sabato 28 luglio 2012

IL RISCHIO: L'ELLENIZZAZIONE DELL'ITALIA


A coloro che pensano che io ami descrivere solo scenari catastrofici dedico questo stralcio tratto dal “Sole 24 ore”. Si tratta di poche righe, che descrivono benissimo, per quanto sinteticamente, la situazione nella quale ci troviamo:
La Germania «rischia una bancarotta se non accetta la monetizzazione del debito da parte della Banca centrale europea». Lo si legge in un'opinione su Twitter dell'istituto newyorchese di ricerca economica Inet (Institute for New Economic Thinking), presieduto da George Soros e nel cui advisory board siedono i premi Nobel per l'economia Joseph Stiglitz, Andrew Michael Spence, Amartya Sen e James Heckman.
Lunedì scorso era stato diffuso un corposo report dell' Inet Council on euro crisis (Icec), un'emenazione dell'Inet formata da 17 economisti europei tra i quali Jean-Paul Fitoussi, Daniel Gros e Lucrezia Reichlin. Nel documento si sottolinea che l'Europa è sulla soglia di una catastrofe, con l'economia del Vecchio Continente destinata alla depressione e la zona euro alla disintegrazione. L'Icec spiega senza mezzi termini che «senza uno sforzo collettivo l'eurozona si disintegrerà in fretta» perché le condizioni attuali «in diversi Paesi non sono sostenibili a lungo, né economicamente né socialmente».
Gli economisti spiegano che bisogna distinguere tra i problemi ereditati dal passato e creati dalla cattiva progettazione dell'eurozona nel corso degli ultimi 10 anni e le sfide implicite nel ridisegnare l'area euro, per ripristinarne la solidità. Attenzione quindi, continua il documento dell'Icec, perché è impossibile costruire a lungo termine meccanismi come un'unione bancaria «quando incombe l'eredità di squilibri di bilancio, di competitività e l'inadeguata capitalizzazione delle istituzioni finanziarie impediscono il cammino verso un'Europa sana».
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Il buon andamento della Borsa di Piazza Affari (che è comunque rimasta al di sotto dei 14.000 punti, (un risultato non brillante)e della vendita di CTZ e BOT non deve accendere facili illusioni. Si tratta di rimbalzi tecnici, del tutto normali in periodi come questo. Ricordiamo ancora una volta che non si prospetta nulla di concreto: Mario Draghi ha semplicemente fatto le solite dichiarazioni di intenti: ha detto che farà tutto quello che è nelle sue possibilità per salvare l’Euro. La Merkel e Schaeuble si sono detti d’accordo con lui, tanto si tratta delle solite parole, delle consuete vaghe promesse.  Non ci servono le toppe, i rammendi, occorrono fatti concreti, un cambiamento radicale delle politiche dell’UE. In assenza di questi fatti concreti, le borse torneranno a crollare, lo spread tornerà a risalire. Che cosa potrebbe fare di concreto la BCE? Potrebbe ricominciare ad acquistare titoli di stato spagnoli ed italiani sul mercato secondario, ma non basterebbe. Potrebbe ricorrere, oltre al solito Efsf,  al Fondo di Soccorso Europeo (MES), entrato in funzione nel caso della sola Grecia, ma temiamo che i risultati, anche in questo caso, sarebbero inferiori alle attese. A parte il fatto che il MES presuppone la cessione pressocchè totale della sovranità, le misure finalizzate alla conservazione dell’euro sono ben altre. Come sottolineato dal “Sole 24 ore”, bisognerebbe monetizzare il debito, condividerlo con l’emissione degli eurobond, modificare i trattati e consentire alla BCE di stampare moneta. La sola politica dei tassi è largamente insufficiente. Qualche tempo fa auspicavamo la definizione della situazione in tempi rapidi, da due a sei mesi. E’ probabile che non sia così. In assenza di misure radicalmente diverse da quelle condotte sin qui dalla Germania, speravamo in una uscita ordinata dalla moneta unica di tutti i paesi dell’eurozona, per consentire un ritorno non traumatico alle valute nazionali. Tutto questo , però, non conviene alla Germania, e ai suoi stati satelliti, Olanda e Finlandia, due fulgidi esempi di antieuropeismo. Ora, un Euro senza Italia, nel caso (probabilissimo) di un nostro default, non avrebbe ragione di essere, e allora il rischio che corriamo è quello di una “ellenizzazione”, essere lasciati, insieme alla Spagna, a bagnomaria, in un limbo che potrebbe durare mesi se non anni. Con gli stessi effetti che sono ben visibili in Grecia. Una manovra recessiva dopo l’altra, nuove imposizioni fiscali, e continui tagli allo stato sociale, destinato ad estinguersi. Già ora, grazie alla cosiddetta “spending review” all’amatriciana le Aziende Sanitarie sono soggette a paurosi risparmi. Un intervento chirurgico, se non ritenuto salvavita da una “commissione” di esperti, sarà a carico del paziente. In Grecia non si trovano i farmaci oncologici, se non a carico dei pazienti. Il risultato, in questo caso, sarà una lunghissima recessione, che quando si prolunga per troppi trimestri è l’anticamera di una depressione economica, una condizione dalla quale una nazione si risolleva solo dopo qualche decennio. La speranza di vita alla nascita, per la prima volta nella storia dell’Europa, diventerà più breve, per il problematico accesso alle terapie da parte di una larga porzione di cittadinanza. Per impedire l’esplosione dell’euro, e allo stesso tempo non far emergere il fallimento di Spagna e Italia, la Germania potrebbe tentare questa carta. Lasciar decantare i due paesi latini per prendere tempo e preparare il piano B. Nel frattempo la macelleria continuerebbe in Italia e Spagna, ma questo ai tedeschi importa ben poco. Monti o il prossimo premier devono assolutamente scongiurare una politica di questo tipo, che condurrebbe il paese alla catastrofe comunque, pur restando formalmente nell’euro, per il semplice fatto che uscirne da soli costituirebbe un disastro ancora peggiore. I tedeschi e i loro satelliti (Olanda Finlandia e Lussemburgo)sono e rimangono l’unica causa della nostra rovina, hanno imposto a Mario Monti (un perfetto esecutore) manovre recessive che hanno di fatto impedito qualsiasi tipo di sviluppo economico reale. Oggi la Merkel e il suo ministro dicono che Draghi ha ragione, perché sanno benissimo che, con i poteri che si ritrova, non è in grado, nella sostanza, di combinare alcunché. Nelle prossime settimane, quando i fatti non seguiranno, come sempre, alle parole, i mercati ci bastoneranno duramente, e a quel punto Monti non può far altro che minacciare l’uscita unilaterale dall’Euro, ben sapendo che il prossimo paese colpito dalla speculazione sarebbe la Francia. E’ il solo modo per mettere fine alla politica immobilista e rigorista della Germania, che all’Euro si è particolarmente affezionata,a differenza dei paesi del sud Europa. In conclusione, o si attua l’unione bancaria e politica, o l’euro terminerà comunque la sua corsa. Ma una confederazione di stati che ci veda accanto a popoli come quello olandese e finlandese, considerato il loro livello di volgare opportunismo, appare assai difficile. Vediamo che cosa accadrà, ma non attendiamoci nulla di buono, quelli che dovrebbero essere i nostri alleati si rivelano sempre di più, col passare del tempo, i nostri più acerrimi nemici.

venerdì 20 luglio 2012

VERSO LA FINE.


