: l'opposizione è "incapace di sfidarlo su questioni calde come l'occupazione, l'immigrazione e l'energia". Eloisa Morra, che scrive per Women's International Perspective, fa notare che Berlusconi impone agli italiani "una realtà distorta". E' un "grande comunicatore" e utilizza molti politici, avvocati, giornalisti e sondaggisti per "difenderlo e modificare i fatti della realtà". La risposta delle donne è polarizzata: le donne del suo partito lo difendono "per mantenere la loro rilevanza politica e posizione economica". Molte altre donne reagiscono contro il suo comportamento "volgare" con libri, documentari, blog e petizioni.
Antonio Monda parla di "neopaganesimo": Berlusconi ha capito meglio di ogni altro uomo politico la "pancia" degli italiani e ha compreso che la maggioranza degli italiani sembra apprezzare, se non sono indifferenti, "questa forma di neopaganesimo dove l'interesse personale trionfa sui valori e l'edonismo emerge dal vuoto morale". Berlusconi ha soprattutto capito che molti italiani non hanno fiducia nei giudici che indagano su di lui, convinti che siano mossi non dalla ricerca della giustizia, ma solo dal desiderio di distruggerlo.
Clare Watters, dottoranda all'Università di Birmigham, ricorda che questa settimana migliaia di donne, in 12 città italiane, hanno organizzato proteste e sit-in con questo chiaro messaggio a Berlusconi: "Le donne italiane non sonno solo corpi che possono essere comprati dai potenti".
Ad acuire la percezione delle contraddizioni italiane contribuisce la notizia, rilanciata dall'Ap e pubblicata su parecchi siti d'informazione Usa, dell'ultima mossa del ministro per le Pari Opportunità,Mara Carfagna: "Il governo Berlusconi interviene contro la pubblicità che usa immagini volgari del corpo femminile". Mentre Berlusconi è implicato in uno scandalo sessuale che "per molti avvilisce l'immagine delle donne", l'iniziativa ha raccolto molti elogi, "in un paese dove donne poco vestite sono usate per promuovere più o meno tutto". Il ministro Carfagna ha firmato un protocollo d'intesa con l'Istituto di autodisciplina pubblicitaria per contrastare rappresentazioni "volgari, violente e indecenti" in cartelloni e spot. L'Ap ricorda che la Carfagna aveva posato per un calendario "spinto" e nota che la Carfagna in conferenza stampa ha difeso Berlusconi.

Ma ci vuole ben altro per far scomparire dai media internazionali l'immagine dell'Italia come la terra del "bunga bunga". Il Telegraph mette in evidenza che "Silvio Berlusconi ha fatto degli italiani lo zimbello del mondo", dando eco all'indignazione di Don Antonio Sciortino, direttore di Famiglia Cristiana, che ha scritto: "I nostri ragazzi all'estero sono apostrofati come italiani bunga bunga, e non è una lusinghiera definizione". La Repubblica ha aperto un forum online invitando gli italiani all'estero a dire come è percepita l'immagine del Paese. "Migliaia di italiani – scrive il Telegraph – hanno mandato messaggi al sito dicendo di provare vergogna e imbarazzo per quello che sta succedendo in patria".
Il Times di Londra stamane aveva sulla copertina del suo sito il titolo: "Ballerina parla delle feste bunga bunga di Berlusconi".
La Bbc è uno dei tanti media che hanno subito dato la notizia del giorno della seconda minorenne menzionata nell'indagine su Berlusconi Si tratta di Iris Berardi e il suo nome è emerso dai nuovi documenti inviati alla Camera dei Deputati. Gli inquirenti hanno sottoposto il nuovo dossier, si legge ancora sul sito della Bbc, "nella speranza di ottenere il permesso di perquisire gli uffici di Giuseppe Spinelli". Gli avvocati di Berlusconi, prosegue, hanno presentato documenti contenenti testimonianze che negano le accuse secondo cui Berlusconi avrebbe ospitato feste con orge e ballerine in topless. Gli sviluppi dell'indagine girano rapidamente sul web. "La magistratura manda al Parlamento altre 300 pagine sul caso Ruby", titola lo spagnolo Abc.es, "consegna altre prove contro Berlusconi", scrive El Economista, che segnala anche l'insulto "imbecille!" lanciato a Berlusconi mentre si intratteneva con i bambini delle scuole davanti a Palazzo Chigi.

“Berlusconi sempre più isolato”, titola Le Echos Il corrispondente Guillaume Delacroix cita Cetto La Qualunque, interpretato dal comico Antonio Albanese nel film "Qualunquemente", per affermare che la realtà ha ormai di gran lunga superato la finzione. Lo scandalo in cui è implicato Berlusconi è "di proporzioni senza uguali" e anche il centro con cui Berlusconi tenta da un mese di allargare la sua maggioranza "prende le distanze".
Secondo il magazine americano Time però, il tipo di accuse che Berlusconi si trova ad affrontare gli possono permettere di trasformare ogni voto in un referendum sulla sua persona, se si arrivasse a elezioni anticipate. Si può presentare come un "leader perseguitato" ed evitare discussioni politiche sui fallimenti del suo governo – la spazzatura di Napoli, i crolli di Pompei, la ricostruzione bloccata all'Aquila, la disoccupazione giovanile, il ristagno economico. Così, l'invettiva di Berlusconi al talk show di Gad Lerner è "solo buona politica", "Anche se dannosi per la sua immagine personale, gli scandali, se ben gestiti, possono essere una buona cosa per lui come politico".

Ma nel servizio della Cnn dedicato alla raffica di insulti scagliati dal premier a Lerner, colpisce il tono ridanciano con cui le giornaliste raccontano la vicenda ("personaggio davvero divertente" questo Berlusconi). E, qualche giorno fa, il comico David Letterman aveva detto nel suo show televisivo che non darebbe i problemi degli italiani nemmeno a "una scimmia su un masso" ("a monkey on a rock"), una sua tipica espressione che probabilmente significa che non augurerebbe questi problemi a nessuno.

