sabato 7 luglio 2012

BREVE SINTESI DI STORIA DELLA CRISI


Con questa breve sintesi della storia della crisi economica mondiale del 2007/08 non si intende, ovviamente essere esaustivi in così poco spazio: si potrebbero a ragione scrivere tomi di qualche migliaio di pagine sulle ragioni profonde di quella che più propriamente è una “contrazione” economica mondiale, un “cigno nero” che affonda le sue radici a partire dagli anni ottanta, e perdurerà, purtroppo, per almeno qualche decennio. Si tratta di un semplice strumento di consultazione, esposto in modo piano e semplificato, per tentare un approccio ad un argomento non facile per chi non possiede solide basi di scienza delle finanze e di economia politica. 

GLI INIZI: LA CRISI AMERICANA DEI MUTUI SUBPRIME (2004-2007)
Negli Stati Uniti la bolla immobiliare, conseguenza di un boom edilizio incontrollato e di una iniziale caduta dei prezzi, cominciò a prendere forma negli anni novanta. A partire dal 2004 poi, le banche americane, a caccia di facili guadagni, iniziarono a concedere mutui per l’acquisto di una casa a famiglie non in grado di sostenere l’intero ammontare del  prestito. Famiglie soprattutto di immigrati messicani furono attirate dai tassi agevolati per i primi anni, altissimi per gli anni seguenti. Quando i nodi arrivarono al pettine, e i debiti cominciarono a non essere onorati, le banche, nel quadro di una finanza cosiddetta “creativa”, completamente svincolata dall’economia reale, e priva di un qualsiasi tipo di regolamentazione, sotto l’occhio vigile e passivo dei repubblicani, cominciarono l’opera di cessioni del debito a terzi, costituendo dei “pacchetti”  che col passare del tempo e con l’aiuto della fantasia creativa della finanza d’assalto, presero la forma di “derivati”, “cartolarizzazioni”, hedge funds ecc. tutti prodotti subordinati e strutturati costruiti come scatole cinesi, elaborati in modo da far restare l’ultimo creditore, l’ultimo anello della catena col cerino in mano. I debiti a difficile o impossibile esigibilità diventano così prodotti finanziari che inondano il mondo intero, si annidano nei caveau delle grandi banche di affari e delle piccole banche locali, prendono forma delle vere e proprie “catene di S.Antonio” che rimandano sempre ad un creditore futuro, pur non essendo altro che carta, volgari pezzi di carta senza alcun valore. A tutt’oggi è impossibile calcolare esattamente quanti prodotti del genere siano in circolazione e quanti, soprattutto, siano detenuti dagli stati sovrani e dai loro enti locali. La “bolla dei derivati” non è ancora completamente esplosa, e anche questa è una spada di Damocle che pende sul capo di tutti i paesi del mondo.

LE PRIME CONSEGUENZE: IL FALLIMENTO DELLA LEHMAN BROTHERS
La prima conseguenza dei mutui concessi “sottocosto” (subprime) è rappresentata dalla crisi di liquidità di alcune grandi banche americane, che provocano un credit crunch sia delle transazioni interbancarie che nella cessioni di prestiti a privati ed imprese. La presenza elevata di prodotti “tossici” difficilmente quantificabili ed identificabili fanno crollare nelle Borse valori mondiali i titoli di alcune di queste banche, prima fra tutte la ben nota “Lehman brother”, le prima banca americana salvata dallo stato dalla bancarotta sicura. Sarà la prima di una lunga serie. L’utilizzo disinvolto della leva finanziaria (compiere operazioni ed attività troppo al di sopra della propria reale patrimonializzazione) ha mandato a gambe al’aria alcuni gruppi bancari d’oltreoceano, dando vita alla prima forma di contagio al continente europeo.

IL CONTAGIO ALL’EUROPA: LA CRISI DEI DEBITI SOVRANI
Dalle banche la crisi si sposta ai debiti pubblici dei singoli stati. Qui occorre fare un passo indietro. Per finanziarsi, per finanziare le opere pubbliche, il welfare, lo stato sociale e i suoi servizi, uno stato ha bisogno di denaro prestato da risparmiatori e investitori, denaro sul quale deve pagare interessi relativamente bassi se viene considerato un paese affidabile, più elevati se il suo modo di gestire la finanza pubblica è più spregiudicato. Nel 2001 l’avvento della moneta unica nell’eurozona nasce con un grave peccato originale: si è partiti dalle fine. Il processo, lo comprendono tutti, doveva essere diametralmente opposto. Si fonda una unione fiscale, bancaria, politica, costruendo una confederazione di stati sul modello americano, e alla fine di questo lungo e complesso processo ci si dota di una moneta unica. L’Europa, viceversa, è consapevole dell’impossibilità di dare vita ad una unione politica, per il semplice fatto che i paesi membri (Francia, Regno Unito, Germania, Spagna ecc.) hanno delle spiccate identità nazionali difficilmente coniugabili con la costituzione di una confederazione di stati che implica una cessione di sovranità ad uno stato federale. Partendo dalla sola moneta, si dava vita ad un gigante dai piedi d’argilla, ad un palazzo senza fondamenta, ad una cattedrale di sabbia. Ogni stato membro dell’eurozona pensa tranquillamente ai fatti suoi, fregandosene allegramente del proprio vicino, guardato sempre con sospetto e con diffidenza. Su queste basi si sono elaborati i trattati prima di Maastricht, poi, soprattutto, di Basilea prima II e poi III, contenenti i parametri entro  i quali devono stare il debito pubblico degli stati e il livello di patrimonializzazione dei gruppi bancari facenti parte dell’unione. Il contagio all’inizio, siamo nel 2007, è arrivato dalle prime banche americane fallite, e poi, per un complesso meccanismo, si è allargato ai debiti pubblici dei singoli stati. Questo è accaduto per il semplice fatto che la speculazione internazionale ha capito che poteva colpire paesi potenzialmente deboli con le armi della pirateria finanziaria, in un quadro di deregulation assoluta. Un gruppo di milionari americani di origine ebraica ha utilizzato tutti i mezzi già menzionati (fondi hedge, cartolazizzazioni, derivati, Credit Default Swap ecc.) per poter colpire, spostando semplicemente della carta, delle nazioni intere e farle entrare in crisi di liquidità. I debiti pubblici sono sempre esistiti, il Giappone ha tuttora un rapporto debito pubblico/PIL  molto più elevato dell’Italia, ma non hanno mai costituito un particolare problema. Lo sono diventato quando la speculazione che citavamo si è concentrata con un fuoco di fila sui paesi dal debito più elevato, quindi più vulnerabili. I milionari americani di cui parlavamo, gli stessi che stanno dietro le agenzie di rating (per questo tali agenzie andrebbero fermate e cancellate, per lo smisurato conflitto di interesse che vivono)hanno tartassato paesi come la Grecia, che aveva truccato i propri bilanci per entrare nell’euro, e il default del  paese ellenico ha stabilito un contagio con i paesi più esposti dell’eurozona: prima Irlanda, poi Portogallo, poi la Spagna.

