giovedì 31 marzo 2016

INDAGATO BERTONE, IL PRINCIPE DELLA CHIESA CATTOLICA



Il Vaticano ha aperto un'inchiesta sull'attico di Tarcisio Bertone, e ha iscritto nel registro degli indagati due persone: Giuseppe Profiti, ex presidente del Bambino Gesù e manager vicinissimo al cardinale, e l'ex tesoriere Massimo Spina. Lo scrive l'Espresso in un articolo a firma di Emiliano Fittipladi, di cui è stata diffusa un'anticipazione, e lo ha confermato la Santa Sede, precisando che «il cardinale non è indagato». L'accusa per i due ex manager del Bambino Gesù sarebbe di appropriazione indebita.
«L'istruttoria penale è scaturita dalle rivelazioni del saggio Avarizia», scrive Fittipaldi, che per il suo saggio è indagato dal Vaticano nel cosiddetto processo Vatileaks 2.
L'ATTICO RISTRUTTURATO CON I SOLDI PER L'OSPEDALE. «I giudici di Papa Francesco ipotizzano reati gravissimi (peculato, appropriazione e uso illecito di denaro, si legge nelle carte d'accusa) e hanno già trovato i riscontri documentali che dimostrano che i lavori di ristrutturazione dell'appartamento (un attico di 300 mq vicino alla residenza di papa Francesco, ndr) sono stati pagati dalla Fondazione dell'ospedale pediatrico Bambino Gesù», riporta il settimanale.
LAVORI COSTATI 422 MILA EURO. I lavori per la ristrutturazione dell'attico dell'ex Segretario di Stato Vaticano, cardinale Tarcisio Bertone, «sono costati in totale - si legge ancora nell'articolo di Fittipaldi per l'Espresso - ben 422mila euro, che sono stati fatturati nel 2014 non alla società italiana che ha materialmente effettuato il restauro (La Castelli Re, fallita a luglio del 2015), ma a una holding britannica con sede a Londra, la LG Concractor Ltd. Controllata sempre da Gianantonio Bandera, titolare della Castelli Re e amico personale di Bertone».
BERTONE ERA A CONOSCENZA DEI FATTI. L'autore di Avarizia fa notare che «i soldi destinati ai bambini malati sono stati, in pratica, utilizzati per la ristrutturazione, e poi girati a Londra. Oltre alle sette fatture pagate al costruttore attraverso i conti Ior e Apsa della Fondazione, però, i magistrati di Papa Francesco hanno in mano anche lettere firmate che inchiodano l'ex Segretario di Stato di Benedetto XVI alle sue responsabilità: Bertone, che ha finora sostenuto di essere all'oscuro di eventuali finanziamenti di terzi, è invece sempre stato a conoscenza che i soldi del restauro del suo appartamento venivano (anche?) dall'ente di beneficenza dell'ospedale vaticano».
«Il cardinal Tarcisio Bertone ribadisce di non aver mai dato indicazioni, o autorizzato, la Fondazione Bambino Gesù ad alcun pagamento in relazione all'appartamento da lui occupato e di proprietà del Governatorato», ha replicato in una nota l'avvocato Michele Gentiloni Silverj, legale del porporato.
LE LETTERE CHE «INCHIODANO» IL CARDINALE. Tra i documenti in possesso del settimanale anche la corrispondenza tra Profiti e Bertone, dove si evince che il manager, in una lettera firmata del 7 novembre 2013, ha davvero offerto al cardinale di pagare (tramite la onlus dedicata ai bambini malati) i lavori dell'attico di residenza in cambio di ospitare «incontri istituzionali» nella casa, e che Bertone - il giorno dopo - lo ha ringraziato accettando l'offerta. «Nel documento dei pm - precisa L'Espresso - non viene citato il nome di Bertone, ma difficilmente la Santa Sede potrà evitare un suo coinvolgimento diretto nello scandalo».
La versione di Bertone e quella di Profiti
Bertone ha sempre rigettato ogni accusa. «Escludo in modo assoluto», aveva dichiarato al settimanale cattolico di Genova, Il Cittadino, «di aver mai dato indicazioni o autorizzato la Fondazione Bambino Gesù ad alcun pagamento. Ho pagato con i miei risparmi per un appartamento non mio che resterà rinnovato a disposizione del Vaticano. Come risulta da documentazione ho versato dal mio conto al Governorato circa 300 mila euro. Ho saputo poi di un contributo dato dalla Fondazione Bambino Gesù al medesimo scopo».
FURONO SPESI I SOLDI DELL'OSPEDALE. La versione era stata però messa in dubbio proprio da Profiti, che a Mix24 di Giovanni Minoli il 9 novembre ammise di aver pagato effettivamente con i denari della fondazione l'intervento. Senza, però, ricevere nessun ordine.
«L’investimento era proprio una delle azioni del piano di marketing che vedeva come obiettivo questo investimento finalizzato alla raccolta fondi delle grandi aziende nazionali e delle grandi multinazionali estere», spiegò.
La ristrutturazione, poi, era necessaria perché nell'attico «avremmo realizzato le maggiori iniziative della Fondazione, quelle con il più elevato ritorno economico».