lunedì 24 gennaio 2011

ALL'INFERNO E RITORNO

C’è un nuovo personaggio che, dapprima in sordina, adesso alla grande, è entrato a far parte della “cricca dei nottambuli” capitanata dal presidente del consiglio. Si tratta di Alfonso Signorini. Direttore di “Chi?” e collaboratore di una marea di rotocalchi rosa, ha al suo attivo lo sdoganamento del pettegolezzo, che soprattutto grazie al suo indispensabile apporto, è diventato “gossip”, un termine che in inglese significa la stessa cosa, ma nel nostro paese ha nobilitato un genere che altrimenti sarebbe stato rigettato come spazzatura mediatica. Bene, parleremo più avanti di questo signore, che si sta rivelando un uomo chiave in tutta la vicenda berlusconiana.
Il mondo che sta emergendo dalle intercettazioni telefoniche, dalle prime testimonianze raccolte dai tribunali, dalle interviste rilasciate dalle protagoniste, è un arcipelago sotterraneo, notturno, vampiresco, fosco e cupo, torbido fino all’inverosimile, popolato da creature della notte, angeli ribelli precipitati all’inferno, strani mostri che saettano negli abissi delle acque di uno stagno, personaggi che sembrano usciti da un quadro di Bacon o di Turner, parti dell’immaginazione di un E.A.Poe, in una atmosfera che ricorda, non a caso, “La notte dei morti viventi”, un film cult di Gorge A. Romero. Ribadisco che non ci interessa, in questa sede, la parte giudiziaria della vicenda, quella è materia della magistratura. A noi interessa, viceversa, il risvolto esistenziale, psicologico e sociologico di questa “corte dei miracoli”. In questa galassia sotterranea tutti i valori che alla luce del sole vengono considerati positivi sono sovvertiti: l’apparire in luogo dell’essere, il sesso fine a se stesso, il mercimonio del corpo, la reificazione del corpo femminile, ridotto a squallida icona del piacere, il denaro facile (“pensa che stanotte ho preso quanto si guadagna in sette mesi” dirà una delle protagoniste), la risata grassa, rozza e volgare, la crapula spinta fino all’abiezione, il potere, o l’illusione del potere assoluto, in grado di dominare uomini e istituzioni (la telefonata in questura per salvare la figlia di Mubarak), le barzellette, i lazzi, le gag giullaresche messe in scena per divertire il satiro di turno, tutto riconduce ad un clima pantagruelico, alle 120 giornate di Sodoma. A ragione, un nuovo Saviano potrebbe scrivere, dopo “Gomorra”, “Sodoma”, magari con la trasposizione cinematografica da vietarsi ai minori di 25 anni. Non a caso, terminato il banchetto, un altro fotogramma da triclinio romano, si “scende” nella tavernetta, o nel caveau, per dare inizio alle danze e a tutto quello seguirà dopo la lap dance. Questa discesa si configura né più e né meno come una “discesa agli inferi”, in un girone dantesco. In questo clima luciferino, degno della penna di un H.P. Lovercraft, un altro autore che molto bene potrebbe raccontare di queste vicende, trovano posto i personaggi che ben conosciamo, non è il caso di elencarli, ma non, dico non Alfonso Signorini. Questo signore dai modi raffinati e garbati non si confonderebbe mai con la vischiosa umanità di questo mondo notturno. Signorini ha una singolare qualità che lo distingue dal sottobosco del Cavaliere, è una persona intelligente. Con una mossa abilissima, degna di un maestro della propaganda, ha concepito un programma come “kalispera” che, come ha giustamente sottolineato Gad Lerner, è il più politico dei format di Mediaset. E’ proprio così. Appare come un programma di intrattenimento pseudoculturale, patinato, elegante, si dovrebbe occupare di costume, e invece fa politica, politica alla maniera di Berlusconi. La politica, per il cavaliere, si identifica perfettamente con la propaganda, qui risiede la matrice populista del suo partito. Berlusconi senza le televisioni e i giornali non sarebbe nulla, un fenomeno marginale del quadro politico italiano, un “re nudo”. E invece, grazie a questo formidabile potere di penetrazione che gli forniscono i suoi media, è riuscito, in quindici anni di attività, a modificare le coscienze oltre che i gusti di milioni di italiani, nel cui DNA risiede quello che, a ragione, il “New York Times” ha definito “l’origine romana del popolo italiano”. E’ proprio così, l’autorevole testata americana, una delle poche ad essersi occupata di fare una analisi fenomenologica del berlusconismo, quando gli altri si sono limitati troppo spesso allo sberleffo degli italiani tout court, senza pervenire ad alcuna conclusione, afferma che la propensione degli italiani al capo carismatico, la venerazione per il “duce”, l’attrattiva per il “panem et circenses” dei Cesari, l’italiano lo ha mutuato dalla sua stessa storia, che è la storia dell’Impero Romano. L’Impero romano dai suoi fasti, alla dissoluzione, non tanto per le tensioni esterne all’impero, ma per motivazioni tutte interne, l’abuso di agi e mollezze, l’avvalersi di un esercito composto esclusivamente di mercenari stranieri, il ribaltamento dei valori, le congiure di palazzo e dei pretoriani, i tradimenti, la mancanza di obiettivi che non siano il soddisfacimento immediato dei propri sensi, l’afinalismo politico dell’impero, che si avvitava su se stesso per mancanza di una evoluzione che lo facesse crescere, l’assenza totale di motivazioni da trasmettere ai popoli dominati, oggetto di semplice e crudele sfruttamento e schiavismo. Questa assenza di finalità, che svuota di  significato ogni cosa, dagli imperi alle persone, ha causato il declino e il crollo dell’impero. L’analisi del “New York Times” colpisce per profondità e acutezza di analisi, dovuta probabilmente alla incommensurabile distanza che ci separa dal popolo americano, che, però, proprio da questa distanza è in grado di giudicare e valutare i fatti meglio di noi. In tutto questo Signorini si inserisce con la grazia leggiadra di una gazzella, con il suo tocco sensibile e delicato, ma deciso nell’affondo quando si presenta il caso. E’ memorabile il duetto, studiato a tavolino, tra Signorini e Berlusconi nella telefona durante “Kalispera”, lo troverete su Youtube, è un dialogo che segue una sceneggiatura, e tuttavia è un duetto da antologia della propaganda. Signorini, in questa sventurata fase del nostro paese, prende il posto di un Gianni Letta sempre più sbiadito, e si candida a personaggio politico dell’anno; non escludo che si presenti candidato alle prossime, forse imminenti, elezioni politiche. L’operazione che sta conducendo, attraverso il suo giornale e i giornali che lo ospitano, ora anche in televisione, è quella di far passare i disvalori della cultura italiana come i nuovi valori del mondo che verrà. Non serve studiare, o serve quanto basta a saper scrivere e far di conto, serve piuttosto apparire, sapersi “spendere”, direbbe lui (vendere diremmo noi), la vita è fatta di effimero, tutto passa e scivola in fretta, occorre cogliere l’attimo come fosse l’ultimo, e farsi avanti senza tanti complimenti perché il mondo, là fuori, è una giungla senza legge né castighi, bisogna saper “imporre” la propria immagine (è questo un altro tormentone di Signorini), non c’è posto in questo mondo per le  donne poco avvenenti o intellettuali, faranno poca strada, e se va bene, troveranno un posto nelle retrovie, ad occuparsi, come nei conflitti mondiali, degli approvvigionamenti (altra carne fresca da macellare e di cui nutrirsi). In fondo, stando al format di canale 5, non c’è nulla di male nelle notti berlusconiane, rientrano a pieno titolo nel nuovo costume che costui cerca di proporre alle nostre coscienze. Ognuno fa quello che vuole della propria vita e del proprio corpo, chi ha denaro e potere lo spenda come meglio crede, anche calpestando la dignità degli altri (quelli che non la posseggono) perché, in fondo, una legge ferina che ci proviene dalla natura, ci insegna che il più forte prevale comunque e il più debole resta ai margini della strada, come in una selezione naturale della specie. A nulla sono valsi secoli di pensiero illuminista, da Rousseau in poi, a nulla valgono gli stessi insegnamenti cristiani, la spietata legge della giungla prevale ancora una volta. Dietro a tutto questo ciarpame, a questo bric a brac antideologico, si annida un retro pensiero che considera l’uomo con la più radicale forma di pessimismo che si possa concepire. Un essere utile solo per gli scopi dei potenti, svuotato di anima e significato, indistinto nella massa degli adoratori del capo, senza individualità, senza emozioni che non siano le percezioni del proprio corpo, senza scopi né senso, un animale inserito nelle leggi spietate della natura che, prima o poi faranno a pezzi. Neppure Orwell aveva concepito cotanto. Il sultano e la propria corte, dall’alto li guarda con disprezzo e con compiacimento, se ne serve come si farebbe con un giocattolo, per poi buttarlo quando non serve più. Questo sta mettendo ogni sera in scena il Sig. Signorini, una intelligenza degna di miglior causa. Per questo motivo Alfonso Signorini è degno del nostro giudizio e dovrà un giorno rispondere a qualcuno di quanto sta distruggendo nelle nostre coscienze e nei nostri cuori. Ci vorranno molti anni per liberarci del seme maligno che il berlusconismo ha fatto attecchire nei nostri spiriti, ci vorranno molti anni per comprendere appieno quanto male hanno fatto i cattivi maestri come Signorini, che con la sua aria innocente e un po’ svanita, sta cercando di demolire i valori che hanno fatto di noi non dei semplici uomini e donne (non a caso un altro titolo di una trasmissione della De Filippi), ma degli “esseri umani”. Non dimentichiamoci mai di questo picconatore delle coscienze, tanto più odioso quanto affabile e infido. Non so come e quando finirà questa amarissima storia italiana. Probabilmente finirà con la fine del capo, non essendo possibile neppure intravvedere un degno successore. Se andremo ad una consultazione elettorale, pensiamo attentamente che il mondo ci guarda e ci giudica per quello che siamo, pensiamo a tutto quel patrimonio storico, culturale e filosofico che gente come Signorini sta buttando alle ortiche, cerchiamo , con un salto d’orgoglio, di riappropriarci delle nostre coscienze, ridiamo dignità ai valori veri, profondi, umani, quegli stessi valori che erano presenti prima di Berlusconi e che ritorneranno, finalmente, dopo di lui.  rsonaggi che ben conosciamo, non è il caso di elencarli, ma non, dico non Alfonso Signorini. bene potrebbe raccontare di quste

