lunedì 25 febbraio 2013

HA VINTO UN POPULISTA SETTARIO



Esulteranno gli unici vincitori di queste stupide, inutili elezioni. Il meno contento, c’è da scommetterci, è proprio Beppe Grillo. Un demolitore non sa costruire, il suo compito è quello di sfasciare, non di edificare. Gli italiani hanno votato nel solo modo che conoscono: con la pancia. Non con la testa o con qualsiasi altro organo del corpo. Ora che le loro budella sono sazie e soddisfatte, si presenta un piccolo problemino. E adesso? Adesso che succede? Chi lo governa il paese? Quale coalizione avrà i numeri nelle due camere per guidare il paese fuori dalle secche di una spaventosa recessione? Qui la cosa si complica. Chi glielo spiega agli osservatori elle opinioni pubbliche straniere che il secondo partito (di misura) è la formazione di quello stesso Berlusconi che è caratterizzato, in sostanza, dai seguenti aspetti: 1) incarna perfettamente il peggior conflitto di interessi del mondo. E’ l’uomo più ricco d’Italia, possiede più della metà delle televisioni italiane, è a capo, per la sua forza economica, di diverse logge e consorterie; 2) è un plurindagato, rimasto a piede libero per il solo fatto di aver fatto votare le famose “leggi ad personam” dal Parlamento. Buona parte dei procedimenti giudiziari a suo carico sono stati semplicemente prescritti. Certamente, in più di un processo è o è stato colpevole; 3) ha 77 anni, è mentalmente instabile a causa dei suoi stravizi a sfondo sessuale. Ha definitivamente lordato l’immagine del nostro paese, e, non avendo la minima idea di cosa siano economia e finanza, ha portato, lo scorso novembre, l’Italia sull’orlo della bancarotta. Vi basta? Eppure, dopo quasi vent’anni gli italiani continuano a votare un imbroglione che promette di restituire l’IMU. Mai sentita una idiozia più colossale. Per tornare a Grillo, i suoi lunghissimi monologhi senza contraddittorio, i soliloqui zeppi di ingiurie e parolacce, la sua avversione (che ha del patologico) alla televisione e alle interviste, la sua mania ossessiva per internet, il suo assoluto pressapochismo e faciloneria, la sua volontà di autosufficienza, senza indicare alcune possibile alleanze, ne fanno un guitto con il dono della parola. Il suo movimento è chiuso, settario, i suoi adepti giurano fedeltà al capo, che poi è a sua volta condizionato dall’eminenza grigia del gruppo, tale Casaleggio, guru informatico cui lo stesso Grillo non sa dire di no. Il movimento non esiste senza Grillo, chi non si adegua viene epurato. Come nelle migliori tradizioni del settarismo religioso. Si può affidare una nazione ad un nocchiero ubriaco, che naviga a vista? Grillo vuole indire un referendum per uscire dall’euro, non immaginando, probabilmente, che l’Italia fallirebbe nel giro di due mesi con la povera liretta. Il suo movimento ha delle caratteristiche che lo accostano pericolosamente a Scientology. Il movimento 5 stelle, una armata Brancaleone che raccoglie ex figli dei fiori, sbandati di ogni specie, ex tossici, una parte degli aderenti ai centri sociali, persone sprovvedute in perfetta buona fede, buoni cattolici con l’aspetto di boy scout. Hanno un solo denominatore comune: non sanno amministrare nemmeno un condominio, figuriamoci uno stato. Non si manda in Parlamento una simile accozzaglia di dilettanti allo sbaraglio. Ecco  perché, all’inizio, ponevo la domanda retorica: e dopo? Da queste elezioni non è uscito alcun vero vincitore, il paese è ingovernabile. Ma l’affermazione di Grillo e Berlusconi avrà alcune  conseguenze immediate, potete scommetterci: l’impennata dello spread, che causerà una immediata crisi delle nostre banche, i cui caveau sono pieni di titoli di stato, un aumento dei CDS, le polizze sui crediti a difficile esigibilità, un calo pauroso del PMI (il Purchasing Managers index), una fuga in massa di capitali verso lidi migliori, una fuga degli investitori stranieri cui l’ instabilità politica non è particolarmente gradita. Cominceranno a fallire altre banche, oltre al Monte dei Paschi, e poi altre ancora, fino a mettere a repentaglio non solo i nostri risparmi, ma la stessa tenuta del Tesoro dello Stato. La finanza condiziona fortemente l’agenda politica degli stati dell’eurozona, e con una recessione come la nostra, non possiamo permetterci un governo che non tenga fede ai propositi formulati a livello di Unione Europea, e che, anzi, vanifichi in pochi mesi tutti i sacrifici che ci ha imposto il governo Monti. Non so se andremo presto a nuove elezioni, ma so per certo, da un punto di vista di realpolitik, che presto avremo bisogno di un altro governo tecnico con una altro presidente del consiglio che ci salvi dal baratro della Grecia.

sabato 23 febbraio 2013

L'ENIGMA DI BENEDETTO XVI

L'ingravescentem aetatem, per quanto sia un motivo di tutto rispetto e verosimile, non basta a spiegare una abdicazione da parte di un pontefice. vediamo quali altre ragioni potrebbero essere accostate al declino degli anni.


