La Corte
Suprema indiana allunga la permanenza in Italia per il marò Massimiliano
Latorre, ma tra le autorità italiane e quelle di New Delhi il disaccordo
continua a regnare sovrano. La proroga concessa dai giudici è valida infatti
fino al 30 aprile, mentre il ministero degli Esteri italiano ritiene di avere
le carte in regola per far restare in patria il militare «per tutta la durata
del procedimento arbitrale internazionale», sulla base del recente pronunciamento del Tribunale del mare di Amburgo.
La posizione italiana resta radicalmente diversa da quella indiana.
LA SENTENZA DEL TRIBUNALE DEL MARE. Latorre è tornato in Italia per curarsi dopo l'ischemia che lo ha colpito nel 2014. In assenza di una nuova proroga, il suo permesso sarebbe scaduto venerdì 16 gennaio. Per Roma, tuttavia, la sentenza del Tribunale del mare che ha ordinato «la sospensione da parte di India e Italia di tutti i procedimenti giudiziari interni» va interpretata nel senso che è «preclusa ogni decisione da parte della Corte Suprema indiana relativamente al fuciliere Latorre». E che quindi il militare possa restare in Italia «per tutta la durata del procedimento arbitrale internazionale». La vicenda, già complessa, si complica ulteriormente.
L'INTERNAZIONALIZZAZIONE DEL CASO. La competenza del Tribunale del mare a decidere sul caso marò, infatti, è stata stabilita quando Latorre si trovava già in permesso in Italia: l'ordine di «sospendere ogni procedimento» implica effettivamente che il militare possa restare qui? Oppure significa che dovrebbe tornare in India al termine della licenza concessa e relative proroghe, e attendere lì l'esito dell'arbitrato, senza che la giustizia indiana possa assumere ulteriori iniziative nei suoi confronti?
SCHERMAGLIE POLITICHE. Già martedì 12 gennaio il senatore del Partito democratico, Nicola Latorre, presidente della commissione Difesa, aveva anticipato che il governo italiano non avrebbe fatto rientrare il militare in India: «Stiamo anzi chiedendo che anche Salvatore Girone attenda in Italia il processo di Amburgo». «Chiederemo al primo ministro Narendra Modi di far tornare in India il fuciliere di marina Massimiliano Latorre nei tempi previsti dalla sua licenza», aveva replicato il governatore dello Stato meridionale del Kerala, Oommen Chandy.
I TRE FASCICOLI PENDENTI IN INDIA. L’udienza della Corte Suprema indiana che si è svolta mercoledì 13 gennaio ha riguardato tre diversi fascicoli, su cui i giudici hanno confermato l’impossibilità di procedere al momento.
Il primo è la causa-madre, con la richiesta italiana di rimuovere dall’indagine la polizia antiterrorismo Nia, poiché al processo non si applica la legge sulla repressione del terrorismo marittimo, il cosiddetto Sua Act. Il secondo è un’istanza in cui Latorre e Girone sollevano un’eccezione di giurisdizione per il loro caso. Il terzo, infine, è un ricorso firmato da un membro dell’equipaggio di nome Kilsariyan, in cui si chiede di reintrodurre nel processo «le principali disposizioni» del Sua Act e dell’Admiralty offences (Colonial Act).
La posizione italiana resta radicalmente diversa da quella indiana.
LA SENTENZA DEL TRIBUNALE DEL MARE. Latorre è tornato in Italia per curarsi dopo l'ischemia che lo ha colpito nel 2014. In assenza di una nuova proroga, il suo permesso sarebbe scaduto venerdì 16 gennaio. Per Roma, tuttavia, la sentenza del Tribunale del mare che ha ordinato «la sospensione da parte di India e Italia di tutti i procedimenti giudiziari interni» va interpretata nel senso che è «preclusa ogni decisione da parte della Corte Suprema indiana relativamente al fuciliere Latorre». E che quindi il militare possa restare in Italia «per tutta la durata del procedimento arbitrale internazionale». La vicenda, già complessa, si complica ulteriormente.
L'INTERNAZIONALIZZAZIONE DEL CASO. La competenza del Tribunale del mare a decidere sul caso marò, infatti, è stata stabilita quando Latorre si trovava già in permesso in Italia: l'ordine di «sospendere ogni procedimento» implica effettivamente che il militare possa restare qui? Oppure significa che dovrebbe tornare in India al termine della licenza concessa e relative proroghe, e attendere lì l'esito dell'arbitrato, senza che la giustizia indiana possa assumere ulteriori iniziative nei suoi confronti?
SCHERMAGLIE POLITICHE. Già martedì 12 gennaio il senatore del Partito democratico, Nicola Latorre, presidente della commissione Difesa, aveva anticipato che il governo italiano non avrebbe fatto rientrare il militare in India: «Stiamo anzi chiedendo che anche Salvatore Girone attenda in Italia il processo di Amburgo». «Chiederemo al primo ministro Narendra Modi di far tornare in India il fuciliere di marina Massimiliano Latorre nei tempi previsti dalla sua licenza», aveva replicato il governatore dello Stato meridionale del Kerala, Oommen Chandy.