venerdì 21 gennaio 2011

DALL'IGIENE DENTALE ALL'IGIENE MENTALE


Nel corso dell’ultima puntata di Ballarò il giornalista Vittorio Zucconi, collegato dagli Stati Uniti, dove fa il corrispondente, è incorso in un curioso lapsus linguae, definendo Nicole Minetti “una igienista mentale”. Non occorre incomodare Freud per comprendere il neppure tanto recondito significato di tale lapsus: in effetti il problema, il nodo da sciogliere, il motivo del contendere sta proprio tutto qui: nel problema mentale. Non mi riferisco al premier, su di lui molto è stato detto e scritto, anche nelle pagine di questo blog, di lui si sta occupando, tra le più grasse risate, il mondo intero. Giornali, televisioni, internet, siamo sulla bocca di tutti i continenti, la satira (che non poteva sperare in un occasione più ghiotta) sta facendo a pezzi non un solo uomo, ma una intera nazione. Basta andare sulla rete, se si ha la pazienza e la costanza di visitare i maggiori network di informazione di tutto il mondo, si può agevolmente osservare che lo sport preferito del momento è, per usare un termine recentemente rivisitato e sdoganato, “sputtanare” un uomo ed un paese intero. Su Berlusconi è stato detto e argomentato tutto il possibile, mi sembra inutile sviscerare qualcos’altro: è di tutta evidenza, anche per un profano, che si tratta di una persona totalmente fuori controllo, che ha perduto ogni contatto con la realtà e vive in un mondo immaginario e parallelo che si è costruito attorno, un mondo popolato di cortigiani compiacenti e di lacchè che non sanno fare di meglio che continuare a blandirlo e a lusingarlo, per mantenere, almeno finchè sarà possibile, i loro privilegi e le loro prebende. Quando parlo di sanità “mentale” mi riferisco al popolo italiano. I sondaggi veri, non quelli commissionati da Emilio Fede, fotografano una situazione a dir poco sbalorditiva: il partito del premier, che Berlusconi ha colmato di ignominia e trascinato nel fango, rimane il partito, seppure di misura, di maggioranza. Per il resto il quadro politico non cambia di molto: qualcosa in più alla Lega, all’Italia dei Valori, il PD verso il declino cui l’hanno destinato i suoi in capacissimi dirigenti, praticamente annullata la sinistra radicale, un risultato scarso anche per i finiani, che invece di guadagnare consensi, non decollano in seguito al marchio infamante di “traditori”. E allora, se così stanno le cose, è arrivato il momento di guardarsi dentro, dentro casa propria, i nostri amici, i nostri colleghi di lavoro, i nostri parenti, noi stessi. Come al tempo della Democrazia Cristiana, che regolarmente vinceva una consultazione elettorale dopo l’altra, non trovi un berlusconiano a pagarlo oro. Ma poi, nel segreto dell’urna, deve scattare un meccanismo che, sebbene ancora oggetto di analisi da parte dei politologi, degli antropologi, degli storici e degli psichiatri, ci fa tracciare una croce sul nome del presidente del consiglio. Il problema, ammesso che di problema si tratti, è quindi nostro, degli elettori, dei cittadini che, seduti al bar, sull’autobus, in coda alle Poste, ammiccano, si danno una gomitata e  a mezza voce sussurrano: “Eh, però, che dritto il Berlusconi, si è fatto dal niente, ha costruito un impero economico, e delle donne fa quello che vuole: ah, i comunisti, ma è tutta invidia, vorrebbero essere tutti come lui…” Questo per quanto riguarda i maschietti. E le donne? Le donne considerate oggetti da mercimonio, bambole finalizzate al solo piacere sessuale, svuotate di qualsiasi altra implicazione, le donne come faranno a conciliare questa strumentalizzazione umiliante con la permanenza nel partito del premier? Possiamo ancora comprendere quelle che sono state cooptate dal Cvaliere per meriti sul campo, non facciamo l’elenco sarebbe tropo lungo, anche se la difesa del capo fornita dalla Santanchè (a proposito, ma perché si fa chiamare Santanchè, quando il suo nome è Guarneri?) è degna di una pagina di Flaubert, quando la vedo e la sento parlare non credo neppure più alle mie orecchie…si possono dunque comprendere le donne che sono state promosse sul campo per meriti di “guerra”, ma le donne elettrici, beh, quelle fatichiamo non poco a comprenderle. Non regge, in questo caso, neppure il paragone con la propaganda mussoliniana, in quanto il duce, gettando le basi per la costituzione di uno stato autoritario, in cui la censura dominava su tutto, si era costruito il mito dell’uomo irraggiungibile, del condottiero delle mille battaglie, dell’uomo il cui carisma avrebbe fulminato qualsiasi donna. Ma Berlusconi, con il bunga bunga, la tratta delle prostitute, i festini con Emilio Fede e Lele Mora (due personaggi dallo scarsissimo carisma), con il suo interesse spiccato per le ragazzine, francamente non regge il confronto con un Mussolini guerriero che vuole il suo riposo. La figura di Berlusconi richiama semmai più da vicino “La cena di Trimalcione” descritta nel “Satyricon” di Petronio Arbitro, fa tornare alla mente una specie di Nerone che ormai è talmente andato avanti che non può più ascoltare i consigli del fido Tigellino (in questo caso l’unica persona che potrebbe trarlo d’impaccio, Gianni Letta). Come Nerone, si appresta a dar fuoco alla nazione, terminando così la sua forsennata corsa all’autodistruzione e alla distruzione di ciò che gli sta intorno. Le donne che continuano ad ammirare il capo e a promettergli il loro voto hanno, evidentemente un problema di identità. Ma qui ci sarebbe da psicanalizzare una nazione intera, e non si può fare. Di cosa abbiamo ancora bisogno per comprendere, che al di là dell’aspetto giudiziario, che in questa fase neppure ci interessa più, per motivazioni esclusivamente etiche (la rappresentazione del paese che diamo al mondo) economiche (l’Italia è entrata sotto osservazione per il debito sovrano e non ha certo bisogno di un leader occupato in altre faccende) e politiche (il Parlamento sembra imbambolato, attonito, incapace di reagire), di cosa abbiamo ancora bisogno per metterlo fuori gioco? Se non altro, al tempo dei Cesari, i pretoriani si sbarazzavano dell’Imperatore con sistemi piuttosto sbrigativi. Ovviamente, dai pretoriani del premier non ci si possono attendere simili gesti. Se il mondo intero si diverte alle nostre spalle non è per il comportamento dissennato del premier, è perché l’Italia è diventata un paese ridicolo, di cui farsi le beffe, un paese inconsistente e frivolo, di suonatori di mandolino e divoratori di pizze, di debosciati che vorrebbero essere e fare le cose che fa il loro capopopolo. L’unica motivazione che viene alla mente è la seguente: in questo paese è stata permessa una cosa inconcepibile in qualsiasi altro paese occidentale: il conflitto di interessi, mai sanato neppure dal complice D’Alema del Partito Democratico. L’uomo più ricco del paese, che detiene, da solo, una messe consistente dei mezzi di informazione, non può, nello stesso tempo far politica. Proprio perché il possesso di tutti questi mezzi lo pongono in una situazioni di favore rispetto agli altri competitori. La non risoluzione del conflitto di interessi pesa come un macigno sulle spalle di D’Alema, un vecchio trombone che farebbe meglio a ritirarsi dalla politica e prendere il largo con il suo natante. L’unica tesi sostenibile è che la RAI, Mediaset e i giornali di famiglia hanno messo a punto una strategia talmente ben congegnata che non ci rendiamo neppure più conto di essere stati plagiati dalla persuasione occulta a volte, palese in altre occasioni. Anche programmi apparentemente innocenti come “Uomini e donne” di Maria De Filippi (un’altra donna cui deve molto Berlusconi) apparentemente innocente, fa parte di questa infernale macchina della propaganda messa in atto da una abilissima regia. In questo Berlusconi e i suoi collaboratori sono stati vincenti. Solo un genio della comunicazione poteva mettere in atto un simile sistema, complesso, articolato, efficiente, ben oliato. A nulla valgono gli sforzi del TG3, di Ballarò, di Anno Zero. Ha ragione, anche in questo caso, un lucidissimo Bossi, che con malcelato disprezzo, ha dichiarato: “tutto questo baccano serve solo a portare più voti a Berlusconi”. E’ proprio così. La Lega, stanca delle intemperanze di quest’uomo, aspetta il coronamento del federalismo per poi, forse, staccar la spina. In effetti, l’unica soluzione per uscire dalle secche di una situazione che sta portando alla paralisi le istituzioni, desta sgomento nel Presidente della Repubblica, rende la stessa Chiesa imbarazzata e perplessa, sono le dimissioni di Berlusconi, che, però, allo stato attuale, sembrano una ipotesi assai remota. Qualche giorno fa, mi è capitato di vedere in TV la faccia di Nicole Minetti. Mi si è spalancato un orizzonte intero. D’improvviso ho capito tutto. Quel volto, le sue parole, la sua mimica, tutto parlava del perchè e del percome questa signora è passata dall’igiene dentale alla politica. Durante le sedute del consiglio Regionale della Lombardia, gioca con il telefonino, ma, d’altra parte, che cos’altro potrebbe fare? In conclusione, non gettiamo la croce addosso al solo Berlusconi, pensiamo piuttosto al berlusconismo del paese, e, come dicevo, guardiamoci dentro, esaminiamo le nostre reazioni, i nostri pensieri, il nostro senso della realtà, il nostro (se esiste) spirito critico. Se il paese è questo, allora questa classe politica fatta, da una parte di dilettanti allo sbaraglio, scelti dal capo per meriti “inusuali”, dall’altra parte da una serie di ras locali in eterno conflitto fra di loro, incapaci di incidere sulla realtà delle cose, non possiamo limitarci a lanciare anatemi nei confronti di coloro che abbiamo eletto. La classe dei politicanti che abbiamo prodotto è il nostro specchio, siamo noi stessi, non ci sono scuse, non si possono fare distinguo. Hanno ragione a prenderci in giro, a dare dell’Italia  una interpretazione di paese da operetta, roba da avanspettacolo, da cabaret di terza categoria. Siamo terminati dietro alla Grecia per qualità di classe politica, davanti a paesi come la Tunisia dovremmo toglierci il cappello e vergognarci come ladri. Ebbene, se questa è la realtà, mi permetto un consiglio, per chi possiede una rendita, anche non cospicua: andate in Costarica. E’ un paese ospitale, dal clima salubre e costante, si può vivere decorosamente con un terzo di quello che occorre qui da noi. Ma, soprattutto, i politici di quel paese non fanno il bunga bunga, sono persone serie, amano profondamente il loro paese, lo amarlo talmente da garantirgli, in un’area geografica non facile, una stabilità stupefacente. Quelli sono politici, quelli sono uomini. A loro tutto il nostro rispetto, la nostra ammirazione, e perché no, anche una punta di invidia.
NOTA: ricordo, infine, a tutti che l'art. 54 della Costituzione Italiana (almeno fino a quando non sarà emendata) dice testualmente: " I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge." Il comportamento di Silvio Berlusconi, oltretutto, è anticostituzionale.

MORIRE PER MADRID?

E’ notizia recente, tratta dal bollettino uscito a gennaio della BCE, che anche l’Italia, con Spagna e Belgio, è entrata nel novero dei paesi UE sotto osservazione per il debito sovrano. Non è una notizia stupefacente, le condizioni del nostro debito pubblico sono tali che non ci potevamo aspettare una sorte migliore. Tuttavia, vederlo scritto nero su bianco fa sempre un certo effetto. Al pari del Belgio, che oltre ad una politica delle sue banche non proprio accorta, soffre di una stallo politico (il paese è paralizzato dalla vittoria dei partiti nazionalisti, fiammingo e vallone, pronti ad una scissione cui l’Europa intera è contraria) anche l’Italia, con la situazione politica che è sotto gli occhi di tutti, non ne esce benissimo. Tuttavia, le preoccupazioni maggiori arrivano, ancora una volta dalla Spagna; nonostante le aste dei titoli pubblici siano andate discretamente, resta pesante la situazione che coinvolge il deficit dello stato e la crisi del sistema bancario di questo paese. Ci troviamo di fronte ad un paese “troppo grande per fallire”, considerando che il fondo salva-stati stanziato dalla BCE sarebbe largamente insufficiente per salvare un paese al quale, perlomeno, servirebbero 800 milioni di euro, una somma che semplicemente non sarà mai a disposizione né della UE né del Fondo Monetario. Ci troviamo, insomma, di fronte al dilemma di cercare il modo di evitare il default della Spagna senza trascinare nella rovina il resto dell’Europa. In gioco, come dico sempre, c’è sempre la sopravvivenza dell’Euro. In questo senso, se le cose non volgessero al meglio, l’unica soluzione praticabile sarebbe quella di far uscire la Spagna dall’Euro, condannandola, con il ritorno alla peseta alla rovina economico finanziaria. Se dovesse essere stabilita una simile strategia, è ovvio che, se non altro per una giustizia perequativa, bisognerebbe escludere dall’Euro anche gli altri paesi, già falliti o a rischio fallimento. Ma in questo caso mezza Europa uscirebbe dall’Euro. L’altra alternativa potrebbe essere quella dell’Euro a due velocità, ma anche questa appare difficilmente praticabile. L’Euro2 sarebbe destinato ad una lenta, inesorabile agonia, e dietro l’angolo ci sarebbe di nuovo il ritorno alle valute nazionali, con tutte le conseguenze del caso. Insomma, un bel rompicapo.
Riporto di seguito l’esauriemte analisi condotta dall’economista Micaela Osella su finanza.com, che riprende le dichiarazioni dell’analista Mike Riddel (M&G Investmens)
"La settimana passata abbiamo assistito a un modesto rally nell'area Euro e nei titoli di stato dei Paesi periferici dell'Eurozona", ricorda Mike Riddell, fixed income fund manager in M&G Investmens. Questo guizzo iniziale è stato causato dalla Bce che ha acquistato grandi quantità di emissioni portoghesi nel tentativo di dissipare i timori del mercato prima di un'asta critica. Le aste tenute la scorsa settimana in Portogallo, Spagna e Italia sono tutte andate bene, stimolando un ulteriore rally.
"Tuttavia - avverte l'esperto - non vorrei vedere troppi significati dietro il buon esito di un'asta: sia la Grecia sia l'Irlanda hanno avuto delle aste soddisfacenti prima dei rispettivi salvataggi, perché i market markers avevano posizioni short sulle obbligazioni che andavano all'asta e quindi hanno riacquistato queste posizioni corte durante l'asta". "La crisi dei titoli sovrani europei - avverte - è stata come assistere a un incidente d’auto al rallenty e mi aspetto che nelle prossime settimane la crisi riprenda". 
Secondo Riddell probabilmente nel lungo termine il Portogallo dovrà ricorrere a un salvataggio e questo è ancora uno scenario gestibile. "Il problema reale - segnala fixed income fund manager - è la Spagna, la cui economia vale due volte quella della Grecia, dell’Irlanda e del Portogallo messi insieme. Per alcuni versi l’economia spagnola assomiglia a quella irlandese: il livello di debito del Paese è piuttosto basso, ma è il sistema bancario che desta preoccupazioni". Se infatti la Spagna dovesse avvicinarsi al default, e c’è un rischio reale che ciò avvenga, - denuncia - ci troveremo di fronte al problema di un Paese non solo troppo grande per fallire, ma anche troppo grande per essere oggetto di salvataggio". 
 
