sabato 15 gennaio 2011

A JORDAN, CHE NON AVRA' 20 ANNI NEL 2018

A 13 anni ha dato la vita per salvare quella del fratello di 10 anni, nella catastrofe delle alluvioni che stanno allagando l’Australia. Jordan Rice si era arrampicato sul tetto della macchina insieme alla mamma e al fratellino, mentre le acque salivano, nell’inferno alluvionato di Toowoomba, poco lontano da Brisbane. Quando un camionista ha cercato di aiutarlo Jordan gli ha chiesto di mettere in salvo prima il fratello più giovane, Blake. Poi Jordan è stato trascinato via dalle acque con la mamma, Donna, scomparendo con lei per sempre.
E’ facile andare con la memoria alle figure tratteggiate da Edmondo De Amicis nei racconti mensili del libro “Cuore”, dedicati a giovinetti italiani che immolavano la propria esistenza ora per la Patria, ora per i genitori, ora per un moribondo sconosciuto. Ma qui non si tratta della melensa retorica di un romanzo di appendice. Correttamente, Massimo Gramellini, sempre attento a fatti di cronaca di particolare interesse, ha immortalato la figura di Jordan nella trasmissione “Che tempo che fa”.
Ora, non è facile commentare un simile fatto senza scivolare nella poetica dei buoni sentimenti. Ma, una volta appresa dai giornali la notizia, e, devo ammetterlo, una volta osservata la fotografia del ragazzo, l’intensità e la bellezza del suo sguardo, ho pensato che qualche riga, senza troppe pretese, poteva essere spesa. Jordan era un ragazzo timido, introverso, non particolarmente versato alla comunicazione con gli altri, ma era, al contempo, molto legato agli affetti familiari. Non era un ragazzo particolarmente brillante, non spiccava per intelligenza o intraprendenza, era, come si dice in questi casi, una persona assolutamente normale. Che cosa accade, allora, ad un ragazzo che fino ad allora non si era distinto particolarmente per coraggio, spirito di iniziativa, spiccato altruismo? Gramellini sostiene che ci sono dei momenti, nella vita di un uomo, in cui si ha la possibilità di rivelare completamente il proprio essere, la propria essenza. Come in un’epifania, si disvela e realizza la parte migliore di noi. Può essere. Che cosa si può dire di un ragazzo di 13 anni che, consapevolmente, rifiuta di salvare la propria vita concedendo la salvezza sicura ad un proprio congiunto, sapendo che le probabilità di salvarsi, in seguito a questa scelta, si sarebbero considerevolmente ridotte? I giornali, la TV, i video che popolano la rete lo descrivono come un “piccolo eroe”, come un “angelo venuto dal cielo” e via discorrendo. Eviterei questi luoghi della retorica, mi soffermerei invece sulla nazionalità del ragazzo. L’Australia è un paese giovane, che si sta comportando, nella catastrofe economico finanziaria che stiamo vivendo, in un modo affatto diverso da tutti gli altri paesi del mondo, soprattutto rispetto all’Europa. Si potrebbe anzi dire, che il governo australiano ha preso misure diametralmente opposte a quelle dell’Unione Europea. E i risultati che si possono intravvedere sembrano premiare questa strategia. E’ un paese lontano, con regole diverse dalle nostre, che viviamo ai suoi antipodi, in cui l’incontro con gli aborigeni non ha causato solo discriminazione e segregazione razziale, ma ha anche arricchito straordinariamente questa popolazione di immigrati europei, che dalla cultura aborigena, nonostante tutto, ha imparato qualcosa. Non so se un ragazzino francese, o tedesco, o italiano in una simile circostanza si sarebbe comportato in modo analogo, ma ne dubito. La vecchia Europa del valzer è in piena decadenza, economica, ma soprattutto morale. Non siamo neppure capaci di ascoltare il nostro prossimo, figuriamoci  salvarlo dalla furia delle acque. Nel nostro sangue, che scorre sempre più