martedì 3 maggio 2016

NONOSTANTE TUTTO, NESSUNO TOCCHI CAINO



Al pensiero di quelle mani enormi, bramose, perverse che si appoggiavano sul corpo minuto di una bambina in cerca di un piacere depravato, quelle stesse mani che, non riuscendo più a estorcerlo, lo hanno sollevato e scaraventato giù dall'ottavo piano di un palazzaccio, il primo istinto che mi viene è tagliarle via e sedermi a vedere l'uomo che era attaccato a quelle mani che urla e si contorce di dolore. Ma non sarebbe giustizia, sarebbe vendetta. Sarebbe l'inutile tentativo di riparare a un reato abominevole con uno che lo è altrettanto. Sarebbe avvallare la logica delle guerre di Mafia e Camorra, delle gang dei ghetti americani. Sarebbe derogare alla razionalità di cui, come essere umano, sono dotata e che, per quanto scomoda, in storie come quella di Fortuna è essenziale mantenere salda.
Qualcuno, a Poggioreale, ha scorticato di botte Raimondo Caputo, l'uomo accusato di avere molestato prima e ucciso poi una bambina di 6 anni. Qualcuno si è sostituito al giudice e alla giuria e ha sentenziato che Caputo meritasse di venire pestato a sangue. Quel qualcuno, per la cronaca, è un delinquente, uno che sta in galera e risponde a un codice morale (che c'è chi ha il coraggio di chiamare d'onore) da galeotto, non da persona civile. E per quanto la scarica di legnate che ha piazzato sul muso di Raimondo Caputo possa apparire giusta a qualcuno, di fatto non lo è. Non lo è in un Paese evoluto, con un sistema giudiziario strutturato, con una magistratura che è la sola incaricata (da consuetudini e convenzioni finite per essere codificate) di condannare o assolvere un indagato. Nessun altro, nemmeno coloro ai quali va la nostra umanissima simpatia, hanno il diritto di vendicare il torto subito.
Se ci rifiutiamo di accettare la logica della legalità non siamo molto migliori di quelli che si sparano da un lato all'altro della strada in una guerra infinita che ha inizio da una vendetta. Il fatto è che si confondono troppo spesso, vendetta e giustizia. I sostenitori della pena di morte, quelli che ancora credono che sia educativo ammazzare un essere umano che ha commesso un assassinio, non hanno reso il mondo un posto migliore, hanno solo normato l'omicidio: hanno reso legale quello stesso atto che condannano.
Sangue chiama sangue, si dice. Ma la morte di un mostro non restituirà la vita, o la serenità, a nessuno. L'idea stessa della vendetta è una finta consolazione cui si aggrappano le vittime: ciò che è stato loro tolto non tornerà. E dunque Fortuna non ritornerà a giocare con i suoi amici, ad andare sulle altalene arrugginite di Parco Verde, a sorridere incerta nelle foto che la mamma le scatta. Non tornerà per vivere una vita in cui gli adulti non sono mostri perversi, ma persone gentili. Non tornerà nemmeno se tutti i galeotti di Poggioreale si daranno il cambio a spezzare di botte la schiena di Raimondo Caputo. Che anche lui, come chiunque altro, merita un giusto processo. Merita un giudice preparato e competente che si attenga al Codice Penale e non a quello morale. Perché la morale e l'etica sono la base della giurisprudenza e non serve il carico da 11 per farle rispettare.
Accertata la sua colpa, ottenuta la sentenza, Caputo dovrà scontare la sua pena. Che avrà una fine, perché in Italia non esiste il "fine pena: mai". A quel punto sarà libero, a prescindere da ciò che ha commesso, anche se si trattasse del più infame dei reati.
Questa è la civiltà e questo è il prezzo che un popolo civile paga per mantenerla. È alto? Sono d'accordo. Ma non ci sono alternative se non vogliamo vivere in un posto in cui una pallottola vagante, sparata da qualcuno che vuole vendicare qualcun altro, ci si pianti nel cervello mentre andiamo a fare la spesa. E dunque abbiamo solo un modo per rendere più tollerabile questo prezzo altissimo che siamo costretti a pagare: lavorare ogni giorno su noi stessi per fare di questo mondo un mondo migliore. Partendo da noi, dalla nostra umanità. E l'umanità non prevede sospensioni nemmeno quando si tratta di mostri, di uomini che riescono a violare il corpo di una bambina. L'umanità è faticosa, lo so.