"Si parla di aumentare il fondo per il salvataggio, ma dubito che questo sarà sufficiente: non è pre-finanziato, quindi gli investitori dovranno essere convinti a partecipare prestando denaro ai Paesi dell'Eurozona in difficoltà in un momento in cui quegli stessi Paesi sono depressi proprio perchè nessuno vuole concedere loro dei finanziamenti", argomento. "In secondo luogo, il fondo di salvataggio non è un regalo, ma un prestito: quindi quei Paesi che il mercato ha giudicato insolventi dovrebbero ripagare il proprio debito in pochi anni -  e questo è solo rimandare il problema. Inoltre, il costo di ciascun salvataggio sarà sostenuto dai contribuenti, e convincere i virtuosi contribuenti tedeschi o olandesi a prestare denaro ai contribuenti dei Paesi Mediterranei “spreconi” senza alcuna garanzia di riavere indietro quanto prestato, è pura immaginazione".  
In definitiva a suo avviso è indispensabile una qualche forma di ristrutturazione del debito per gli stati sovrani e per le banche, ma le autorità stanno cercando di evitarlo con ogni mezzo, perché le banche detengono la maggior parte dei titoli di stato dell'Eurozona al loro pieno valore. "Ristrutturare il debito sovrano rischia di causare il collasso del settore bancario perché i titoli di stato dell'Eurozona sottoscritti - per un valore di centinaia di miliardi di euro - dovrebbero essere svalutati e le banche semplicemente non hanno sufficiente capitale per coprire queste perdite", riprende l'esperto.   
Una cosa è certa comunque: le autorità faranno di tutto per prevenire una seconda Lehman. La Bce ha dimostrato che quando aumenta significativamente gli acquisti di obbligazioni governative dell'Eurozona riesce ad abbassare i costi di finanziamento dei paesi, ma la Bce userebbe questa politica solo come ultima risorsa dal momento che è quasi come emettere moneta, e perché implica un rischio morale superiore: perché il governo spagnolo dovrebbe implementare una riforma fiscale dolorosa se sta per essere salvata dalla Bce? "Di conseguenza vedo come scenario possibile un euro molto più debole e un deterioramento della crisi del debito nei Paesi dell'Eurozona", conclude Riddell. "Se non si raggiunge al più presto una decisione - e non credo che esista realmente una soluzione che esuli da un duro risanamento del debito  - la crisi potrebbe facilmente estendersi, passando dai mercati obbligazionari agli altri mercati finanziari". 

martedì 18 gennaio 2011

SCENDENDO

Avrei voluto sottrarmi ad un commento fin troppo facile, fin troppo scontato, fin troppo amaro, sull’indefinibile spettacolo che ci sta offrendo in questi giorni la politica in generale, e segnatamente Silvio Berlusconi. Lo faccio per un senso di dovere anzitutto nei confronti di quei cari amici lettori che mi hanno fatto la cortesia di richiedermelo, e per una sorta di dovere che provo nei confronti della mia stessa coscienza. Non ripeterò, in questa sede, tutta la serie di ovvietà di cui sono colmi i giornali, né la cronaca di fatti che sono, a questo punto, noti a tutti. Mi trovo, al pari di Rosy Bindi, della quale apprezzo la misura, in serio imbarazzo a commentare qualcosa che va al di là del lecito, dell’immaginabile, dell’umanamente comprensibile. Provo, in queste ore, un moto di pietà (non di compassione, che è ben altra cosa) per un uomo che è giunto alla fine del suo percorso politico e, forse, anche di quello umano. Pietà perché, metaforicamente, siamo quasi arrivati al Piazzale Loreto di questo autocrate fuori controllo, al triste capolinea di un ex leader e di un ex politico. Pietà, perché la fine di quest’uomo è la più ingloriosa che si possa immaginare, perché anche i suoi strenui difensori arrancano penosamente, si arrampicano su degli specchi sempre più scivolosi, perché l’imbarazzo generale è ormai enorme, l’immagine del paese ha toccato i minimi storici della storia repubblicana. Finire nella polvere è la peggiore fine, vessato, dileggiato dal suo stesso popolo, a Craxi tirarono le monetine, a Berlusconi è riservato il silenzio che va oltre le parole, un silenzio carico di disprezzo misto alla pena che proviamo per noi stessi, che lo abbiamo o eletto o tollerato, e per lui che non ha saputo ritirarsi in tempo utile. E’ altresì penoso lo spettacolo offerto dagli sgherri e dalle cortigiane di quest’uomo, costretti dalla loro stessa cupidigia, dal loro stesso attaccamento al potere e allo scranno, a difendere colui che non si può più difendere, a recitare una parte che non garba più nemmeno a loro, che senza Berlusconi non sono nulla, marionette senza fili. Non ci interessa e non interessa credo a nessuno, l’aspetto giudiziario della questione, è probabile che abbiano ragione coloro che parlano di “giustizia ad orologeria” (quest’ultima bordata giudiziaria ha preso le mosse all’indomani del pronunciamento della Corte Costituzionale sul legittimo impedimento). Non è questo che conta per noi. Per ben altre ragioni la misura è ormai colma. Le storie che trapelano da Palazzo Grazioli e dalla villa di Arcore provocano un disgusto tale dall’essere difficilmente comunicabile. Si parla di serate da suburra, popolate da una fosca umanità, da lenoni, ruffiani a vario titolo, procacciatori, mezzane, megere, avanzi di postribolo, prostitute, prostitute minorenni, signori anziani bavosi e patetici, lumaconi di varia natura, carabinieri e poliziotti distolti dalle funzioni istituzionali per accompagnare le prostitute di cui sopra, concussioni verso magistrati, favoreggiamento della prostituzione e via discorrendo. Torna alla mente, fatalmente, la sarabanda finale del film di Fellini “otto e mezzo”, un carosello di personaggi ora patetici, ora tragici, ora ridicoli, ora grotteschi. E’ chiaro per tutti che Berlusconi compirà il suo percorso fino in fondo: la coppa di cicuta dovrà essere bevuta sino all’ultimo, fino all’epilogo finale, che come dicevo, ricorda il Piazzale Loreto di un suo illustre predecessore, Benito Mussolini. Vorrei ancora una volta soffermarmi su alcune similitudini che è possibile ravvisare tra i due uomini. La stessa pretesa di essere “uomini della Provvidenza”, la stessa “solitudine del capo” (anche Gianni Letta, persona che reputo tutto sommato seria, non ha più alcun controllo su di lui), la stessa compresenza di buffoneria, arroganza, il populismo, la facile retorica, la presa sul grande pubblico, il fiuto politico, l’anticomunismo immaginario, l’idea, patologica, di rappresentare il meglio de popolo italiano, nella realtà disprezzato in segreto, considerato una massa di pecoroni disposti comunque e in ogni caso a seguire il capo; non ultimo, l’aver fondato un partito senza designare un successore, un partito di cui è il demiurgo ed il dittatore assoluto, un partito senza dialettica e senza confronto, non lontano, nella sostanza, a quello fascista.  E’ chiaro che si configura un accanimento terapeutico di questo regime, se non altro perché i suoi peones lo sosterranno fino all’ultimo, salvo cambiare casacca il giorno dopo la sconfitta. La stessa Lega Nord, osserva come da lontano, con malcelato fastidio, le prodezze di quest’uomo, esitando a togliere la spina solo perchè esiste una remota possibilità di portare a termine il federalismo.
E così, malinconicamente, assisteremo alla lenta agonia politica di quest’uomo, tenuto in vita da un pugno di mercenari parlamentari, e lo vedremo scendere, scendere sempre più in basso, in una sorta di “cupio dissolvi” orribile, in una corsa disperata  e grottesca verso l’autoannientamento e l’azzeramento del paese che lo ospita. Quindici anni di Berlusconismo non hanno provocato i danni e le rovine di vent’anni di fascismo, ma la cultura, la morale, la politica della nazione sono regredite di parecchi decenni. Qualcuno mi dirà che simili abitudini, presumibilmente, erano frequenti anche presso altri uomini politici al potere. E’ vero, probabilmente. Ma si trattava di ben altri uomini, con un senso della misura e della discrezione che Berlusconi ha mostrato di disconoscere completamente, cercando quasi, paradossalmente, di dare esibizione delle sue distorte abitudini. Non mi soffermerò sugli aspetti psichiatrici che lo riguardano, l’ho fatto in un post pubblicato precedentemente (“un caso clinico”) cui, eventualmente rimando il lettore. C’è ancora un aspetto da esaminare: l’esempio terribile offerto ad una generazione giovanile, già fin troppo colpita da una predestinazione alla disoccupazione e al precariato. Non è trascurabile l’aspetto diseducativo e offensivo nei confronti delle donne, considerate merce di scambio e da fruire come bambole gonfiabili. Per un quinto di quello che ha combinato Berlusconi, il congresso americano avrebbe votato l’impeachment e lo avrebbe messo fuori causa. Un ultimo aspetto, questo sì ridicolo, è che, stando ai sondaggi, se si dovesse arrivare a nuove consultazioni elettorali, il quadro politico cambierebbe pochissimo. Il partito di Berlusconi perderebbe qualche consenso ma non crollerebbe, acquisirebbe qualche voto in più la Lega e L’Italia dei valori, Il PD andrebbe incontro a viso aperto alla sconfitta, diviso com’è in correnti l’una contro l’altra armate, il partito di Fini non è abbastanza consolidato per conseguire un risultato di rilievo.
Basta. Mi costa fatica pensare e scrivere di questi eventi Se è vero quello che citavo poc’anzi, allora è vero che il popolo italiano è degnamente rappresentato da personaggi del tipo di Mussolini o Berlusconi (vi ricordate la caricatura di Mussolini, il Napoloni di Charlie Chaplin nel “Grande dittatore”?). Berlusconi ha molto di Napoloni, e il film di Chaplin, al di là della satira, era un film serissimo. Siamo noi italiani che non funzioniamo bene, non possiamo che esprimere una simile classe di politicanti. Non possiamo trovare facili scuse o scappatoie. I paesi delle tre “A”, in economia, Olanda, Danimarca, Germania, Finlandia, non sarebbero in grado di generare un simile personaggio. E allora scendiamo, scendiamo sempre più in basso, fino in fondo. Quando il leader rotolerà nella polvere, e noi con lui, nel cataclisma economico, forse saremo in grado di provare un moto di orgoglio e di ribellione. Quello che accade in Tunisia, una rivolta non per il pane, ma per liberarsi a un dittatore ottuso e corrotto, dovrebbe farci riflettere. Quando i nostri giovani prenderanno pienamente coscienza della loro condizione, della loro assenza di futuro, scenderanno in piazza e cominceranno la turbolenze, gli scontri ed un periodo di grande instabilità sociale. Ma per il momento, prima che cali il sipario e scenda la notte, continuiamo a scendere, a scendere gli ultimi gradini.