E’ finita. E’ finita. Mi sembra di avere aspettato da sempre questo momento. Sono mesi se non anni che ci trasciniamo penosamente tra un crollo di borsa, un’impennata dello spread, una pioggia di vendita sui bancari. Da oggi, 20 luglio 2012 comincia il lungo (o breve?) percorso dell’Italia verso il default. Dalle pagine di questo blog  sono mesi che andiamo ripetendo le stesse cose: se si vuole mantenere in vita la moneta unica servono provvedimenti come la mutualizzazione del debito, l’emissione di euro e project bond, la creazione di un super ministro dell’economia, l’attuazione di politiche di bailout e di quantitative easing per le banche maggiormente esposte, l’attuazione di  una autentica unione fiscale e bancaria, ed infine, una unione politica, una confederazione di stati. Grazie alla demente ottusità della Germania nulla di tutto questo è stato fatto. Ora tocca all’Italia. La Spagna ha dichiarato solo ieri bancarotta, da oggi tutti gli attacchi della speculazione e degli investitori saranno rivolti all’Italia. Lo spread non si scosterà più dai 500 punti, è destinato anzi ad aumentare, la borsa di Piazza Affari collezionerà un crollo dopo l’altro, le banche patiranno una continua emorragia di liquidità, fino al fallimento di una dopo l’altra. Nei fondi di stabilità sono rimasti, dopo gli aiuti alla Spagna si e no 150 euro, per salvare l’Italia ce ne vorrebbero almeno 1.000. Considerando che non esiste denaro al mondo per salvarci, si prefigurano due scenari possibili: l’Italia va in bancarotta, non potendo pagare contemporaneamente stipendi, pensioni ed interessi sui titoli di stato, non potendo essere aiutata esce dall’euro in modo traumatico, scompostamente, nella costrizione di ristrutturare il debito coinvolgendo i soggetti privati: banche e cittadini. Chiunque abbia investito in azioni , obbligazioni e quant’altro sarà coinvolto in un haircut, un taglio dei propri investimenti. Ma un uscita dall’euro dell’Italia non sarebbe senza conseguenze: l’euro andrebbe in break up, collasserebbe, in modo cruento, causando danni irreparabili a tutte le economie dell’eurozona, e del mondo intero. Oppure, arrivando alla elementare conclusione che dopo l’Italia sarebbe il turno della Francia, poi del Belgio, poi dell’Olanda e così via fino alla Germania, le nazioni dell’eurozona, prendendo atto che l’esperienza dell’euro è stata un fallimento, decidono di farlo estinguere, uscendone tutti, ordinatamente. In questo caso ci faremmo tutti molto meno male. Intanto perché non ci sarebbe la prima delle conseguenze nefaste di un ritorno alla valuta nazionale: la fuga dei capitali in euro all’estero. Sarebbe la cosa migliore da fare, ma conoscendo le teste di legno dei tedeschi, possiamo stare certi che questa soluzione, che ci consentirebbe un default selettivo e pilotato, non si verificherà. E allora falliremo, con tutte le conseguenze del caso. Instabilità sociale, tumulti sommosse, arretramenti a catena fino alla miseria, alla povertà, quella vera. Un nuovo Medioevo, cencioso e randagio. Non sappiamo se cominceranno a fallire prima le banche o prima il Tesoro dello stato: sappiamo per certo che la nuovo manovra (la quarta, la quinta, ho perso il conto) di Mario Monti servirà solo ad accelerare la bancarotta. Quello che sappiamo è che Monti, in un ultimo, estremo quanto insulso tentativo di salvataggio ci comminerà l’ennesima manovra lacrime e sangue. Spero che i giovani e i meno giovani di questo paese gli facciano capire che non è il caso. Abbiamo il destino segnato, bisognava agire prima. Bisognava cominciare dalle fondamenta, non dal tetto. Si comincia a dare vita ad una unione fiscale, di bilancio, bancaria, politica e come ultima conseguenza si crea la moneta unica. Noi abbiamo cominciato dal fondo e fare il cammino a ritroso è molto difficile se non impossibile. Non ci servono altre manovre depressive: sono proprio queste manovre che ci hanno portato sull’orlo della bancarotta. Se Monti si dovesse permettere  di licenziare l’ennesima manovra troverà pane per i suoi denti: l’instabilità sociale avrà il suo inizio. Le dichiarazioni del ministro del bilancio spagnolo (“non abbiamo più un euro in cassa”) sono più eloquenti di qualsiasi digressione. I grandi milionari ebrei americani, i Rotschild, Warren Buffet, George Soros, non vedono l’ora di giocare al tiro all’orso con l’Italia. La finanza è completamente svincolata dalla realtà dell’economia. Le stime degli economisti di Confindustria hanno stimato che lo spread reale con i bund tedeschi è di 164 punti. Ne abbiamo 350 di più. Viviamo una tirannide finanziaria, la pirateria finanziaria fa ciò che vuole in un modo privo di limiti e regole. Si rovinano con qualche clic di mouse nazioni intere, famiglie, persone, esseri umani. Questo è il mondo regolato dalla finanza senza regole, in mano ad un pugno di uomini spregevoli senza scrupoli. Pubblico di seguito il bell’articolo di Eugenio Benetazzo dal titolo “E’ arrivata”, alludendo alla depressione economica. Io mi permetto di fare un passo ulteriore: “E’ finita.”
Durante il periodo estivo la mia attività di comunicazione mediatica dal vivo rallenta, complice anche l'interruzione temporale a cui è soggetto il mio tour itinerante in Italia, in compenso invece aumenta vistosamente l'attività di ricerca e studio grazie ad una maggior quantità di tempo disponibile associata ad una maggiore concentrazione professionale. Durante l'estate gran parte del mio tempo è dedicato ad interviste ed incontri professionali con colleghi e con imprenditori italiani ed esteri, con i quali nascono spesso non solo occasioni di confronto, ma anche momenti di approfondimento e proiezione sul futuro che verrà. Su questo fronte sto evidenziando ormai sempre più un allineamento e una simbiosi di pensiero uniforme tra categorie professionali ed imprenditoriali fra di loro variegate. Sta arrivando una depressione economica di portata storica. Questa potrebbe essere la frase con cui riassumere il quadro e la view di tutti, lasciando veramente poco spazio all'interpretazione o all'immaginazione. Spending review, fiscal compact, scudo antispread, austerity, default, downgrade, rating, total tax rate: saranno tutte terminologie riportate nei prossimi libri di storia, non solo economica.

Ricevo centinaia di email ogni settimana di imprenditori italiani che mi chiedono dove scappare con la loro famiglia o dove insediarsi con la loro azienda, preoccupati per il clima che loro stessi percepiscono giorno dopo giorno e stanchi del solito teatrino della politica italiana. Madri disperate in cerca di una risposta sensata e di conforto alla domanda “che cosa conviene che faccia studiare mio figlio”. Un paese come l'Italia non si risolleverà mai più se non si tamponeranno quanto prima queste emorragie di capitali e di imprenditori in fuga. Per citare Pansa, eravamo poveri e torneremo poveri. Ma molto più poveri di quello che immagina ogni italiano medio. Veramente il 2012 darà ragione ai Maya, quasi a dimostrare le tesi delle profezie auto avverantisi. La convergenza di più crisi sistemiche in uno stesso periodo storico fanno precludere al peggio: con la crisi del debito, prima delle famiglie e ora degli stati, adesso arriviamo alla crisi dei consumi in quasi tutta Europa e questo impatta profondamente sulle basi di solidità di paesi ormai troppo grandi per rallentare e pagarne il prezzo.

India e Brasile sentono già il fiato sul collo, per la Cina si parla ormai di hard landing (con implicazioni sociali devastanti), Canada e Australia risentono delle minori esportazioni di materie prime: il cerchio si chiude da solo. Se si ferma l'Europa, dopo tocca agli Usa e dopo via con il domino. Sta arrivando una grande depressione a livello mondiale, solo che stavolta gli organismi sovranazionali con tutta la loro potenza di fuoco poco potranno per risollevare le sorti dell'economia mondiale. La storia si ripete e a distanza di oltre ottant'anni vivremo i peggiori incubi per ognuno di noi. Bankitalia parla di fine della attuale recessione per il 2013. Chi vuole credere a queste proiezioni, si accomodi. Tutti i settori sono in profonda contrazione, dal turismo all'immobiliare, dal credito al consumo alla vendita di automobili: la lettura è semplice, non circola denaro, vi è timore per un peggioramento dello stile di vita, si limitano i consumi e le tasse assorbono troppe risorse per il volano economico complessivo.

Correndo il rischio di essere impopolare, mi sento in sintonia con chi invoca temporaneamente il congelamento della democrazia in questo momento di gravità economica (tanto il tutto sta già avvenendo informalmente): Italia, Spagna, Francia & Company, anche se sono protette sul piano finanziario (per adesso), stanno rischiando tantissimo sul piano sociale. Non sarà la concertazione dei partiti con il nuovo lifting facciale a mutare le sorti ed il futuro per questi paesi. Pensate che tra qualche mese in Italia si inizierà a parlare di Berlusconi 2.0 e Bersani 2.0 ! Come ho già ricordato solo un super ministro economico in Europa, libero di agire su ogni fronte, può realmente coordinare e sviluppare un piano di risanamento e rinascita per tutto il vecchio continente, istituendo le politiche e gli strumenti di difesa nei confronti dei suoi principali competitors odierni. Per l'Italia invece sto aspettando l'uomo dei tagli, il vero uomo dei tagli, colui il quale dichiarerà guerra a quella parte elitaria della popolazione (circa 3,5 milioni) che con i suoi privilegi e poteri sta condannando a una lenta morte per agonia fiscale la restante parte della popolazione.
 Eugenio Benetazzo – eugeniobenetazzo.com


AGGIORNAMENTO


La crisi dell'eurozona si va sempre più aggravando e sempre più lontane sono le soluzioni al problema. La moneta unica, tanto osannata nel 2000, oggi si ritrova a subire una crisi mai vista prima, crisi che porta con se degli errori strutturali di un sistema economico basato sulla forza di poche nazioni " trainanti ", prima tra tutte la Germania, declassata dalla agenzia di rating Moody's a causa delle nuove tensioni provenienti dalla Grecia. Sono proprio queste tensioni che, unite a quelle provenienti dalla Spagna, che rischia le stesse sorti di Atene, hanno spinto Moody's a rivedere la solidità della Germania.
Oggi lo Spread punta a testare i minimi toccati ieri in chiusura ( 516 ), infatti, dopo l'apertura a 502,5 punti lo spread risale a 512. Il premier Monti non nasconde la sua preoccupazione, pur affermando che l'ultima asta dei titoli di stato è andata a buon fine e che questo aumento è solo virtuale. La situazione reale invece è ben diversa, con la Grecia che rischia l'uscita dall'euro entro settembre e la Spagna in profonda crisi, la nostra Italia è, a rigor di logica, la terza nazione destinata a chiedere aiuto all'Europa.
Siamo di fronte all'imminente crollo della solidità della moneta unica, solidità che sarà ulteriormente compromessa se la Grecia uscisse dall'euro, infatti questo evento, molto probabile e già scontato dai mercati, farebbe venir meno il concetto fondamentale dell'irreversibilità, presupposto che ha tenuto in piedi la nostra moneta sin dalla sua nascita. L'uscita della Grecia causerebbe un indebolimento della moneta tale da rendere impossibile il ritorno ad una precaria stabilità e, inevitabilmente, la Spagna e l'Italia seguirebbero le sorti di Atene.
Fonte: trend-on-line

giovedì 19 luglio 2012

QUANTI SONO GLI "ESODATI VOLONTARI"?


