Con il progredire della
situazione di crisi (sono passati ormai 4 – 5 anni!) si degrada
sempre di più la condizione umana, spirituale e psicologica di
ognuno di noi, con la sola eccezione delle persone talmente ricche da
non essere neppure sfiorate dal più piccolo turbamento. Non è solo
un disagio psichico, è anche, quando va bene, un disagio che
presenta un preciso riflesso lavorativo. Quelli che “vanno” sono
in una situazione penosa e colma di angoscia; quelli che “restano”
sono costretti a lavorare in condizioni logoranti e stressanti.
Questo vale anche, udite udite, per il personale statale: con gli
stipendi inchiodati al 2009, a ranghi sempre più ridotti, falcidiati
dalla spending review all'italiana, chiamati a svolgere compiti
sempre più gravosi, complessi e numerosi. Nonostante la
“semplificazione” attuata da quel balordo di Calderoli, che non
ha semplificato nulla, (ha semmai contribuito a rendere ancora più
invivibile la burocrazia delle P.A.), il dipendente pubblico, a
fronte di uno stipendiuccio da soglia di povertà, è continuamente
molestato burocraticamente da chichessia: qualsiasi dirigente di un
ente pubblico (Aziende Sanitarie, enti locali, questure, prefetture,
tribunali, ecc) si svegli la mattina con il desiderio incontrollabile
di richiedere delle rilevazioni di dati, dei monitoraggi, delle
statistiche, non fa altro che inviare una mail al dirigente del
settore che vuole colpire e comincia così una sequela di scadenze da
rispettare, di incombenze da espletare, di pratiche da disbrigare. La
burocrazia italiana non ha eguali nel mondo, come la pressione
fiscale. Quelli che l'agenzia di stampa “Ansa” continua a
definire con disprezzo “travet”, (ma esistono anche i travet
dell'informazione, sono i giornalisti dell'Ansa, appunto) sono
diventati degli animali da soma, da caricare di incombenze come
asini, facendo così accrescere a dismisura il senso di frustrazione,
di decadimento, di inutilità. Negli ambienti di lavoro si instaurano
climi ed atmosfere che si tagliano con il coltello, viene fuori il
peggio di noi tutti, il nervosismo, la conflittualità, il senso di
angoscia quando suona la sveglia, ti devi alzare e ti rechi al posto
di lavoro con un senso di nausea. Si dirà: ma loro sono fortunati,
un posto di lavoro lo hanno mantenuto. E' vero, ma a che prezzo? C'è
un prezzo per tutto nel mondo della crisi permanente: quello degli
statali è di essere vessati e dileggiati dai propri dirigenti perchè
devono ringraziare il cielo di lavorare ancora, devono mostrare
gratitudine ai propri superiori, quasi fossero mantenuti in servizio
per pura pietà o compassione. Si tratta, viceversa, in massima
parte, di persone che lavorano come matti, per colmare le vistose
lacune di organici che sono diventati delle gruviere, incalzati
continuamente a sbrigare pratiche il più delle volte perfettamente
inutili, richieste loro da qualche sadico e nullafacente boiardo di
stato, che giustifica così la propria posizione di imboscato e la
propria rendita di posizione. Guadagnano in media 1.200 euro al mese,
se la famiglia è monoreddito sono semplicemente poveri. Uno stato
degno di questo nome sa incentivare il proprio personale, ne
valorizza le competenze, non lo tormenta con pratiche farraginose,
inutili e borboniche. E così si fa strada, in considerazione che
quando la riforma delle pensioni sarà a regime il collocamento a
riposo arriverà a 70 anni, si fa strada sempre più il desiderio di
abbandonare un posto di lavoro ormai solo detestato, l'idea, arrivati
ad una certa età, alle soglie della vecchiaia, di fare finalmente
quello che ci aggrada, che ci piace e soddisfa veramente, prima che
sia troppo tardi. Chi ha la possibilità economica per farlo, magari
predisponendosi a condurre una vita oculata se non proprio
morigerata, chiede una aspettativa senza assegni per un anno, e poi,
se le cose non precipitano, presenta le proprie dimissioni
volontarie. Un ultracinquantenne potrebbe vivere un mese come
venticinque anni, se ha da parte qualcosa e non deve affrontare o
lasciare grandi somme a qualcuno, considera sempre più con favore
l'ipotesi di una uscita di scena, anche per non correre il rischio di
diventare il più ricco del camposanto. E' triste arrivare a queste
conclusioni, vuol dire che si è definitivamente spezzato il rapporto
con lo Stato che da interlocutore è diventato un nemico contro il
quale combattere una quotidiana battaglia: siamo taglieggiati dal
record mondiale della pressione fiscale, il 55%, siamo perseguitati
per ogni singolo atto della nostra esistenza da una serie di molestie
burocratiche. E' legittimo, dunque, che in un clima di questo tipo in
più di un dipendente si generi il desiderio di andarsene senza
attendere i 70 anni, per liberarsi da un giogo sempre più pesante e
per cercare di fare cose ben più utili che compilare tabelle di
excel. L'INPS non ha ancora fatto una stima di questa nuova categoria
di soggetti, che d'altronde si presume possano ammontare a poche
centinaia, sono i cosiddetti “esodati volontari”, persone che non
percepiscono stipendio né pensione “volontariamente”. Non
saranno molti, ma a coloro che hanno la possibilità ed il coraggio
di compiere una scelta così difficile e radicale, non possiamo che
esprimere tutta la nostra ammirazione e che augurare loro la migliore
delle fortune.