venerdì 29 gennaio 2016

IL BULLO E IL RIMPASTINO. NCD HA PIU’ POLTRONE CHE VOTI



La squadra di governo di Matteo Renzi sale da 56 a 64 membri e quattro sottosegretari cambiano ministero. Il consiglio dei ministri di giovedì ha infatti dato il via libera al rimpasto dell’esecutivo e nominato i nuovi titolari di alcune cariche vacanti da mesi. Tre degli otto freschi di nomina e cinque sui 12 coinvolti dal rimpasto sono del partito di Angelino Alfano. “Dal manuale Cencelli al manuale Renzelli, con Ncd che ha più ministri che voti #rimpasto #todocambia”, ha commentato via Twitter il senatore bersaniano Miguel Gotor.
Teresa Bellanova (Pd) diventa viceministro allo Sviluppo economico, Gennaro Migliore (Pd) e Federica Chiavaroli (Ncd) sottosegretari al ministero della Giustizia, Antimo Cesaro (Scelta civica) e Dorina Bianchi (Ncd) vanno alla Cultura, Enzo Amendola (Pd) sottosegretario agli Esteri, Antonio Gentile (Ncd) va allo Sviluppo economicoMario Giro (ex Scelta civica, ora Democrazia solidale) agli Esteri con delega all’immigrazione. Traslocano invece Ivan Scalfarotto (Pd), che passa da sottosegretario alle Riforme allo Sviluppo economico, Enrico Costa (Ncd), ora viceministro alla Giustizia, che diventa titolare degli Affari regionali con delega alla Famiglia, e Simona Vicari (Ncd), ora sottosegretario allo Sviluppo, che approda alle Infrastrutture. Enrico Zanetti (Scelta civica) viene promosso da sottosegretario a viceministro all’Economia. Infine è ufficiale che Tommaso Nannicini, attuale consulente economico di Matteo Renzi, diventa sottosegretario alla presidenza del Consiglio, come il premier aveva annunciato la settimana scorsa.
Costa, relatore del lodo Alfano, agli Affari regionali vacanti da un anno - Il deputato Ncd Costa, ex berlusconiano e già celebre per essere stato relatore del Lodo Alfano per garantire l’immunità tra gli altri all’ex Cavaliere, passa dalla carica di viceministro alla Giustizia a quella di ministro degli Affari regionali. Con una delega alla famiglia particolarmente pesante a pochi giorni dal voto sulle unioni civili. La poltrona era vacante dalle dimissioni di Maria Carmela Lanzetta (Pd), che il 25 gennaio 2015 lasciò il governo per andare a far parte della giunta regionale di Mario Oliviero in Calabria, salvo rinunciare due giorni dopo in polemica per la nomina di un altro consigliere sfiorato da un’indagine per voto di scambio.
La delega all’immigrazione va a Giro, ex consigliere di Riccardi – Mario Giro da sottosegretario agli Esteri viene promosso a viceministro. Dal 1975 è membro della Comunità di Sant’Egidio dove è stato responsabile per le Relazioni internazionali. E’ stato consigliere del ministro Andrea Riccardi nel governo Monti.
Il leader di Scelta civica diventa vice di Padoan - A via XX Settembre, come rivelato da ilfattoquotidiano.it nei giorni scorsi, il sottosegretario Enrico Zanetti diventa viceministro. Per lui, però, non ci sarà l’attesa delega al fisco e le sue competenze verranno definite più in avanti. La promozione del leader di Scelta civica , professione commercialista, modifica gli equilibri al Tesoro e rende meno salda la poltrona della direttrice dell’Agenzia delle Entrate Rossella Orlandi, di cui Zanetti già lo scorso autunno aveva chiesto le dimissioni.
