ROMA (WSI) –
Il premier Matteo Renzi dice che bisogna votare si al referendum sulle
riforme costituzionali che prevede tra le altre cose l’abolizione del
Senato come lo conosciamo ora e il sacrificio del ruolo partecipativo e
decisivo del parlamento in nome della stabilità di governo. Se vinceranno i no,
il leader del PD ha già annunciato che se ne andrà, il che ha trasformato
l’appuntamento di questo autunno in una sorta di voto di fiducia
sull’esecutivo e la sua guida.
Stando agli
ultimi sondaggi disponibili, i voti di consenso alla riforma della costituzione
e del Senato sono scesi negli ultimi tempi. Siamo al 41% dei si contro il 33%
dei no, mentre il 26% degli interpellati dall’istituto Piepoli afferma di non
essersi ancora fatto un’idea o di non aver intenzione di recarsi alle urne. Ma
a far scattare l’allarme rosso a Palazzo Chigi, secondo l’analisi della
Stampa, sarebbe “il trend negativo”.
La riforma
prevede l’addio al bicameralismo perfetto, un senato con meno poteri
legislativi e un nuovo Federalismo. L’obiettivo è quello di garantire maggiore
stabilità, forza e continuità all’azione di governo, facilitando e abbreviando
gli iter parlamentari, ma secondo i critici minaccia la sopravvivenza di una repubblica
parlamentare sana e democratica, tra i fondamenti della nostra costituzione.
Il Senato
sarà formato da 95 membri eletti dai consigli regionali – ripartiti in
proporzione al peso demografico delle Regioni – e da altri 5 eletti dal Capo
dello Stato, che resteranno in carica per sette anni. Si esprimerà solo sulle
riforme e sulle materie più importanti come quelle costituzionali. I senatori
godranno della stessa immunità garantita ai deputati. Spariscono poi i grandi
elettori che devono votare il Presidente della Repubblica e spariscono i
senatori a vita. La seconda carica dello Stato sarà il presidente della Camera
e non più del Senato, cui spetterà il compito di convocare il Parlamento in
seduta comune.
Vengono poi
introdotti limiti al governo sui decreti legge. I regolamenti parlamentari
dovranno indicare tempi certi per il voto dei ddl del governo. Con la riforma
approvata il 12 aprile scorso con 361 si e 7 no (le opposizioni si sono
astenute) sono state anche ufficialmente abolite le 110 province, che
erano state già declassate a enti di secondo piano.
Sui
referendum, se i promotori dell’iniziativa riescono a raccogliere 800mila firme
anziché le 500mila previste per poter indire il voto popolare, il quorum si
abbasserà, rendendo più facile il passaggio della legge. Faranno la loro
apparizione anche i referendum propositivi.
Cosa chiedono banchieri JP Morgan
Perché il
governo ci tiene tanto a fare passare questa riforma? In parte perché è un po’
il simbolo della volontà del governo di snellire la politica e renderla più
uniforme ed efficace, riducendo il peso del parlamento. Dall’altro lato, perché
lo vogliono gli alleati statunitensi e quelli più liberisti dell’Italia.
La legge di
riforma è stata pensata per prima non dal Partito Democratico, bensì da una
grande banca d’affari Usa, JP Morgan, lo stesso istituto scelto anche
dal governo come consulente per l’istituzione della bad bank. Il motivo?
È troppo socialista.
Secondo la
trasmissione La Gabbia di La7 perché “la nostra costituzione è troppo socialista,
garantisce la protezione costituzionale dei diritti dei lavoratori e contempla
il diritto della protesta contro i cambiamenti dello status quo
politico”.
In un
documento pubblicato il 28 maggio 2013 viene spiegato nel dettaglio come
andrebbero idealmente riformati i paesi del Sud d’Europa. “I sistemi politici e
le costituzioni di alcuni paesi del Sud presentano caratteristiche che
appaiono inadatte a favorire la maggiore integrazione dell’area europea”. E
pertanto vanno cambiate.
Allo stesso
tempo gli italiani sembrano non dare troppa importanza a chi vuole veramente la
riforma della Costituzione, anche perché i temi su diritti dei lavoratori e
diritto di protesta ancora non vengono toccati dalla riforma prevista dal ddl
Boschi. Gli italiani si trovano d’accordo con alcuni dei punti chiave del
testo.