lunedì 17 gennaio 2011

FABIO FAZIO, LA RAI E IL MATERIALISMO DIALETTICO

Non è facile, di questi tempi, pagare a cuor leggero il canone TV alla RAI. Non è facile, non tanto per la catastrofe economica che si è abbattuta sulle nostre teste, ma soprattutto perché la RAI non ha fatto nulla per fare accettare al cittadino quello che prende sempre di più i connotati di un balzello finalizzato a mantenere un sistema pubblico che appare, francamente, sempre più lacunoso. La sensazione che trapela dal cavallo di Saxa Rubra è che il canone che versa il cittadino concorra al mantenimento di una pletora di raccomandati politici non sempre all’altezza dei compiti loro affidati. E’ vero che è presente qualche piccola isola di eccellenza, quasi tutta firmata RAI3 (si veda il caso di “Presa diretta” di Riccardo Iacona, uno straordinario giornalista, “Report” dell’altrettanto valida Milena Gabanelli, ma scelte come quella di sopprimere una trasmissione come “Mi manda Rai 3” che Vianello cominciava a tenere in pugno, sinceramente risulta incomprensibile. Vianello è stato relegato in una striscia giornaliera mattutina, che non vede nessuno “Agorà”, segno che deve avere pestato qualche piede sbagliato. In compenso sono in crescita i recipienti senza contenuto, inventati da quella donna geniale (absit iniuria verbis) che è Maria De Filippi: il suo “Uomini e donne” è il massimo possibile del genere “non sense”. Il format si dipana per una buona parte del pomeriggio fatto di nulla, è solo una pausa tra uno spot pubblicitario e l’altro. Ma la Rai non è da meno: passano film, in prima serata, degni della peggior cineteca parrocchiale, Mara Venier, nella “Italia sul due” ha portato una ventata di frivolezza e fatuità di cui non si sentiva certo la necessità. La pubblicità imperversa anche sulla RAI, i canali in chiaro che erano stati promessi dalla serie di testimonial (tutti i Pippi Baudi che la Rai poteva snocciolare), l’anno scorso, non si sono proprio visti. Rai4, per esempio, nettamente inferiore, quanto all’offerta, a “la5” o “la7d”, o “Iris” trasmette terribili polpettoni dalla laboriosa digestione.  Ho sperato per molti anni che la RAI rappresentasse un servizio realmente pubblico, indipendente dalle logiche del mercato della audience e della pubblicità, un servizio che mandasse in onda una programmazione decorosa, che riuscisse a coniugare intrattenimento e cultura. E invece, niente. Si insegue Mediaset nel cattivo gusto, sull’onda dello share, è Mediaset a dettare i palinsesti. La RAI appare sempre di più un carrozzone inconcludente, governata da personaggi in conflitto eterno fra di loro, una nave senza nocchiero. Il presidente Masi, che fortunatamente appare assai di rado, sembra uno di quei personaggi in cerca di autore di cui parlava Pirandello in una delle sue più memorabili opere teatrali. Tuttavia, come per gli altri anni, mi ero rassegnato a pagare i 110,50 euro, quando, una sera della settimana scorsa, è accaduto qualcosa. Mi è capitato di ascoltare le parole di Fabio Fazio (personaggio detestabile per affettazione e leziosità), parole atte a convincere i cittadini che è giusto pagare il canone. Salvo ottenere l’effetto contrario. Ha detto: “Ricordatevi che la RAI non appartiene a nessuno, è la televisione di tutti”. A parte il fatto che poteva risparmiarsi un fervorino così zuccheroso, ma poi, la sera stessa in cui ha pronunciato queste parole, ha invitato (eravamo all’indomani del referendum della FIAT), il Sig. Landini, responsabile della Fiom. Non ho mai apprezzato il berlusconismo, anzi, ma il fatto di ospitare un rappresentante di una organizzazione sindacale che non ha firmato l’accordo con l’azienda, e non, che so, un rappresentante di un sindacato firmatario, è una scelta politica. Allora, un tizio come Fazio che fa una precisa scelta politica nell’invitare un rappresentante acerrimo avversario di Marchionne per commentare a caldo il voto della Fiat, formulando, di fatto un comizio, e dopo qualche minuto mi racconta che “La Rai è di tutti” e non appartiene a nessuno e per questo è giusto pagare il canone, è in contraddizione con se stesso, ma soprattutto condanna la sua parte politica all’ennesimo fiasco elettorale prossimo venturo. Fazio, maestro di ipocrisia, non ha lo spessore di un Michele Santoro, la raffinata intelligenza di un Corrado Augias, l’eleganza e la misura di un Floris, tantomeno la vena ironica e autoironica di Serena Dandini. Fabio Fazio crede ancora ed applica (lo fanno ancora in pochi) il materialismo dialettico. Sembra appena uscito da una sezione del P.C.I., trent’anni dopo. Me li ricordo ancora, erano vestiti come lui, ordinati, a puntino, un poco compunti. Erano molto più garbati rispetto agli estremisti come noi, li differenziava il disprezzo per ogni forma di radicalismo, di movimentismo, erano i “bravi ragazzi” di sinistra che andavano fieri della loro moderazione e del loro revisionismo. Probabilmente Fabio Fazio non ha completamente abbandonato il materialismo dialettico (fondato da Hegel) e modificato poi in “storico” da Marx e  Lenin. Prego i signori della Rai di tenere d’occhio il mio abbonamento, perché farò il possibile per non pagarlo, consultando associazioni di consumatori e pareri legali, ma se proprio sarò costretto a farlo, lo farò solo per evitarmi una serie di molestie burocratiche. E’ triste per una azienda che si definisce “di tutti” farsi mantenere dai cittadini con un canone che viene versato solo per evitare una cartella esattoriale.