ROMA (WSI) - Dietro alla decisione del Ponteficie Joseph Ratzinger di abdicare, secondo le ultime indiscrezioni che circolano, ci sarebbe in particolare un dossier segreto sugli scandali riguardanti la copertura dei casi di pedofilia nel Clero.

"Non fornicare, non rubare, i due comandamenti violati nel dossier che sconvolge il Papa". Cosi' titola Concita De Gregorio nel suo ultimo articolo pubblicato da "La Repubblica" sulla scelta piu' controversa che un Pontefice abbia mai preso negli ultimi 600 anni e che pare - tra le altre cose - motivata anche dall'impossibilita' di mettere ordine nel caos e scandali che hanno travolto la Chiesa Cattolica, a cominciare dalla vicenda ribattezzata Vatileaks.

Il Papa, questo e' alla luce del sole, ha seguito da vicino gli innumerevoli verbali redatti, che contengono "ammissioni sconcertanti da parte degli intervistati" e che vedono spuntare nomi inaspettati tra i cardinali coinvolti. Resta da dimostrare quale effetto le inchieste segrete abbiano effettivamente avuto sulla psiche di un uomo comunque stanco e debole, appesantito dai suoi 85 anni di eta'.

Uno scenario di lotte di potere e scambi di denaro all'interno del Clero, inaccettabili per qualunque cristiano, ha portato all'ipotesi della sussistenza all'interno delle mura del Vaticano di una lobby "sessuale", un intersecante tramaglio marcato da specifico orientamento omosessuale.

Da Citta' del Vaticano, precisa oggi il portavoce Lombardi, non arrivera' mai nessuna conferma ne' smentita sulla questione spinosa del dossier segreto. Ma la "zizzania" e i "pesci cattivi" che infestano il Clero, nelle parole utilizzate da Ratzinger, sono tutti li' nel rapporto segreto dei tre cardinali. Creando divisioni intestine che "deturpano il volto della Chiesa".

Dino Boffo, ex direttore Avvenire, osserva che la decisione del Papa di lasciare e' strettamente correlata alla voglia di "porre fine alla gestione del potere che puo' scandalizzare gli ultimi e gli umili". "Penso che la Santa Sede debba liberarsi del vizio delle lettere anonime senza firme e mittenti", ha detto Boffo, che fu la prima vittima della cosiddetta "macchina del fango", messa in moto in quel caso dal quotidiano Il Giornale.

Il 17 dicembre 2012, scrive oggi la ex direttrice de L'Unita' De Gregorio, ossia la data della consegna al Pontefice dei due tomi da 300 pagine dell'inchiesta, avrebbe segnato ineluttabilmente la decisione rinunciataria. Sono rivelazioni che, a parte chi le ha scritte, conosce soltanto lui.

In quella stessa settimana il Papa uscente ha incontrato il proprio biografo, Peter Seewald, consegnandogli quella scelta tanto a lungo ponderata: "sono anziano, basta ciò che ho fatto".

"Un gesto di fortezza (…) fatto per il bene della Chiesa", ha commentato Salvatore De Giorgi uno dei tre cardinali inquisitori incaricato di redigere la scabrosa "Relationem", il Papa "ha dato un messaggio forte a tutti quanti nell’esercizio dell’autorità o del potere si ritengono insostituibili. La Chiesa è fatta di uomini". La difficile gestione delle trame che affiorano dalla relazione ora passa nelle mani del futuro Pontefice. Benedetto XVI è consapevole dell’onere tramandato, da qui il suo auspicio di un successore che sia tanto forte quanto "santo".

Da fonti molto vicine agli inquisitori emerge come "le improprie influenze", che sembrano segnare gli intrighi clericali, gravitano intorno alla deficitaria ottemperanza di due tra i comandamenti fondamentali: non rubare e non commettere atti impuri. A fare più paura agli alti prelati è proprio l’ultimo dettato, il Dossier in questo si rivela alquanto esplicito: molti degli ecclesiasti coinvolti sono caduti in posizioni ricattabili in quanto legati a laici da rapporti di "natura mondana".