Migliore, l’ex capogruppo di Sel convertito al renzismo – Sono due i nuovi sottosegretari alla Giustizia: Gennaro Migliore (Pd) e Federica Chiavaroli (Ncd). Il primo è l’ex capogruppo di Sel che a ottobre 2014 in diretta su Rai3 a Ballarò aveva annunciato il suo passaggio con Renzi. Pochi mesi prima aveva abbandonato il partito di Nichi Vendola dopo uno scontro con il leader sul decreto Irpef e il bonus di 80 euro. Chiavaroli, iscritta all’albo dei commercialisti, professione imprenditrice, è stata eletta senatrice nel 2013 nelle fila del Pdl. Pochi mesi dopo ha aderito al Nuovo Centrodestra, di cui è diventata vicecapogruppo a palazzo Madama.
Scalfarotto lascia la Boschi e passa allo Sviluppo – Ivan Scalfarotto, fino a oggi sottosegretario alle Riforme, lascia il dicastero di Maria Elena Boschi in cui è entrato alla nascita del governo Renzi per passare a quello di Federica Guidi. Al posto di Carlo Calenda, che da marzo sarà a Bruxelles come nuovo rappresentante dell’Italia presso la Ue. Ex manager ed ex consigliere di circoscrizione a Foggia per i Verdi del Sole che ride, londinese d’adozione e fondatore del primo circolo di “Libertà e Giustizia” all’estero, Scalfarotto nel 2005 si è candidato alle primarie dell’Unione, arrivando sesto. Dal 2009 al 2013 è stato vicepresidente del Pd. Omosessuale dichiarato e attivista per i diritti gay, sostiene il ddl Cirinnà sulle unioni civili.
Gentile, il “cinghiale ferito che ammazza tutti” - Insieme a Scalfarotto diventa sottosegretario allo Sviluppo Antonio Gentile. Colui che nel marzo 2014, agli albori del governo Renzi, fu per 72 ore sottosegretario ai Trasporti ma dovette dare le dimissioni travolto dall’accusa di aver fatto pressioni sul quotidiano Ora della Calabria che stava per pubblicare un articolo su un’inchiesta a carico del figlio Andrea, a cui la procura di Catanzaro contestava i reati di abuso d’ufficio, falso ideologico e associazione per delinquere in relazione a una vicenda di consulenze d’oro assegnate dall’Azienda sanitaria provinciale. Il direttore Luciano Regolo si rifiutò di fermare il pezzo e a quel punto intervenne lo stampatore e presidente di Fincalabra Umberto De Rose che cercò di mediare con l’editore del giornale, invitandolo a non pubblicare la notizia perché “il cinghiale, quando viene ferito, ammazza tutti”.
Al posto della Barracciu l’Ncd Bianchi e Cesaro (Scelta Civica) – I due nuovi sottosegretari alla Cultura sono Dorina Bianchi e Antimo Cesaro. A ottobre 2015 si era liberato un posto dopo che la deputata Pd Francesca Barracciu aveva fatto un passo indietro perché rinviata a giudizio per spese pazze in merito alla sua attività di consigliera regionale. Bianchi, medico, eletta nel 2001 in Senato nel centrodestra, ha militato prima nel Ccd, poi nell’Udc. E’ passata poi al centrosinistra (prima Margherita e infine Pd) per poi finire nuovamente nel centrodestra: Udc, Pdl e infine Ncd.

