martedì 31 maggio 2016

I CITTADINI SONO MIGLIORI DEI POLITICI CHE ELEGGONO?



Partecipando recentemente a una trasmissione televisiva sono rimasto colpito, come del resto altre volte, dallo sdegno del conduttore, degli ospiti non politici e della piazza, anche sollecitata dal giornalista, nei confronti della classe politica. L’argomento specifico era l’assenteismo dei parlamentari, che è un dato di fatto misurato e incontestabile, ma, come in altri casi, questo deprecabile comportamento era usato per scavare un solco tra i gli onesti cittadini e i disonesti politici. La mia obiezione che, tutto sommato, la classe politica sia espressione della cittadinanza media e che non possiamo ragionevolmente attenderci che nella politica si trovi una distribuzione di puri e onesti diversa da quella che si ha tra i cittadini comuni, suscitò la reazione indignata dei presenti (la premessa: esclusi i presenti andrebbe sempre fatta).
Eppure, con grande frequenza, vengono proposti in tv servizi sull’assenteismo endemico in molti servizi pubblici, così come anche servizi sui quotidiani salti dei tornelli nelle metropolitane; eppure, l’assenteismo dei politici scandalizza come se fossero gli unici a darsi malati o a fare i furbi per non pagare il dazio, in una nazione di austeri, eticamente irreprensibili e puri cittadini. E si potrebbe continuare, paragonando la disonestà di alcuni politici a quella dei falsi invalidi, il mancato rispetto dell’ambiente da parte di alcuni legislatori locali al modo nel quale cospargiamo di immondizia le città dai finestrini delle auto o depositiamo gomme da masticare sui marciapiede, ricordandosi che a un corrotto corrisponde sempre un corruttore e che il voto di scambio prevede, appunto, uno scambio di interessi tra l’eletto e l’elettore.
E l’evasione fiscale non è forse diffusa in tutte le classi sociali? Tra gli imprenditori con conti all’estero, dei quali ci scandalizziamo, ma anche tra professionisti e artigiani ai quali per estorcere una fattura occorre un forcipe? Solo i politici sono maestri nell’utilizzo della cosa pubblica per fini personali come nel caso delle auto blu, oppure anche il parcheggio senza pagare la sosta, quello in doppia fila per bersi il caffè, sono un analogo esercizio del farsi i fatti propri alla faccia e sulle spalle della comunità? Solo i politici sono benedetti da privilegi in materia pensionistica oppure anche sugli evasori contributivi “seriali”, che poi beneficano di pensioni sussidiate dai contribuenti, ci sarebbe molto da dire? Gli evasori fiscali che, grazie a questa loro perversa abilità, beneficiano di esenzione dai ticket sanitari, dalle tasse scolastiche e da altri balzelli irrazionali, non sono comparabili ai politici che si auto-assolvono e si approntano leggine che garantiscono benefici non dovuti?
Si potrebbe continuare il catalogo, precisando anche che, data la sproporzione tra il numero di politici e di cittadini, il danno dei cattivi comportamenti nei secondi è individualmente più piccolo, ma collettivamente peggio se comparato. Tutto ciò non deve essere interpretato come un’assoluzione dei politici disonesti (o semplicemente opportunisti) in base al principio del “tutti colpevoli: tutti assolti”. I comportamenti anti-civici sono tutti da scoraggiare e punire ma, in parallelo alla repressione, occorre una presa di coscienza che solo una lunga e difficile operazione di educazione civica (da condursi su chi oggi è ancora sufficientemente giovane da non avere maturato difetti “patologici e cronici”) può avere successo, a lungo termine, nel creare il terreno per una società nella quale l’attenzione ai comportamenti anti-sociali sia prima di tutto riflessiva e solo secondariamente rivolta agli altri.
Solamente una cittadinanza nella quale, in media, si rispettano gli altri e l’ambiente, nella quale non ci si voglia avvantaggiare rispetto ai concittadini, nella quale si sia consapevoli che la cosa pubblica non deve essere usata come il cortile di casa, dove si sia disponibili a partecipare all’erario secondo le proprie reali possibilità, dove non si dissimuli bisogno di solidarietà quando ciò sia dovuto a proprie scelte di comodo e di interesse, dove il frodare il prezzo di un servizio pubblico non sia visto come un furbizia ma come un comportamento da additare dal disprezzo pubblico e da punire, solo una società consolidata (tra lustri) in questo modo potrà esprimere una classe politica o più generalmente dirigenziale, corrispondente ed eventualmente indignarsi ove essa non lo fosse.
Per il momento non resta che la repressione dei comportamenti (tutti, di politici e non), magari non accompagnata da poco comprensibili stupore e indignazione solo quando a mal comportarsi sono i politici. Nel mio agnosticismo, riconosco però che la massima: “chi è senza peccato scagli la prima pietra” ha una sua valenza sociale; a questa, con licenza, aggiungerei: nessuna classe politica può essere migliore della società che la esprime.