sabato 15 gennaio 2011

A JORDAN, CHE NON AVRA' 20 ANNI NEL 2018

A 13 anni ha dato la vita per salvare quella del fratello di 10 anni, nella catastrofe delle alluvioni che stanno allagando l’Australia. Jordan Rice si era arrampicato sul tetto della macchina insieme alla mamma e al fratellino, mentre le acque salivano, nell’inferno alluvionato di Toowoomba, poco lontano da Brisbane. Quando un camionista ha cercato di aiutarlo Jordan gli ha chiesto di mettere in salvo prima il fratello più giovane, Blake. Poi Jordan è stato trascinato via dalle acque con la mamma, Donna, scomparendo con lei per sempre.
E’ facile andare con la memoria alle figure tratteggiate da Edmondo De Amicis nei racconti mensili del libro “Cuore”, dedicati a giovinetti italiani che immolavano la propria esistenza ora per la Patria, ora per i genitori, ora per un moribondo sconosciuto. Ma qui non si tratta della melensa retorica di un romanzo di appendice. Correttamente, Massimo Gramellini, sempre attento a fatti di cronaca di particolare interesse, ha immortalato la figura di Jordan nella trasmissione “Che tempo che fa”.
Ora, non è facile commentare un simile fatto senza scivolare nella poetica dei buoni sentimenti. Ma, una volta appresa dai giornali la notizia, e, devo ammetterlo, una volta osservata la fotografia del ragazzo, l’intensità e la bellezza del suo sguardo, ho pensato che qualche riga, senza troppe pretese, poteva essere spesa. Jordan era un ragazzo timido, introverso, non particolarmente versato alla comunicazione con gli altri, ma era, al contempo, molto legato agli affetti familiari. Non era un ragazzo particolarmente brillante, non spiccava per intelligenza o intraprendenza, era, come si dice in questi casi, una persona assolutamente normale. Che cosa accade, allora, ad un ragazzo che fino ad allora non si era distinto particolarmente per coraggio, spirito di iniziativa, spiccato altruismo? Gramellini sostiene che ci sono dei momenti, nella vita di un uomo, in cui si ha la possibilità di rivelare completamente il proprio essere, la propria essenza. Come in un’epifania, si disvela e realizza la parte migliore di noi. Può essere. Che cosa si può dire di un ragazzo di 13 anni che, consapevolmente, rifiuta di salvare la propria vita concedendo la salvezza sicura ad un proprio congiunto, sapendo che le probabilità di salvarsi, in seguito a questa scelta, si sarebbero considerevolmente ridotte? I giornali, la TV, i video che popolano la rete lo descrivono come un “piccolo eroe”, come un “angelo venuto dal cielo” e via discorrendo. Eviterei questi luoghi della retorica, mi soffermerei invece sulla nazionalità del ragazzo. L’Australia è un paese giovane, che si sta comportando, nella catastrofe economico finanziaria che stiamo vivendo, in un modo affatto diverso da tutti gli altri paesi del mondo, soprattutto rispetto all’Europa. Si potrebbe anzi dire, che il governo australiano ha preso misure diametralmente opposte a quelle dell’Unione Europea. E i risultati che si possono intravvedere sembrano premiare questa strategia. E’ un paese lontano, con regole diverse dalle nostre, che viviamo ai suoi antipodi, in cui l’incontro con gli aborigeni non ha causato solo discriminazione e segregazione razziale, ma ha anche arricchito straordinariamente questa popolazione di immigrati europei, che dalla cultura aborigena, nonostante tutto, ha imparato qualcosa. Non so se un ragazzino francese, o tedesco, o italiano in una simile circostanza si sarebbe comportato in modo analogo, ma ne dubito. La vecchia Europa del valzer è in piena decadenza, economica, ma soprattutto morale. Non siamo neppure capaci di ascoltare il nostro prossimo, figuriamoci  salvarlo dalla furia delle acque. Nel nostro sangue, che scorre sempre più lento e stanco nelle nostre vene, c’è la stessa sostanza che ha avvelenato Bisanzio e i suoi ultimi anni. Abbiamo allevato una generazione di giovani nell’illusione di poter dare loro tutto quello che ci richiedevano, viziandoli, facendone dei capricciosi buoni a nulla. Ci siamo dimenticati che cosa volesse dire fare i genitori, giocando agli amici con i nostri figli, e ottenendo così di predestinarli all’infelicità e all’irrealizzazione. Quando non saremo (presto) più in grado di soddisfare le loro consumistiche esigenze, ci  presenteranno il conto dei nostri svarioni educativi, e si ribelleranno come fanno i bambini quando viene sottratto loro un giocattolo. Ma Jordan no, non era fatto di questa pasta, la sua doveva essere una lega speciale, simile all’acciaio, qualcosa di completamente sconosciuto non solo ai nostri giovani ma anche a noi, che giovani non siamo più. La società australiana ha costruito un sistema di regole ed una giurisprudenza che agevola l’eliminazione di distorsioni simili alle nostre. Ha cercato di prevenire i disagi giovanili, edificando un sistema educativo completamente dissimile al nostro. Regole più ferree e più semplici, un codice etico che si inscrive nel patrimonio genetico di quella gente. Non so se Jordan Rice è stato un eroe, forse neppure a lui importerebbe sapere come lo giudichiamo. Ha fatto la scelta che gli appariva, semplicemente, più naturale, più consona al suo temperamento. Alla famiglia, e ai suoi compatrioti ha lasciato un esempio, un modello esemplare, a noi, che non sappiamo neppure più distinguere una azione eticamente utile da una scriteriata ed immorale, a noi il cui orizzonte non arriva al di là dell’uscio di casa, che ci siamo assuefatti a tal punto alle disavventure sessuali dei nostri politici che abbiamo persino perduto il senso del ridicolo, a noi, sempre più chiusi nel nostro egoismo e nei piccoli tornaconti quotidiani, incapaci come siamo si sollevare lo sguardo su, nel cielo, per vedere che cosa c’è oltre la siepe di casa, il gesto di questo ragazzo appare distante, oleografico, enfatico, tanto da farne una specie di santino che lo collochi nell’olimpo dei santi cattolici, così lontano dalle nostre vite di tutti i giorni. Non possiamo accettare il fatto che Jordan poteva e doveva essere un ragazzo qualsiasi, dobbiamo elevarlo agli onori dell’altare (qualcuno se ne verrà fuori con il solito “santo subito”.) Questa operazione, santificarlo per distanziarlo, ci serve per stabilire tra noi e lui un distacco incolmabile, quello, appunto, che noi, comuni mortali, non potremo mai colmare. La santificazione che consente la rimozione è una pratica tipica dei benpensanti, utile a rimuovere il senso di frustrazione che deriva dall’impossibilità di reggere il confronto con il santo del momento. Ma non ci sono santi, non ci sono eroi, ci sono dei ragazzi, come Jordan, che ci ricordano che l’uomo è anche questo, è anche puro altruismo, è anche sacrificio estremo, è in grado di provare anche dei sentimenti granitici e sinceri. Fino alle estreme conseguenze. Salutiamo, allora, questo ragazzo di tredici ani, questa vita spezzata che sopravvive nella coscienza dei giusti, questo piccolo uomo dallo sguardo profondo, che con il suo sacrificio ha impartito a noi tutti la più bella e più fulgida delle lezioni: finchè ci saranno uomini e donne come lui anche le nostre vite, (ne parlavo qualche articolo fa) possono dire di avere ritrovato uno scopo, un senso, una meta da raggiungere. E a me, che gli anni e il mondo hanno indurito il cuore e reso l'anima asciutta, ha fatto bene guardare gli occhi di questo ragazzo: ci ho visto quello che non vedo più da troppo tempo nel mio sguardo, mi ha fatto, per un momento, tremare i polsi e riempire di lacrime gli occhi.

giovedì 13 gennaio 2011

IL BUSINESS DELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI

Questa volta ci occupiamo di adozioni internazionali. Non deve meravigliare questa scelta: le cronache, sebbene non con la frequenza che meriterebbe l’argomento, si occupano sempre più spesso del “business” che si aggira intorno alle adozioni. Ho conosciuto personalmente diverse coppie che hanno cominciato l’interminabile iter richiesto in questi casi: si parte con una idoneità di difficile conseguimento, poi si passa ad una associazione autorizzata, al vaglio degli assistenti sociali, fino ad arrivare agli enti accreditati nei paesi di origine dei bimbi. Un calvario intessuto di lungaggini burocratiche (spesso del tutto immotivate) alla compilazione di strampalati questionari che assomigliano ai test di Rorschach (ma gli aspiranti genitori non sono pazienti psichiatrici), al sostenimento di spese, per lo svolgimento, la traduzione, il disbrigo delle pratiche con il paese di origine sempre più costose e non sempre giustificate. Tutta questa procedura può durare fino a sei anni (sei anni!), per questo motivo una percentuale non trascurabile di coppie abbandona il progetto prima di portarlo a termine (ma nessuno, ovviamente, rimborsa loro le spese sostenute fino a quel momento). Insomma, si tratta di un mondo farraginoso, i cui passaggi sono poco trasparenti e spesso surreali, il ricatto emotivo è dietro l’angolo. Ad una coppia non fertile che desidera un figlio è più semplice richiedere denaro senza troppe pezze d’appoggio. Quanto ai paesi di origine dell’adottato, si aprono degli scenari da far rizzare i capelli: ricordiamo lo scandalo nepalese, uno dei paesi dove la corruzione che dilagava sulle adozioni era talmente virulento da non poter più essere coperto. L’aspetto, in effetti, più disgustoso della questione è proprio il ricatto morale perpetrato da enti e associazioni alle spalle di aspiranti genitori, colpiti così nella parte più delicata e sensibile del proprio animo: il desiderio di maternità e paternità, continuamente frustrato da reiterate richieste di denaro, tartassato da scartoffie burocratiche apparentemente prive di senso, insomma, tutto questo sconfina in qualcosa di profondamente immorale. Se è vero che qualcuno, approfittando della propria posizione di forza rispetto a persone che chiedono solo di diventare genitori di un bimbo destinato all’infelicità, abusano della buona fede di costoro,  commettono un reato che non trova neppure posto nel codice penale: lo sciacallaggio. Siamo tutti grandi ammiratori della trasmissione “Report” della Gabanelli: la invitiamo a dedicare una delle prossime puntate a questo mondo ancora oscuro, ma che prima o poi deve essere illuminato dalla luce impietosa della giustizia.
A questo proposito pubblico volentieri un articolo tratto dal sito “L’Arca di Noè” di Nicola Ricchitelli:

