mercoledì 18 maggio 2016

IL BONUS BEBE’ TRA STUPIDITA’ ED IGNORANZA



Non so a voi, ma a me questi ricorrenti allarmi sulla denatalità cominciano a mettere il nervoso.
Anche perché sono circa 30 anni che li sento, e se si fosse messo nell'attuazione di politiche lungimiranti lo stesso impegno tridecennale profuso in lamentele vacue e colpevolizzanti sulle «culle vuote», ora avremmo lo stesso tasso di natalità della Danimarca.
Per fortuna è rientrata l'idea del Nuovo centrodestra sul raddoppio del bonus-bebè, che dopo tutto il bigottismo bipartisan speso sull'utero in affitto - è immorale pagare una donna per fare un figlio! la gravidanza dev'essere un dono e non una prestazione mercenaria! - somigliava abbastanza a un autogol etico-politico da centrocampo, al modico costo di 2,2 miliardi per le casse dello Stato.
50 EURO E PROCREARE! Sventolate qualche banconota da 50 sotto il naso delle giovani coppie, e quelle bruceranno pillole e preservativi (ammesso che le usassero, perché è roba che costa, e non si servissero della cara vecchia retromarcia, l'anticoncezionale più diffuso ed economico, quando funziona) e correranno a letto a procreare come allegri e patriottici coniglietti.
Purché si tratti di coniglietti eterosessuali regolarmente sposati, i cui organi riproduttivi, secondo il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, sono l'equivalente anatomico del Campo dei miracoli di Pinocchio: «Ogni euro messo in tasca a loro ritorna allo Stato in termini di nuove nascite, spinta propulsiva, consumi, crescita e sviluppo del Paese».
Insomma, parafrasando quel che diceva Mae West, «ogni donna è seduta sul Pil del suo Paese e non lo sa».
SERVONO BRACCIA PER LA SPESA. Una volta la patria ci chiedeva di produrre nuove braccia per la guerra e per l'agricoltura, oggi ha bisogno di altrettante braccia che spingano i carrelli dei supermercati e firmino contratti d'acquisto per case e auto.
E che sostengano coi loro contributi il welfare di milioni di vecchi.
Cent'anni fa i nostri uteri devevano fornire carne da cannone, oggi carne da pensione.
Lo Stato rappresentato da Lorenzin ci allunga una mancia per ogni futuro consumatore-contribuente che gli sforniamo.
Poi fa la predica a Nichi Vendola e compagno che sborsano 135 mila euro per una maternità surrogata.
I figli costano, e la paghetta italiana una tantum non basta
Certo che i figli costano.
E che se ne fanno meno se non li si può metterre a lavorare a otto anni per aiutare la famiglia o farli sposare a 12 per toglierteli dalle scatole.
Ma in un Paese sviluppato i figli costano da grandi più che da bebè, altro che bonus.
In Francia ti danno quello, più assegni familiari da paura.
In Italia è prevista una paghetta una tantum, poi, quando il pupo smette il pannolino, «ulli ulli chi li fa se li trastulli».
AH, QUANDO C'ERA LUI... C'era più larghezza di vedute nelle politiche demografiche del regime fascista, che oltre ai premi di natalità e il corredino gratis per i bimbi nati il 29 luglio, compleanno del Duce, organizzava i matrimoni di massa e tassava i single.
Con gli stessi risultati, peraltro, del nostro bonus-bebè, cioè praticamente nulli, anzi, di segno negativo.
Nemmeno in un'Italia ancora semi-analfabeta e con le donne quasi del tutto escluse dal mondo del lavoro bastava una manciata di soldi a convincere la gente a fare più bambini.
E LA CITTADINANZA NON LA DIAMO. E oggi nemmeno chi viene qui da Paesi arretrati come l'Italia degli Anni 20 è invogliato a dare figli alla patria di adozione, anche perché, in omaggio allo ius sanguinis, la patria non ha nessuna intenzione di adottarli.
Un Paese perennemente atrofizzato
C'è qualcosa, nell'aria di questo Paese, che atrofizza le gonadi.
Polveri ancora più sottili del Pm 10 e altrettanto dannose.
