giovedì 19 luglio 2012

QUANTI SONO GLI "ESODATI VOLONTARI"?


Con il progredire della situazione di crisi (sono passati ormai 4 – 5 anni!) si degrada sempre di più la condizione umana, spirituale e psicologica di ognuno di noi, con la sola eccezione delle persone talmente ricche da non essere neppure sfiorate dal più piccolo turbamento. Non è solo un disagio psichico, è anche, quando va bene, un disagio che presenta un preciso riflesso lavorativo. Quelli che “vanno” sono in una situazione penosa e colma di angoscia; quelli che “restano” sono costretti a lavorare in condizioni logoranti e stressanti. Questo vale anche, udite udite, per il personale statale: con gli stipendi inchiodati al 2009, a ranghi sempre più ridotti, falcidiati dalla spending review all'italiana, chiamati a svolgere compiti sempre più gravosi, complessi e numerosi. Nonostante la “semplificazione” attuata da quel balordo di Calderoli, che non ha semplificato nulla, (ha semmai contribuito a rendere ancora più invivibile la burocrazia delle P.A.), il dipendente pubblico, a fronte di uno stipendiuccio da soglia di povertà, è continuamente molestato burocraticamente da chichessia: qualsiasi dirigente di un ente pubblico (Aziende Sanitarie, enti locali, questure, prefetture, tribunali, ecc) si svegli la mattina con il desiderio incontrollabile di richiedere delle rilevazioni di dati, dei monitoraggi, delle statistiche, non fa altro che inviare una mail al dirigente del settore che vuole colpire e comincia così una sequela di scadenze da rispettare, di incombenze da espletare, di pratiche da disbrigare. La burocrazia italiana non ha eguali nel mondo, come la pressione fiscale. Quelli che l'agenzia di stampa “Ansa” continua a definire con disprezzo “travet”, (ma esistono anche i travet dell'informazione, sono i giornalisti dell'Ansa, appunto) sono diventati degli animali da soma, da caricare di incombenze come asini, facendo così accrescere a dismisura il senso di frustrazione, di decadimento, di inutilità. Negli ambienti di lavoro si instaurano climi ed atmosfere che si tagliano con il coltello, viene fuori il peggio di noi tutti, il nervosismo, la conflittualità, il senso di angoscia quando suona la sveglia, ti devi alzare e ti rechi al posto di lavoro con un senso di nausea. Si dirà: ma loro sono fortunati, un posto di lavoro lo hanno mantenuto. E' vero, ma a che prezzo? C'è un prezzo per tutto nel mondo della crisi permanente: quello degli statali è di essere vessati e dileggiati dai propri dirigenti perchè devono ringraziare il cielo di lavorare ancora, devono mostrare gratitudine ai propri superiori, quasi fossero mantenuti in servizio per pura pietà o compassione. Si tratta, viceversa, in massima parte, di persone che lavorano come matti, per colmare le vistose lacune di organici che sono diventati delle gruviere, incalzati continuamente a sbrigare pratiche il più delle volte perfettamente inutili, richieste loro da qualche sadico e nullafacente boiardo di stato, che giustifica così la propria posizione di imboscato e la propria rendita di posizione. Guadagnano in media 1.200 euro al mese, se la famiglia è monoreddito sono semplicemente poveri. Uno stato degno di questo nome sa incentivare il proprio personale, ne valorizza le competenze, non lo tormenta con pratiche farraginose, inutili e borboniche. E così si fa strada, in considerazione che quando la riforma delle pensioni sarà a regime il collocamento a riposo arriverà a 70 anni, si fa strada sempre più il desiderio di abbandonare un posto di lavoro ormai solo detestato, l'idea, arrivati ad una certa età, alle soglie della vecchiaia, di fare finalmente quello che ci aggrada, che ci piace e soddisfa veramente, prima che sia troppo tardi. Chi ha la possibilità economica per farlo, magari predisponendosi a condurre una vita oculata se non proprio morigerata, chiede una aspettativa senza assegni per un anno, e poi, se le cose non precipitano, presenta le proprie dimissioni volontarie. Un ultracinquantenne potrebbe vivere un mese come venticinque anni, se ha da parte qualcosa e non deve affrontare o lasciare grandi somme a qualcuno, considera sempre più con favore l'ipotesi di una uscita di scena, anche per non correre il rischio di diventare il più ricco del camposanto. E' triste arrivare a queste conclusioni, vuol dire che si è definitivamente spezzato il rapporto con lo Stato che da interlocutore è diventato un nemico contro il quale combattere una quotidiana battaglia: siamo taglieggiati dal record mondiale della pressione fiscale, il 55%, siamo perseguitati per ogni singolo atto della nostra esistenza da una serie di molestie burocratiche. E' legittimo, dunque, che in un clima di questo tipo in più di un dipendente si generi il desiderio di andarsene senza attendere i 70 anni, per liberarsi da un giogo sempre più pesante e per cercare di fare cose ben più utili che compilare tabelle di excel. L'INPS non ha ancora fatto una stima di questa nuova categoria di soggetti, che d'altronde si presume possano ammontare a poche centinaia, sono i cosiddetti “esodati volontari”, persone che non percepiscono stipendio né pensione “volontariamente”. Non saranno molti, ma a coloro che hanno la possibilità ed il coraggio di compiere una scelta così difficile e radicale, non possiamo che esprimere tutta la nostra ammirazione e che augurare loro la migliore delle fortune.