Con il progredire della situazione di crisi (sono passati ormai 4 – 5 anni!) si degrada sempre di più la condizione umana, spirituale e psicologica di ognuno di noi, con la sola eccezione delle persone talmente ricche da non essere neppure sfiorate dal più piccolo turbamento. Non è solo un disagio psichico, è anche, quando va bene, un disagio che presenta un preciso riflesso lavorativo. Quelli che “vanno” sono in una situazione penosa e colma di angoscia; quelli che “restano” sono costretti a lavorare in condizioni logoranti e stressanti. Questo vale anche, udite udite, per il personale statale: con gli stipendi inchiodati al 2009, a ranghi sempre più ridotti, falcidiati dalla spending review all'italiana, chiamati a svolgere compiti sempre più gravosi, complessi e numerosi. Nonostante la “semplificazione” attuata da quel balordo di Calderoli, che non ha semplificato nulla, (ha semmai contribuito a rendere ancora più invivibile la burocrazia delle P.A.), il dipendente pubblico, a fronte di uno stipendiuccio da soglia di povertà, è continuamente molestato burocraticamente da chichessia: qualsiasi dirigente di un ente pubblico (Aziende Sanitarie, enti locali, questure, prefetture, tribunali, ecc) si svegli la mattina con il desiderio incontrollabile di richiedere delle rilevazioni di dati, dei monitoraggi, delle statistiche, non fa altro che inviare una mail al dirigente del settore che vuole colpire e comincia così una sequela di scadenze da rispettare, di incombenze da espletare, di pratiche da disbrigare. La burocrazia italiana non ha eguali nel mondo, come la pressione fiscale. Quelli che l'agenzia di stampa “Ansa” continua a definire con disprezzo “travet”, (ma esistono anche i travet dell'informazione, sono i giornalisti dell'Ansa, appunto) sono diventati degli animali da soma, da caricare di incombenze come asini, facendo così accrescere a dismisura il senso di frustrazione, di decadimento, di inutilità. Negli ambienti di lavoro si instaurano climi ed atmosfere che si tagliano con il coltello, viene fuori il peggio di noi tutti, il nervosismo, la conflittualità, il senso di angoscia quando suona la sveglia, ti devi alzare e ti rechi al posto di lavoro con un senso di nausea. Si dirà: ma loro sono fortunati, un posto di lavoro lo hanno mantenuto. E' vero, ma a che prezzo? C'è un prezzo per tutto nel mondo della crisi permanente: quello degli statali è di essere vessati e dileggiati dai propri dirigenti perchè devono ringraziare il cielo di lavorare ancora, devono mostrare gratitudine ai propri superiori, quasi fossero mantenuti in servizio per pura pietà o compassione. Si tratta, viceversa, in massima parte, di persone che lavorano come matti, per colmare le vistose lacune di organici che sono diventati delle gruviere, incalzati continuamente a sbrigare pratiche il più delle volte perfettamente inutili, richieste loro da qualche sadico e nullafacente boiardo di stato, che giustifica così la propria posizione di imboscato e la propria rendita di posizione. Guadagnano in media 1.200 euro al mese, se la famiglia è monoreddito sono semplicemente poveri. Uno stato degno di questo nome sa incentivare il proprio personale, ne valorizza le competenze, non lo tormenta con pratiche farraginose, inutili e borboniche. E così si fa strada, in considerazione che quando la riforma delle pensioni sarà a regime il collocamento a riposo arriverà a 70 anni, si fa strada sempre più il desiderio di abbandonare un posto di lavoro ormai solo detestato, l'idea, arrivati ad una certa età, alle soglie della vecchiaia, di fare finalmente quello che ci aggrada, che ci piace e soddisfa veramente, prima che sia troppo tardi. Chi ha la possibilità economica per farlo, magari predisponendosi a condurre una vita oculata se non proprio morigerata, chiede una aspettativa senza assegni per un anno, e poi, se le cose non precipitano, presenta le proprie dimissioni volontarie. Un ultracinquantenne potrebbe vivere un mese come venticinque anni, se ha da parte qualcosa e non deve affrontare o lasciare grandi somme a qualcuno, considera sempre più con favore l'ipotesi di una uscita di scena, anche per non correre il rischio di diventare il più ricco del camposanto. E' triste arrivare a queste conclusioni, vuol dire che si è definitivamente spezzato il rapporto con lo Stato che da interlocutore è diventato un nemico contro il quale combattere una quotidiana battaglia: siamo taglieggiati dal record mondiale della pressione fiscale, il 55%, siamo perseguitati per ogni singolo atto della nostra esistenza da una serie di molestie burocratiche. E' legittimo, dunque, che in un clima di questo tipo in più di un dipendente si generi il desiderio di andarsene senza attendere i 70 anni, per liberarsi da un giogo sempre più pesante e per cercare di fare cose ben più utili che compilare tabelle di excel. L'INPS non ha ancora fatto una stima di questa nuova categoria di soggetti, che d'altronde si presume possano ammontare a poche centinaia, sono i cosiddetti “esodati volontari”, persone che non percepiscono stipendio né pensione “volontariamente”. Non saranno molti, ma a coloro che hanno la possibilità ed il coraggio di compiere una scelta così difficile e radicale, non possiamo che esprimere tutta la nostra ammirazione e che augurare loro la migliore delle fortune.

lunedì 16 luglio 2012

DUE METRI SOPRA L'IMMONDIZIA


Ci ritroviamo ogni giorno davanti alla stessa domanda: euro sì o euro no? Come ribadito più volte non esiste una risposta univoca. Dipende. Da che dipende? Essenzialmente dal comportamento della Germania, purtroppo. E' ovvio che i discorsi “stavamo meglio quando l'euro non c'era, torniamo alla lira staremo come prima” non hanno alcun senso. Nulla è più come prima. Una volta entrati, per quanto malamente, nelle moneta unica, uscirne unilateralmente ci penalizzerebbe a dismisura. Se continuasse ad esistere l'euro assisteremmo anzitutto alla fuga di capitali all'estero in euro, la svalutazione della lira sarebbe altissima come altissima sarebbe l'inflazione. Il debito pubblico dovrebbe essere ridenominato in nuove lire e dubito che i paesi esteri in possesso di nostri titoli di stato si accontenterebbero degli interessi pagati in lire italiane. Si dice: ripudiamo il debito. Bene, possiamo ripudiarlo, ma a parte il fatto che buona parte del debito pubblico si trova nelle mani delle famiglie italiane, chi sarebbe più disponibile ad acquistare un titolo di stato italiano? Come potremmo finanziare opere pubbliche, sanità, istruzione, pagare stipendi e pensioni? Anche i vantaggi di una moneta svalutata sono opinabili. Secondo le stime di Confindustria e Confcommercio la svalutazione della moneta non avrebbe un effetto immediato sulle esportazioni, mentre l'avrebbe di sicuro su tutto quello che importiamo, energia anzitutto, che saremmo costretti a pagare a caro prezzo. Insomma, gli effetti collaterali sarebbero troppo importanti per poter compiere un atto del genere. Questa è una delle innumerevoli riprova che sia Grillo che il Cavaliere quando parlano di queste cose non sanno semplicemente quello che dicono. Quello cui dobbiamo lavorare, semmai, è una estinzione, un decreto unanime da parte dell'eurozona della fine dell'euro quale moneta unica. La Spagna è un paese già fallito, con i soldi impiegati dalla troika per salvarlo si dissolvono anche le ultime riserve disponibili da parte dei fondi di stabilità e del FMI. Noi italiani, come sottolinea Moody's che ci ha portato due gradini sopra la “junk” spazzatura, siamo già presi di mira dai mercati e dagli speculatori. Ora tocca a noi. Una volta fallite le nostre banche ed il nostro Tesoro, toccherà alla Francia, la prossima candidata, e così via. Abbiamo compreso tutti che le politiche del rigore, da sole producono solo depressione. Lo spread non si è mai abbassato, è destinato anzi a salire verso livelli insopportabili. A quel punto dovremo dare, per forza di cose, forfait. E' inutile che la Merkel ripeta la stanca litania del “non si aiuta nessuno se non in cambio di cessione della sovranità”. Noi la sovranità l'abbiamo già ceduta ed ecco il punto cui siamo arrivati. Monti ha fatto parola per parola quello che gli hanno dettato per lettera o per telefono la commissione europea, l'eurogruppo, la Mergkel in persona, e tutto questo solo per trovarsi in mezzo ad un paese ridotto alla povertà. Le manovre finanziarie non basteranno mai, perchè lo spread continuerà a salire e saremo costretti a pagare interessi altissimi per fare acquistare i nostri titoli di stato. Non sappiamo più dove andare a prendere i soldi perchè Monti ha già fatto una manovra recessiva dopo l'altra. Siamo in mutande. Non abbiamo per fortuna il problema di essere salvati perchè non esiste al mondo una somma tale da poter salvare un paese come l'Italia. Ci vorrebbero 1.500 miliardi. E chi li ha? I fondi Efsf ed Esm? Il fondo monetario internazionale? No di sicuro. Non potendo essere salvata, l'Italia dovrà obbligatoriamente uscire dall'euro, ma dal momento che il paese da affondare dopo il nostro sarebbe la Francia, a quel punto può darsi che qualche mente illuminata partorisca l'idea di una uscita collettiva ed indolore dalla moneta unica. L'euro non esplode, si estingue, si dissolve e tutti torniamo alla nostra valuta nazionale. Con una uscita ordinata e pilotata si potrebbero minimizzare quegli effetti collaterali di cui parlavamo sopra. La Germania si opporrà per l'ennesima volta, bisognerebbe che la Merkel non fosse più al governo. Ma il problema è: arriveremo alle prossime elezioni tedesche? Ho qualche dubbio. La nostra sensazione, considerato che l'attacco all'Italia è già partito, è che l'euro non arrivi a fine anno. Bisognerà muoversi prima, ma con una testa di legno come quella della Merkel, l'euro farà break up, collasserà in modo traumatico sputando fuori, uno dopo l'altro i paesi aderenti, tanto per farci generosamente del male. Se i tedeschi non sono disposti a mutualizzare il debito, se non sono disposti a dotare la BCE di ben altri poteri che non siano solo quello di abbassare il tasso di sconto (con il solo effetto di far impennare l'inflazione), se non sono disposti ad accettare strumenti come eurobond e project bond, condannano l'Europa al ritorno delle vecchie monete. Non si tratta di essere ottimisti o pessimisti, le cose stanno semplicemente così. L'euro finirà, ma grazie all'insensatezza dei tedeschi, esploderà nel peggiore dei modi. E allora, anche il loro rigore andrà a farsi benedire.