Papa Ratzinger, per il giorno terminale del suo Pontificato, già preannuncia il ricevimento dei tre cardinali estensori della infelice "Relationem" in sessione privata. Seguirà poi l’ultima udienza pubblica presso la sede di Santa Maria Maggiore, il 27 febbraio. A quel punto partira' il conclave, per una data che si specula sia stata fissata nel giorno 11 marzo.

Uno dei tre "inquisitori" del dossier, Salvatore De Giorgi presente al momento della rinuncia, ha detto di Ratinzer: "Ha fatto un gesto di fortezza, non di debolezza (..) Il Pontefice ha visto i problemi e li ha affrontati con un'iniziativa tanto inedita quanto lungimirante". Assumendosi su di se' la croce.

Il nuovo Pontefice dovra' dimostrarsi "molto forte, giovane e santo" se pensa di poter affrontare con la mente libera la famigerata "Relationem" e disarticolare gli intrecci di potere del Vaticano e sfidare coloro i quali si ritengono - al contrario di Ratzinger - insostituibili.
Wallstreetitalia

giovedì 21 febbraio 2013

UN VOTO INUTILE IN UN PAESE ALLA DERIVA



Mai come in queste elezioni politiche l’esito è ampiamente scontato. Con la legge elettorale peggiore del mondo, con un panorama politico estremamente frammentato, con le poche e confuse idee dei maggiori leader, non è difficile prevedere un pareggio in Senato, con conseguente ingovernabilità. Si potrebbe tornare al voto a giugno, ma cambierebbe qualcosa? Giusto il tempo di modificare l’odierno “porcellum”. Ma nei quattro mesi che intercorrono tra una consultazione e l’altra, i mercati ci bastonerebbero severamente, gli investitori si allontanerebbero ulteriormente dal nostro paese. L’instabilità politica è una delle maggiori insidie per la finanza. E a proposito di finanza, comprendo benissimo il malumore di molti, che sostengono che non può e non deve condizionare più di tanto la politica. E’ tutto vero, ma se vogliamo essere realisti, al momento è proprio così. Non possiamo non tener conto di quanto accade in Borsa e nei mercati. Il capitalismo, pur vivendo i suoi ultimi decenni di vita, sta dando il peggio di sé. Una finanza completamente sregolata, che domina e vince sull’economia reale, che condiziona pesantemente le scelte politiche. Se Berlusconi non si fosse presentato per l’ennesima volta, a 77 anni, tutto sarebbe cambiato. Ci sarebbe stata una netta vittoria del centro sinistra, si sarebbe presumibilmente costituita una aggregazione tra PD e centristi, ed il paese avrebbe avuto, nel bene e nel male, un governo stabile. Ma con la ricomparsa del Cavaliere, e di tutte le sue maniacali scorrettezze, tutto è possibile. La lettera ambigua sulla restituzione dell’IMU che ha inviato ai pensionati di mezza Italia, per quanto sia stato una autentica mascalzonata (si configura il reato di truffa), gli porterà i non pochi voti di quegli sprovveduti che non capiscono che, anche tecnicamente, una restituzione dell’IMU non è attuabile. Berlusconi è la rovina di questo paese da quasi vent’anni. Lo ha rovinato culturalmente  ed economicamente. Con lui e Tremonti al governo, se avessero atteso ancora un solo mese a dimettersi, il Tesoro dello Stato non sarebbe più stato in grado di pagare stipendi e pensioni. Questo molti sembrano averlo dimenticato. Non parliamo di Grillo che è diventato una specie di clown mediatico: dice tutto e il contrario di tutto, fantastica su innovazioni improbabili, di uscite dall’euro, di imprese mirabolanti per le quali non esiste la minima copertura. Abbiamo bisogno di un politico che capisca di economia e  finanza, non di un guitto che di mestiere fa lo sfasciacarrozze.
Monti, stesso, sceso (anzi, salito, come ama dire) nell’agone politico non ci ha risparmiato alcuna bassezza: la retorica più banale, l’enfasi più vieta, qualche accento di populismo. Il fatto è che Berlusconi ha obbligato i suoi “competitor”, come si dice oggi, utilizzando un inutile quanto assurdo anglicismo, a scendere al suo stesso livello, inseguendolo nel cattivo gusto e nella pirateria elettorale, facendo a gara a chi la spara più grossa. Il voto a Grillo non solo è inutile, dal momento che non ha intenzione di allearsi con nessuno e intende procedere imperterrito a colmare di contumelie tutti quelli che incontra, è anzi dannosa perché, alla fine dei conti, finisce con l’avvantaggiare Berlusconi. Il PD non ha, da parte sua, una personalità di spicco, che si destreggi nell’economia e nella finanza, che sia presentabile a livello internazionale. Il suo “esperto” in economia, Fassina, sembra che sia appena sceso dalla luna, non ha una sola idea chiara in testa, sembra che tutto e tutti gli diano il voltastomaco. Di gran lunga meglio di lui sarebbe il povero Oscar Giannino, che non sarà laureato, ma di economia ne sa più dello spocchioso Zingales che non appena ha appreso del master taroccato del suo presidente, si è dimesso al colmo dell’indignazione. Eh, caro Zingales, contassero solo i titoli accademici, avremmo risolto tutti i nostri problemi…fatti ci vogliono e non attestati di studi. Anche se facciamo finta di non saperlo l’agenda politico economica dell’Italia non sarà scritta a Roma, ma a Bruxelles, e alla perdita di sovranità ci dobbiamo rassegnare. Ma in fondo è meglio così, con la classe politica che ci ritroviamo, incapace persino di corregger una legge elettorale che non adotterebbe neppure la Repubblica Centrafricana, è meglio essere posti sotto tutela. E non facciamoci illusioni: con un quadro politico stabile avremmo avuto qualche possibilità di riscatto e la speranza di un timido inizio di crescita. Con l’ingovernabilità che produrrà il porcellum i prossimi mesi saranno di passione. Lo spread si impennerà con una pesante ricaduta sulle banche, alcune delle quali faranno la fine del Monte dei Paschi, con la differenza che non possiamo salvarle tutte; i pochi investitori rimasti in Italia taglieranno la corda facendoci sprofondare in una recessione del tutto simile a quella spagnola. A quel punto tra noi e il paese iberico non ci sarà più alcuna differenza. Ricordiamo sempre che le banche, con tutte le loro colpe, custodiscono i nostri risparmi, sono le nostre casseforti, se falliscono loro, falliamo anche noi. E comunque va in default il Tesoro dello Stato. A questo punto ci ha portato un solo uomo, il Cavaliere Nero, l’incarnazione stessa della malapolitica e del malgoverno.