lunedì 30 maggio 2016

PICCOLO OMAGGIO ALL’ULTIMO MAESTRO



Addio a uno dei principali protagonisti del teatro italiano. L'attore e regista Giorgio Albertazzi è morto all'età di 92 anni. Si trovava in maremma nella casa di sua moglie Pia De' Tolomei.
La famiglia, attraverso una nota, fa sapere che Albertazzi da tempo «era sofferente e il suo cuore ha smesso di battere alle 9».
IL DEBUTTO NEL 1949 CON VISCONTI. Nato a Fiesole il 20 agosto 1923, debuttò sul palcoscenico nel 1949 con «Troilo e Cressida» di Shakespeare con la regia di Luchino Visconti al Maggio Musicale Fiorentino. Talento poliedrico, Albertazzi fu anche sceneggiatore, traduttore e riduttore di romanzi per la televisione nonché autore teatrale. La sua ultima apparizioni in teatro era stata ne «Il mercante di Venezia».
Una carriera tra teatro, cinema e tivù
Nel 1943, prima di scoprire il suo talento per la recitazione, aderì alla Repubblica di Salò. Con la sconfitta della Rsi, fu arrestato nel 1945 per aver comandato un plotone di esecuzione e per collaborazionismo. Dopo due anni in carcere fu liberato nell'ambito della cosiddetta 'amnistia Togliatti'.
PARTECIPÒ A TRENTA FILM. Nonostante fosse laureato in architettura, decise di dedicarsi alla recitazione. Pur avendo girato una trentina di film (tra cui L'anno scorso a Marienbad di Resnais) e avendo lavorato molto in televisione, soprattutto come interprete di sceneggiati televisivi di successo negli Anni Sessanta (tra cui L'idiota), Albertazzi è noto soprattutto un grande attore di teatro, spesso anche regista dei propri spettacoli.
Nel 1964 recitò al teatro Old Vic di Londra con Amleto per la regia di Franco Zeffirelli nel cui cast figurava anche Anna Proclemer della quale Albertazzi fu compagno per molti anni.
'GRADIVA' IL PRIMO E UNICO FILM DA REGISTA. Come regista televisivo e come attore protagonista gira nel 1969 Jekyll, tratto dal romanzo di Robert Louis Stevenson. Il suo primo e unico film come regista cinematografico, Gradiva, del 1970, con Laura Antonelli, ebbe grossi problemi con la produzione e la distribuzione, tanto che uscì solo in alcune sale per poi essere ritirato.
Al Teatro alla Scala di Milano nel 1969 interpretò Edipo in Edipo re di Sofocle.
NEL 1974 FU PHILO VANCE. Nel 1974 ancora il piccolo schermo con la serie televisiva Philo Vance, dove interpretò la parte dell'investigatore creato da Van Dine.
A La Fenice di Venezia nel 1980 curò regia e adattamento di Peer Gynt, da Henrik Ibsen con musiche di scena di Edvard Grieg.
Dal 1994 fondò e diresse il Laboratorio arti sceniche di Volterra per formare giovani attori. Nel 1997 collaborò con la cantante Giuni Russo in Verba Tango, spettacolo di musica contemporanea e poesia prodotto da Ezio Trapani.
Nel corso della cerimonia di apertura dei XX Giochi olimpici invernali di Torino, il 10 febbraio 2006 interpretò il Canto di Ulisse dalla Divina Commedia.
Due anni dopo registrò per RaiDue una lettura della Divina Commedia fra le rovine del centro storico dell'Aquila.
NEL 2014 'BALLANDO CON LE STELLE'. Sempre pronto ad affrontare nuove sfide, nel 2014 partecipò alla decima edizione di 'Ballando con le stelle' su RaiUno, diventando il concorrente più anziano di tutte le edizioni internazionali del programma.