martedì 29 marzo 2016

E’ MORTO MAX EDWARDS, IL PRODIGIOSO SEDICENNE MARXISTA



Amava la filosofia, la storia, la politica. A soli 14 anni Max Edwards, britannico di York, aveva aperto un blog marxista chiamandolo "The Anonymous Revolutionary", il rivoluzionario anonimo. Il giovanissimo Edwards è morto il 27 marzo per un tumore. Sapeva di essere malato, e proprio della sua malattia aveva scritto nel blog.

Sono stati i genitori a dare la notizia del suo decesso attraverso il sito: "Scrittore, filosofo, pensatore, musicista, artista. Il rivoluzionario anonimo - Max Edwards, nostro figlio - è morto il 27 marzo 2016, a 16 anni. Amava scrivere in questo blog per condividere le sue idee con voi. Specialmente negli ultimi mesi della vita questo blog gli ha recato grande conforto. Grazie per il supporto. Grazie per aver reso felice un giovane rivoluzionario".

Soltanto la scorsa settimana il ragazzo aveva incontrato il nuovo e il vecchio leader del partito laburista, Jeremy Corbyn ed Ed Miliband.
Edwards aveva inaugurato il blog "per un moderno marxismo" nel 2014. Vi scriveva le proprie riflessioni politiche, poi diventate un libro dalla copertina rossa con la falce e il martello: "The Anonymous Revolutionary".
L'adolescente era convinto che la filosofia marxista non fosse affatto un vecchio arnese arrugginito, ma che occorresse rinnovarla per affrontare la nuova era del capitalismo mondiale:
"Non credo che la natura umana sia in contraddizione con l'idea di uguaglianza, anzi, penso che sia in sintonia con essa. E' vero che abbiamo la tendenza di mettere i nostri bisogni di fronte a quelli degli altri, ma alla fine i nostri primi sforzi di lavorare insieme dimostrano che questi comportamenti sbagliati non sono innati o inamovibili - anche se sono il motore dei sistemi di sfruttamento economico della società moderna".
Colpiscono le parole lucidissime del ragazzo, che nei giorni prima di morire era salito a bordo di un jet privato per vedere la sua terra- lo Yorkshire - dall'alto. Non gli era sfuggito che questo poteva apparire un privilegio in aperta contraddizione con quanto scriveva sul blog:
"Se questo fa di me un ipocrita, allora sono sempre stato un ipocrita. Predico l'uguaglianza e la giustizia scrivendo su un IPhone 5S che molto probabilmente è stato costruito in una fabbrica di schiavi. Credo fermamente nella redistribuzione della ricchezza, eppure vivo in una casa con tutti i comfort e il riscaldamento centralizzato. E' facile per me parlare di questioni delle quali non ho esprienza, eppure lo faccio lo stesso. Questo fa di me un ipocrita? Forse..."
Dopo aver rivelato attraverso il suo blog di essere colpito da un cancro ormai in fase terminale, il giovane Max aveva scritto un articolo per il quotidiano Guardian nel quale rifletteva come la notizia della malattia non stesse incidendo sulla sua visione atea del mondo:
"Mi dicono che molte persone stanno pregando per me e io stesso sto pregando, anche se non ho mai pensato potesse fare la differenza (l'ho fatto solo una volta casomai servisse a far accadere qualcosa di buono - cos'ho da perdere?). Non credo in Dio: non ci credevo prima della diagnosi e non ci credo ora. Dicono che la morte sia la cosa più terribile che possa capitare, e siccome non posso auto-ingannarmi pensando che ci sia una vita dopo la morte, penso che questa esperienza porti soltanto a un vuoto senza nulla. Ma ho trovato il modo di accettare questa idea".
Ed Miliband ha scritto un tweet commosso: "E' stato un privilegio per me incontrare Max due settimane fa. Un ragazzo davvero speciale. Ho il cuore spezzato per Dan, Jenny, Esme e Toby"