venerdì 13 luglio 2012

I CAPPONI DI RENZO


Inutile negarlo. La tempistica, tanto discussa sia da Bruxelles che dal governo italiano, del taglio di due gradini (da A3 a Baa2) dei titoli di stato italiani da parte di Mooody's è dovuta semplicemente all'annuncio di Berlusconi di candidarsi per la 37° volta presidente del Consiglio dei Ministri. Moody's aveva già in animo un declassamento, ma si sarebbe probabilmente limitato ad un solo gradino nella ipotesi di una continuità di un governo politico a guida di un tecnico. Ora, l'intempestiva e sbalorditiva decisione del Cavaliere ha indotto gli analisti di Moody's a considerare quale variabile altamente negativa l'ennesima discesa in campo di Berlusconi. Per una volta, la prima, non possiamo dare torto all'agenzia di rating, anche se gli azionisti di Moody’s saranno i primi a speculare sui titoli di stato che hanno declassato, ma questo è un altro discorso. Intanto perchè il contagio da parte della Spagna è già arrivato a noi: lo spread, nonostante la commedia stucchevole sullo scudo antispread che non sarà mai attuato, rimane costantemente sopra i 450 punti, e poi perchè l'entrata in lizza, nuovamente, di un personaggio come Berlusconi, che come ogni populista demagogo gode ancora di una certa popolarità, contribuisce non poco a rendere complicato un quadro politico già ingarbugliato. Il 2012 è un anno di recessione piena (con un PIL a circa -2%), il 2013 sarà un anno ancora peggiore, altro che ripresa (si prevede un ulteriore calo a -3%), ragione di più per eleggere un parlamento politico ma con un presidente del consiglio tecnico, magari non Monti che ha già dimostrato di essere un ottimo merkeliano, ma, almeno, con un'altra personalità di spicco presa dal mondo economico finanziario. Ora, un personaggio come Berlusconi, che vuole uscire unilateralmente dall'euro, che vorrebbe stampare moneta in una tipografia clandestina ecc. non appare nelle condizioni psicofisiche migliori per ricoprire un simile ruolo. E' una persona, con il dovuto rispetto, mentalmente problematica, con un grado di confusione elevatissimo ed una vita personale non proprio irreprensibile, che, alla veneranda età di 75 anni, potrebbe condizionarlo negativamente anche nelle scelte politiche. I particolari che emergono dai vari procedimenti giudiziari a carico del Cavaliere non fanno che far emergere un terribile sottobosco fatto di lenoni, ruffiani, prostitute che ricoprono cariche istituzionali, rituali da suburra. Sembra impossibile che non riusciamo a produrre un leader che abbia meno di 60 anni, che non sia stracotto come Berlusconi (ma anche Bersani) che abbia un livello di preparazione adeguato ad un Primo Ministro che sia abituato a fare la spola da Roma a Bruxelles. Forse abbiamo la classe politica che ci meritiamo, che rappresenta degnamente quello che siamo, certo è che l'attuale legge elettorale che ha riempito il Parlamento di imboscati prescelti dai capibastone dei partiti è cosa da far rabbrividire. Se esiste ancora una remota speranza di mantenere in vita un euro allo stremo, la partecipazione di Berlusconi alla competizione elettorale fornisce una ulteriore spinta verso il baratro. L'Italia, e Moody's lo ha appena ratificato, è già un paese contagiato dalla Spagna. Il nostro spread salirà nei prossimi giorni sopra i 500 punti, saremo costretti a pagare il famoso 7% di interessi sui nostri titoli di stato. Il nostro sistema bancario vacillerà fino a cadere, perchè i soldi per salvare gli stati (i fondi di stabilità Efsf ed Esm) si sono esauriti con gli aiuti alla Spagna. Non esiste insomma denaro a sufficienza per salvare l'Italia. Come abbiamo già detto un default dell’Italia provocherebbe a catena quello della Francia (cui siamo strettamente connnessi) e la conseguente esplosione dell'euro, che non potrebbe sussistere più privato dell'intera Europa del sud. E' uno scenario che molti di noi da tempo vanno evidenziando, ma, se non altro, un personaggio di miglior qualità e credibilità rispetto ad un Berlusconi ci avrebbe fatto uscire di scena in modo più indolore. E' proprio vero che dobbiamo bere l'amaro calice sino in fondo, fino all'ultima goccia. Non ci mancava che Berlusconi in questa tetra, amarissima commedia che sta per entrare nelle sue ultime battute. La prossima competizione elettorale vedrà Bersani e Berlusconi beccarsi ed insultarsi mentre si dirigono allo sgozzamento, come i manzoniani capponi di Renzo. Non è un bello spettacolo.



mercoledì 11 luglio 2012

Firmare per il referendum abrogativo delle indennità dei parlamentari. Chi lo sapeva?


Alzi la mano chi sapeva che presso i Comuni è possibile firmare per un referendum abrogativo parziale sulla legge per le indennità parlamentari (Art. 2 L. 31/10/1965, n. 1261). Ben pochi, credo.
Si tratta di un referendum, si, l’ennesimo referendum che però ha un fine più che nobile: il taglio degli stipendi della casta politica. La raccolta firme si concluderà il 30 luglio 2012 (termine per la presentazione al Comitato promotore 31/07/2012).
Cosa occorre fare? Nulla di più semplice: recarsi presso il proprio Comune ed andare a firmare. Provate però a domandarvi come mai questa notizia non è passata sui giornali. Non è che per caso c’è un forte connubbio tra i finanziamenti elargiti alla carta stampata e la casta politica? Meditate gente.
Intanto, con qualsiasi mezzo, DIFFONDETE LA NOTIZA! Voglio proprio vedere se anche stavolta la passano liscia. E poi dopo fate un salto in Comune. Ci vogliono 500.000 firme altrimenti avremo perso l’ennesima buona occasione per dare un duro colpo alla casta. Ma attenzione, la notizia è poco nota e quindi dovete DIFFONDERLA!!!!
Articolo 2 della Legge 31 Ottobre 1965, n. 1261
Ai membri del Parlamento è corrisposta inoltre una diaria a titolo di rimborso delle spese di soggiorno a Roma. Gli Uffici di Presidenza delle due Camere ne determinano l’ammontare sulla base di 15 giorni di presenza per ogni mese ed in misura non superiore all’indennità di missione giornaliera prevista per i magistrati con funzioni di Presidente di Sezione della Corte di Cassazione ed equiparate; possono altresì stabilire le modalità per le ritenute da effettuarsi per ogni assenza dalle sedute e delle Commissioni.
E’ solo un piccolo passo, visto che tutta questa legge  meriterebbe una bella spolveratina, ma è pur sempre un passo necessario per far partire il movimento di rivolta popolare pacifica contro gli stipendi pagati al mondo della politica.
Fonte: finanzanostop