venerdì 20 maggio 2016

RIFORMA DELLA COSTITUZIONE? L’HA SUGGERITA JP MORGAN



ROMA (WSI) – Il premier Matteo Renzi dice che bisogna votare si al referendum sulle riforme costituzionali che prevede tra le altre cose l’abolizione del Senato come lo conosciamo ora e il sacrificio del ruolo partecipativo e decisivo del parlamento in nome della stabilità di governo. Se vinceranno i no, il leader del PD ha già annunciato che se ne andrà, il che ha trasformato l’appuntamento di questo autunno in una sorta di voto di fiducia sull’esecutivo e la sua guida.
Stando agli ultimi sondaggi disponibili, i voti di consenso alla riforma della costituzione e del Senato sono scesi negli ultimi tempi. Siamo al 41% dei si contro il 33% dei no, mentre il 26% degli interpellati dall’istituto Piepoli afferma di non essersi ancora fatto un’idea o di non aver intenzione di recarsi alle urne. Ma a far scattare l’allarme rosso a Palazzo Chigi, secondo l’analisi della Stampa, sarebbe “il trend negativo”.
La riforma prevede l’addio al bicameralismo perfetto, un senato con meno poteri legislativi e un nuovo Federalismo. L’obiettivo è quello di garantire maggiore stabilità, forza e continuità all’azione di governo, facilitando e abbreviando gli iter parlamentari, ma secondo i critici minaccia la sopravvivenza di una repubblica parlamentare sana e democratica, tra i fondamenti della nostra costituzione.
Il Senato sarà formato da 95 membri eletti dai consigli regionali – ripartiti in proporzione al peso demografico delle Regioni – e da altri 5 eletti dal Capo dello Stato, che resteranno in carica per sette anni. Si esprimerà solo sulle riforme e sulle materie più importanti come quelle costituzionali. I senatori godranno della stessa immunità garantita ai deputati. Spariscono poi i grandi elettori che devono votare il Presidente della Repubblica e spariscono i senatori a vita. La seconda carica dello Stato sarà il presidente della Camera e non più del Senato, cui spetterà il compito di convocare il Parlamento in seduta comune.
Vengono poi introdotti limiti al governo sui decreti legge. I regolamenti parlamentari dovranno indicare tempi certi per il voto dei ddl del governo. Con la riforma approvata il 12 aprile scorso con 361 si e 7 no (le opposizioni si sono astenute) sono state anche ufficialmente abolite le 110 province, che erano state già declassate a enti di secondo piano.
Sui referendum, se i promotori dell’iniziativa riescono a raccogliere 800mila firme anziché le 500mila previste per poter indire il voto popolare, il quorum si abbasserà, rendendo più facile il passaggio della legge. Faranno la loro apparizione anche i referendum propositivi.
Cosa chiedono banchieri JP Morgan
Perché il governo ci tiene tanto a fare passare questa riforma? In parte perché è un po’ il simbolo della volontà del governo di snellire la politica e renderla più uniforme ed efficace, riducendo il peso del parlamento. Dall’altro lato, perché lo vogliono gli alleati statunitensi e quelli più liberisti dell’Italia.
La legge di riforma è stata pensata per prima non dal Partito Democratico, bensì da una grande banca d’affari Usa, JP Morgan, lo stesso istituto scelto anche dal governo come consulente per l’istituzione della bad bank. Il motivo? È troppo socialista.
Secondo la trasmissione La Gabbia di La7 perché “la nostra costituzione è troppo socialista, garantisce la protezione costituzionale dei diritti dei lavoratori e contempla il diritto della protesta contro i cambiamenti dello status quo politico”.
In un documento pubblicato il 28 maggio 2013 viene spiegato nel dettaglio come andrebbero idealmente riformati i paesi del Sud d’Europa. “I sistemi politici e le costituzioni di alcuni paesi del Sud presentano caratteristiche che appaiono inadatte a favorire la maggiore integrazione dell’area europea”. E pertanto vanno cambiate.
Allo stesso tempo gli italiani sembrano non dare troppa importanza a chi vuole veramente la riforma della Costituzione, anche perché i temi su diritti dei lavoratori e diritto di protesta ancora non vengono toccati dalla riforma prevista dal ddl Boschi. Gli italiani si trovano d’accordo con alcuni dei punti chiave del testo.

