Con questa breve sintesi della
storia della crisi economica mondiale del 2007/08 non si intende, ovviamente
essere esaustivi in così poco spazio: si potrebbero a ragione scrivere tomi di
qualche migliaio di pagine sulle ragioni profonde di quella che più
propriamente è una “contrazione” economica mondiale, un “cigno nero” che affonda
le sue radici a partire dagli anni ottanta, e perdurerà, purtroppo, per almeno
qualche decennio. Si tratta di un semplice strumento di consultazione, esposto
in modo piano e semplificato, per tentare un approccio ad un argomento non
facile per chi non possiede solide basi di scienza delle finanze e di economia
politica.
GLI INIZI: LA CRISI AMERICANA DEI
MUTUI SUBPRIME (2004-2007)
Negli Stati Uniti la bolla
immobiliare, conseguenza di un boom edilizio incontrollato e di una iniziale
caduta dei prezzi, cominciò a prendere forma negli anni novanta. A partire dal
2004 poi, le banche americane, a caccia di facili guadagni, iniziarono a
concedere mutui per l’acquisto di una casa a famiglie non in grado di sostenere
l’intero ammontare del prestito.
Famiglie soprattutto di immigrati messicani furono attirate dai tassi agevolati
per i primi anni, altissimi per gli anni seguenti. Quando i nodi arrivarono al
pettine, e i debiti cominciarono a non essere onorati, le banche, nel quadro di
una finanza cosiddetta “creativa”, completamente svincolata dall’economia
reale, e priva di un qualsiasi tipo di regolamentazione, sotto l’occhio vigile
e passivo dei repubblicani, cominciarono l’opera di cessioni del debito a
terzi, costituendo dei “pacchetti” che
col passare del tempo e con l’aiuto della fantasia creativa della finanza
d’assalto, presero la forma di “derivati”, “cartolarizzazioni”, hedge funds
ecc. tutti prodotti subordinati e strutturati costruiti come scatole cinesi,
elaborati in modo da far restare l’ultimo creditore, l’ultimo anello della
catena col cerino in mano. I debiti a difficile o impossibile esigibilità
diventano così prodotti finanziari che inondano il mondo intero, si annidano
nei caveau delle grandi banche di affari e delle piccole banche locali,
prendono forma delle vere e proprie “catene di S.Antonio” che rimandano sempre
ad un creditore futuro, pur non essendo altro che carta, volgari pezzi di carta
senza alcun valore. A tutt’oggi è impossibile calcolare esattamente quanti
prodotti del genere siano in circolazione e quanti, soprattutto, siano detenuti
dagli stati sovrani e dai loro enti locali. La “bolla dei derivati” non è
ancora completamente esplosa, e anche questa è una spada di Damocle che pende
sul capo di tutti i paesi del mondo.
LE PRIME CONSEGUENZE: IL
FALLIMENTO DELLA LEHMAN BROTHERS
La prima conseguenza dei mutui
concessi “sottocosto” (subprime) è rappresentata dalla crisi di liquidità di
alcune grandi banche americane, che provocano un credit crunch sia delle
transazioni interbancarie che nella cessioni di prestiti a privati ed imprese.
La presenza elevata di prodotti “tossici” difficilmente quantificabili ed
identificabili fanno crollare nelle Borse valori mondiali i titoli di alcune di
queste banche, prima fra tutte la ben nota “Lehman brother”, le prima banca
americana salvata dallo stato dalla bancarotta sicura. Sarà la prima di una
lunga serie. L’utilizzo disinvolto della leva finanziaria (compiere operazioni
ed attività troppo al di sopra della propria reale patrimonializzazione) ha
mandato a gambe al’aria alcuni gruppi bancari d’oltreoceano, dando vita alla
prima forma di contagio al continente europeo.