lunedì 18 febbraio 2013

PERCHE' NON AMO I SOCIAL NETWORK



Molti mi domandano come mai non ho un profilo su Facebook, su Twitter o consimili. Una persona che gestisce diversi siti o blog si dà per scontato che si avvalga di questo “indispensabile strumento” per dialogare con i propri lettori o per condividere il suo pensiero in maniera allargata e democratica. Confesserò quello che non ho mai detto: detesto i social network. Vediamo perché. La prima ragione è del tutto personale: dovendo seguire diversi siti internet non avrei assolutamente il tempo di dialogare con amici e/o semplici lettori. E’ questo un argomento che ha un carattere più generale: ci sono persone che, pur non pubblicando nulla su internet, allacciano una tale quantità di “amicizie” sul web che, a conti fatti, trascorrono delle ore intere per dialogare, spesso banalmente, con i propri corrispondenti. Ora è chiaro che discorrere sul tempo atmosferico o sul sesso degli angeli è una pura e semplice perdita di tempo. Questo è il primo difetto dei social network: essendo di facilissima accessibilità e di semplicissimo utilizzo hanno milioni di aderenti, che spesso conversano fra di loro sul nulla. Ora, non penso che internet vada usato solo come strumento  per dotte digressioni sul romanticismo tedesco, ma banalizzare questo strumento discorrendo di niente non è solo una perdita di tempo, trovo che sia altamente diseducativo. Non aiuta insomma a crescere, a maturare, ad innalzare il proprio livello culturale e via discorrendo. In questo senso i social network, proprio perché sono uno strumento democratico accessibile anche a chi possiede un istintivo rifiuto per l’informatica, rischia di diventare un luogo di chiacchiere da bar dello sport, con l’aggravante che la futile conversazione avviene in modo virtuale e impedisce, di fatto, un incontro reale magari davvero al bar dello sport. In secondo luogo, e anche questo è un punto di vista personale, dovendo gestire diversi siti con argomenti differenziati, sarei obbligato a trascorrere non poco tempo a rispondere a domande spesso ridicole o inconsistenti: coloro che fossero veramente interessati a quello che scrivo possono rivolgersi direttamente a me attraverso il sito stesso, o avvalendosi dell’indirizzo di posta elettronica che non manca mai dai siti o blog di cui mi occupo. Avviene così una selezione naturale e solo le persone interessate o portatrici di domande pertinenti si mettono in contatto con me. Se il mio profilo si trovasse su Facebook o Twitter sarei obbligato a rispondere ad un mare di sciocchezze. In terzo luogo non sappiamo di preciso quale utilizzo i social network fanno dei nostri dati personali. Tutti ci garantiscono la massima riservatezza, ma siamo certi che, come minimo, i nostri dati vengono venduti a società che sparano spam (posta indesiderata) a tutti gli iscritti. Conosciamo bene l’invadenza ed il cattivo gusto con i quali diverse aziende vendono i loro prodotti tramite internet, avvalendosi di una pubblicità di pessimo gusto e comunque sicuramente invadente e fastidiosa. Due esempi per tutti : Groupon e Spartoo. Uno legge un articolo su di un sito istituzionale e, all’improvviso, viene reindirizzato (redirect) su questi siti che vendono scarpe o bistecche a buon mercato. Un altro motivo è più discutibile: ai social network , come abbiamo già detto, hanno tutti facile accesso: è diventata una sorta di conformismo. Anche questo, che pure appare come un aspetto positivo, mi ribello pacatamente: non è spocchia o sentimento aristocratico, ma uno strumento usato spesso a sproposito finisce con l’omologare una intera popolazione e allora un moto di anticonformismo può essere salutare, soprattutto nella considerazione che chiunque avesse intenzione di mettersi in contatto con me può farlo in qualunque momento. Il fatto è che i consumatori, anche fanatici, di Facebook o Twitter, magari non sanno avvalersi neppure di un client di posta elettronica, e allora la selezione, come dicevo diventa naturale. In conclusione, come tutti gli strumenti, i social network non hanno una decisa connotazione positiva o negativa: dipende sempre dall’uso che se ne fa. Se vengono utilizzati per chiacchierare trovo che siano completamente inutili, anzi dannosi, perché impediscono i salutari rapporti umani, se sono usati per dialogare con istituzioni o personaggi di rilievo possono rivelare una grande utilità. Molte persone, non possiamo ignorarlo, si sono ritrovate, a distanza di molti anni grazie a questi strumenti, e questo non può che essere salutato con favore. Senza contare il fatto che non è sempre vantaggioso essere reperibili 24 ore su 24. In barba alla nostra privacy, un po’ come accade con il cellulare, ti tocca rispondere anche a molestatori o semplicemente a persone che non sanno cosa fare e ti scrivono castronerie. Spesso, a dispetto delle nuove tecnologie, è meglio non essere sempre reperibile e rintracciabile; una salutare inaccessibilità, a volte, può rivelarsi un bene prezioso.