giovedì 19 maggio 2016

LE 10 RAGIONI PER VOTARE “NO” DI GIANFRANCO PASQUINO, POLITOLOGO E DOCENTE DI SCIENZE POLITICHE



 “Noi crediamo profondamente in una democrazia così intesa, e noi ci batteremo per questa democrazia. Ma se altri gruppi avvalendosi, come dicevo in principio, di esigue ed effimere maggioranze, volessero far trionfare dei princìpi di parte, volessero darci una Costituzione che non rispecchiasse quella che è la profonda aspirazione della grande maggioranza degli italiani, che amano come noi la libertà e come noi amano la giustizia sociale, se volessero fare una Costituzione che fosse in un certo qual modo una Costituzione di parte, allora avrete scritto sulla sabbia la vostra Costituzione ed il vento disperderà la vostra inutile fatica” (Lelio Basso, 6 marzo 1947, in Assemblea Costituente).
1. Il NO non significa immobilismo costituzionale. Non significa opposizione a qualsiasi riforma della Costituzione che sicuramente è una ottima costituzione. Ha obbligato con successo tutti gli attori politici a rispettarla. Ha fatto cambiare sia i comunisti sia i fascisti. Ha resistito alle spallate berlusconiane. Ha accompagnato la crescita dell’Italia da paese sconfitto, povero e semi-analfabeta a una delle otto potenze industriali del mondo. Non pochi esponenti del NO hanno combattuto molte battaglie riformiste e alcune le hanno vinte (legge elettorale, legge sui sindaci, abolizione di ministeri, eliminazione del finanziamento statale dei partiti). Non pochi esponenti del NO desiderano riforme migliori e le hanno formulate. Le riforme del governo sono sbagliate nel metodo e nel merito. Non è indispensabile fare riforme condivise se si ha un progetto democratico e lo si argomenta in Parlamento e agli elettori. Non si debbono, però, fare riforme con accordi sottobanco, presentate come ultima spiaggia, imposte con ricatti, confuse e pasticciate. Noi non abbiamo cambiato idea. Riforme migliori sono possibili.
2. No, non è vero che la riforma del Senato nasce dalla necessita’ di velocizzare il procedimento di approvazione delle leggi. La riforma del Senato nasce con una motivazione che accarezza l’antipolitica “risparmiare soldi” (ma non sarà così che in minima parte) e perché la legge elettorale Porcellum ha prodotto due volte un Senato ingovernabile. Era sufficiente cambiare in meglio, non in un porcellinum, la legge elettorale. Il bicameralismo italiano ha sempre prodotto molte leggi, più dei bicameralismi differenziati di Germania e Gran Bretagna, più della Francia semipresidenziale e della Svezia monocamerale. Praticamente tutti i governi italiani sono sempre riusciti ad avere le leggi che volevano e, quando le loro maggioranze erano inquiete, divise e litigiose e i loro disegni di legge erano importanti e facevano parte dell’attuazione del programma di governo, ne ottenevano regolarmente l’approvazione in tempi brevi. No, non è vero che il Senato era responsabile dei ritardi e delle lungaggini. Nessuno ha saputo portare esempi concreti a conferma di questa accusa perché non esistono. Napolitano, deputato di lungo corso, Presidente della Camera e poi Senatore a vita, dovrebbe saperlo meglio di altri. Piuttosto, il luogo dell’intoppo era proprio la Camera dei Deputati. Ritardi e lungaggini continueranno sia per le doppie letture eventuali sia per le prevedibili tensioni e conflitti fra senatori che vorranno affermare il loro ruolo e la loro rilevanza e deputati che vorranno imporre il loro volere di rappresentanti del popolo, ancorche’ nominati dai capipartito.