lunedì 9 luglio 2012

Addio Monti, sorgenti dall'acque ed elevati al cielo


Siamo sinceramente addolorati dello stupore (che appare sincero) di Mario Monti di fronte all’impennata dello spread italiano, che sta puntando decisamente verso quota 500 punti base. Non sapendo bene cosa dire, il premier rampogna un ignaro Squinzi, il neo presidente di Confindustria, invitandolo a parlare il meno possibile, perché le sue parole potrebbero indurre lo spread a risalire. Squinzi, come è ovvio, è caduto letteralmente dalle nuvole. Noi crediamo alla buona fede di Mario Monti, il problema sono i mercati che non sembrano dare grande credito alle sue manovre. Anzi, si potrebbe dire, con un bisticcio di parole, che siamo stupefatti noi dello stupore di Monti. Vediamo quale potrebbe essere la ragione, non è troppo complicato, neppure per un bocconiano doc. Dallo scorso novembre Mario Monti è stato solo capace di varare manovre finanziarie: la prima, la più sanguinosa, ce la ricordiamo tutti. La seconda è stata la riforma delle pensioni: più che una riforma la si può leggere come una manovra, per il semplice fatto che, una volta a regime, accompagnerà i lavoratori in pensione a 70 anni. Difficilmente da una simile riforma si creano posti di lavoro. Poi ci sono stati i decreti sulle liberalizzazioni che non hanno liberalizzato un bel niente, notai, avvocati, tassisti e farmacisti possono dormire sonni tranquilli, si è trattato di una operazione di facciata che non ha scalfito il sistema di privilegi e rendite di posizione di questo paese. Poi ha fatto seguito una riforma del mondo del lavoro che fa tutto tranne che generare crescita, sviluppo economico, creazione di posti di lavoro. Infine, la più bella di tutte, la “spending review” all’italiana, una banalissima manovra finanziaria mascherata da “controllo di spesa”. Ora, qualsiasi studente di economia sa che per poter effettuare una vera spending review occorrono anni, perché è necessario monitorare tutti i comparti delle P.A., costruire dei benchmark che lavorino sullo storico e traggano le conseguenze del caso: quali sono le voci di spesa che possono e devono essere tagliate. Una spending review fatta dal commissario Bondi (che non è Mandrake) in quattro settimane non solo non è credibile, è semplicemente una fesseria. Quella cui stiamo assistendo è una manovra finanziaria fatta di tagli lineari, punto e basta. Ora, in conclusione, Monti da quando è al governo non ha fatto altro che svolgere diligentemente i compiti che gli hanno dettato la Commissione Europea e la BCE, manovre fatte di solo rigore e austerità, nulla per la crescita. Per strappare un sorriso alla Merkel, abbiamo affrontato la macelleria sociale compiuta da quel garbato gentleman che si chiama Mario Monti. Che ha la faccia tosta di meravigliarsi se lo spread, nonostante tutte le manovre di tagli e imposizioni fiscali, continua a salire imperterrito, mentre la Germania vende i suoi titoli di stato ad interessi addirittura negativi. Che cosa bisogna fare per far capire a questo benedetto uomo che le manovre che tagliano la spesa pubblica ed aumentano la pressione fiscale hanno come unica conseguenza la depressione economica del paese in questione? I consumi non solo crollano, si fermano. Siamo sulla strada della Grecia e ci sta portando su questa strada un tipetto come Monti che, se avessimo una classe politica degna di questo nome, sarebbe stato sostituito dopo sei mesi. Ma dal momento che al Parlamento italiano siedono personaggi come Razzi e Scilipoti ci dobbiamo tenere questo eterno dilettante con la valigia in mano, che si ostina a non capire che non dobbiamo per forza fare i compiti che ci impone la Germania, che la dobbiamo piantare con le manovre recessive mascherate da “spending review”, e che dobbiamo, per una volta, farci i fatti nostri e pensare ad un piano per lo sviluppo e la creazione di nuovi posti di lavoro. L’alternativa è il superamento dello sbarramento dei 500 punti di spread ed il fallimento a catena di stato e banche. Quando si è sopra i 500 punti per diverse settimane, o si pagano stipendi e pensioni o si rimborsano gli interessi sui titoli di stato. Tutte e tre le cose non si possono fare. E' quello che, molto semplicemente, si chiama "bancarotta". Lo spread non aumenta per le parole di Squinzi, benedetto il Signore, aumenta perché l’Italia, sulla scia della Grecia, è un paese in ginocchio, nel pieno della crisi più acre, poco credibile e poco appetibile perché è stata solo capace di fare manovre recessive, e non costituisce certo una attrazione per un eventuale investitore estero. Monti, con la sua signorilità ed il suo europeismo filotedesco farebbe un’ottima figura nel Granducato di Lussemburgo. Sarebbe perfetto per quello stato. E’ un peccati per lui e per noi che sia nato in Italia. A proposito, ricordate che nella spending review all’amatriciana sono previsti acquisti da parte della Consip anche di macchinari sanitari come i tomografi. Chi se la farà fare, d’ora in poi, una TAC in Italia? I macchinari che vende la Consip sono poco più che giocattoli, se hai un tumore non lo vede, lo vede, viceversa, se non lo hai. Ho l’impressione che chiunque tenga un poco alla propria salute si rivolgerà alla sanità privata, che i macchinari della Consip non li prende neppure in considerazione. 

In definitiva, qualcuno può prendersi il fastidio di spiegare al Prof. Monti che lo spread non dipende dal suo aplomb britannico, dal suo savoir faire con Frau Merkel, con l’esecuzione pedissequa delle letterine di Bruxelles, ma con i fondamentali di un paese. Qual è l’immagine del nostro paese, in questo momento, dinanzi il mondo intero? Una nazione in recessione, con uno spaventoso sommerso ed un livello di evasione e corruzione difficilmente eguagliabile, con porzioni di territorio nelle mani della criminalità organizzata, una burocrazia invasiva ed ingarbugliata, spesso contraddittoria. Non solo. Dopo le manovre del Prof. Monti è un paese in recessione, con un PIL negativo che peggiorerà nel 2013, in ginocchio dopo le manovre finanziarie depressive che si sono succedute una dopo l’altra. I consumi si sono fermati, l’emorragia di posti di lavoro continua, le fabbriche e le industrie chiudono una dopo l’altra. Siamo un paese appetibile? Un investitore, con le prospettive che presenta il nostro paese, (che sarà il prossimo a cadere subito dopo la Spagna), per acquistare i nostri titoli di stato è sacrosanto che richieda tassi  di interessi elevati. E’ il minimo che possa pretendere. Se queste cose riusciamo a comprenderle noi, che non siamo dei Nobel per l’economia, è possibile che non possa comprenderle un fior di professore come Mario Monti?

sabato 7 luglio 2012

BREVE SINTESI DI STORIA DELLA CRISI


Con questa breve sintesi della storia della crisi economica mondiale del 2007/08 non si intende, ovviamente essere esaustivi in così poco spazio: si potrebbero a ragione scrivere tomi di qualche migliaio di pagine sulle ragioni profonde di quella che più propriamente è una “contrazione” economica mondiale, un “cigno nero” che affonda le sue radici a partire dagli anni ottanta, e perdurerà, purtroppo, per almeno qualche decennio. Si tratta di un semplice strumento di consultazione, esposto in modo piano e semplificato, per tentare un approccio ad un argomento non facile per chi non possiede solide basi di scienza delle finanze e di economia politica. 

GLI INIZI: LA CRISI AMERICANA DEI MUTUI SUBPRIME (2004-2007)
Negli Stati Uniti la bolla immobiliare, conseguenza di un boom edilizio incontrollato e di una iniziale caduta dei prezzi, cominciò a prendere forma negli anni novanta. A partire dal 2004 poi, le banche americane, a caccia di facili guadagni, iniziarono a concedere mutui per l’acquisto di una casa a famiglie non in grado di sostenere l’intero ammontare del  prestito. Famiglie soprattutto di immigrati messicani furono attirate dai tassi agevolati per i primi anni, altissimi per gli anni seguenti. Quando i nodi arrivarono al pettine, e i debiti cominciarono a non essere onorati, le banche, nel quadro di una finanza cosiddetta “creativa”, completamente svincolata dall’economia reale, e priva di un qualsiasi tipo di regolamentazione, sotto l’occhio vigile e passivo dei repubblicani, cominciarono l’opera di cessioni del debito a terzi, costituendo dei “pacchetti”  che col passare del tempo e con l’aiuto della fantasia creativa della finanza d’assalto, presero la forma di “derivati”, “cartolarizzazioni”, hedge funds ecc. tutti prodotti subordinati e strutturati costruiti come scatole cinesi, elaborati in modo da far restare l’ultimo creditore, l’ultimo anello della catena col cerino in mano. I debiti a difficile o impossibile esigibilità diventano così prodotti finanziari che inondano il mondo intero, si annidano nei caveau delle grandi banche di affari e delle piccole banche locali, prendono forma delle vere e proprie “catene di S.Antonio” che rimandano sempre ad un creditore futuro, pur non essendo altro che carta, volgari pezzi di carta senza alcun valore. A tutt’oggi è impossibile calcolare esattamente quanti prodotti del genere siano in circolazione e quanti, soprattutto, siano detenuti dagli stati sovrani e dai loro enti locali. La “bolla dei derivati” non è ancora completamente esplosa, e anche questa è una spada di Damocle che pende sul capo di tutti i paesi del mondo.

LE PRIME CONSEGUENZE: IL FALLIMENTO DELLA LEHMAN BROTHERS
La prima conseguenza dei mutui concessi “sottocosto” (subprime) è rappresentata dalla crisi di liquidità di alcune grandi banche americane, che provocano un credit crunch sia delle transazioni interbancarie che nella cessioni di prestiti a privati ed imprese. La presenza elevata di prodotti “tossici” difficilmente quantificabili ed identificabili fanno crollare nelle Borse valori mondiali i titoli di alcune di queste banche, prima fra tutte la ben nota “Lehman brother”, le prima banca americana salvata dallo stato dalla bancarotta sicura. Sarà la prima di una lunga serie. L’utilizzo disinvolto della leva finanziaria (compiere operazioni ed attività troppo al di sopra della propria reale patrimonializzazione) ha mandato a gambe al’aria alcuni gruppi bancari d’oltreoceano, dando vita alla prima forma di contagio al continente europeo.