Un bimbo proveniente dallo Sri Lanka «costa» 5.100 euro, uno della Bulgaria 7.200. Ma a quanto pare le richieste arrivano fino a 30mila euro. Dietro molte delle adozioni internazionali c'è un business senza scrupoli e senza regole. Con tanto di «listino prezzi». Più alta è la somma che si è disposti a pagare, più aumenta la possibilità di scelta da parte degli aspiranti genitori. Proprio la cantante Madonna si è resa protagonista di uno di questi squallidi episodi sotto gli occhi di tutto il mondo; la popstar è volata in un villaggio del Malawi (il Paese più povero del mondo), ha lasciato alle autorità locali un assegno di 30 milioni di euro e nel giro di pochi giorni si è portata nella sua villa di Londra un bimbo di 13 mesi. Ovviamente non tutti possono contare sulla disponibilità economica della cantante, ma anche per i «comuni mortali» vige lo stesso principio: mettendo mano al portafoglio le procedure burocratiche si snelliscono, i tempi di attesa si accorciano e la possibilità di scegliersi il figlio più carino aumentano. Anche in Italia l'adozione internazionale è un grande business. O meglio, un grande Far West dei sentimenti dove chi è disposto a calpestare quelli altrui ha ottime possibilità di arricchirsi.  Basti pensare che dopo la legge del 2001, che per le coppie adottive stabilisce l'obbligo di affidarsi a un ente autorizzato per le adozioni all'estero, queste associazioni si sono moltiplicate come funghi: fino a sei anni fa potevi contarle sulle dita di una mano, ora sono quasi un centinaio. Una giungla che offre bimbi «chiavi in mano», senza farsi scrupolo di indicare tariffe comprensive perfino delle mazzette da allungare ai funzionari nei Paesi dove si è scelto di adottare il bambino. Quando si parla di «borsino» non scherziamo: il fixing dell'adozione cambia da nazione a nazione a da intermediario a intermediario. Secondo infatti una documentata ricerca curata dall'associazione «Donna e qualità della vita» su un campione di 100 enti autorizzati all'adozione, un bimbo proveniente dallo Sri Lanka «costa» 5.100 euro, mentre un piccolo originario della Bulgaria ne «vale» 7.200; poca cosa rispetto ai 18mila (ma secondo il Ceis di Ancona, che si occupa di affidi e accoglienza di minori in difficoltà, si può salire fino a 30mila euro) richiesti alle coppie italiane,  che poi devono farsi carico anche di quattromila euro sotto la voce «spese fisse». Insomma, la galassia delle adozioni è piena di buchi neri che possono risucchiare nella loro orbita denaro, speranze e affetti. Fino ai casi limite in cui la commistione con la criminalità assume aspetti terribili: è risaputo, ad esempio, che gli istituti minorili di certi Paesi dell'Est europeo, del Sud-est asiatico e della Colombia rappresentano la «fonte» per affari sporchi come il traffico di organi e il turismo sessuale.  Nel migliore dei casi si tratta di viaggi senza ritorno in una dimensione spazio-tempo dove i più ancestrali sentimenti di maternità e paternità vengono frustrati da nemici tanto invisibili quanto insidiosi: burocrazia esasperata, assenza di leggi, norme in conflitto da un Paese all'altro. Un microcosmo mai sufficientemente esplorato e compreso nei suoi mille aspetti, come conferma il sondaggio curato dall'associazione «Donne e qualità della vita» che il Giornale è in grado di anticipare nei suoi risultati più clamorosi. A cominciare da una cifra choc: ogni anno 5 famiglie su 10 rinunciano a portare a termine le pratiche per l'adozione a causa di lentezze burocratiche e costi eccessivi; due realtà ben conosciute dalle 50.000 coppie italiane che, ad oggi, hanno ottenuto il certificato d'idoneità all'adozione. La stragrande maggioranza degli intervistati (39%) non ha dubbi: il vero problema è rappresentato dalle lungaggini burocratiche e dai tempi di attesa (in media tre anni e mezzo) che appaiono, talvolta, insormontabili.  Altro fattore non trascurabile è quello economico, citato nel 31% dei casi; per il 12% del campione, invece, le famiglie si fermano a metà del percorso per le difficoltà e le problematiche poste dai Paesi d'origine dei bambini. Infine l'11% rinuncia dopo aver concepito un figlio prima di ottenere l'adozione, mentre il restante 4% abbandona per altri motivi.
Ma in quale fase si interrompe l'iter di un'adozione? La maggior parte delle famiglie getta la spugna prima dell'assegnazione del bambino (45% dei casi), mentre il 28% rinuncia ancor prima di ottenere dal Tribunale dei minori la dichiarazione d'idoneità. Il 17% del campione, invece, decide di rinunciare prima di contattare l'ente autorizzato al sostegno del percorso adottivo, disorientato probabilmente dalla difficoltà di scegliere tra gli oltre 70 Enti esistenti preposti a questa funzione.Il restante 4%, invece, lo fa qualche anno dopo aver adottato un bambino, rinunciando così a proseguire l'esperienza. Ad oggi, i bimbi stranieri adottati da coppie italiane sono poco meno di 15.000. Secondo la Commissione per le adozioni internazionali (organo di coordinamento della presidenza del Consiglio dei ministri) è possibile stilare anche una sorta di identikit del genitore adottivo: gli italiani che fanno domanda di adozione internazionale hanno in media 41 anni (gli uomini) e 39 anni (le donne).  Il 90,6% delle coppie non ha figli, mentre il restante 9,4% ha già uno o più bambini: una condizione quest'ultima che, nel caso l'iter di adozione dovesse rivelarsi un fiasco, può almeno aiutare a cicatrizzare la ferita. 

E poi, per completezza, la bella ed esauriente testimonianza di uno di questi genitori, il Sig. Pino Torreggiani, di Varese, che descrive con chiarezza esemplare la sua reale esperienza:

«I punti critici - spiega Torreggiani -  riguardano i rapporti con gli enti autorizzati che gestiscono queste adozioni e i costi che le famiglie devono sostenere. La mia prima adozione è costata 24 mila euro, tra pratiche italiane gestite direttamente dall'ente  e spese all'estero che comprendono il referente locale, i viaggi, il vitto e l'alloggio. Chi non è benestante o non puo' accedere a prestiti puo' quindi scordarsi di adottare.  È vero che le spese sono deducibili al 50 per cento, ma provate voi ad andare in Nepal e chiedere al tassista che ti accompagna in orfanotrofio la ricevuta fiscale».
La questione degli enti (in Italia quelli autorizzati sono circa 70) è forse la più delicata. La coppia, infatti, deve iniziare la procedura concreta di adozione internazionale rivolgendosi ad un ente autorizzato, entro un anno dal rilascio del decreto di idoneità, emesso dal tribunale dei minori. «Il primo problema - continua Pino - è quale ente scegliere e soprattutto come sceglierlo. Si è obbligati a rivolgersi per l'intermediazione ad un ente autorizzato, privato, che dovrebbe svolgere le pratiche necessarie per tutta la procedura, senza poter contare, invece, su strutture istituzionali. L'aspetto più grave è il controllo, perché l'ente autorizzato di fatto non è sottoposto a controlli di organismi istituzionali sull'iter proposto e soprattutto sui costi che applica. C'è una cifra limite di 13 mila euro, ma è facilmente aggirabile. Insomma hanno carta bianca sui coniugi, che sono la parte più fragile, perché ricattabili dal punto di vista affettivo. Alcuni di questi enti, autorizzati dallo Stato italiano, sono stati fatti chiudere perché avevano messo in atto vere e proprie truffe a danno delle coppie adottanti. Insomma c'è il rischio di una compravendita legalizzata».
Salve Io e mia moglie Siamo da 60 giorni in Ucraina per lo svolgimento di una pratica di adozione Internazionale, ed ancora non conosciamo la data di rientro in Italia, tutte le promesse fatte dall’ente autorizzato in Italia si sono rivelate vane e false, nella sede Ucraina dell’ente abbiamo solo visto un’incapacita’ nel seguire le coppie e comportamenti ambigui e lesivi, diverse volte la documentazione e’ stata consegnata sbagliata allungando ulteriormente i tempi, o adirittura trasuzioni errate.
Vorrei sapere perche’ gli organi superiori, Commissione Adozioni Intenazionali, Ambasciata e vari non si curano minimamente delle problematiche che vensono rappresentate dalle coppie, con grande rammarico sono arrivato alla conclusione che qui’ non si perseque lo spirito dell’adozione ma il business della stessa, noi coppie ci sentiamo abbandonate dalle istituzioni e dalle associazioni che hanno professato tante belle parole per spillare dai 7.000,00 agli oltre 14.000,00 euro di molte associazioni.
La presente per denunciare un comportamento che ha ben poco di umanitario, ed una corruzione mai vista, spero questa denuncia possa aiutare tutte le coppie che vivono queste vessazioni continue e forzate solo nella speranza di poter avere un figlio e dare un futuro migliore ad un bambino che ha vissuto la tragedia dell’ abbandonato; Non ci meritiamo questo, io attualmente mi trovo nella citta’ di Karchiv in Ucraina, confido nella possibilita’ di far cambiare le cose, in quanto noi italiani siamo gli unici ad essere obbligati a passare per enti autorizzati che approfittano in modo subdolo e cinico della situazione, tutto quello che scrivo lo scrivo con nesso di causa in quanto ho avuto la possibilita’ di confrontarmi con altre coppie nazionali e di altre nazioni e vedere le differenze di iter e costi. Noi Italiani siamo abbandonati a noi stessi in un paese ostile e senza la minima conoscenza della lingua, l’inglese e’ inesistente e tutto e’ scritto in cirillico.
Ogni mese nuove coppie arrivano qui in Ucraina per arricchire queste false ONLUS che vantano fatturati miliardari fatti ai danni dei bambini e di noi coppie.

mercoledì 12 gennaio 2011

TUNISI !

E’ di queste ultime ore la notizia che la situazione in Tunisia sta precipitando verso la guerra civile o l’insurrezione armata. Non ci sarà in realtà alcuna insurrezione popolare, per il semplice fatto che il regime di Ben Alì, praticamente alle corde, non cadrà per mano della guerra civile (che è una prerogativa delle democrazie), ma solo in virtù di un golpe militare. Facciamo ordine. Il generale Zine Al-Abidine Ben Alì, una volta deposto l’ex dittatore Bourguiba, diventa, da militare che era, Presidente della Repubblica a vita. Era il 1987 (sic!). Le consultazioni elettorali e gli emendamenti costituzionali che si sono avvicendati non hanno mutato questa realtà. Sappiamo bene che nel continente africano e in quello Sudamericano, quando alla voce “forma istituzionale” leggiamo “repubblica presidenziale” si tratta in realtà di una dittatura mascherata. Ho visitato in tre circostanze diverse  questo paese, pieno di contrasti e contraddizioni, ma ricco di una formidabile vitalità, e di una certa creatività da parte dei suoi  abitanti. Ho amato questo paese, ma debbo rilevare che 23 anni di dittatura di Ben Alì non sono facilmente spiegabili a noi occidentali. Un mediocre generale, che si improvvisa Presidente, che riempie le carceri di prigionieri politici, primi fra tutti i sindacalisti, che soffoca le libertà di stampa (i giornali quotidiani sono 18,9 per 1000 abitanti; in Italia sono 109 per mille abitanti), che ha instaurato un regime poliziesco – la polizia è presente ovunque, costantemente, per quanto cerchi di mimetizzare la sua presenza con una certa discrezione -  che, soprattutto, ha costruito un regime politico economico di tipo familiare-clientelare, con livelli di corruzione inimmaginabili, un regime autocratico degno di un Bokassa. E proprio qui sta la contraddizione più vistosa di questo paese. Si tratta di un paese, non lo dimentichiamo, con una economia non disperata, dotato di discrete infrastrutture, di una collaudata rete di accoglienza turistica, con buone rimesse da parte degli emigrati, con una alfabetizzazione al 78% (per un paese africano un’ottima percentuale), insomma in una nazione che di fatto non appartiene neppure al terzo mondo, governato da un dittatore da Repubblica Centrafricana. Esistono, infatti, numerosi casi analoghi nell’Africa subsahariana, ma si tratta di paesi dall’arretratezza non paragonabile alla Tunisia. Dispiace profondamente constatare che per tutti questi anni il popolo tunisino si sia fatto soggiogare da un simile monarca assoluto. Non si tratta, come è ovvio, di una banale (ma non troppo) “rivolta per il pane”, si tratta, più in profondità di una rivolta degli studenti e dei giovani per i quali non ci sono sbocchi se non appartengono alla cricca del regime, di una rivolta delle opposizioni civili stanche di continuare a vivere sotto il tallone dei militari. Eppure, paradossalmente, saranno proprio i militari a liberare il paese da Ben Alì, che troverà sicuramente rifugio in qualche accogliente “repubblica presidenziale” del continente. Così, ad un regime militare si succederà un altro regime militare, che sicuramente, dopo aver modificato per l’ennesima volta la costituzione, prometterà quanto prima una consultazione elettorale, per riconsegnare il potere ai civili. Ma intanto ci saranno tempi tecnici da rispettare, per questo passaggio istituzionale, ed i militari, tirando a campare, si accorgeranno che, in fondo, non è così male stare al potere. Si troverà in questo modo un altro generale disposto a fare il presidente a vita. Come già detto, l’aspetto che desta un certo rammarico, è vedere chiaramente che il popolo, utile solo a dar fuoco alle polveri, finisca ancora una volta per non essere protagonista di questo importante cambiamento istituzionale, ma sia obbligato a subirlo, gestito come sarà da una giunta militare, la quale non farà altro che raccogliere il testimone della precedente. Un vero peccato. Un’ultima considerazione. Alle anime belle che si strappano le vesti deplorando le dittature militari che governano paesi come la Tunisia e soprattutto l’Algeria, ricordiamo che noi occidentali abbiamo ampiamente foraggiato ed appoggiato, magari sotto traccia, tali giunte, per il semplice fatto che se questi paesi andassero a vere libere elezioni le probabilità di vittoria da parte dei partiti islamici sarebbero parecchio alte. Una delle cose che noi europei abbiamo apprezzato di più del regime di Ben Alì e della giunta militare algerina è che l’esercito, tradizionalmente laico, ha messo fuori legge qualsiasi partito islamico. E a noi questo tutto sommato non dispiace. Vedere affacciato sul Mediterraneo una paese come l’Iran di Ahmadinejad, francamente non è una alettante prospettiva.

