martedì 4 gennaio 2011

FINANZA ETICA: CHE COSA SI PUO' FARE

  Dal momento che l’anno è appena iniziato, e che chi scrive ha concluso il precedente con una nota non proprio ottimistica, vediamo di pubblicare qualcosa di positivo e soprattutto di “propositivo”, in considerazione del fatto che non ci si può limitare a demolire e demonizzare l’economia e la finanza, e la parte della Cassandra, tutto sommato, risulta alquanto scomoda. Riprendiamo allora un tema che ci è molto caro, quello che riguarda la FINANZA ETICA o socially responsible investment (Sri), e cerchiamo di capire come possa, se applicata opportunamente e gradualmente, funzionare da correttivo e al contempo da volano per una economia e una finanza più sane, meno speculative e più attente al bene comune. L’accusa più semplice che si può muovere a queste tesi è che sono difficilmente attuabili in un sistema capitalistico avanzato e degradato. In parte, si tratta di una eccezione verosimile. Ma nel lento, graduale passaggio da un sistema finanziario all’altro, anche un apparente palliativo come quello rappresentato dai principi della finanza etica, possono essere utili, nel breve-medio termine, nel risanamento di una mercato incontrollato e vorace e nella gestione del trapasso da un sistema al prossimo venturo. Vediamo, allora, che cosa è desiderabile per chi abbia a cuore le sorti del nostro paese e dell’Unione Europea più in generale. Le considerazioni che seguono sono tratte da un post pubblicato su soldionline.it da Andrea Di Turi.
Per prima cosa è auspicabile che ci siano più iniziative di azionariato attivo nelle assemblee degli azionisti delle società quotate italiane, ispirate è ovvio ai temi dello Sri. E chissà che le modifiche regolamentari appena approvate dalla Consob, che permettono l’utilizzo di mezzi elettronici per partecipare a queste assemblee anche a distanza, non aiutino a portare più spesso all’interno di tali consessi il verbo dell’investimento socialmente responsabile. Secondo me l’azionariato attivo, non solo quello che possono fare i fondi etici ma anche associazioni che perseguono determinati valori all’interno del mondo della finanza e del credito, è una delle pratiche legate alla finanza etica che, se ben organizzato e portato avanti non “contro” ma “insieme” alle aziende, cioè pungolandole continuamente senza mai mollare la presa, possono risultare più efficaci e più capaci di riscuotere l’attenzione dei media, che spesso invece da noi ignorano il fatto che un altro modo di investire è possibile.

Poi, è augurabile che il prossimo anno ci sia un consenso internazionale per applicare una sorta di Tobin Tax (tema caro a questo blog) perché è sacrosanto che chi ha provocato la crisi la paghi, almeno in parte. Oggi la si chiama più spesso e in effetti più correttamente Ttf, cioè tassa sulle transazioni finanziarie (e quindi non solo sulle transazioni valutarie come prevedeva l’originale proposta del premio Nobel James Tobin): si calcola che un’imposta dello 0,05% sulle transazioni finanziarie potrebbe originare a livello mondiale un gettito di svariate centinaia di miliardi di dollari. Ancora, sarebbe meglio che in Italia i fondi pensione iniziassero a praticare di più la finanza etica, in maggior numero, più incisivamente. Possono fare molto, moltissimo per farla crescere e farla diventare mainstreaming anche da noi come già accade per gli investitori istituzionali all’estero. Molti fondi pensione dovrebbero seguire l’esempio di Cometa, il Fondo Nazionale Pensione Complementare per i lavoratori dell’industria metalmeccanica, dell’installazione di impianti e dei settori affini (gestisce 5,7 miliardi di euro e ha 470mila iscritti), che da novembre ha aderito ai principi dell’ONU per l’investimento responsabile (UnPri).
E ancora:

- che anche in Italia si possa organizzare magari già nel 2011 una settimana della finanza etica come hanno fatto quest’anno in Francia.

- che in Italia tutti gli organi d'informazione attenti ai mercati finanziari e all’andamento delle Borse diano più spazio agli indici etici visto che da qualche settimana c’è anche un indice etico della borsa italiana.

- che ci sia più trasparenza, omogeneità e coerenza nella finanza etica e che la si voglia e sappia comunicare, perché in non poche situazioni recenti questa trasparenza e coerenza è stata messa fortemente in dubbio .
 
- che cresca non solo la finanza etica dei fondi etici, di cui si parla primariamente (quest’anno è nato un forum per la promozione degli investimenti Sri anche in Africa e sono stati introdotti indici etici addirittura in Cina), ma anche la finanza etica dal basso, quella ad esempio delle Mag, che lavora più in sordina di solito, con molte meno risorse (non paragonabili alla potenza di fuoco dei fondi d’investimento), ma che riesce a ottenere risultati eccezionali e ha una storia straordinaria da raccontare.

- che di fronte a determinati comportamenti delle imprese la finanza etica abbia il coraggio di dire “No”, possibilmente in modo condiviso, che veda cioè insieme i maggiori attori nazionali e internazionali che la promuovono: il coraggio, insomma, di “battere un colpo” ispirandosi alle proprie origini e di indicare un’altra strada possibile, un altro modo di fare le cose

- che si comincino davvero ad utilizzare indicatori alternativi al PIL per misurare l’effettivo benessere e progresso di un Paese, di un popolo, delle persone, che non è certo solo quello economico. Istat e Cnel hanno annunciato proprio in questi giorni che nel 2011 dovrebbero concretizzare una loro proposta in questo senso.

- che sempre più persone capiscano che la finanza etica non è un esercizio teorico per benpensanti ma ha a che fare con questioni concrete, della vita di tutti i giorni, con questioni importanti per il futuro del pianeta (ad esempio la fine della produzione delle “cluster bomb”, o la libertà di stampa, o ancora la corruzione), solo che per farlo usa gli investimenti sui mercati finanziari

- che sempre più persone capiscano che la finanza etica non penalizza i rendimenti, come una lunga teoria di studi ha ormai dimostrato, e che se scelgono di investire in fondi stici o Srinon vuol dire che debbono rassegnarsi a guadagni inferiori, anzi in certi casi utilizzare i criteri Esg (environmental, social and governance) può offrire risultati alquanto sorprendenti.

- che qualcuno, qualche impresa, magari grande e illuminata così da poter dare l'esempio alle altre, cominci a pensare che si possono dare al mercato informazioni sulle performance sociali e ambientali di un’impresa non solo nel bilancio sociale una volta l'anno ma ogni tre mesi, cioè con una sorta di “trimestrale etica”, così come si fa per le trimestrali tradizionali

Infine, auspichiamo che dai file che Wikileaks ha promesso di rendere pubblici all’inizio del 2011, che pare dovrebbero riguardare i meccanismi di funzionamento e decisionali di una di quelle grandi banche toobig to fail, che sono state le prime e principali responsabili di quel grande drammatico terremoto planetario che è la crisi che stiamo vivendo, esca un ritratto chiaro ed efficace di quello che non si deve più permettere, regulator e legislatori internazionali e authority di sorveglianza e controllo dei mercati in primis. Un ritratto chiaro di quello che la finanza, e il funzionamento delle banche in particolare (spesso già molto “viziato”), è stata in molti casi sino ad ora, finalizzata all’arricchimento smodato di pochissimi e allo sfruttamento cieco di tutti gli altri e di tutto il resto, e di quello che invece dovrebbe ma soprattutto potrebbe essere se fosse davvero diretta a sostegno del cosiddetto bene comune, cioè a vantaggio di tutti.