martedì 8 marzo 2016

MUSEI GRATIS ALLE DONNE: LA TOPPA PEGGIO DEL BUCO



Chissà se le donne italiane avranno il tempo di sfruttare la giornata gratuita nei musei per l'8 marzo, visto che risultano ai primi posti nella classifica mondiale del lavoro domestico: ogni giorno spendono 326 minuti più degli uomini a pulire, portare i bambini a scuola, badare ai genitori, fare la lavatrice e cucinare.
In totale sono 36 ore la settimana, un record negativo che racconta meglio di qualsiasi statistica la condizione femminile in Italia. Per fare un paragone, le giapponesi e le turche lavorano molto meno tra le pareti domestiche. Gli uomini italiani, infatti, risultano molto poco collaborativi: 14 ore. Loro sì, senza dubbio, oggi potrebbero prendersi una pausa e ammirare quadri, sculture e siti archeologici.
Ecco perché l'idea del ministro Enrico Franceschini di offrire una giornata al museo alle donne risulta un pallido tentativo di pinkwashing, uno scivolone che tenta di rimediare alle scarsissime politiche per correggere la disparità di genere: ancora nel 2016 le italiane sono agli ultimi posti in Europa per tasso di occupazione (47% rispetto al 60% della media Ocse).
Dietro l'iniziativa del ministero dei Beni culturali pare di leggere anche un certo sessismo: oggi siete libere, andate e acculturatevi. O anche la considerazione retriva che le donne siano un gruppo minoritario da proteggere e valorizzare: ah, le donne! Una giornata gratis al museo: è come se il governo degli Stati Uniti all'epoca avesse offerto ai neri una giornata senza biglietto per l'autobus.
E' persino difficile comprendere l'origine di questa giornata della cultura gratuita, poiché è chiaro che potranno aprofittarne solo le donne che vivono nelle città medie e grandi, le donne più anziane o quelle libere, le donne che non lavorano, le donne sane e non quelle malate.
Oberate di incarichi domestici e spesso costrette a lasciare il lavoro quando mettono al mondo un figlio, le italiane hanno poco da festeggiare. Il ministro Franceschini, così come il resto del governo, non ha speso una parola per commentare un articolo del New York Times sulla lenta sparizione del servizio di interruzione delle gravidanze in Italia a causa dell'elevatissimo numero di ginecologi obiettori di coscienza.
Il sabotaggio di uno dei diritti-chiave della libertà femminile, quello di non partorire, si accompagna alla incomprensibile decisione di innalzare a diecimila euro la sanzione per le donne che ricorrono all'aborto clandestino. Nemmeno su questo punto l'esecutivo si esprime, nonostante la mobilitazione e il mail-bombing che anche oggi colpirà le caselle di posta dei responsabili di governo. Intanto il dipartimento per le Pari Opportunità, un tempo vivace, ora giace nell'inattività più completa senza un responsabile né un piano degno di questo nome.
A questo si aggiunge il penoso dibattito sull'utero in affitto, utilizzato durante il passaggio in Senato della legge sulle unioni civili non per amore di emancipazione delle donne - o almeno, non sempre - ma per sabotare un testo favorevole alle coppie omosessuali. I senatori che tanto hanno a cuore l'utero delle donne povere del terzo mondo sono gli stessi che non propongono quasi nulla per migliorare la condizione femminile in Italia.
Sarebbero innumerevoli i passi da compiere per l'8 marzo per trasformare questa giornata urticante e ipocrita in una giornata politica e cioè di trasformazione. Il ministro avrebbe potuto, se davvero ci teneva a dare una mimosa culturale alle donne, imitare i musei francesi e far organizzare convegni e percorsi tematici per valorizzare e ripensare le artiste donne che comunque sono esistite, così come esistono le scrittrici e le studiose, spesso dimenticate nelle antologie.
Oggi, sempre in Francia, l'ex ministra Taubira presenta una riflessione sulle parole al femminile e sul maschilismo della lingua usata tutti i giorni. Questo sarebbe stato un segnale positivo, un gesto dal valore profondamente culturale e simbolico, non un contentino come la cena fuori con le amiche.
Perché sempre secondo le odiose statistiche Ocse le italiane sono più infelici delle donne europee in generale: il nostro tasso di soddisfazione è 5,8 rispetto alla media 6,7. Non sarà certo un Botticelli a cambiarci l'umore.