giovedì 28 gennaio 2016

MA IL PARTITO DELLA NAZIONE ESISTE GIA’



Chi ha avuto tempo e voglia, io lo faccio per ragioni professionali, di seguire in tivù il dibattito al Senato sul “caso Etruria” si sarà reso conto di come la discussione parlamentare sia diventata particolarmente brutta e a tratti volgare.
Il governo era al completo, l’aula no. La ministra Boschi era pallida, cupa e sovrapensiero, il suo dante causa ha invece pronunciato uno degli interventi più arroganti della storia parlamentare. Per tacere sugli altri che abbiamo ascoltato.
Offese su offese, parole forti che precedevano parole più forti e in sottofondo schiamazzi da bettola.
LA DIFESA DELLA REPETTI. Tuttavia, se estraiamo da questa pagina orrenda della vita parlamentare una sostanza, questa va ritrovata nell’intervento della senatrice Manuela Repetti, pasdaran berlusconiana, compagna di Sandro Bondi, novella estimatrice di Renzi e di Boschi, a cui si è rivolta molto maternamente, e fan del governo che da Firenze vuole dominare l’Italia.
La Repetti ha svolto una difesa di ufficio del governo sul “caso Etruria” che un imbarazzato Zanda non è stato in grado di fare (ma il piddino toscano - guarda un po’- Marcucci, ha fatto). Eppure entrambi vengono da sponde non renziane, la Repetti persino da destra.
La senatrice ha cavalcato il tema caro al suo compagno sulla questione della pacificazione, interpretandola questa volta all’incontrario (sono i suoi ex amici di Forza Italia che non devono criminalizzare il Pd), ha visto successi governativi assai più che negli anni berlusconiani, ha soprattutto elogiato Renzi perché finalmente la sinistra non è la sinistra e quindi è accettabile.
Tutti i cambi di casacca hanno buone intenzioni, quando non sono, come ha raccontato di sé il senatore De Gregorio, frutto di uno scambio “non” politico. Si dichiara finita l’esperienza precedente, la motivazione sta sempre nel non raggiungimento di risultati che diventati irraggiungibili incrinano i vecchi legami fino a spezzarli.
C’è poi l’elogio della propria generosità, l’amore per il capo di cui si invoca il parricidio (ma in fondo se l’è cercata lui), infine l’individuazione di una nuova stella polare.
In questa materia è una bella gara fra parlamentari e giornalisti. La traiettoria più comune è andare dal meno forte al più forte, ragion per cui molti critici di Renzi, convintisi che avremo un ventennio renziano, hanno scoperto virtù renziane che prima apparivano sconvenienti. Fin qui siamo nel campo delle cose della vita.
In fondo fedele nei secoli deve essere solo la Benemerita. E in politica, soprattutto in tempi a-ideologici e così pieni di cambi di leadership, mutare idea non è peccato grave.
TANTE NUOVE ADESIONI AL RENZISMO. La vera questione di cultura politica sta in un altro aspetto, che sovrasta il dato individuale. Ciò avviene quando la somma di nuove adesioni e le ragioni proposte per renderle accettabili configura un nuovo scenario politico.
Il “verdinismo” non è solo un fenomeno di maneggioni della politica. Verdini non è Razzi. Verdini è uno che ha preso atto che il suo mondo non aveva più leadership e guardandosi attorno, non volendo chiudersi in convento, ha creduto di vedere nel leader avversario quei tratti di continuità con la propria esperienza, in un punto preciso: è nata una sinistra che uccide la sinistra.
Non a caso trova nella propria compagine non solo Manuela Repetti autrice di intemerate contro il Pd e la sinistra irriferibili, ma soprattutto Sandro Bondi, quel buon uomo, a cui piace mostrarsi ingenuo che, dopo aver lasciato il Pci, non ha sbagliato un solo posizionamento.
Forse hanno ragione loro due, Repetti e Bondi, quando immaginano che il loro tradimento si configura come realizzazione dei vecchi obiettivi in un altro contenitore politico. Del resto è storia delle scissioni dire, da parte degli scissionisti, che si abbandonava un campo di mala voglia costretti a farlo dal tradimento degli ideali e dallo scissionismo della maggioranza.
Per quanto Renzi e i suoi soci toscani cerchino debolmente di smentire, il dibattito politico parlamentare ha detto che il partito della Nazione c’è già.
È un’Arca di Noè piena di buona gente, di bestie feroci e di serpenti. Ma c’è.
Su questa Arca c’è anche buona parte della sinistra italiana che fa bene a non sbarcare, ma farebbe meglio a non farsi sbranare.