giovedì 14 febbraio 2013

UNA SENTENZA ESEMPLARE (ed una affermazione altrettanto esemplare)



Il Tribunale di Roma ha assolto oggi in primo grado il giornalista Augusto Minzolini, ex direttore del Tg1, accusato di peculato per l'utilizzo della carta di credito aziendale. Il Pm aveva chiesto due anni di carcere, il Tribunale lo ha assolto «perché il fatto non costituisce reato».
Minzolini ha commentato la sentenza sottolineando la «via crucis» affrontata nell'ultimo anno e mezzo. «Ho rifiutato di fare il capo ufficio di
corrispondenza di New York della Rai per assistere alle udienze. Quello che ho visto in Tribunale mi ha rincuorato sul rapporto giustizia-informazione in questo Paese».
Uscendo dal tribunale, Minzolini ha poi propspettato un suo imminente rientro nella Rai nella posizione precedente: «Io tra una decina di giorni dovrei stare in Rai sulla poltona da direttore a commentare i dati delle elezioni», ha spiegato riferendosi all'obbligo, previsto dalla normativa sul lavoro, di reintregro del dipendente dichiarato assolto in tribunale nell'ambito di una causa di lavoro. (Il sole 24 ore)

C’è bisogno di commentare? Minzolini, discutibile giornalista in quota berlusconiana, ha utilizzato la carta di credito aziendale (della RAI) per fare i propri comodi, per acquisti personali. Per il Tribunale di Roma, il “porto delle nebbie” per eccellenza, il fatto non costituisce reato. Ma allora vanno assolti con mille scuse tutti i politici che hanno fatto un uso personale del finanziamento pubblico ai partiti. Il "trota", Lusi, Penati, Maruccio, Formigoni vanno immediatamente riabilitati e qualcuno potrebbe pensare ad un processo non più penale per codesti personaggi, ma di canonizzazione. Insomma potrebbero essere beatificati, con la benedizione del prossimo Pontefice. Ora abbiamo capito dove vanno a finire i denari che abbiamo versato per pagare il canone RAI. Nei completi intimi acquistati da Minzolini e colleghi. Questa è l’Italia, questa è la giustizia italiana. Chi non si può permettere un avvocato di grido, un principe del Foro, va in galera per aver sottratto una cioccolata da un ipermercato. Non facciamo parte della UE, chi l’ha detto? Siamo il paese più settentrionale dell’Africa, un continente che, a nord, ospita anche l’Italia, protesa com’è verso la Tunisia.