3. No, non è vero che gli esponenti del NO sono favorevoli al mantenimento del bicameralismo. Anzi, alcuni vorrebbero l’abolizione del Senato; altri ne vorrebbero una trasformazione profonda. La strada giusta era quella del modello Bundesrat, non quella del modello misto francese, peggiorato dalla assurda aggiunta di cinque senatori nominate dal Presidente della Repubblica (immaginiamo per presunti, difficilmente accertabili, meriti autonomisti, regionalisti, federalisti). Inopinatamente, a cento senatori variamente designati, nessuno eletto, si attribuisce addirittura il compito di eleggere due giudici costituzionali, mentre seicentotrenta deputati ne eleggeranno tre. E’ uno squilibrio intollerabile.
4. No, non è vero che e’ tutto da buttare. Alcuni di noi hanno proposto da tempo l’abolizione del CNEL. Questa abolizione dovrebbe essere spacchettata per consentire agli italiani di non fare, né a favore del “si’” ne’ a favore del “no”, di tutta l’erba un fascio. Però, no, non si può chiedere agli italiani di votare in blocco tutta la brutta riforma soltanto per eliminare il CNEL.
5. Alcuni di noi sono stati attivissimi referendari. Non se ne pentono anche perché possono rivendicare successi di qualche importanza. Abbiamo da tempo proposto una migliore regolamentazione dei referendum abrogativi e l’introduzione di nuovi tipi di referendum e di nuove modalità di partecipazione dei cittadini. La riforma del governo non recepisce nulla di tutta questa vasta elaborazione. Si limita a piccoli palliativi probabilmente peggiorativi della situazione attuale. No, la riforma non è affatto interessata a predisporre canali e meccanismi per una più ampia e intensa partecipazione degli italiani tutti (anzi, abbiamo dovuto registrare con sconforto l’appello di Renzi all’astensione nel referendum sulle trivellazioni), ma in particolare di quelli più interessati alla politica.
6. No, non è credibile che con la cattiva trasformazione del Senato, il governo sarà più forte e funzionerà meglio non dovendo ricevere la fiducia dei Senatori e confrontarsi con loro. Il governo continuerà le sue propensioni alla decretazione per procurata urgenza. Impedirà con ripetute richieste di voti di fiducia persino ai suoi parlamentari di dissentire. Limitazioni dei decreti e delle richieste di fiducia dovevano, debbono costituire l’oggetto di riforme per un buongoverno. L’Italicum non selezionerà una classe politica migliore, ma consentirà ai capi dei partiti di premiare la fedeltà, che non fa quasi mai rima con capacità, e di punire i disobbedienti.
7. No, la riforma non interviene affatto sul governo e e sulle cause della sua presunta debolezza. Non tenta neppure minimamente di affrontare il problema di un eventuale cambiamento della forma di governo. Tardivi e impreparati commentatori hanno scoperto che il voto di sfiducia costruttivo esistente in Germania e importato dai Costituenti spagnoli è un potente strumento di stabilizzazione dei governi, anzi, dei loro capi. Hanno dimenticato di dire che: i) è un deterrente contro i facitori di crisi governative per interessi partigiani o personali (non sarebbe stato facile sostituire Letta con Renzi se fosse esistito il voto di sfiducia costruttivo); ii) si (deve) accompagna(re) a sistemi elettorali proporzionali non a sistemi elettorali, come l’Italicum, che insediano al governo il capo del partito che ha ottenuto più voti ed è stato ingrassato di seggi grazie al premio di maggioranza.
