giovedì 29 gennaio 2015

SE UCCIDERE UNA ROMENA E' MENO GRAVE CHE UCCIDERE UN ITALIANO (storia di un pregiudizio)



È vero. Alessio non ha neanche trent’anni. È vero, la pena carceraria in Italia deve tendere alla riabilitazione, al reinserimento del reo nella società; è giustissimo. Ed è anche vero – perché lo dicono i magistrati – che in questi anni, spesi tra il carcere di Rebibbia e gli arresti domiciliari, Alessio ha mostrato impegno e «voglia di lavorare». Ma bastano 4 anni per regolare i conti con la nostra società, davanti ad un omicidio?
Ma non possiamo chiuderla qui. La scarcerazione di Alessio Burtone, dopo l’omicidio compiuto nel 2010 nei confronti di una signora romena, Maricica, non può non farci riflettere. Alessio uccise Maricica, madre di una bambina e moglie di Adrian, con un pugno sferrato in pieno volto al termine di una lite iniziata in una tabaccheria. Ad incastrare Alessio fu un video, che fece il giro del web. Quel pugno secco, quella violenza, il corpo di Maricica che cade in terra già inerme. Quando Alessio fu arrestato, sotto la sua abitazione amici di famiglia e abitanti del quartiere inveirono contro la polizia che lo portava in carcere. Alemanno fu soprannominato «il sindaco di Bucarest». Qualcuno riteneva intollerabile che un ragazzo romano potesse pagare con il carcere per la morte di una romena.
E – purtroppo – rimane la sensazione, sgradevole, che questa decisione della magistratura in qualche modo avalli questa visione. Non sarà facile spiegare a tanti cittadini romeni che vivono in Italia perché avere ucciso una madre di famiglia sia una cosa che permette di tornarsene in libertà, seppure con qualche limitazione, dopo 4 anni. Già era difficile spiegare come fosse possibile una sentenza che prevedeva solo otto anni di carcere per un’omicidio, seppur preterintenzionale. Più o meno la stessa condanna ricevuta da Silvio Berlusconi per la vicenda – sette anni in primo grado – per la vicenda Ruby.
Ci proclamiamo, qui a Giornalettismo, garantisti e di essere contrari alle tanto reclamate “pene esemplari”. Eppure, ci sembra evidente, in questo caso c’è qualcosa che non va. C’è qualcosa di stonato. C’è qualcosa che non torna. Una vita non può valere così poco. Non si possono chiudere i conti con un gesto che è costato la vita ad una donna, in soli quattro anni.
Ricordiamoci di Maricica quando vedremo affacciarsi dai nostri televisori alcuni politici nostrani intenti ad urlare contro un reato commesso da un immigrato, che sia romeno, etiope o cinese. Ricordiamoci di Maricica quando vedremo il prossimo servizio con la gente che urla «a loro guai a chi li tocca, che finisci in galera». Ricordiamoci di Maricica quando nel prossimo talk show l’inviato di turno si collegherà dalla piazza infuriata «contro gli immigrati», ricordiamoci di questa famiglia devastata quando sentiremo parlare ancora di ronde.
Ecco, ricordiamoci di Maricica, di questa decisione dei giudici italiani. E pensiamo un attimo – se ci riesce – prima di inveire davanti ad una telecamera o prima di digitare su una tastiera. (Marco Esposito - Giornalettismo)


Eccovi servito su di un vassoio d’argento un pezzo della peggiore retorica buonista del cosiddetto giornalismo italiano. L’autore dell’articolo è il solito demagogo che si straccia le vesti di fronte all’oltraggio subito dal non italofono, o dal diversamente italiano. L’enfasi dei buoni sentimenti trabocca e impedisce all’autore, e ai suoi occhi foderati di mortadella, di vedere una realtà che è sotto gli occhi di tutti: il fatto che l’esecutore di un omicidio sia uscito dalla galera dopo 4 anni non è riservato ai soli omicidi di stranieri, è prassi comune per tutti gli assassini, di italiani e non. Eccovi dunque servito un bel pezzo di razzismo al contrario, un esempio dei guasti che crea il pregiudizio razziale. Ci sono, nel nostro paese, pluriomicidi che  sono usciti dal carcere  per approdare agli arresti domiciliari o all’affidamento ai servizi sociali in un tempo addirittura inferiore ai 4 anni. Il pregiudizio chiude occhi e orecchi, fa parlare solo per luoghi comuni o per frasi fatte. E’ la giustizia che andrebbe, in Italia, riformata, a cominciare dal reato di omicidio stradale che, nel caso di guidatore sotto effetto di alcol o droghe, dovrebbe annoverarsi tra gli omicidi preterintenzionali. Ma tutto questo i paladini della società multietnica e della civiltà dell’accoglienza, accecati come sono dalla loro stessa melassa retorica, non possono capirlo.