lento e stanco nelle nostre vene, c’è la stessa sostanza che ha avvelenato Bisanzio e i suoi ultimi anni. Abbiamo allevato una generazione di giovani nell’illusione di poter dare loro tutto quello che ci richiedevano, viziandoli, facendone dei capricciosi buoni a nulla. Ci siamo dimenticati che cosa volesse dire fare i genitori, giocando agli amici con i nostri figli, e ottenendo così di predestinarli all’infelicità e all’irrealizzazione. Quando non saremo (presto) più in grado di soddisfare le loro consumistiche esigenze, ci  presenteranno il conto dei nostri svarioni educativi, e si ribelleranno come fanno i bambini quando viene sottratto loro un giocattolo. Ma Jordan no, non era fatto di questa pasta, la sua doveva essere una lega speciale, simile all’acciaio, qualcosa di completamente sconosciuto non solo ai nostri giovani ma anche a noi, che giovani non siamo più. La società australiana ha costruito un sistema di regole ed una giurisprudenza che agevola l’eliminazione di distorsioni simili alle nostre. Ha cercato di prevenire i disagi giovanili, edificando un sistema educativo completamente dissimile al nostro. Regole più ferree e più semplici, un codice etico che si inscrive nel patrimonio genetico di quella gente. Non so se Jordan Rice è stato un eroe, forse neppure a lui importerebbe sapere come lo giudichiamo. Ha fatto la scelta che gli appariva, semplicemente, più naturale, più consona al suo temperamento. Alla famiglia, e ai suoi compatrioti ha lasciato un esempio, un modello esemplare, a noi, che non sappiamo neppure più distinguere una azione eticamente utile da una scriteriata ed immorale, a noi il cui orizzonte non arriva al di là dell’uscio di casa, che ci siamo assuefatti a tal punto alle disavventure sessuali dei nostri politici che abbiamo persino perduto il senso del ridicolo, a noi, sempre più chiusi nel nostro egoismo e nei piccoli tornaconti quotidiani, incapaci come siamo si sollevare lo sguardo su, nel cielo, per vedere che cosa c’è oltre la siepe di casa, il gesto di questo ragazzo appare distante, oleografico, enfatico, tanto da farne una specie di santino che lo collochi nell’olimpo dei santi cattolici, così lontano dalle nostre vite di tutti i giorni. Non possiamo accettare il fatto che Jordan poteva e doveva essere un ragazzo qualsiasi, dobbiamo elevarlo agli onori dell’altare (qualcuno se ne verrà fuori con il solito “santo subito”.) Questa operazione, santificarlo per distanziarlo, ci serve per stabilire tra noi e lui un distacco incolmabile, quello, appunto, che noi, comuni mortali, non potremo mai colmare. La santificazione che consente la rimozione è una pratica tipica dei benpensanti, utile a rimuovere il senso di frustrazione che deriva dall’impossibilità di reggere il confronto con il santo del momento. Ma non ci sono santi, non ci sono eroi, ci sono dei ragazzi, come Jordan, che ci ricordano che l’uomo è anche questo, è anche puro altruismo, è anche sacrificio estremo, è in grado di provare anche dei sentimenti granitici e sinceri. Fino alle estreme conseguenze. Salutiamo, allora, questo ragazzo di tredici ani, questa vita spezzata che sopravvive nella coscienza dei giusti, questo piccolo uomo dallo sguardo profondo, che con il suo sacrificio ha impartito a noi tutti la più bella e più fulgida delle lezioni: finchè ci saranno uomini e donne come lui anche le nostre vite, (ne parlavo qualche articolo fa) possono dire di avere ritrovato uno scopo, un senso, una meta da raggiungere. E a me, che gli anni e il mondo hanno indurito il cuore e reso l'anima asciutta, ha fatto bene guardare gli occhi di questo ragazzo: ci ho visto quello che non vedo più da troppo tempo nel mio sguardo, mi ha fatto, per un momento, tremare i polsi e riempire di lacrime gli occhi.