Particelle di mentalità cattolica e patriarcale micronizzate insieme con faciloneria e cinismo che, se le respiri, ti tolgono fiducia e speranza nella possibilità di costruirti un bel futuro, di poterti realizzare sia nel lavoro sia nel privato.
Soprattutto se sei una donna: ti fa vedere la maternità come un impegno che dovrai sobbarcarti praticamente da sola, anche se un partner ce l'hai.
GLI ASILI? MACCHÉ. Non è la premessa all'inevitabile invocazione «più asili nido», da tutti considerati la panacea per il gender-gap italiano: com'è stato autorevolmente notato, regioni europee come la Germania e l'Emilia, con servizi per l'infanzia accessibili ed eccellenti, hanno natalità bassissime.
L'apertura di un paio di nidi in più nel quartiere non convincerà i datori di lavoro a non penalizzare le lavoratrici in età fertile e i giovani.
E non convincerà i padri (o la maggioranza dei padri) a chiedere i congedi parentali e a non delegare sempre alle mamme gli accompagnamenti a danza, in palestra, dal pediatra o ai compleanni.
DATECI IL BONUS COPPIE. Oltre al bonus-bebè sarebbe utile un bonus-parità per le coppie che hanno intenzione di condividere equamente, in termini di tempo, le fatiche e le responsabilità domestiche, le faccende di casa, la cura dei figli, l'assistenza ai familiari anziani.
I vecchi aumentano: dobbiamo colpevolizzarli?
E veniamo a loro, gli anziani, l'altra pietra dello scandalo demografico italiano.
Cent'anni di previdenza sociale e di sanità pubblica li hanno moltiplicati, fenomeno imprevedibile come uno scudetto alla Juventus.
E ora è colpa loro se siamo «un Paese di/per vecchi», odiosa definizione che colpevolizza milioni di italiani per il fatto di essere ancora vivi.
E per non essere più giovani, belli, sani e fecondi (ma se provano a esserlo, fecondi, fanno ancora più schifo).
Anche su questo bisogna lavorare, perché mentre non è probabile che nei prossimi 20 anni i bonus e le prediche della Lorenzin riempiano le culle, è sicuro che i vecchi aumenteranno.
E fra questi ci saremo anche noi.
ESCOGITIAMO QUALCOSA. Sarà il caso che escogitiamo qualcosa per farcela piacere, la vecchiaia, per renderla non solo utile (lo è già: le pensioni dei nonni e la generosità delle nonne sostengono lo stentato inizio carriera dei giovani e la mancanza di servizi sociali per l'infanzia), ma anche produttiva.
E consumatrice, non solo di cateteri e adesivi per dentiere.
Perché dai 65 anni in su bisogna smettere di sognare, di fare progetti, di reinventarsi la vita, di godere, e se si può, pure di lavorare?
Non è ancora un problema degli anziani di oggi, la cui ricchezza è cresciuta del 118% negli ultimi 20 anni (è la generazione che ha potuto risparmiare, investire e godere di una pensione decente e sicura), ma lo sarà per quelli di domani, per cui il «riposo» a 65 anni sarà una chimera.
E UNA BELLA AUTO-RIFORMA? Mentre il povero presidente dell'Inps Tito Boeri cerca di mettere le mani nel rompicapo delle pensioni, sarà il caso che ognuno di noi approvi un'auto-riforma psicologica del concetto di vecchiaia, anzitutto svincolandola dall'anagrafe e legandola alla salute fisica e alla vitalità intellettuale.
Che tu abbia 30, 50 o 70 anni, sei vecchio se non sai usare un computer, se i tiggì e i programmi televisivi del pomeriggio sono le tue uniche fonti di informazione, se non conosci una lingua straniera e non cerchi di impararla, se di fronte a qualcosa di nuovo ti chiudi a riccio brontolando, se il più nuovo dei tuoi amici risale al servizio militare, se hai smesso totalmente di studiare, se ti muovi solo in macchina e hai il fiatone dopo una rampa di scale. Scommettiamo che una riforma del genere seminerebbe più panico di quella della Fornero, anche fra chi non ha ancora un capello bianco?