giovedì 24 marzo 2016

JOHAN CRUIJFF: SE NE VA UNO DEI PIU’ GRANDI



Johan Cruijff si puliva le scarpe da calcio da solo e si lavava la maglietta da solo. E non si faceva portare la borsa dal magazziniere.
Johan Cruijff non era un 10 come Sivori, Maradona, Pelé, Platini, Zico e Del Piero. Era un 14: unico e irripetibile.
Johan Cruijff rivoluzionò il football: calcio totale, eleganza, palla giocata di prima, con semplicità. Poi, lui si permetteva il gol d'autore: una rete al volo in spaccata, una conclusione impossibile, la rovesciata abbagliante. Oppure, l'assist abbagliante.
Johan Cruijff ha vinto tutto, da giocatore e da allenatore. Mai la Coppa del Mondo: questo per dire che il pallone non è sempre giusto, a volte rotola dalla parte sbagliata.
Johan Cruijff ha fatto grandi l'Ajax e il Barcellona. Il Milan lo ha sognato per una sola partita: ma in italia tornava sempre volentieri, soprattutto per dedicarsi agli altri: a chi soffre, agli ultimi. Perché il calcio gli ha insegnato, proprio come ad Albert Camus, la morale e l'etica.
Johan Cruijff proprio non riusciva a mandare giù il football moderno: troppi soldi, troppi muscoli, troppe luci della ribalta. Si divertiva ancora andando nei campetti di periferia: a vedere i ragazzini giocare. Lì, ritrovava la magia del gioco più bello del mondo. Il suo.
Johan Cruijff fu il "Profeta del Gol" per Sandro Ciotti e il Pelé Bianco per Gianni Brera. Per tutti, ora, è una leggenda. E le leggende non muoiono mai.
Johan Cruijff invitava i suoi compagni o i suoi giocatori a non fare troppi ghirigori con il pallone, a non cercare la giocata difficile: dovete fare la cosa più semplice, che è anche la più complicata.
Johan Cruijff non correva, danzava. Quando prendeva il pallone, tutto il resto scompariva. Restava la sua eleganza, la sua bellezza, la sua arte.
Johan Cruijff ha conquistato tre volte il Pallone d'Oro. Ma il vero Pallone d'Oro era lui. Diego Armando Maradona ha scritto: "Non ti dimenticheremo mai, flaco". Il Magro che sul prato verde componeva rime baciate, versi lucenti. Era un poeta. Un poeta che riuscì a rende possibile l'impossibile.
Johan Cruijff, quando ero un inviato speciale, mi parlò a lungo, sul tintinnare della sera, nell'antistadio del Camp Nou, a Barcellona. La sua Barcellona. Mi racconto la sua visione del calcio. Il segreto era uno solo: giocare per gli altri, senza egoismi. La squadra come un coro perfetto. Ma, pensavo io, dopo serviva il guizzo del fuoriclasse assoluto. E il Profeta del Gol, da solo, riuscì a risolvere molte partite. Da solo.
Johan Cruijff è stato amato da tutti i tifosi. Perché era il calcio della classe, della fantasia, dell'altruismo, dello stupore. Del rifiuto del rancore. Era una bandiera. Con tutti i colori.
Johan Cruijff se n'è andato a 68 anni, ma per tutti noi continua ad accarezzare il pallone e a farci incantare dalla meraviglia. Grazie per i sogni, campione.