ULTIM'ORA BERLUSCONEIDE

Silvio Berlusconi va in televisione e difende la logica delle mazzette. "La tangente è un fenomeno che esiste ed è inutile voler negare l'esistenza di queste situazioni di necessità", ha detto, parlando ad Agorà su Raitre.

"Quando i tre gioielli nostri, l'Eni, l'Enel e la Finmeccanica - trattano con altri paesi devono adeguarsi alle condizioni di quei paesi: nelle democrazie si fa soltanto la gara di appalto, dove non c'è una democrazia completa e perfetta ci sono altre condizioni che bisogna accettare se si vuole vendere il proprio prodotto a quel paese".

Berlusconi fa un esempio parlando di "un tot per l'appalto e un tot per una scuola richiesta dal presidente della repubblica con cui stiamo trattando. Ora con questo fatto di questa magistratura che ha dimostrato un autolesionismo nei confronti dell'Italia assoluto noi ci stiamo facendo fuori dalla possibilità di competere nel mondo con altri importanti gruppi perché nessuno tratterà più né con l'Eni, né con l'Enel, né con Finmeccanica. E' una cosa da masochismo puro e c'è da essere molto preoccupati".

Il Cavaliere ha sottolineato: "Non sono reati; si tratta di pagare una commissione a qualcuno di quel paese perché quella è la regola di quel paese. Vogliamo non pagare commissioni? E allora stiamo a casa e non vendiamo più niente. Noi siamo in democrazia e queste cose non le facciamo ma se vai a trattare con un paese del terzo mondo o con qualche regime...se uno fa questi moralismi assurdi, allora non fa l'imprenditore a livello mondiale".

Quanto alla commessa per gli elicotteri ritirata dall'India in seguito allo scandalo Finmeccanica, Berlusconi ha detto: "L'hanno ritirata perché è emerso tutto sui giornali. Di fronte a ciò il governo indiano e l'appaltatore sono stati costretti. Comunque Finmenccanica su quel mercato non ci sarà più".
Wallstreetitalia

Il cerchio si chiude. Il Cavaliere ed il suo fedele servitore si sono immortalati nella loro quintessenza: la contiguità con il codice penale. Entrambi fanno parte di una delle tante caste, logge, lobby, consorterie italiane: si tratta di personaggi che si sentono al di sopra della legge e al di là della morale, sagome senz'anima incapaci di azioni etiche, simulacri dal cuore duro come la pietra, privi di rispetto per gli altri, protervi e arroganti come cani rabbiosi, quando parlano digrignano, quando sorridono sogghignano. Sono i vincenti, senza scrupoli, senza coscienza e risonanze emotive. Esseri spettrali come la morte che portano, ancora vivi, dentro.

lunedì 11 febbraio 2013

LA BOTTIGLIA AZZURRA



Ci trovavamo nel centro del deserto di Rub Al- Khali, poco lontano dalla località di As Slayyil.   Gli scavi erano cominciati dieci anni prima, io mi ero aggregato da poco più di due mesi, come semplice osservatore, grazie all’interessamento del Consolato italiano del luogo. Un mio compagno di scuola si era premurato di farmi avere il visto e il permesso, dopo un breve corso di preparazione, a partecipare alla prosecuzione degli scavi, continuamente interrotti dal ritrovamento di reperti, la loro classificazione sommaria e messa in sicurezza. Mancava ormai solo un mese alla fine della mia permanenza a As Slayyil e, a dire la verità, cominciavo a disperare di trovare quello che ero venuto fino a quel luogo a cercare. Una leggenda antichissima, risalente al III secolo prima di Cristo, parlava di una favolosa bottiglia, o un vaso, o una coppa, contenente un liquido miracoloso, magico, che aveva il potere di rendere conoscibile la realtà, la nostra provenienza, il nostro destino ultimo, il senso della vita. Non sapevamo altro di preciso, neppure sul contenitore di tale liquido, le popolazioni di quei luoghi conoscevano, sebbene antichissime, l’arte della lavorazione del vetro, ma non potevamo sapere se veramente si trattasse di una bottiglia, o di altro recipiente. D’altra parte si trattava solo di una leggenda, sebbene trascritta in  vari reperti rinvenuti molti anni addietro e concordi nell’individuare questa località come quella destinata a custodire la bottiglia e il suo prezioso contenuto. Non avevamo neppure idea se il liquido fosse veramente tale e si fosse conservato per così tanti secoli. Avevo letto le diverse testimonianze su questa leggenda e mi colpì la sostanziale coincidenza delle fonti circa le virtù del liquido: chi lo avesse rinvenuto non avrebbe conquistato la felicità, ovviamente, anzi, la rivelazione in quanto tale poteva benissimo essere deludente, incompleta, addirittura incomprensibile o non esistere affatto. Come un liquido poi avesse la facoltà di trasmettere una così alta forma di conoscenza, rimaneva un mistero. Tutto poteva essere vano, insomma, gli scavi proseguivano per portare alla luce la straordinaria città di pietra, ma gli archeologi stessi nutrivano un certo scetticismo sull’esistenza della bottiglia e soprattutto sulla possibilità che si trattasse di una fonte di rivelazione. Cionondimeno, considerata la mia condizione in Italia, privo di congiunti e di amici, liberato da un lavoro che mi opprimeva da tutta una vita, ritenni opportuno, grazie all’interessamento del mio amico, partire lo stesso, non lasciavo nessuno, non abbandonavo niente che potesse essere degno di nota, la mia vita, in patria, era comunque finita. Concluso un lavoro che detestavo da sempre, chiusa con grande dolore una vicenda sentimentale che durava da molti anni, i pochi amici compresi dalle loro necessità quotidiane, ingabbiati in orari, scadenze, percorsi, gesti sempre uguali, non avevo più nulla che mi tenesse vincolato ad una  realtà triste, gretta e meschina,  ad un mondo povero, egoista e miserabile, ancorato ai soli beni materiali. Nonostante il mio permesso avesse la durata di soli tre mesi, da diversi giorni meditavo di non tornare comunque in patria, anche se non sapevo esattamente dove sarei andato a parare. 