IL CONTAGIO ALL’EUROPA: LA CRISI
DEI DEBITI SOVRANI
Dalle banche la crisi si sposta
ai debiti pubblici dei singoli stati. Qui occorre fare un passo indietro. Per
finanziarsi, per finanziare le opere pubbliche, il welfare, lo stato sociale e
i suoi servizi, uno stato ha bisogno di denaro prestato da risparmiatori e
investitori, denaro sul quale deve pagare interessi relativamente bassi se
viene considerato un paese affidabile, più elevati se il suo modo di gestire la
finanza pubblica è più spregiudicato. Nel 2001 l’avvento della moneta unica
nell’eurozona nasce con un grave peccato originale: si è partiti dalle fine. Il
processo, lo comprendono tutti, doveva essere diametralmente opposto. Si fonda
una unione fiscale, bancaria, politica, costruendo una confederazione di stati
sul modello americano, e alla fine di questo lungo e complesso processo ci si
dota di una moneta unica. L’Europa, viceversa, è consapevole dell’impossibilità
di dare vita ad una unione politica, per il semplice fatto che i paesi membri
(Francia, Regno Unito, Germania, Spagna ecc.) hanno delle spiccate identità
nazionali difficilmente coniugabili con la costituzione di una confederazione
di stati che implica una cessione di sovranità ad uno stato federale. Partendo
dalla sola moneta, si dava vita ad un gigante dai piedi d’argilla, ad un
palazzo senza fondamenta, ad una cattedrale di sabbia. Ogni stato membro
dell’eurozona pensa tranquillamente ai fatti suoi, fregandosene allegramente
del proprio vicino, guardato sempre con sospetto e con diffidenza. Su queste basi
si sono elaborati i trattati prima di Maastricht, poi, soprattutto, di Basilea
prima II e poi III, contenenti i parametri entro i quali devono stare il debito pubblico degli
stati e il livello di patrimonializzazione dei gruppi bancari facenti parte dell’unione.
Il contagio all’inizio, siamo nel 2007, è arrivato dalle prime banche americane
fallite, e poi, per un complesso meccanismo, si è allargato ai debiti pubblici
dei singoli stati. Questo è accaduto per il semplice fatto che la speculazione
internazionale ha capito che poteva colpire paesi potenzialmente deboli con le
armi della pirateria finanziaria, in un quadro di deregulation assoluta. Un
gruppo di milionari americani di origine ebraica ha utilizzato tutti i mezzi
già menzionati (fondi hedge, cartolazizzazioni, derivati, Credit Default Swap
ecc.) per poter colpire, spostando semplicemente della carta, delle nazioni
intere e farle entrare in crisi di liquidità. I debiti pubblici sono sempre
esistiti, il Giappone ha tuttora un rapporto debito pubblico/PIL molto più elevato dell’Italia, ma non hanno
mai costituito un particolare problema. Lo sono diventato quando la
speculazione che citavamo si è concentrata con un fuoco di fila sui paesi dal
debito più elevato, quindi più vulnerabili. I milionari americani di cui
parlavamo, gli stessi che stanno dietro le agenzie di rating (per questo tali
agenzie andrebbero fermate e cancellate, per lo smisurato conflitto di
interesse che vivono)hanno tartassato paesi come la Grecia, che aveva truccato
i propri bilanci per entrare nell’euro, e il default del paese ellenico ha stabilito un contagio con i
paesi più esposti dell’eurozona: prima Irlanda, poi Portogallo, poi la Spagna.
LA MANCATA RISPOSTA DELLA UE E
DELLA BCE
L’attacco sferrato dalla
speculazione internazionale attraverso le vendite allo scoperto (le short
selling), - in pratica vendere ciò che ancora non si possiede per poi
ricomprare quando il prezzo è sceso vertiginosamente lucrando sulla plusvalenza
che si è creata, - attacco portato agli stati periferici dell’euro non ha
trovato alcuna risposta efficace da parte delle istituzioni europee. Si può
anzi dire che l’Unione Europea, la BCE e il Fondo Monetario Internazionale,
volutamente o meno, abbiano agevolato il degradarsi della situazione, con un
immobilismo che si è rivelato fatale per la sopravvivenza dell’euro in quanto moneta e dell’eurozona come entità
geopolitica. La BCE non è una Banca Centrale, come la FED americana o Banca di
Inghilterra. Queste banche hanno diverse possibilità: possono anzitutto stabilire
la politica monetaria più favorevole al paese che le ospita, possono stampare
moneta ed iniettare liquidità nel mercato, possono, e questo aspetto è
fondamentale, costituirsi quale prestatore di ultima istanza. Questo vuol dire
che si fanno garanti di ultimo livello
relativamente al denaro prestato agli investitori attraverso i titoli di stato.
