mercoledì 5 gennaio 2011

CESARE BATTISTI E LO SCHIAFFO DI BRASILIA

La vicenda della mancata estradizione del terrorista Cesare Battisti, pluriomicida confesso, non contribuisce certo a gettare una buona luce sulla politica estera italiana. Battisti, come sappiamo, ha alle spalle un passato da terrorista rosso, diversi omicidi, diversi ergastoli da scontare. Se è pur vero che ogni situazione va contestualizzata – erano gli anni di piombo, molti giovani erano imbevuti di un marxismo distorto – è anche vero che un giovane, per quanto plagiato dalla cultura del tempo, sapeva perfettamente che compiere il salto verso la violenza e l’assassinio costituiva una strada senza ritorno. Migliaia di giovani, compreso chi scrive, ha vissuto l’ultimo scorcio degli anni settanta da militante politico della sinistra extraparlamentare, ma la scelta di violare la vita umana costituiva comunque, anche allora, un limite invalicabile. Chi, coscientemente, compiva questo tipo di scelta si condannava non solo alla clandestinità, ma soprattutto conosceva benissimo le conseguenze giudiziarie cui sarebbe prima o poi andato incontro. Ricordiamo ancora che l’Italia di allora, l’Italia della cosiddetta prima repubblica (che ho sempre più l’impressione che fosse meglio della seconda), non era l’Argentina del generale Videla, e la violenza dei brigatisti non consisteva in moti insurrezionali contro una feroce dittatura, ma la lotta utopistica e nichilista di chi aveva profondamente travisato l’ideologia marxista. Cesare Battisti, inoltre, non ha mai ripudiato o sconfessato questo suo passato, dimostrando, in più di una circostanza, una discreta strafottenza. La richiesta di estradizione al Brasile era dunque un atto dovuto da parte dell’Italia, cui doveva, stando al diritto internazionale, fare seguito una restituzione al paese di origine dell’imputato, senza tanti orpelli o tentennamenti. Ora, è abbastanza chiaro che il Tribunale Federale di Brasilia ha enunciato, nella sostanza, un parere favorevole, ma al presidente, in quella repubblica sudamericana, compete l’ultima parola. Un incredibile, strabiliante Lula, prima di lasciare l’incarico alla sua fedele compagna, ha elevato questioni di merito circa la detenzione in Italia. O bella, vuoi vedere che il sistema carcerario brasiliano è più garantista del nostro? Ma se siamo famosi in tutto il mondo per la brevità dell’effettiva permanenza in carcere, considerate le forme di semilibertà, di inserimento nel mondo del volontariato, dell’affidamento agli assistenti sociali! Circa la qualità delle carceri brasiliane, mi permetto di sollevare qualche dubbio. Siamo evidentemente di fronte ad una aperta provocazione, uno schiaffo dato in faccia alla diplomazia italiana. Gli avvocati brasiliani di Battisti richiedono addirittura al Tribunale Federale l’immediata scarcerazione del loro assistito, arrivando a toccare le vette del surreale, sembra una commedia di Ionesco. Dispiace vedere coinvolto in questo pasticcio internazionale il ministro Frattini, una delle poche persone serie di questa compagine governativa. Siamo, per una volta, d'accordo con la definizione della vicenda che ha fornito il ministro La Russa, con la sintetica frase: "E' stata una pugnalata nella schiena". La farsa, viceversa, si è toccata nella conferenza stampa rilasciata da Berlusconi e una delle vittime del terrorista Battisti, il dignitoso ed ammirevole Roberto Torregiani. Un Berluscioni in giaccone da motociclista ha dichiarato che, comunque, i rapporti con il Brasile non cambiano, e che la naturale solida amicizia con il paese sudamericano non ne avrà minimamente a risentire. (Meno male, così gli scambi commerciali sono salvi). Ma allora ci si domanda: perché il presidente Berlusconi ha voluto incontrare e farsi fotografare con Torregiani per poi proferire una dichiarazione così offensiva per la dignità della vittima di Battisti? E’ ovvio per chiunque che un altro capo di stato avrebbe non solo richiamato in patria l’ambasciatore, ma avrebbe almeno congelato i rapporti con un paese che così spudoratamente ti schiaffeggia. Ancora una volta bisogna evidenziare che il nostro paese non ne esce brillantemente, e che la politica estera, ed il peso internazionale dell’Italia è davvero ben poca cosa. Scontiamo così, anche sul versante internazionale, quindici anni di berlusconismo, anni in cui l’immagine del nostro paese si è sempre più appannata fino a diventare quella di un paese da operetta. E’ fin troppo noto che all’estero la nostra fama è a livello di un paese del terzo mondo. Una classe politica che discute e si confronta non sui temi di interesse sociale, ma sulle frequentazioni dei leader certamente non contribuisce a fare del nostro un paese degno di rispetto. Mi domando: se al posto dell’Italia, nella richiesta di estradizione di un pluriomicida terrorista ci fosse stato il Regno Unito, come si sarebbe comportato Lula? E come avrebbe reagito il Foreign Office di fronte alla negazione di una sacrosanta richiesta? Continui pure a sorridire (o a irridere) il sig. Battisti, ne ha ben donde. La malinconia, in questo caso è dovuta non solo alla triste figura che fa il nostro paese (oltre alla pessima che fa il Brasile), ma soprattutto alla dignità, all’onestà intellettuale e al coraggio di Roberto Torregiani, che ha mostrato all’Italia e al mondo che anche nel nostro disgraziato paese esistono persone che non si fanno piegare neppure dalle revolverate, e per questo meritano tutto il nostro rispetto e la nostra ammirazione.