La mattina ci si alzava prestissimo per sfruttare al meglio le ore meno calde della giornata, uscivo dalla tenda nella luce ancora tenue del deserto, la sabbia volteggiava in mulinelli ed entrava in ogni cosa: era una sabbia finissima, di un rosso mattone, faceva parte della nostra vita, era nei nostri abiti, nei nostri cibi, non entrava solo negli occhiali di protezione, per il resto era ovunque. A quell’ora le dune apparivano di un cremisi intenso, con la luce radente del sole, gli scavi, poco lontani dalle tende, si stagliavano spettrali contro l’orizzonte di un cielo ancora pallido che evaporava in una caligine che uniformava tutti i colori in un grigio azzurro monotono e opaco. Col passare delle ore e l’accrescersi della temperatura, il cielo si faceva più limpido, e gli oggetti assumevano colori più naturali, anche se il rosso delle sabbie e della città morta restava sempre uguale, in qualsiasi ora del giorno. La mia camicia kaki cominciava ad intridersi di sudore, avrei dovuto sopportarla per tutto il resto della giornata, il caldo opprimente non consentiva pause di refrigerio. Nell’ora più calda, si riposava all’ombra di un torrione, consumando un breve pasto e facendo alcune considerazioni sui risultati della giornata ancora in corso. Su tutto, però, aleggiava una atmosfera pesante di scetticismo, una smemorata apatia, un doloroso fatalismo che conduceva gli animi degli archeologi fino alle soglie dell’infelicità. Come se un senso di vanità e di inutilità si fosse impadronito dalla spedizione, aiutato certo dal clima e dalla monotonia rovente del paesaggio, dalle notti fredde e senza luna, da quel sole sempre uguale, dai tramonti brevissimi che preludevano ad antiche sere tutte uguali, dai contorni sbiaditi, dall’indaco pallido che uniformava tutto, dai nostri volti agli oggetti che utilizzavamo. Senza dirlo apertamente, tutti mi consideravano un personaggio stravagante ed annoiato dalla civiltà, venuto sin lì ad inseguire i fantasmi della sua mente, senza una meta precisa, senza un obiettivo ben definito, insomma una specie di pazzo stravagante cui non era opportuno dare troppa confidenza. Nessuno di loro prendeva sul serio la leggenda della bottiglia. E questo rendeva il mio personaggio ancor più incomprensibile. Parlavano poco, ma mi sorvegliavano con attenzione, in modo che non mi potessi allontanare troppo o che non toccassi, con le mie mani inesperte, dei reperti che andavano trattati con le dovute precauzioni prima di essere catalogati.