Le uniche azioni che l’ottusità della Germania, il paese che ha maggiormente
lucrato sull’euro, con una conversione del marco alla pari nel 2002, e con un
livello di esportazioni altissimo all’interno dell’area dell’euro, sono state
improntate al solo rigore e alla sola austerità. Hanno imposto alla Grecia una
cura da cavallo che ha ammazzato il paziente (la Grecia attuale è divenuta un
paese paragonabile al terzo mondo), hanno imposto il pareggio di bilancio da
inserire in Costituzione , una condizione capestro per un paese come l’Italia
che ha un debito elevatissimo, hanno varato un fiscal compact, una politica di
bilancio comune a tutti i paesi che ha come conseguenza una serie di manovre
finanziarie depressive che hanno e stanno strangolando paesi come Spagna e Italia. Hanno solo consentito
alla BCE di Mario Draghi due elargizioni di contante (le cosiddette LTRO 1 e 2
) al tasso simbolico del’1% ai gruppi bancari europei, che, pur acquisendo
denaro ad un tasso bassissimo hanno preferito non far circolare tale denaro
depositandolo presso la BCE stessa, non scambiandolo fra di loro, e continuando
a percorrere la strada della stretta creditizia verso privati ed imprese. Per
tornare alla crisi dei debiti sovrani, gli stati meno “virtuosi” per rientrare
nei parametri del fiscal compact sono costretti a vendere titoli di stato
applicando interessi elevatissimi, e proprio per questo si trovano nell’obbligo
di varare almeno un paio di manovre finanziarie l’anno, creando il cosiddetto
“avvitamento sul debito”, un circolo vizioso costituito da manovre recessive
che deprimono l’economia, obbligando lo stato, per finanziarsi, a vendere
sempre più titoli con interessi sempre
maggiori che vanificano le manovre fin lì adottate, in un avvitamento senza
fine, o meglio , fino alla bancarotta.
LA SECONDA CONSEGUENZA: LA CRISI
DELLE BANCHE
In questo quadro le imprese
maggiormente colpite sono le banche: gli investitori non si fidano più delle
banche d’oltralpe, figuriamoci di quelle nostrane: è di questi ultimi tempi il
fallimento della prima banca italiana. Piovono le vendite sui titoli bancari
causando una continua emorragia di liquidità che non solo compromette la possibilità
degli istituti di credito di accendere nuovi mutui, ma soprattutto pone in crisi di liquidità tali istituti,
obbligandoli a continui sanguinosi aumenti di capitale che non bastano mai.
Anche le banche italiane, al pari delle altre europee, sono costantemente sul
filo del rasoio, rischiando tutti i giorni il fallimento. La BCE, un organismo
privo di poteri, grazie all’immobilismo tedesco, ha la sola facoltà di spostare
il costo del denaro, stabilendo il tasso di interesse. Non può, viceversa,
fornire il “quantitative easing” necessario alle banche per sopravvivere. In
questa situazione con la crisi perenne di “funding”, di reperire liquidità sul
mercato, le banche non riescono ad attuare l’unica politica che potrebbe
risollevarne le sorti, il cosiddetto “deleveraging”. Con le borse in continuo
affanno, Piazza Affari è costantemente sotto i 15.000 punti, ha cioè un livello
di transazioni e contrattazioni troppo scarso, e le vendite sui titoli bancari
sono la regola quotidiana, facendo perdere terreno al valore delle azioni della
banche stesse. Quando il valore di una azione ai approssima allo zero o ci si
ricapitalizza, o si dichiara bancarotta. Aggiungiamo che entro il 2012 tutte le
banche dell’eurozona dovranno rientrare nei ratio di Basilea 3, raggiungere
cioè un CoreTier One del 9%, un traguardo impossibile anche per la più virtuosa
delle banche europee. L’Euro e l’Unione europea cominciano ad essere vissuti come
una inutile e dannosa camicia di forza, impediscono ai singoli di paesi, con
esigenze e bisogni diversi, di adottare le politiche monetarie ad essi più
convenienti.