lunedì 26 gennaio 2015

E SE IL RAPIMENTO FOSSE STATO PIANIFICATO A TAVOLINO? (Dedicato alle anime belle che si stracciano le vesti per la sorte delle due ragazze)



C'è un dubbio non piccolo che ha attraversato le prime audizioni tenute dal Copasir sul rapimento di Greta Ramelli e Vanessa Marzullo: come è stato possibile organizzare un sequestro nello spazio di un paio di giorni? Perché le due ragazze sono arrivate in Siria clandestinamente nella giornata del 28 luglio scorso. E sono state sequestrate nella notte fra il 31 luglio e il primo agosto. In due giorni come è possibile organizzare un sequestro che ha bisogno di logistica, controlli sugli spostamenti, scelta del momento migliore, lunga pianificazione? È la domanda che è echeggiata durante l’audizione al Copasir del direttore dei servizi segreti italiani, il capo del Dis Giampiero Massolo. La risposta è segretata negli atti del comitato di controllo sui servizi segreti. Ma chi l’ha fatta non si è tirato indietro: Paolo Vitelli, deputato di Scelta civica. Che spiega a Libero: «Il percorso in cui nasce questa faccenda è davvero ambiguo, da approfondire. Non è chiaro come e quando sia stato pianificato il gesto criminale, e se l’organizzazione sia partita dall’Italia, come è stato scritto e come anche io sospetto». A Massolo Vitelli ha fatto una raffica di domande: «Perché Greta e Vanessa sono entrate in Siria illegalmente, mentre il loro accompagnatore no? Perché tempi così brevi tra il loro ingresso in terra siriana e il rapimento, quasi a sottintendere che non si sia trattato solo di un rapimento ad opera di un’organizzazione criminale, ma di un’operazione pianificata a tavolino? Perché così tante illazioni su un presunto coinvolgimento di soggetti italiani?». A Massolo, continua il membro del Copasir, «ho posto sopratutto due domande: a quando risale l’organizzazione del sequestro? E a dove risale?». Per questo sia il Copasir che la procura di Roma stanno scandagliando la rete di rapporti che le due ragazze avevano prima del loro viaggio con i siriani in Italia e con quelli che loro consideravano «amici» che abitano in gran parte a Homs, una delle capitali della resistenza al regime siriano. Fra questi ha attirato l’attenzione uno dei loro amici, con cui avevano rapporti sui social network. La sua identità non è chiara. Su Facebook si è registrato con un nome di fantasia: Maxemiliano Maximo. Di lui si sa che viene da Homs e che sulla rete di conversazioni chat di Paltalk, la più utilizzata dal mondo arabo, si fa chiamare «Abu Victor Shamia». Da tempo è probabilmente il migliore amico siriano di Greta e Vanessa. Nella rete è restata traccia delle sue conversazioni con le ragazze, di cui c’è evidenza fotografica insieme a molti post-preghiera in ricordo dei «martiri» di Homs. Il profilo FB di Abu Victor Shamia riportava fino a mercoledì come immagine identificativa un biglietto commovente scrittogli in inglese da Greta. Ma è diventata un giallo una chat con Vanessa, in cui lei gli dice di non potere «paragonare le mie sofferenze alle tue. Ma voglio solo farti sapere che c’è gente come me che vorrebbe realmente prendere metà del tuo dolore e condividerlo». Nella foto è indicata l’ora di trasmissione del messaggio di Vanessa: le 23 e 43. L’amico siriano l’ha postato il 9 novembre scorso, quando da più di tre mesi Vanessa era nelle mani dei rapitori. Il post ha attirato l’attenzione di altri amici siriani delle due ragazze, desiderosi di sapere la data di quel messaggio: proveniva dalla prigionia? Era a quelle sofferenze che si riferiva Vanessa? E se no, perché renderlo pubblico a tante settimane dal rapimento? Lui non ha risposto. Ma dopo che il 21 gennaio su Libero sono stati citati sia il biglietto di Greta che la chat di Vanessa, ha ripulito il suo profilo FB, cancellando la chat. Probabilmente qualcuno dall’Italia lo ha avvisato.
Franco Bechis per “Libero Quotidiano”