IL CONTAGIO ALL’EUROPA: LA CRISI DEI DEBITI SOVRANI
Dalle banche la crisi si sposta ai debiti pubblici dei singoli stati. Qui occorre fare un passo indietro. Per finanziarsi, per finanziare le opere pubbliche, il welfare, lo stato sociale e i suoi servizi, uno stato ha bisogno di denaro prestato da risparmiatori e investitori, denaro sul quale deve pagare interessi relativamente bassi se viene considerato un paese affidabile, più elevati se il suo modo di gestire la finanza pubblica è più spregiudicato. Nel 2001 l’avvento della moneta unica nell’eurozona nasce con un grave peccato originale: si è partiti dalle fine. Il processo, lo comprendono tutti, doveva essere diametralmente opposto. Si fonda una unione fiscale, bancaria, politica, costruendo una confederazione di stati sul modello americano, e alla fine di questo lungo e complesso processo ci si dota di una moneta unica. L’Europa, viceversa, è consapevole dell’impossibilità di dare vita ad una unione politica, per il semplice fatto che i paesi membri (Francia, Regno Unito, Germania, Spagna ecc.) hanno delle spiccate identità nazionali difficilmente coniugabili con la costituzione di una confederazione di stati che implica una cessione di sovranità ad uno stato federale. Partendo dalla sola moneta, si dava vita ad un gigante dai piedi d’argilla, ad un palazzo senza fondamenta, ad una cattedrale di sabbia. Ogni stato membro dell’eurozona pensa tranquillamente ai fatti suoi, fregandosene allegramente del proprio vicino, guardato sempre con sospetto e con diffidenza. Su queste basi si sono elaborati i trattati prima di Maastricht, poi, soprattutto, di Basilea prima II e poi III, contenenti i parametri entro  i quali devono stare il debito pubblico degli stati e il livello di patrimonializzazione dei gruppi bancari facenti parte dell’unione. Il contagio all’inizio, siamo nel 2007, è arrivato dalle prime banche americane fallite, e poi, per un complesso meccanismo, si è allargato ai debiti pubblici dei singoli stati. Questo è accaduto per il semplice fatto che la speculazione internazionale ha capito che poteva colpire paesi potenzialmente deboli con le armi della pirateria finanziaria, in un quadro di deregulation assoluta. Un gruppo di milionari americani di origine ebraica ha utilizzato tutti i mezzi già menzionati (fondi hedge, cartolazizzazioni, derivati, Credit Default Swap ecc.) per poter colpire, spostando semplicemente della carta, delle nazioni intere e farle entrare in crisi di liquidità. I debiti pubblici sono sempre esistiti, il Giappone ha tuttora un rapporto debito pubblico/PIL  molto più elevato dell’Italia, ma non hanno mai costituito un particolare problema. Lo sono diventato quando la speculazione che citavamo si è concentrata con un fuoco di fila sui paesi dal debito più elevato, quindi più vulnerabili. I milionari americani di cui parlavamo, gli stessi che stanno dietro le agenzie di rating (per questo tali agenzie andrebbero fermate e cancellate, per lo smisurato conflitto di interesse che vivono)hanno tartassato paesi come la Grecia, che aveva truccato i propri bilanci per entrare nell’euro, e il default del  paese ellenico ha stabilito un contagio con i paesi più esposti dell’eurozona: prima Irlanda, poi Portogallo, poi la Spagna.

LA MANCATA RISPOSTA DELLA UE E DELLA BCE
L’attacco sferrato dalla speculazione internazionale attraverso le vendite allo scoperto (le short selling), - in pratica vendere ciò che ancora non si possiede per poi ricomprare quando il prezzo è sceso vertiginosamente lucrando sulla plusvalenza che si è creata, - attacco portato agli stati periferici dell’euro non ha trovato alcuna risposta efficace da parte delle istituzioni europee. Si può anzi dire che l’Unione Europea, la BCE e il Fondo Monetario Internazionale, volutamente o meno, abbiano agevolato il degradarsi della situazione, con un immobilismo che si è rivelato fatale per la sopravvivenza dell’euro  in quanto moneta e dell’eurozona come entità geopolitica. La BCE non è una Banca Centrale, come la FED americana o Banca di Inghilterra. Queste banche hanno diverse possibilità: possono anzitutto stabilire la politica monetaria più favorevole al paese che le ospita, possono stampare moneta ed iniettare liquidità nel mercato, possono, e questo aspetto è fondamentale, costituirsi quale prestatore di ultima istanza. Questo vuol dire che  si fanno garanti di ultimo livello relativamente al denaro prestato agli investitori attraverso i titoli di stato. Le uniche azioni che l’ottusità della Germania, il paese che ha maggiormente lucrato sull’euro, con una conversione del marco alla pari nel 2002, e con un livello di esportazioni altissimo all’interno dell’area dell’euro, sono state improntate al solo rigore e alla sola austerità. Hanno imposto alla Grecia una cura da cavallo che ha ammazzato il paziente (la Grecia attuale è divenuta un paese paragonabile al terzo mondo), hanno imposto il pareggio di bilancio da inserire in Costituzione , una condizione capestro per un paese come l’Italia che ha un debito elevatissimo, hanno varato un fiscal compact, una politica di bilancio comune a tutti i paesi che ha come conseguenza una serie di manovre finanziarie depressive che hanno e stanno strangolando  paesi come Spagna e Italia. Hanno solo consentito alla BCE di Mario Draghi due elargizioni di contante (le cosiddette LTRO 1 e 2 ) al tasso simbolico del’1% ai gruppi bancari europei, che, pur acquisendo denaro ad un tasso bassissimo hanno preferito non far circolare tale denaro depositandolo presso la BCE stessa, non scambiandolo fra di loro, e continuando a percorrere la strada della stretta creditizia verso privati ed imprese. Per tornare alla crisi dei debiti sovrani, gli stati meno “virtuosi” per rientrare nei parametri del fiscal compact sono costretti a vendere titoli di stato applicando interessi elevatissimi, e proprio per questo si trovano nell’obbligo di varare almeno un paio di manovre finanziarie l’anno, creando il cosiddetto “avvitamento sul debito”, un circolo vizioso costituito da manovre recessive che deprimono l’economia, obbligando lo stato, per finanziarsi, a vendere sempre più titoli  con interessi sempre maggiori che vanificano le manovre fin lì adottate, in un avvitamento senza fine, o meglio , fino alla bancarotta.

LA SECONDA CONSEGUENZA: LA CRISI DELLE BANCHE
In questo quadro le imprese maggiormente colpite sono le banche: gli investitori non si fidano più delle banche d’oltralpe, figuriamoci di quelle nostrane: è di questi ultimi tempi il fallimento della prima banca italiana. Piovono le vendite sui titoli bancari causando una continua emorragia di liquidità che non solo compromette la possibilità degli istituti di credito di accendere nuovi mutui, ma soprattutto  pone in crisi di liquidità tali istituti, obbligandoli a continui sanguinosi aumenti di capitale che non bastano mai. Anche le banche italiane, al pari delle altre europee, sono costantemente sul filo del rasoio, rischiando tutti i giorni il fallimento. La BCE, un organismo privo di poteri, grazie all’immobilismo tedesco, ha la sola facoltà di spostare il costo del denaro, stabilendo il tasso di interesse. Non può, viceversa, fornire il “quantitative easing”  necessario alle banche per sopravvivere. In questa situazione con la crisi perenne di “funding”, di reperire liquidità sul mercato, le banche non riescono ad attuare l’unica politica che potrebbe risollevarne le sorti, il cosiddetto “deleveraging”. Con le borse in continuo affanno, Piazza Affari è costantemente sotto i 15.000 punti, ha cioè un livello di transazioni e contrattazioni troppo scarso, e le vendite sui titoli bancari sono la regola quotidiana, facendo perdere terreno al valore delle azioni della banche stesse. Quando il valore di una azione ai approssima allo zero o ci si ricapitalizza, o si dichiara bancarotta. Aggiungiamo che entro il 2012 tutte le banche dell’eurozona dovranno rientrare nei ratio di Basilea 3, raggiungere cioè un CoreTier One del 9%, un traguardo impossibile anche per la più virtuosa delle banche europee. L’Euro e l’Unione europea cominciano ad essere vissuti come una inutile e dannosa camicia di forza, impediscono ai singoli di paesi, con esigenze e bisogni diversi, di adottare le politiche monetarie ad essi più convenienti.