L’ESITO PROBABILE: IL BREAK UP
DELL’EURO
Se si considera il suicida
immobilismo tedesco, che vorrebbe che nulla cambiasse in un mondo in cui tutto
muta continuamente, le prospettive non sono rosee. Quella cominciata cinque
anni fa non è una crisi economica: si tratta di una contrazione economica, un
evento rarissimo che coinvolge tutto il mondo e necessita di diversi decenni
per risolversi, e, in ogni caso, alla sua risoluzione nulla è più come
prima. L’Euro si è rivelato, dopo dieci
anni, un fallimento sotto ogni aspetto, soprattutto per l’Italia, entratavi nel
modo più sfavorevole. Una Banca Centrale Europea priva di poteri, un Euro Parlamento
incapace di legiferare, quindi un organo puramente simbolico , un carrozzone
costoso zeppo di imboscati di lusso, una Commissione europea anch’essa
sostanzialmente priva di poteri, insomma una accozzaglia di istituzioni
pletoriche ed inutili, spesso doppioni di se stesse (eurogruppo, ecofin ecc.)
continuano a sottrarre inutilmente risorse che potrebbero essere meglio
indirizzate. Ad ogni summit, ad ogni vertice che si tiene a Bruxelles o altrove
segue il solito monotono comunicato privo di novità tangibili a zeppo solo di
vaghe dichiarazioni di intenti. La Germania, che ha già provocato e perduto due
guerre mondiali, ha provocato e si appresta
a perdere anche la terza. I conflitti fra stati si sono spostati dalla guerra
guerreggiata alla guerra economico finanziaria. L’ossessione tedesca per il
rigore e l’austerità ci porterà diritti verso il precipizio. Occorre mettere in
campo strumenti come gli eurobond, i project bond, modificare lo statuto della
BCE per farla diventare una vera Banca Centrale, dare vita ad una unione
fiscale, bancaria e, soprattutto politica. L’Italia stessa, se no si perviene
ad una condivisione , la mutualizzazione del debito, si sta già avvitando sulle
manovre e finirà certamente strangolata. Ha un bel da fare il premier Monti a
definire una banale manovra finanziaria fatta di tagli alla spesa pubblica,
segnatamente quella sanitaria, “spending review”, solo un idiota si fa
incantare dalle parole freddamente inglesi. Una manovra è una manovra: si tagliano ulteriori posti di lavoro, non se
ne creano. La disoccupazione si incrementa sempre più, le manovre deprimono i
consumi interni fino ad arrestarli quasi completamente. E’ lo spettro della
deflazione. I produttori non vendono più nulla, siamo alla paralisi, per non
chiudere bottega applicano prezzi sottocosto nella speranza che il vento cambi
rotta. I prezzi al consumo diminuiscono, ma nel consumatore si ingenera una
aspettativa di ulteriori ribassi: si continua a non consumare. La deflazione si
impenna. Il fenomeno contrario all’inflazione è l’anticamera della depressione economica
(una recessione senza limiti, indefinita nel tempo)che termina nel default. Il
fuoco degli speculatori si concentra sulla Spagna, al Consiglio di Europa dello
scorso 28 giugno non si è deciso come al solito un bel nulla, Olanda e Finlandia
si sono defilate, minacciano l’uscita dall’Euro. Siamo affetti dalla sindrome
di Nimby (not in my back yard, non nel mio giardino), e ognuno pensa o si
illude di salvare solo se stesso non capendo che in Europa o ci si salva tutti
o si sprofonda insieme nel Medioevo.