venerdì 23 gennaio 2015

QE DI MARIO DRAGHI: ORA L'ITALIA PUO' TRANQUILLAMENTE FALLIRE



Non è sfuggito a nessuno, mercati finanziari per primi, che il “quantitative easing” varato ieri dalla BCE sia stato sorprendente da un punto di vista dell’importo degli acquisti mensili – 60 miliardi, contro i 50 previsti – ma che abbia fornito più di una ragione di riflessione per le condizioni previste a subordine del piano.
Per prima cosa, il “risk sharing”, ossia la condivisione del rischio a livello europeo, è di appena il 20%. La BCE potrà acquistare fino al 12% di titoli emessi da istituzioni europee (Bei, ESM) rispetto alla somma totale prevista dal QE, il cui rischio sarà interamente caricato sull’istituto, a cui si aggiunge un altro 8% di bond governativi interamente accollati come rischio a Francoforte. Il restante 80% dovrà essere sostenuto dalle banche centrali nazionali, in ragione della quota di acquisto dei titoli di stato di ciascun paese. 
Il QE è un cappio al collo dell’Italia?
La sensazione è che Mario Draghi abbia voluto stupire con la quantità, al fine di superare l’altrimenti prevedibile disappunto del mercato per l’avere addossato agli istituti nazionali la quasi totalità del rischio. Ma non è tutto. Ieri, a caldo, avevamo commentato che la BCE acquisterà titoli di qualsiasi rating, dopo che in conferenza stampa Draghi aveva affermato che non ci sarebbero state eccezioni per la Grecia. In realtà, leggendo il comunicato dell’Eurotower scopriamo che saranno acquistati solo i titoli con rating “investment grade”. Stando alla classificazione dell’agenzia Standard & Poor’s, si tratta di bond governativi con giudizio almeno pari a BBB-.
Da quanto sopra detto, deriva che il raggio di azione dei governi italiani, Renzi e chi verrà dopo di lui, si riduce, contrariamente a quello che si potrebbe ipotizzare a un’analisi superficiale. Vediamo perché. 
L’Italia ha un debito pubblico di 2.165 miliardi di euro. Di questo, circa 650 miliardi sono nelle mani degli investitori stranieri, vale a dire un terzo del debito quotato sul mercato secondario. Con il QE, la BCE toglierebbe da questo mercato intorno a 200 miliardi, di cui l’80% del rischio sarà a carico della Banca d’Italia, ovvero 160 miliardi. Attenzione: dei 40 miliardi che la BCE si accollerà come rischio, l’Italia vi rientrerà per una quota pari al 18%, la percentuale del suo capitale nell’istituto. In altri termini, dei 200 miliardi che Francoforte acquisterà dei nostri BTp, l’84% si tradurrà in un trasferimento del rischio e di debito dall’estero verso il Belpaese, ipotizzando che saranno verosimilmente gli investitori stranieri a sbarazzarsi dei nostri bond, alla ricerca di rendimenti più elevati altrove.
Se non vi è ancora chiaro il concetto, col QE l’Italia riacquisterà parte del suo debito dagli investitori stranieri e arriverà a possedere quasi l’80% dell’indebitamento complessivo, con la conseguenza che se anche fallisse (ipotesi estrema), il resto del mondo non si straccerebbe le vesti, perché avrebbe ormai in mano pochi nostri BTp. 
Ma finora abbiamo sempre affermato più o meno dichiaratamente che l’unico peso contrattuale che il nostro paese ha verso la Germania e il resto dell’Eurozona è la minaccia di travolgere gli altri paesi, qualora dovesse essere costretta a ristrutturare il suo ingente debito. Ebbene, da qui ai prossimi 18 mesi, quella minaccia verrebbe quasi del tutto meno. Se anche fallissimo, le lacrime non uscirebbero fuori dai nostri confini nazionali.
Non è finita. Il debito pubblico italiano gode del più basso rating previsto per i titoli “investment grade”. Qualora S&P o Moody’s o Fitch decidessero di declassarlo di un solo altro gradino, la BCE non potrebbe più acquistare i BTp e lo spread volerebbe. Cosa significa in soldoni? Che il governo Renzi sarà tenuto per le orecchie; al minimo cenno di svogliatezza, Bruxelles gli dirà: “o fai come diciamo noi o siete spacciati”.
Col varo del QE, tanto atteso per stimolare la ripresa dell’economia (tutta da verificare), l’Italia sarà meno libera e avrà un peso contrattuale minore, al netto del fatto che dopo ieri la Germania vanterà un credito verso il resto dell’Eurozona. Pensavate forse che i tedeschi si sarebbero arresi alla “pazza” idea di stampare denaro e che ci avrebbero permesso di monetizzare il debito, accollandosi i rischi per noi?  (source)