Un pomeriggio, eravamo entrati nell’ultima quindicina di giorni della mia permanenza, mi trovavo con Safel, un indigeno che spesso mi accompagnava nelle mie girovagazioni, e mi dava una mano nelle fotografie, o a superare i passaggi più impervi (ma io ero sicuro che il capo spedizione me lo aveva messo alle costole per meglio controllare il mio operato), quando, era pomeriggio inoltrato e tra non molto il crepuscolo  sarebbe sbrigativamente calato su di noi, ci trovammo davanti alla porta di una costruzione che era stata da poco scoperta e superficialmente sgomberata da sabbia e detriti. Gli archeologi, ad una prima, superficiale,  ricognizione, non avevano trovato nulla di particolarmente interessante. Ne avevamo brevemente parlato la sera prima, al bivacco, chiesi se si fossero salvate suppellettili o oggetti d’uso quotidiano in quella costruzione. Mi era stato risposto che nulla era emerso, se non le nude pareti di un paio di ambienti, che davano in un budello senza apparente vie d’uscita. In breve, quella parte degli scavi era stata temporaneamente abbandonata perché non degna di particolari attenzioni. Proprio per questo motivo, decisi con Safel di avventurarmi  nelle due stanze ormai sgombre. In effetti, le pareti erano nude, le due stanze comunicavano senza uno scalino, e solo in un angolo della seconda stanza era visibile una piccola apertura a volta incrociata. La luce radente del tramonto ormai vicino rendeva il rosso della sabbia ancora più acceso, nella lama luminosa che filtrava dall’entrata il pulviscolo sembrava un magma vermiglio. Safel mi consigliò di non proseguire, che l’ora cominciava ad essere tarda, e che sarebbe stato meglio rientrare. Non gli badai, e con la  torcia accesa mi addentrai con fatica nel cunicolo che si apriva davanti a me. Poteva a malapena entrarvi una persona sola, e anch’esso sembrava privo di vie d’uscita. Ad un certo punto, roteando la torcia per esplorare l’ambiente, la mi attenzione cadde su quella che sembrava una piccola nicchia, la cui apertura era mimetizzata e confusa dalla coltre di polvere e sabbia che la circondava. Con il pennello e la spatola che portavo clandestinamente con me, cercai di far emergere una eventuale fessura. Fuori Safel, che sapeva che mi portavo appresso attrezzi che avrei dovuto lasciare in tenda, aspettava spazientito. Ad un certo punto, la lama della spatola incontrò l’ostacolo costituito dalla bordatura della nicchia: scavai con maggiore forza, e dopo qualche minuto, aiutandomi con il pennello, potei distinguere una cavità a protezione della nicchia scavata nel muro. Feci leva con la spatola e lo sportello, privo di cardini, mi cadde addosso all’improvviso, sollevando una nuvola di polvere giallastra. Safel mi chiese cosa fosse accaduto e mi pregò di rientrare, il sole era quasi al tramonto e tra brevissimo tempo sarebbe scomparso. Mi rialzai a fatica e con la mano tremante frugai dentro la nicchia. Era proco profonda, arrivava al massimo al mio avambraccio, la luce della torcia non riusciva a  spingersi oltre le pareti quadrate, ma il mio tatto percepì un’altra piccola apertura nell’angolo destro. La mia mano incontrò un oggetto, liscio e levigatissimo, poteva essere un vaso. Lo sollevai senza fatica e con mille precauzioni, fino a cavarlo fuori dalla nicchia dove era sepolto. Era una bottiglia. Una bottiglia azzurra. L’ultima luce del crepuscolo mi permise di distinguere qualcosa dentro la bottiglia, aiutandomi con la torcia elettrica vidi che si trattava di un liquido incolore, leggermente ambrato, ma la luce era troppo poca per distinguerne le sfumature. La bottiglia era sigillata in modo primitivo, con una capsula composta di una lega metallica a me ignota, vidi solo con certezza che era piena per metà. Safel, non appena vide la bottiglia, con un altissimo grido, se la diede a gambe, ed io rimasi solo, in mezzo alla seconda stanza nel buio più completo. Non sapevo cosa pensare, non sapevo neppure cosa fare. Avrei dovuto rientrare subito nell’accampamento ed avvisare gli archeologi della mia scoperta, era ormai buio inoltrato e tra poco sarebbero partite, da parte dei miei compagni, le mie ricerche, su precise indicazioni di Safel. Avevo poco tempo per decidere che fare. D’improvviso, come colto da una ispirazione, feci saltare con i guanti il tappo che sigillava la bottiglia, e ne annusai il contenuto. Non sentii nulla di particolare. Poi, voltandomi lentamente verso l’apertura della stanza, con un gesto calmo e risoluto, portai la bottiglia alle labbra e bevvi il contenuto fino all’ultima goccia. Sentii il liquido gorgogliare nella mia gola e quello fu l’ultimo ricordo che conservai. Un attimo dopo, il mio corpo era svanito, la bottiglia azzurra giaceva per terra, i miei vestiti erano solo un mucchio di panni impolverati. Ero la stanza che mi ospitava, la costruzione che ci sovrastava, le tende che poco lontano ospitavano gli archeologi. Ma ero anche nelle loro menti, nel respiro che li alimentava, il fuoco che avevano appena acceso, ero le dune modellate da vento, il vento stesso che spirava da un oceano lontano, quello stesso vento che soffiava dall’eternità e all’eternità sarebbe un giorno tornato.
Liberamente ispirato al racconto "the blue bottle" di Ray Bradbury