I TRE FASCICOLI PENDENTI IN INDIA. L’udienza della Corte Suprema indiana che si è svolta mercoledì 13 gennaio ha riguardato tre diversi fascicoli, su cui i giudici hanno confermato l’impossibilità di procedere al momento.
Il primo è la causa-madre, con la richiesta italiana di rimuovere dall’indagine la polizia antiterrorismo Nia, poiché al processo non si applica la legge sulla repressione del terrorismo marittimo, il cosiddetto Sua Act. Il secondo è un’istanza in cui Latorre e Girone sollevano un’eccezione di giurisdizione per il loro caso. Il terzo, infine, è un ricorso firmato da un membro dell’equipaggio di nome Kilsariyan, in cui si chiede di reintrodurre nel processo «le principali disposizioni» del Sua Act e dell’Admiralty offences (Colonial Act).
Le dieci tappe princiali del caso marò
Il 15
febbraio 2012 due
pescatori indiani, Valentine Jalstine e Ajesh Binki, vengono uccisi da colpi di
arma da fuoco al largo delle coste del Kerala. Nello stesso giorno la Marina
italiana diffonde la notizia del respigimento di un attacco di pirati contro la
petroliera Enrica Lexie su cui viaggiano Massimiliano Latorre e Salvatore
Girone in servizio antipirateria. Il giorno seguente il comandante della
petroliera approda nel porto di Kochi. I due fucilieri vengono accusati della
morte dei due pescatori, ma si difendono, chiarendo di aver sparato colpi di
avvertimento. Il 19 febbraio i due vengono arrestati. Per l’Italia, però,
l’India non ha giurisdizione visto che il fatto è avvenuto in acque
internazionali. Inizia la vertenza legale.
Il 2 giugno
2012 i due marò
vengono rilasciati su cauzione, dopo l'esclusione dell'accusa di aver compiuto
un atto di terrorismo marittimo, ma rimangono in India. Nel frattempo l’Italia
raggiunge un accordo extragiudiziale per il risarcimento alle famiglie dei
pescatori.
Il 22
dicembre 2012 i due marò
arrivano in Italia grazie al permesso speciale concesso dalla Corte del Kerala
per le vacanze di Natale e il 4 gennaio tornano in India. Il 18 gennaio 2013 la
Corte Suprema indiana stabilisce che il Kerala non ha giurisdizione sul caso e
viene creato un tribunale speciale a New Delhi.
L'11 marzo
2013 è il giorno
dell’incidente diplomatico. Il ministro degli Esteri Giulio Terzi annuncia che
i due marò non torneranno in India dopo il permesso di quattro settimane
concesso per le elezioni politiche di febbraio. La tensione è massima e il 18
marzo viene fermato l’ambasciatore italiano in India, Daniele Mancini. Per
ottenere il rilascio dell’ambasciatore, il 21 marzo i due fucilieri vengono
ricondotti in India. Il 26 marzo il ministro Terzi si dimette.
L'8 febbraio
2014 il ministro
dell’Interno indiano, Rajnath Singh, autorizza la National investigation
agency, la Nia, a sostenere l’accusa di terrorismo internazionale. La decisione
si basa sul Sua Act, ma lo stesso ministro nega categoricamente che questo
possa implicare la pena di morte per i due fucilieri, nonostante il tipo di
accusa non lo escluda.
Il 31 agosto
2014
Massimiliano Latorre viene ricoverato a New Delhi per un’ischemia. Il ministro
della Difesa, Roberta Pinotti, vola in India con i familiari, per accertarsi
dello stato di salute del militare italiano.
Il 12
settembre 2014 Latorre
rientra in Italia per quattro mesi, grazie al via libera della Corte Suprema
indiana per motivi di salute. L’istanza presentata dalla difesa è stata accolta
con la garanzia scritta che il marò farà ritorno in India dopo il periodo di
permesso accordato, fornita dall’ambasciatore italiano Daniele Mancini.
Il 5 gennaio
2015
Massimiliano Latorre viene operato al cuore per un difetto congenito. Il
sottufficiale dovrebbe trascorrere un periodo di convalescenza a casa, ma
questo si scontra con la scadenza del periodo concessogli per curarsi in
Italia. Il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, attiva i canali diplomatici
e il 14 gennaio 2015 la Corte Suprema indiana concede la proroga del permesso,
sempre con la garanzia dell'ambasciatore Daniele Mancini.
Il 26 giugno
2015 l'Italia
attiva la procedura di arbitrato internazionale rivolgendosi al Tribunale del
mare di Amburgo. La Corte Suprema indiana, ad aprile, aveva ulteriormente
prorogato il permesso per Massimiliano Latorre fino al 15 luglio. L'Italia
chiede, oltre al prolungamento della permanenza in Italia di Massimiliano
Latorre, il rimpatrio anche di Salvatore Girone, nell’attesa che si concluda la
procedura arbitrale.
Il 24 agosto
2015, dopo che
anche l'India ha accettato l'arbitrato, arriva la sentenza del Tribunale del
mare. I giudici avocano a sé la competenza sul caso dei due fucilieri italiani,
ordinano la sospensione dei procedimenti interni, ma non accolgono la richiesta
italiana di far rimpatriare momentaneamente anche Salvatore Girone.
Massimiliano Latorre, una volta terminato il periodo di congedo, dovrà tornare
in India?