L’ESITO PROBABILE: IL BREAK UP DELL’EURO
Se si considera il suicida immobilismo tedesco, che vorrebbe che nulla cambiasse in un mondo in cui tutto muta continuamente, le prospettive non sono rosee. Quella cominciata cinque anni fa non è una crisi economica: si tratta di una contrazione economica, un evento rarissimo che coinvolge tutto il mondo e necessita di diversi decenni per risolversi, e, in ogni caso, alla sua risoluzione nulla è più come prima.  L’Euro si è rivelato, dopo dieci anni, un fallimento sotto ogni aspetto, soprattutto per l’Italia, entratavi nel modo più sfavorevole. Una Banca Centrale Europea priva di poteri, un Euro Parlamento incapace di legiferare, quindi un organo puramente simbolico , un carrozzone costoso zeppo di imboscati di lusso, una Commissione europea anch’essa sostanzialmente priva di poteri, insomma una accozzaglia di istituzioni pletoriche ed inutili, spesso doppioni di se stesse (eurogruppo, ecofin ecc.) continuano a sottrarre inutilmente risorse che potrebbero essere meglio indirizzate. Ad ogni summit, ad ogni vertice che si tiene a Bruxelles o altrove segue il solito monotono comunicato privo di novità tangibili a zeppo solo di vaghe dichiarazioni di intenti. La Germania, che ha già provocato e perduto due guerre mondiali, ha provocato  e si appresta a perdere anche la terza. I conflitti fra stati si sono spostati dalla guerra guerreggiata alla guerra economico finanziaria. L’ossessione tedesca per il rigore e l’austerità ci porterà diritti verso il precipizio. Occorre mettere in campo strumenti come gli eurobond, i project bond, modificare lo statuto della BCE per farla diventare una vera Banca Centrale, dare vita ad una unione fiscale, bancaria e, soprattutto politica. L’Italia stessa, se no si perviene ad una condivisione , la mutualizzazione del debito, si sta già avvitando sulle manovre e finirà certamente strangolata. Ha un bel da fare il premier Monti a definire una banale manovra finanziaria fatta di tagli alla spesa pubblica, segnatamente quella sanitaria, “spending review”, solo un idiota si fa incantare dalle parole freddamente inglesi. Una manovra è una manovra:  si tagliano ulteriori posti di lavoro, non se ne creano. La disoccupazione si incrementa sempre più, le manovre deprimono i consumi interni fino ad arrestarli quasi completamente. E’ lo spettro della deflazione. I produttori non vendono più nulla, siamo alla paralisi, per non chiudere bottega applicano prezzi sottocosto nella speranza che il vento cambi rotta. I prezzi al consumo diminuiscono, ma nel consumatore si ingenera una aspettativa di ulteriori ribassi: si continua a non consumare. La deflazione si impenna. Il fenomeno contrario all’inflazione è l’anticamera della depressione economica (una recessione senza limiti, indefinita nel tempo)che termina nel default. Il fuoco degli speculatori si concentra sulla Spagna, al Consiglio di Europa dello scorso 28 giugno non si è deciso come al solito un bel nulla, Olanda e Finlandia si sono defilate, minacciano l’uscita dall’Euro. Siamo affetti dalla sindrome di Nimby (not in my back yard, non nel mio giardino), e ognuno pensa o si illude di salvare solo se stesso non capendo che in Europa o ci si salva tutti o si sprofonda insieme nel Medioevo. 

EPILOGO
Possiamo galleggiare senza prendere altre decisioni fondamentali per qualche mese, un anno al massimo, poi le tensioni sull’ Euro si faranno così forti da risultare insopportabili. Non dimentichiamo che la BCE non ha poteri di banca centrale e quindi non può correre in soccorso della moneta unica. L’euro continuerà ad indebolirsi rispetto al dollaro, sino ad arrivare alla parità. Dopo il fallimento della Spagna (che è già tecnicamente fallita) toccherà all’Italia, e poi alla Francia, poi al Belgio, poi all’Austria e via dicendo. Si cadrà come tanti birilli, prigionieri, ingessati nella gabbia dell’Euro che essendo una moneta rigida senza una banca centrale alle spalle non va bene più per nessuno. Tranne che per i tedeschi. Le borse continueranno a crollare, giorno dopo giorno, mese dopo mese, bruciando ogni giorno milioni di euro, gli speculatori continueranno a lanciare i loro hedge funds contro questo o quello stato causandone prima o poi la rovina. Dobbiamo comprendere che se le banche di uno stato falliscono anche lo stato che le ospita non può che fare la stessa fine. L’unica cosa da fare, una volta constatato che i tedeschi non intendono cambiare rotta, sarebbe una uscita ordinata e pilotata dall’euro da parte di tutti i paesi dell’eurozona, ma siamo abbastanza certi che non ci intenderemo neppure su di una cosa così elementare. Anche un bambino capirebbe che sarebbe meglio  fare estinguere l’euro  ed uscirne ordinatamente tornando gradualmente alle proprie valute nazionali. Ma questo, sempre grazie ai tedeschi, non si farà, percorreremo la strada fino in fondo, fino alla distruzione. L’euro esploderà, buttando brutalmente fuori tutti i paesi che ne facevano parte. In modo traumatico, senza il tempo per organizzarsi. E’ l’amaro finale di un continente ormai vecchio e stanco, egoista, miope, autolesionista, incapace di adeguarsi al nuovo che arriva, incapace di reagire alla fine del capitalismo, incapace di dar delle regole elementari alla finanza, lasciata ancora oggi libera di fare le proprie scorribande banditesche. La vecchia Europa del valzer è destinata a morire perché incapace di accogliere il nuovo che emerge e adeguarsi ai nuovi asset mondiali. Ma proprio perché incapace di capire e di adeguarsi è probabile che sia la fine che merita, senza attenuanti, senza alibi, con l’aggravante di essersi suicidata con le proprie mani. Una legge dell’economia dettata da J.M. Keynes è che le politiche di rigore di di austerità, le manovre di tagli e imposizioni fiscali vanno attuate nei periodi floridi, intanto perchè fanno mano male e in secondo luogo perché se attuati nei periodi di recessione finiscono con uccidere il malato che si vuole curare.

In che cosa consiste il break up dell’euro? Nella sua deflagrazione, nella sua fine cruenta. La Spagna, un paese già praticamente fallito, con uno spread che arriverà presto a 600 punti (un limite totalmente insopportabile per qualsiasi nazione) continuerà a chiede aiuti ai fondi di stabilità Efsf e ESM. Una volta che sarà terminata la sistematica rovina della Spagna toccherà (e molto presto) all’Italia. Solo che non ci sono soldi per salvare una economia complessa ed articolata come la nostra. Semplicemente questi denari (potrebbero essere 1000, 1500 miliardi i euro) non si trovano da nessuna parte. Spagna e Italia, al pari della Grecia non avrebbero altra strada che uscire dall’euro. Ma un euro senza questi due paesi non può, per ovvie ragioni, continuare ad esistere. Ecco l’esplosione cruenta della moneta unica. Se non fossimo così imbecilli e sprovveduti, ci fermeremmo un momento prima che tutto ciò si possa verificare, e faremmo in modo che l’euro si estinguesse naturalmente, per l’uscita contemporanea di tutti i paesi membri. Invece, mentre la Merkel continua a fare professione di accanito europeismo sostenendo che dobbiamo essere tutti uniti, il suo paese fa esattamente il contrario, in modo di accelerare il processo di esplosione della moneta unica. La previsione, dunque, non è molto difficile. Non appena toccherà a noi (tra qualche mese), sarà la volta anche dell’euro. In quell’occasione tutti i paesi saranno buttati fuori come in una esplosione, ecco perché si parla di break up (collasso) dell’euro. Tutto questo entro il 2012, è questa  la nostra previsione.