mercoledì 21 gennaio 2015

IL BANDITO GIULIANO



A rubare poco si va in galera, a rubare tanto si fa carriera dice un proverbio. E fra una inchiesta giudiziaria e l’altra che va dai grandi appalti del Mose all’Expo di Milano per finire al recente scandalo di Roma Capitale (ma perchè non se ne parla più?), i media di partito stanno tirando la volata alle elezioni del nuovo Presidente della Repubblica. Una figura di spicco che deve essere garante e integerrima delle istituzioni e al contempo non di intralcio al “sistema” consolidato del mondo degli affari. Un personaggio che non sia inviso al popolo, ma al contempo garante del sistema bancocentrico dell’euro e non inviso ai tecnocrati di Bruxelles.
E come per la scommesse c’è chi perde punti e chi ne acquista. Romani Prodi non è più dato come favorito, al contrario di qualche giorno fa, mentre salgono le quotazioni del centrista Pier Ferdinando Casini che riemerge dai meandri del dimenticatoio in cui era finito. A sorpresa, tra i favoriti, spunta il nome di Ugo Di Siervo, presidente emerito della Corte Costituzionale.
Un po’ meno a sorpresa, visto che dal 1992 in poi non è mai mancato il suo nome nella rosa dei candidati al Quirinale, permane il nome di Giuliano Amato, che sempre più prepotentemente vede le sue quotazioni salire.
Ma gli italiani vorrebbero davvero Giuliano Amato come Presidente della Repubblica?
Quanti italiani hanno dimenticato cosa avvenne durante i 304 giorni(poco più di 10 mesi) del Governo Amato?
Giuliano Amato fu presidente del Consiglio dal 28 giugno 1992 al 28 aprile del 1993 e in quel periodo realizzo, per ottenere il pareggio di bilancio, una manovra finanziaria da 100.000 miliardi di vecchie lire, la manovra più importante dal dopoguerra. L’Italia era sicuramente sull’orlo del baratro ma le misure adottate dal governo Amato per risollevare una lira aggredita dalle speculazioni e dall’accanimento dei mercati. Sicuramente bisognava fare qualcosa di urgente e quel qualcosa, tanto per cambiare, fu a discapito di tutti gli italiani che si videro aumentare l’età pensionabile, videro nascere la patrimoniale sulle imprese, la minum tax, i ticket sanitari e la tassa sul medico di famiglia. Ma le cose che colpirono maggiormente gli italiani furono due: l’imposta straordinaria sugli immobili e il prelievo forzoso.
L’imposta straordinaria sugli immobili, l’ICI, che poi divenne ordinaria, inizialmente era pari al 4 per mille della rendita catastale rivalutata e non prevedeva, nella lista delle esclusioni, la prima casa.
E il prelievo forzoso, su tutti i conti degli italiani, Tutti, senza nessuna esclusione.
Era la notte tra il 9 e il 10 luglio 1992, una data che sicuramente molti ricordano, notte in cui il governo Amato prelevò il 6 per mille da tutti i depositi bancari. Ad autorizzare il governo Amato a penetrare nei forzieri delle banche italiane un decreto legge d’urgenza dell’11 luglio 1992, il giorno dopo anche se il consiglio dei ministri cercò di evitare questa mossa proponendo un aumento dell’imposta sugli interessi bancari, sena successo.
Nonostante la manovra la lira dovette uscire , neppure tre mesi dopo la notte del prelievo, dal Sistema Monetaria Europeo e Amato, la primavera successivo, fu costretto a dimettersi lasciando come eredità agli italiani il ricordo di quella notte di luglio e l’Ici, nata come imposta straordinaria e trasformatasi poi in ordinaria patrimoniale sugli immobili. Ricordando come nacque il più odiato balzello sul mattono, quanti sono gli italiani che, oggi, vorrebbero Amato come Capo dello Stato? (source)