EPILOGO
Possiamo galleggiare senza
prendere altre decisioni fondamentali per qualche mese, un anno al massimo, poi
le tensioni sull’ Euro si faranno così forti da risultare insopportabili. Non
dimentichiamo che la BCE non ha poteri di banca centrale e quindi non può
correre in soccorso della moneta unica. L’euro continuerà ad indebolirsi
rispetto al dollaro, sino ad arrivare alla parità. Dopo il fallimento della Spagna
(che è già tecnicamente fallita) toccherà all’Italia, e poi alla Francia, poi
al Belgio, poi all’Austria e via dicendo. Si cadrà come tanti birilli,
prigionieri, ingessati nella gabbia dell’Euro che essendo una moneta rigida
senza una banca centrale alle spalle non va bene più per nessuno. Tranne che
per i tedeschi. Le borse continueranno a crollare, giorno dopo giorno, mese
dopo mese, bruciando ogni giorno milioni di euro, gli speculatori continueranno
a lanciare i loro hedge funds contro questo o quello stato causandone prima o
poi la rovina. Dobbiamo comprendere che se le banche di uno stato falliscono
anche lo stato che le ospita non può che fare la stessa fine. L’unica cosa da
fare, una volta constatato che i tedeschi non intendono cambiare rotta, sarebbe
una uscita ordinata e pilotata dall’euro da parte di tutti i paesi dell’eurozona,
ma siamo abbastanza certi che non ci intenderemo neppure su di una cosa così
elementare. Anche un bambino capirebbe che sarebbe meglio fare estinguere l’euro ed uscirne ordinatamente tornando
gradualmente alle proprie valute nazionali. Ma questo, sempre grazie ai
tedeschi, non si farà, percorreremo la strada fino in fondo, fino alla
distruzione. L’euro esploderà, buttando brutalmente fuori tutti i paesi che ne
facevano parte. In modo traumatico, senza il tempo per organizzarsi. E’ l’amaro
finale di un continente ormai vecchio e stanco, egoista, miope, autolesionista,
incapace di adeguarsi al nuovo che arriva, incapace di reagire alla fine del
capitalismo, incapace di dar delle regole elementari alla finanza, lasciata
ancora oggi libera di fare le proprie scorribande banditesche. La vecchia
Europa del valzer è destinata a morire perché incapace di accogliere il nuovo
che emerge e adeguarsi ai nuovi asset mondiali. Ma proprio perché incapace di
capire e di adeguarsi è probabile che sia la fine che merita, senza attenuanti,
senza alibi, con l’aggravante di essersi suicidata con le proprie mani. Una
legge dell’economia dettata da J.M. Keynes è che le politiche di rigore di di
austerità, le manovre di tagli e imposizioni fiscali vanno attuate nei periodi
floridi, intanto perchè fanno mano male e in secondo luogo perché se attuati
nei periodi di recessione finiscono con uccidere il malato che si vuole curare.
In che cosa consiste il break up
dell’euro? Nella sua deflagrazione, nella sua fine cruenta. La Spagna, un paese
già praticamente fallito, con uno spread che arriverà presto a 600 punti (un
limite totalmente insopportabile per qualsiasi nazione) continuerà a chiede
aiuti ai fondi di stabilità Efsf e ESM. Una volta che sarà terminata la
sistematica rovina della Spagna toccherà (e molto presto) all’Italia. Solo che
non ci sono soldi per salvare una economia complessa ed articolata come la
nostra. Semplicemente questi denari (potrebbero essere 1000, 1500 miliardi i
euro) non si trovano da nessuna parte. Spagna e Italia, al pari della Grecia
non avrebbero altra strada che uscire dall’euro. Ma un euro senza questi due
paesi non può, per ovvie ragioni, continuare ad esistere. Ecco l’esplosione
cruenta della moneta unica. Se non fossimo così imbecilli e sprovveduti, ci
fermeremmo un momento prima che tutto ciò si possa verificare, e faremmo in
modo che l’euro si estinguesse naturalmente, per l’uscita contemporanea di
tutti i paesi membri. Invece, mentre la Merkel continua a fare professione di
accanito europeismo sostenendo che dobbiamo essere tutti uniti, il suo paese fa
esattamente il contrario, in modo di accelerare il processo di esplosione della
moneta unica. La previsione, dunque, non è molto difficile. Non appena toccherà
a noi (tra qualche mese), sarà la volta anche dell’euro. In quell’occasione
tutti i paesi saranno buttati fuori come in una esplosione, ecco perché si
parla di break up (collasso) dell’euro. Tutto questo entro il 2012, è questa la nostra previsione.