8. I sostenitori del NO vogliono sottolineare che la riforma costituzionale va letta, analizzata e bocciata insieme alla riforma del sistema elettorale. Infatti, l’Italicum squilibra tutto il sistema politico a favore del capo del governo. Toglie al Presidente della Repubblica il potere reale (non quello formale) di nominare il Presidente del Consiglio. Gli toglie anche, con buona pace di Scalfaro e di Napolitano che ne fecero uso efficace, il potere di non sciogliere il Parlamento, ovvero la Camera dei deputati, nella quale sarà la maggioranza di governo, ovvero il suo capo, a stabilire se, quando e come sciogliersi e comunicarlo al Presidente della Repubblica (magari dopo le 20.38 per non apparire nei telegiornali più visti).
9. No, quello che è stato malamente chiesto non è un referendum confermativo (aggettivo che non esiste da nessuna parte nella Costituzione italiana), ma un plebiscito sulla persona del capo del governo. Fin dall’inizio il capo del governo ha usato la clava delle riforme come strumento di una legittimazione elettorale di cui non dispone e di cui, dovrebbe sapere, neppure ha bisogno. Nelle democrazie parlamentari la legittimazione di ciascuno e di tutti i governi arriva dal voto di fiducia (o dal rapporto di fiducia) del Parlamento e se ne va formalmente o informalmente con la perdita di quella fiducia. Il capo del governo ha rilanciato. Vuole più della fiducia. Vuole l’acclamazione del popolo. Ci “ha messo la faccia”. Noi ci mettiamo la testa: le nostre accertabili competenze, la nostra biografia personale e professionale, se del caso, anche l’esperienza che viene con l’età ben vissuta, sul referendum costituzionale (che doveva lasciare chiedere agli oppositori, referendum, semmai da definirsi oppositivo: si oppone alle riforme fatte, le vuole vanificare). Lo ha trasformato in un malposto giudizio sulla sua persona. Ne ha fatto un plebiscito accompagnato dal ricatto: “se perdo me ne vado”.
10. Le riforme costituzionali sono più importanti di qualsiasi governo. Durano di più. Se abborracciate senza visione, sono difficili da cambiare. Sono regole del gioco che influenzano tutti gli attori, generazioni di attori. Caduto un governo se ne fa un altro. La grande flessibilità e duttilità delle democrazie parlamentari non trasforma mai una crisi politica in una crisi istituzionale. Riforme costituzionali confuse e squilibratrici sono sempre l’anticamera di possibili distorsioni e stravolgimenti istituzionali. Il ricatto plebiscitario del Presidente del Consiglio va, molto serenamente e molto pacatamente, respinto.
Quello che sta passando non è affatto l’ultimo trenino delle riformette. Molti, purtroppo, non tutti, hanno imparato qualcosa in corso d’opera. Non è difficile fare nuovamente approvare l’abolizione del CNEL, e lo si può fare rapidamente. Non è difficile ritornare sulla riforma del Senato e abolirlo del tutto (ma allora attenzione alla legge elettorale) oppure trasformarlo in Bundesrat. Altre riforme verranno e hanno alte probabilità di essere preferibili e di gran lunga migliori del pasticciaccio brutto renzian-boschiano. No, non ci sono riformatori da una parte e immobilisti dall’altra. Ci sono cattivi riformatori da mercato delle pulci, da una parte, e progettatori consapevoli e sistemici, dall’altra. Il NO chiude la porta ai primi; la apre ai secondi e alle loro proposte e da tempo scritte e disponibili.