lunedì 19 gennaio 2015

LE INFINITE STUPIDAGGINI DI CECILE KYENGE



A lungo andare la provocazione (ed anche la più grande sciocchezza) che fece Enrico Letta, ossia quello di mettere a capo di un Ministero surreale, quello della Integrazione, una Carneade, Cecile Kyenge, il cui solo merito era quello di essere “di colore”, potrebbe rivelarsi un boomerang per il Pd.
Dopo che come Ministro si era distinta soltanto per recarsi con la scorta a comprare scarpe in un negozio di lusso nel centro della Capitale proprio in concomitanza con una manifestazione di persone strangolate e messe sul lastrico da una pressione fiscale insostenibile, il Pd ha cercato di disfarsene mandandola a Bruxelles per 20.000 euro al mese.
La Kyenge, ricordiamolo è cittadina italiana dal 1994 quando sposò un italiano, ma non si può certo dire che le sue origini familiari rispecchino appieno la nostra società, la nostra cultura ed i nostri valori.
Il padre, infatti, è un capo villaggio congolese che ha avuto 39 (trentanove!) figli da quattro mogli, quindi dieci figli circa per ogni moglie, penso di non essere giudicato un razzista se dico che ciò non rispecchia fedelmente i nostri valori, senza scomodare la nostra fede religiosa.
Probabilmente, però, i 20.000 euro mensili alla Kyenge non bastano ed allora cerca di “arrotondare” le sue entrate denunciando per diffamazione  qualche idiota che casca nel tranello e pubblica delle foto offensive (che oltretutto non fanno ridere), e l’ex Ministro congolese, ovviamente, chiede anche risarcimenti in denaro per “danni morali”.
L’ultimo in ordine di tempo è stato un consigliere regionale della Lega Nord, Fabio Rainieri, condannato ad un anno e tre mesi di carcere ed un risarcimento di 150.000 euro per aver pubblicato un fotomontaggio in cui il viso della Kyenge era sostituito da quello di un orango.
Ma lasciamo perdere queste sciocchezze ed occupiamoci di cose più serie.
Quel “giovane volpone” di Renzi l’aveva capita subito, essendo cresciuto con i riferimenti culturali giusti, cioè la Maria De Filippi ed i programmi Mediaset, sapeva perfettamente che avrebbe portato più consensi al Pd ed al suo Governo avere nell’esecutivo un paio di gnocche come la Boschi e la Madia che non una Kyenge, anzi, prima gli italiani si fossero dimenticati della Kyenge e meglio sarebbe stato per il Pd.
Le elezioni europee, quindi, arrivavano “a fagiuolo” per sbarazzarsi dell’ingombrante congolese, e così è stato: la Kyenge a Strasburgo, senza polemiche sul suo siluramento (politico s’intende).
Le sentenze dei processi, però, riportano saltuariamente alla ribalta la Kyenge che se ne esce con delle esternazioni che non giovano certo al Pd, anzi!
E’ recentissima la sua uscita a “La Zanzara” trasmissione radiofonica di Radio 24, il conduttore ha portato l’ex Ministro congolese a esprimere un parere sull’argomento del momento, il toto-Quirinale.
E la Kyenge se ne è uscita con una trovata che senza dubbio non farà acquisire voti al Pd (soprattutto di questi tempi) auspicando di vedere salire al colle un “extracomunitario”, magari donna e magari nera, aggiungiamo noi, insomma un’autocandidatura non troppo mascherata.
Che bello! La Kyenge Presidente della Repubblica italiana! Mario Balotelli potrebbe essere un candidato di seconda scelta. (source)