mercoledì 23 marzo 2016

DIECI CONSIDERAZIONI SU BRUXELLES DI ANDREA SCANZI



1. Le mattanze di Parigi furono accolte con lo stupore di chi credeva di poter essere amnistiato da questa guerra anomala. I fatti di Bruxelles hanno lasciato più che altro spazio a quello sgomento che confina con la rassegnazione. Quasi che ci stessimo abituando già a quel che potrebbe una costante di questi tempi sbandati: convivere con il terrore.
2. Dopo ogni atto così enorme, dal secondo successivo è tutto un parlare e ciarlare. Tutti di colpo esperti di Islam e jihad, Daesh e foreign fighters. Sbaglierò io, ma è anzitutto in questi casi che avverto il bisogno del silenzio.
3. Cosa possiamo fare? Intendo noi, intendo nel nostro quotidiano. Continuare a vivere come vivevamo prima. Anche se fa paura, anche se diventa eroico anche solo andare a teatro. Continuare a vivere come facevamo. Per non darla vinta agli assassini.
4. Avere paura è naturale. Tradurre questa paura in intolleranza è un altro regalo all’Isis, o meglio ancora all’Is, perché chiamarli come la versione greca e latina della dea egizia Iside mi rompe un po’ le palle (e anche in questo ha ragione Franco Cardini, di cui vi consiglio l’ottimo “L’Islam è una minaccia” FALSO!, edito da Laterza). Parlare di frontiere chiuse è delirante. I terroristi che colpiscono in Europa sono già in Europa e spesso figli di musulmani che qui li hanno concepiti. E questi figli – in tutto europei – uccidono anche per colpire i loro genitori, che reputano dei musulmani mollicci e opulenti: malati di troppo Occidente.
5. La guerra all’Isis si intreccia dunque con una guerra generazionale e con mille altri rivoli. Ciò rende l’Isis ancora più sfuggente: magari, per ucciderlo, bastasse bombardare i confini presunti del sedicente “Stato islamico”. L’Isis non è uno Stato e neanche una religione: è un kit nichilista a uso e consumo di chiunque ha bisogno di un pretesto per colpire a casaccio, così convinto di non avere più speranze da farsi esplodere come nulla fosse.
6. Tutti, ora, parlano di “Belgio colabrodo” e di “esigenza di una FBI europea”. Ovvero di una intelligence europea, che unisca realmente tutti i paesi coinvolti nella guerra. Obiettivo sacrosanto, più volte promesso (anzitutto) da Merkel e Hollande. I fatti, però, non hanno seguito mai le promesse. E’ poi vero che il Belgio è dilaniato da divisioni, leggi contorte e crisi devastante: era probabilmente l’obiettivo europeo più facile e solo lì Salah poteva “nascondersi” quattro mesi a casa sua. Rendiamoci però conto che la sicurezza totale è una chimera: se uno entra in un bar e si fa saltare in aria, non c’è intelligence che tenda. E sì che in Italia, per fortuna e nonostante Alfano, stiamo molto meglio che da altre parti.
7. Si dice spesso che questo giornale, e chi vi sta scrivendo, ce l’abbia a prescindere con Renzi. Una delle tante sciocchezze da asilo nido, che rendono il dibattito politico appassionante come una detartrasi di Velardi. Magari ne potessimo parlare “bene”, come fa il 95% della cosiddetta informazione italica. Ieri, però, Renzi ha detto cose sensate. Gli capita spesso, quando parla di Isis e guerra. Ha ragione quando sottolinea l’inutilità delle frontiere. Ha ragione quando ribadisce l’importanza di investire sulla cultura, anzitutto nelle periferie. E ha ragione quando dice che “non è il tempo né degli sciacalli né delle colombe”. Bravo. Ora però sta a lui, sempre ammesso che Usa e Merkel lo ritengano un alleato minimamente rilevante, farci capire come si passa dal non essere “colombe” all’entrare definitivamente in guerra.
8. Impeccabile la copertina di ieri di Crozza a DiMartedì. Tra le altre cose, ha ribadito un concetto semplice semplice: se bombardi dalla mattina alla sera un paese, quel paese prima o poi reagisce. Non solo: se ti affidi ai droni neanche fossero il monolite di Kubrick, l’unico risultato sicuro è ammazzare civili come mosche. E chi sopravvive, poi, preferisce di gran lunga l’Isis al civile Occidente che “esporta democrazia” sterminandoti la famiglia.
9. Non c’è giorno che passi in cui mi chieda: cosa abbiamo fatto di male, anzi di tremendo, per meritarci Luttwak? Perché dovrei prendere lezioni da questa caricatura guerrafondaia e becera? Chi lo ha eletto a esperto? Di grazia: meno Luttwak e più Gino Strada. E’ anche così che un paese diventa, o torna, civili.
10. Ieri, tra le mille cose elargite a getto continuo in radio, social e tivù, Matteo Salvini ha detto: “Meglio sciacallo che imbecille”. Devo dargli una brutta notizia: si può essere entrambe le cose, e non c’è bisogno di scomodare il primo Gasparri che passa per la conferma. Salvini ieri è volato a Bruxelles dopo l’attentato. Qui si è fatto ritrarre in posa pensosa, mentre parla a un cellulare immaginario (daje) e con una espressione tipo Chuck Norris dopo avere salvato l’umanità da una invasione di procioni di Cozumel. Quella postura da bullo, la stessa di chi si vanta per avere vinto alla PES 2016 con il nipotino di 4 anni, gli garantirà sfottò a vita. Bravo Matteo: sei una garanzia.