mercoledì 27 gennaio 2016

IL BULLO DI RIGNANO COPRE LE STATUE, IL PAPA IL CROCIFISSO



Martedì, giornata della visita della Guida persiana, segnata nei media dalla chiacchiera sullo “scandalo”: Renzi ha fatto coprire le statue nude al Campidoglio per non turbare Rouhani! Ma come si fa’! Per tutto il giorno non c’è stato giornalista in qualche radio italiota che non si sia dichiarato indignato per lo scandalo.   Ovviamente, il mattino dopo, i giornali sono pieni della chiacchiera estenuante, con tutte le sue varianti prostranti, snervanti,   ripetitive: le grandi firme della piccineria si producono, i Serra, i Gramellini, i Veltroni (sic), i Battista per vocalizzare il loro sdegno. ”Restituitele alla loro nudità! Che significa alla loro libertà!”, gorgheggia il maggiordomo del Corriere. E tutti gli altri col petto in fuori, a segnalare che noi italioti siamo orgogliosi del nostro passato, delle statue greche e romane …che di solito, se possono, i nostri figli sgorbiano  con lo spray.
La chiacchiera è stata così cicaleggiante e totale, sfinente ed esaustente, da far passare persino in seconda linea “il dovere della memoria”, togliendo spazio alle liturgie mediatiche di adorazione della Unica-Religione Rimasta, il culto pubblico e obbligatorio della Shué .   Col fiato ancora disponibile, le femministe televisive si sono lamentate che Rouhani non dà la mano alle donne: altissimi lai. Un provincialismo ridicolo,da vergognarsi per loro,  di chi non sa che il mondo è vasto, ospita civiltà diverse, vi sono popoli con diversi costumi, e il “dare la mano” non è un’usanza universale , ancor meno un segno da cui giudicare la civiltà.
L’altro giorno Bergoglio è andato in visita di sottomissione alla sinagoga, e, mi dicono, ha cercato di nascondersi un po’   la croce pettorale – per non offendere i crocifissori di quello che dovrebbe essere il “suo” Cristo.
Di questo atto, terribile per i credenti, nessun media s’è meravigliato, men che meno indignato. Chi lo ha notato, l’ha persino lodato. Anzi, un tizio commentatore su Repubblica (il quotidiano più papista) ha colto l’occasione per scrivere: non limitiamoci a risparmiare una veduta offensiva a Rouhani, facciamolo anche per i profughi musulmani, togliamo il Crocifisso dalle aule. Perché “anche uno spazio laico è sacro”; e via farneticando.
Il Papa si nasconde il crocifisso davanti agli ebrei (che, invece di esser grati,  come al loro solito l’hanno insultato ben bene credendolo il rappresentante del Cattolicesimo). Gli argomenti usati per Rouhani, “difendiamo la nostra dignità”; abbiamo “rispetto di noi stessi”, se non altro “del nostro passato” non sono state evocate in questo caso.
Non si è sentita vulnerata la civiltà europea da quelli che hanno minacciato il 25 gennaio i ministri della giustizia europidi riuniti ad Amsterdm per discutere come respingere (pardon, accogliere) i “profughi siriani” .
  • L’Austria e la Svezia hanno minacciato di espellere la Grecia dalla zona Schengen se non chiude le sue frontiere, anzi se non le lascia aperte e controlla tutti i “profughi” che gli manda Erdogan; accollandosi naturalmente tutte le spese, perché il Nord Europa, alla Grecia non dà un euro.  Gliene ha preso miliardi.
  • Germania, Belgio e Danimarca hanno dato alla Grecia sei settimane (un ultimatum) per ridurre il numero dei nuovi arrivi – su cui la Grecia non ha ovviamente alcun potere – altrimenti li mettono “in quarantena”.
  • Il ministro belga dell’Interno ha proposto che la Grecia costruisca un accampamento per 400 mila immigrati musulmani; e dove? A Atene.

Una discarica sotto il Partenone. E’ chiara l’intenzione dei nordici di far pagare alla Grecia – che hanno già ridotto alla miseria – gli errori della loro Kapò, umiliare la culla della civiltà europea riempiendola di rifiuti umani che, loro, non vogliono pi accogliere. Aggiungendo all’umiliazione l’insulto alla classicità, un gigantesco sgorbio graffito sui Propilei. Nessuna protesta per questo.
Toccamento massonico? E nessuna indignazione per la Danimarca e la Baviera che perquisiscono i “Profughi” e gli portano via denaro e gioielli che superano i 700 euro.   Questo è a civiltà, anche il Papa non ha nulla da rimproverare ai suoi protestanti disumani e taccagni; le sue ingiunzioni alla “accoglienza senza limiti” le riserva ai cattolici, che odia. Adesso va’ in Svezia a celebrare il mezzo millennio dell’eresia: che cosa si coprirà, per non offendere i luterani? E’ la civiltà europea che commette il proprio suicidio.
 