giovedì 5 luglio 2012

PERCHE' E' IMPORTANTE LO SPREAD



Ci si domanda spesso, specie il comune cittadino, quale importanza possono rivestire l'andamento delle Borse o il famigerato spread con i titoli di stato tedeschi. Ma soprattutto perchè, da qualche tempo, ci toccano due manovre finanziarie l'anno. (la chiamano “spending review ma è una foglia di fico per celare una pura e semplice manovra finanziaria). Cercherò di spiegarlo chiaramente. Se la Borsa valori di un paese è costantemente al ribasso, o, come quella di piazza Affari, ha un permanente andamento ondivago (è “volatile”, fluttuante, si alza ed abbassa continuamente) è segno che l'economia complessiva del paese è negativa. Se il valore di una azione di una società o una azienda, o una banca quotata in Borsa si approssima allo zero per un elevato numero di vendite, quella società o azienda o banca prima o poi fallirà. La Borsa è un indice impeccabile dell'andamento e dello stato di salute della imprese italiane. Se il titolo di una azienda crolla completamente allora quella stessa azienda sarà obbligata a chiudere i battenti o a delocalizzarsi. Si perderanno ulteriori posti di lavoro, in ogni caso. Per essere in buona salute una borsa valori deve raggiungere un livello di scambi e contrattazioni intorno ai 15.000 punti. La nostra Borsa è costantemente tra i 13.000 e i 14.000. E' il segno della recessione.
Altro discorso concerne lo “spread”. Si prendono a riferimento, come pietra di paragone, gli interessi che vengono pagati dallo stato tedesco, per il semplice fatto che sono prossimi allo zero. Sono quindi i più bassi di tutta Europa. Ora, se il nostro spread (differenziale) tra i titoli tedeschi i nostri BOT si aggira costantemente intorno ai 450 punti, vuol dire che siamo costretti, per trovare acquirenti disposti ad investire nei nostri titoli, a pagare interessi dello 6,50% circa. Appare evidente per chiunque che lo Stato, dovendo pagare cedole così salate, vanifica buona parte delle manovre finanziarie di risparmio di spesa che attiva durante l'anno. E' un circolo vizioso, il cane che si morde la coda. Se lo spread rimane, come accade da molto tempo, inchiodato sui 450 punti, è giocoforza predisporre due manovre finanziarie l'anno, per compensare il fiume di denaro che se ne va in interessi sui titoli di stato. E' altrettanto ovvio per tutti che così non si può andare avanti: è quello che si definisce “avvitamento sulle manovre”. Facciamo i compiti che ci ha imposto la UE e la BCE, abbiamo riformato pensioni e mercato del lavoro, eppure lo spread rimane costantemente alto e ci obbliga continuamente a manovre che hanno un solo effetto depressivo sull'economia. Non se ne esce se andiamo avanti così. La domanda a questo punto è: perchè, nonostante i compiti che abbiamo diligentemente svolto, lo spread rimane costantemente alto? Questo dipende dal grado di fiducia degli investitori, di casa nostra e internazionali. Se un paese esprime credibilità, stabilità, ha degli ottimi fondamentali e si è dotato di una legislazione che consente un futuro senza troppi sobbalzi, questo paese attirerà investimenti e quindi i suoi titoli di stato saranno accettabili anche ad un tasso di interesse inferiore. Ma questo non è il caso dell'Italia. Monti ha fatto quello che ha potuto, non gli si possono imputare grosse colpe se non quella di non aver disposto una patrimoniale sulle rendite finanziarie (ma arriverà anche quella, statene certi), il problema non è lui, ma il sistema paese. Per un investitore esterno, poniamo un imprenditore, l'Italia non è un paese attraente, e questo per diverse ragioni, solo parzialmente imputabili al governo. L'italia è un paese dove intere porzioni di territorio sono nelle mani della criminalità organizzata: non solo, mafia, camorra e 'ndrangheta hanno ramificazioni ovunque, anche nel nord. Un imprenditore non ha molta voglia di trovarsi come interlocutore un esponente di qualche clan locale, è comprensibile. Da un punto di vista puramente imprenditoriale gli italiani appaiono troppo sindacalizzati. Si pensi solo al caso FIOM. Noi sappiamo che non è giusto, d'accordo, ma il punto di vista di chi deve investire dall'estero in Italia e si ritrova dopo una settimana la produzione bloccata e gli operai dietro le barricate, è certamente diverso dal nostro. In Italia esiste una burocrazia, a dispetto delle tanto decantate semplificazioni (l'ex ministro Calderoli aveva simbolicamente bruciato una montagna di leggi e norme ritenute inutili, ma erano solo balle di fieno) rimane pletorica e farraginosa. Lo sa bene chi ha provato a mettere in piedi una attività in proprio. Siamo innamorati delle carte bollate, a dispetto dell'informatizzazione. Queste molestie burocratiche scoraggiano anche gli investitori esterni. Siamo un paese con un livello di lavoro nero spaventosamente enorme, ed una evasione fiscale da capogiro, non solo. Come livello di corruzione siamo secondi solo a Grecia e Bulgaria. Un imprenditore straniero sa già in partenza che con un livello di corruzione dei dirigenti pubblici e politici così alto sarà quasi certamente costretto ad allungare qualche tangente a diversi soggetti. E anche questo non è motivo di particolare attrazione. Se aggiungiamo a tutto questo il fatto che abbiamo un enorme debito pubblico che non sarà mai portato in pareggio (non raccontiamoci balle, per favore, altro che pareggio di bilancio in Costituzione) il quadro è pressocchè completo. Dobbiamo raggiungere, per quanto concerne lo spread, quota 200 punti, altrimenti continueremo ad avvitarci sulle manovre recessive. Monti non ha la bacchetta magica, i motivi di uno spread così elevato che abbiamo appena indicato non dipendono, se non in minima parte, dalla sua azione. Insomma, in definitiva non ci sono vie di uscita: una classe dirigente tecnica o politica non può modificare abitudini così profondamente radicate nella nostra popolazione. Se non si perviene ad una unione bancaria vera, ad un banca centrale che sia paragonabile alla FED americana e, soprattutto, ad una confederazione di stati europei, se cioè, in buona sostanza, non riusciamo a condividere con paesi più virtuosi le nostre lacune, l'Italia, se lasciata a se stessa, nel volgere di qualche mese o, al massimo, anno, è predestinata al default, al fallimento. Ma questa volta non possiamo dare la colpa ai tedeschi cattivi che non ci vogliono aiutare. Guardiamoci bene dentro e cerchiamo di fare un esamino di coscienza. Fa sempre bene.

martedì 3 luglio 2012

LA TRADUZIONE FEDELE DALL'INGLESE DI SPENDING REVIEW: "MANOVRA FINANZIARIA"


Come più volte annunciato, anche dalle pagine di questo blog, ecco pronta la manovra finanziaria balneare. Monti la chiama “spending review” perché l’inglese, soprattutto quello tecnico, non è alla portata del grande pubblico. In effetti, che cosa intende questo governo con il suo linguaggio politicamente corretto, “revisione della spesa”? “controllo della spesa”? Abbiamo una traduzione migliore, non fedelissima al testo inglese, ma fedele a quello che stanno facendo: “manovra finanziaria”. Questa è la parola giusta, anche se impronunciabile. Sembrano solo tagli: ma non è così semplice. Quando si taglia la spesa pubblica non si tratta solo di sottrarre risorse ai soliti statali fannulloni e scioperati, non si tratta solo di risparmiare negli acquisti di beni e servizi. Si tratta dello scadimento e del degrado dei servizi offerti, della debacle dello stato sociale, sempre più scadente quando non assente dalla vita delle persone. I beni e i servizi della Consip, la controllata del Tesoro, sono la schifezza della schifezza della produzione cinese. Se acquisti alla Consip delle cartelline porta documenti, puoi stare certo che ti si squaglierà tra le mani dopo due giorni. I pc venduti dalla Consip assomigliano più a dei macinacaffè che a dispositivi informatici. Se acquisti un ago per suturare le ferite presso la Consip, due su tre arriveranno spuntati, e con quell’ago farai molto male ad un essere umano. Quando si taglia, con l’alibi fasullo ed ipocrita di non imporre nuove tassazioni, si dice una bugia: gli ospedali non potranno più fornire farmaci, se non quelli per le malattie neoplastiche: il paziente ricoverato se le dovrà portare da casa. Le operazioni chirurgiche giudicate non salva vita saranno a pagamento. Quando si taglia si ricorre al meccanismo delle imposte indirette: il cittadino, per compensare quello che i servizi sociali non erogano più dovrà mettere del suo, cavare denaro dal portafogli. Con questa manovra finanziaria, il suo vero nome, (altro che “spending review” dei miei stivali) si fa un ulteriore passo verso la fine del welfare. E tutto perché questo governo di professori e banchieri non si decide a prendere i soldi semplicemente dove stanno: nelle rendite finanziare. Non si vuole ostinatamente fare la patrimoniale sulle rendite, su capitali egoisti e improduttivi. Bene, però, per favore, siccome siete professori, e avete il dono della conoscenza, non crediate di avere a che fare con una scolaresca composta per la massima parte di somari: una manovra finanziaria è una manovra finanziaria, la potete definire in inglese come in congolese, la sostanza, cari docenti, non cambia.
Di seguito un riassunto molto edulcorato (tratto dal sole 24 ore) della manovra. Troverete i provvedimenti nudi e crudi, senza le ricadute sociali inevitabili.
Sei interventi di razionalizzazione della spesa per ottenere le risorse (più di 4,2 miliardi) necessarie a scongiurare l'aumento dell'Iva in autunno. È questo il piano che il presidente del Consiglio Mario Monti ha illustrato oggi a enti locali e parti sociali. L'operazione spending review, ha spiegato Monti, sarà divisa in tre fasi. La prima avviata la scorsa settimana con i tagli alla presidenza del Consiglio e al Tesoro, la seconda con un decreto legge già probabilmente venerdì, la terza con un nuovo decreto per la riorganizzazione delle amministrazioni periferiche. Qui di seguito i settori sotto la lente e gli interventi previsti:
1) Acquisti di beni e servizi da parte della Pa
Per la messa a punto della spending review sono stati analizzati 60 miliardi di spesa per beni e servizi. Su questa spesa il risparmio possibile si aggirerebbe tra il 20 e il 60 per cento
2) Sanità
L'obiettivo è risparmiare 1,08 miliardi quest'anno. In particolare, il Governo prevede di ottenere 600 milioni dalla riorganizzazione dell'acquisto di beni e servizi, 350 dovrebbero arrivare dagli sconti a farmacisti e industrie farmaceutiche e 135 milioni scaturirebbero dal contenimento delle spese per cure specialistiche e case di cura
3) Pubblico impiego
Il piano di spending review del Governo Monti prevede un taglio del 20% degli organici dei dirigenti e del 10% di quelli dei dipendenti della Pubblica ammnistrazione. Viene presa in considerazione anche una stretta del 20% sulle consulenze. La riduzione degli organici del pubblico impiego avverrà dopo la verifica delle piante organiche: solo dopo sarà possibile selezionare e modulare l'intervento di riduzione attraverso la mobilità di due anni.
4) Province
L'operazione di razionalizzazione della spesa pubblica dovrebbe contemplare anche la riduzione delle Province: quelle tagliate sarebbero 42 su 107. C'è però un'ipotesi B: cancellazione di una sessantina di Province, con le dieci città metropolitane che - in questa opzione - verrebbero inglobate dalle Regioni a statuto speciale
5) Società per azioni pubbliche
Sotto la lente della spending review dovrebbero rientrare anche le società di cui lo Stato detiene l'intero capitale. Il piano prevede la riduzione a tre membri per i consigli di amministrazione delle società non quotate. È previsto il taglio di circa il 30% delle poltrone
6) Auto blu
La stretta dovrebbe riguardare anche le auto blu, già sotto il monitoraggio del ministero della Funzione pubblica: dvrebbe arrivare un'ulteriore riduzione del 20%: Per i prossimi tre anni scatterebbe il blocco degli affitti pagati dagli uffici pubblici
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