lunedì 10 gennaio 2011

UNA STORIA DISONESTA (quelli che vanno)

U. Boccioni: "Quelli che vanno"
Dovendo concludere la breve trilogia dedicata al ciclo di Umberto Boccioni degli “Stati d’animo”, pubblico il presente post avente per argomento “Quelli che vanno” pensando a  tre cantautori che hanno accompagnato diversi anni della mia giovinezza, e sono, come si dice in questi casi, prematuramente scomparsi, e nessuno si occupa più di loro, anche coloro che hanno contratto un debito più o meno ingente con questi tre artisti. Si fa un gran parlare, viceversa, di un personaggio, anch’esso stroncato nel fiore degli anni, come Rino Gaetano, caricando la sua figura ed il suo messaggio di valenze e di concetti che lui stesso avrebbe rigettato, allergico com’era alle facili etichette. Quindi, anche se è vero che la sua evoluzione prometteva bene, la sua immagine, dall’utilizzo consumistico che se ne sta facendo, è visibilmente distorta. Il silenzio, invece, è completamente calato su tre cantautori  che meriterebbero di essere più spesso ricordati e approfonditi. Mi riferisco a Pierangelo Bertoli, Ivan Graziani e Stefano Rosso. Il primo, che ho avuto la fortuna di conoscere personalmente nel corso dei suoi esordi, si è distinto per la schiettezza, l’autenticità, l’immediatezza della sua ispirazione. Figlio di una modesta famiglia modenese operaia, impara a suonare la chitarra da autodidatta, e compone le prime canzoni quasi per scherzo, ma cominciando precocemente a riscuotere a livello locale (nasce a Sassuolo) un discreto seguito. Costretto su di una sedia a rotelle da una grave forma di poliomielite, contraddistinto da un formidabile impegno politico, non appena esce dalla gabbia delle convenzioni ideologiche del tempo, si fa notare da Caterina Caselli, che fa produrre il suo primo vero e proprio LP dalla CGD. (A proposito, non saremo mai grati a abbastanza a quella incredibile talent scout che è stata Caterina Caselli, produttrice dall’infallibile fiuto). “A muso duro”, che sarà anche il titolo dell’album, è una delle più fortunate canzoni dell’artista, anche se non la migliore. Pierangelo Bertoli componeva melodie e scriveva testi come un artigiano sbozza un ceppo di legno, la sua ispirazione, magari un po’ grezza, è trasparente come il cristallo, i temi da lui trattati sono in genere di argomento sociale, qualche volta intimistico, ma sempre improntati ad un lucido ottimismo della volontà. Non si è mai abbandonato a facili malinconie, la sua condizione non lo ha minimamente limitato. Era una persona fuori dal comune, la sua intelligenza era acuta e penetrante, senza alcun bisogno di solide basi culturali. Ha lanciato e prodotto Luciano Ligabue, il quale, dopo i primi anni, si guarda bene dal ricordare colui che lo ha messo in pista. Pierangelo Bertoli morirà, in seguito alle complicazioni della sua condizione, all’età di circa sessant’anni. Di lui amo ricordare il suo brano migliore (a mio avviso) cantato in coppia con un amico che non lo dimenticherà mai, Fabio Concato: si tratta di "Chiama piano", potete ascoltarla cliccando sul link.
Il secondo, Ivan Graziani, anche lui di umili origini, un figlio dell’Abruzzo, tenacemente attaccato alla sua terra, che emerge in modo più o meno costante nelle sue canzoni. Sicuramente il più prolifico dei tre, ha inciso una quindicina di album, alcuni memorabili, come “Agnese dolce Agnese”, “Pigro”, “Nove” “Seni e coseni”. Dei tre si distingue per essere stato un musicista completo, avendo esordito con Lucio Battisti, Francesco De Gregori, Franco Battiato ecc.  Profondo conoscitore della musica, compone pezzi dapprima per altri, poi per se stesso, iniziando a scriverne i testi. La sua poetica, non erudita così come per Bertoli e per Rosso, è comunque efficace e non priva di una sensibile originalità. Come spesso accade nella storia dei cantautori italiani, i primi dischi sono anche i più articolati e profondi. La canzone “Scappo di casa”, contenuta nell’album “Pigro” è una autentica “rivolta contro la madre”, fortemente autobiografica, con un testo così autentico da risultare, nelle ultime battute, sinceramente commovente “Ma allora perché questo grosso individuo mi chiama balordo / vuole spaccarmi la faccia se non mi tolgo dai piedi / e intanto il padrone del bar / vuole che paghi il mio cappuccino / mi coprirò con le braccia la testa / come facevo da bambino.” Ma sempre sue sono canzoni memorabili come “Fuoco sulla collina” o “Signora bionda dei ciliegi”, canzoni nelle quali ad una genuina ispirazione popolare abbina un rock adattato ai giorni nostri, sempre gradevolissimo. Il suo modo di cantare, che molti ritengono a torto un falsetto, è dovuto semplicemente ad una particolare conformazione delle sue corde vocali, come ricorderà in una intervista postuma, il figlio Filippo. Anche lui completamente rimosso dalla memoria dei media, sopravvive nella memoria di chi lo ha amato e continua a farlo attraverso un sito a lui dedicato su internet. Muore a Novafeltria appena cinquantunenne, in seguito ad un tumore al colon, contratto già nel 1995 (muore nel 1997). Nei due anni di terapia continua l’attività e a fare concerti. Di lui amo ricordare una delle sue più belle canzoni, "Canzone per Susy", che qui potete ascoltare.
Il terzo cantautore dimenticato, romano di Trastevere, anche lui completamente autodidatta, è Stefano Rosso. Conosce un momento di gloria con l’uscita dell’album “Una storia disonesta”, la cui canzone omonima riscuote un discreto successo. Con gli altri due, condivide le umili origini, che generano in lui un reiterato rimpianto per non aver potuto proseguire gli studi, e che spesso veicola nelle sue canzoni. Il secondo album, “E allora senti cosa fò”, inciso per la RCA, gli procura una certa notorietà, ed in effetti contiene  le sue migliori canzoni, anche nel suo caso ispirate a temi politici o sociali, spesso autobiografici. Dopo il terzo LP “Bioradiofotografie”, si reca negli Stati Uniti per cercare una diversa ispirazione, ma il viaggio si rivelerà nella sostanza un flop, e l’ispirazione successiva perderà, col tempo, di smalto e brillantezza. Da segnalare, in seguito ad una delusione amorosa, la sua permanenza, per un paio d’anni nella Legione Straniera. Nonostante non avesse studiato lo strumento, col tempo è diventato un ottimo suonatore di chitarra, fondendo nelle sue opere una originale vena trasteverina con il folk e il country americano, e affinando, con gli anni, l’ottima tecnica del “finger picking”. Morirà sessantenne nella sua Trastevere, di lui amo ricordare la sua canzone migliore, per ispirazione poetica e melodia: "Letto 26", ascoltabile al precedente link.

Come è agevole notare i tre cantautori citati hanno in comune le origini proletarie, una formazione musicale e poetica da autodidatta (con la sola, forse, unica eccezione di Graziani), i temi affrontati nelle canzoni, tutti legati alla terra di origine, alle problematiche sociali e politiche del loro tempo, un certo anticonformismo, l’assoluto disinteresse per il denaro, il gusto di esibirsi per il proprio pubblico, amato profondamente, per il solo piacere di sentirsi in mezzo agli altri, l’assoluto rifiuto di compromessi commerciali. Dispiace, e non poco, che questi (ma se ne potevano citare altri) artisti siano stati dimenticati o quasi dal nostro sistema di comunicazione. Indubbiamente i temi affrontati dalle loro canzoni sono completamente fuori tempo e fuori luogo, e anche questo è un buon motivo per farci riflettere. Loro “sono andati”, per noi che “restiamo” il compito di ascoltare qualche volta le loro canzoni, l’unico modo per non dimenticarli e per fare del bene anche al nostro spirito.