martedì 26 gennaio 2016

LA VERITA’ E’ CHE L’EXPO E’ STATA UN’OPERAZIONE IN PERDITA



La verità gli scappa durante una delle risposte: “La perdita deriva da meccanismi molto complessi”. Perdita? Giuseppe Sala continua a parlare di chiusura in positivo dell’operazione, nella burrascosa seduta di ieri delle commissioni del Comune di Milano, ma poi arriva il lapsus. Per il resto, le domande dei consiglieri spiegano molto più delle risposte del commissario-candidato sindaco. La trincea in cui s’attesta è quella del patrimonio netto, positivo per 14,2 milioni. Ma il consigliere Basilio Rizzo (presidente del Consiglio comunale) gli ricorda che la Corte dei conti nel 2013 prevedeva che fosse di 135 milioni, “e ora festeggiamo per 14,2?”. Rincara la dose Manfredi Palmeri (Terzo Polo): “Il patrimonio era di 48 milioni nel 2014, ora è di 14,2: dunque c’è stata una perdita di 33,8 milioni, altro che risultato positivo”.
La verità è che le cifre rese pubbliche da Sala sono poche e si lasciano tirare in ogni direzione. Roberto Biscardini (Socialisti) ricorda che i soldi pubblici messi nell’operazione Expo sono, negli anni, 1,2 miliardi di euro. Diventano almeno 2 miliardi con le spese di gestione. Le entrate 2015, l’unico anno con entrate rilevanti, sono 736,1 milioni. Ecco dunque i veri contorni economici dell’evento. Poi ci sono le tecnicalità del bilancio. Ma anche su queste, la nebbia è tutt’altro che diradata. Sala ribadisce che “i ricavi” 2015 sono 736,1 milioni (373,7 da biglietti, 223,9 da sponsorizzazioni, 138,5 da altre voci). Ma sono, appunto, “ricavi”, non incassi: 19,9 milioni di biglietti non sono ancora incassati; le sponsorizzazioni hanno portato in cassa solo 45,2 milioni, il resto è offerto “in beni e servizi”; dai ricavi di sponsorizzazioni e altre voci mancano all’appello 51,4 milioni, ancora da incassare. Se si aggiungono le partite ancora sospese (extracosti, contenziosi, bonifiche…) il risultato finale è una perdita d’esercizio di almeno 200 milioni, invece dei +14,9 milioni esibiti da Sala.
A questo si deve aggiungere un’ulteriore constatazione: il commissario mette a bilancio 86,4 milioni che dovranno arrivare da Arexpo (che possiede le aree) per infrastrutturazione, espropri, bonifiche. Ma Arexpo, se mai pagherà, lo farà sempre con soldi pubblici (cioè nostri), visto che soci determinanti sia di Expo sia di Arexpo sono Comune di Milano e Regione Lombardia. “Quanto, allora”, chiede non senza ironia Mirko Mazzali (Sel), “alla fin della fiera, dovrà pagare il Comune, quando sarà sindaco Francesca Balzani?”. Sala risponde criptico: “Non ritengo, dopodiché vedremo”. Altre domande restano sospese. Quanti crediti sono verso aziende straniere, più difficili da recuperare? Quanto porta a casa Eataly di Oscar Farinetti (29 milioni) e quanto ha dato a Expo (il 5%)? Manfredi Palmeri confronta le cifre spese in pubblicità (185 milioni) con i ricavi in sponsorizzazioni per concludere che ogni 2 euro ricavati, 1 euro è stato speso in pubblicità.
Mattia Calise (Movimento 5 Stelle) chiede chi (e con che criteri) ha stimato la partita molto discrezionale dei servizi offerti dagli sponsor a fronte dei diritti di visibilità (Value in kind), per un totale di 178,7 milioni.

Altre domande sono ancor più imbarazzanti. Marco Cappato (Radicali) ricorda che Sala ha fatto un libro per l’editore Skira, che ha lavorato per Expo. Riccardo De Corato (Fratelli d’Italia) chiede quanti appalti sono stati messi a gara e quanti dati a trattativa privata; quanti sono stati frazionati sotto i 40mila euro per non metterli a gara; quanti sono stati i subappalti; quante pratiche sono state contestate dall’Anac di Raffaele Cantone. “Sono 138″, risponde Sala. “Ma Cantone sapeva tutto, perché l’Anac ha seguito tutto” (per la serie: avevamo il parafulmine). Ci sono stati altri casi De Lucchi? “No”. Però offre intanto le cifre degli “appalti grigi”, quelli di cui Sala si lava le mani perché triangolate (come il mezzo milione all’architetto Michele De Lucchi “dimenticato” da Sala) con altri enti: Fiera Milano (45 milioni), Regione Lombardia (37), Comune (70), Triennale (19), Esercito (17) e Italferr: oltre 120 milioni di appalti “a sua insaputa”.