LA MANCATA RISPOSTA DELLA UE E DELLA BCE
L’attacco sferrato dalla speculazione internazionale attraverso le vendite allo scoperto (le short selling), - in pratica vendere ciò che ancora non si possiede per poi ricomprare quando il prezzo è sceso vertiginosamente lucrando sulla plusvalenza che si è creata, - attacco portato agli stati periferici dell’euro non ha trovato alcuna risposta efficace da parte delle istituzioni europee. Si può anzi dire che l’Unione Europea, la BCE e il Fondo Monetario Internazionale, volutamente o meno, abbiano agevolato il degradarsi della situazione, con un immobilismo che si è rivelato fatale per la sopravvivenza dell’euro  in quanto moneta e dell’eurozona come entità geopolitica. La BCE non è una Banca Centrale, come la FED americana o Banca di Inghilterra. Queste banche hanno diverse possibilità: possono anzitutto stabilire la politica monetaria più favorevole al paese che le ospita, possono stampare moneta ed iniettare liquidità nel mercato, possono, e questo aspetto è fondamentale, costituirsi quale prestatore di ultima istanza. Questo vuol dire che  si fanno garanti di ultimo livello relativamente al denaro prestato agli investitori attraverso i titoli di stato. Le uniche azioni che l’ottusità della Germania, il paese che ha maggiormente lucrato sull’euro, con una conversione del marco alla pari nel 2002, e con un livello di esportazioni altissimo all’interno dell’area dell’euro, sono state improntate al solo rigore e alla sola austerità. Hanno imposto alla Grecia una cura da cavallo che ha ammazzato il paziente (la Grecia attuale è divenuta un paese paragonabile al terzo mondo), hanno imposto il pareggio di bilancio da inserire in Costituzione , una condizione capestro per un paese come l’Italia che ha un debito elevatissimo, hanno varato un fiscal compact, una politica di bilancio comune a tutti i paesi che ha come conseguenza una serie di manovre finanziarie depressive che hanno e stanno strangolando  paesi come Spagna e Italia. Hanno solo consentito alla BCE di Mario Draghi due elargizioni di contante (le cosiddette LTRO 1 e 2 ) al tasso simbolico del’1% ai gruppi bancari europei, che, pur acquisendo denaro ad un tasso bassissimo hanno preferito non far circolare tale denaro depositandolo presso la BCE stessa, non scambiandolo fra di loro, e continuando a percorrere la strada della stretta creditizia verso privati ed imprese. Per tornare alla crisi dei debiti sovrani, gli stati meno “virtuosi” per rientrare nei parametri del fiscal compact sono costretti a vendere titoli di stato applicando interessi elevatissimi, e proprio per questo si trovano nell’obbligo di varare almeno un paio di manovre finanziarie l’anno, creando il cosiddetto “avvitamento sul debito”, un circolo vizioso costituito da manovre recessive che deprimono l’economia, obbligando lo stato, per finanziarsi, a vendere sempre più titoli  con interessi sempre maggiori che vanificano le manovre fin lì adottate, in un avvitamento senza fine, o meglio , fino alla bancarotta.

LA SECONDA CONSEGUENZA: LA CRISI DELLE BANCHE
In questo quadro le imprese maggiormente colpite sono le banche: gli investitori non si fidano più delle banche d’oltralpe, figuriamoci di quelle nostrane: è di questi ultimi tempi il fallimento della prima banca italiana. Piovono le vendite sui titoli bancari causando una continua emorragia di liquidità che non solo compromette la possibilità degli istituti di credito di accendere nuovi mutui, ma soprattutto  pone in crisi di liquidità tali istituti, obbligandoli a continui sanguinosi aumenti di capitale che non bastano mai. Anche le banche italiane, al pari delle altre europee, sono costantemente sul filo del rasoio, rischiando tutti i giorni il fallimento. La BCE, un organismo privo di poteri, grazie all’immobilismo tedesco, ha la sola facoltà di spostare il costo del denaro, stabilendo il tasso di interesse. Non può, viceversa, fornire il “quantitative easing”  necessario alle banche per sopravvivere. In questa situazione con la crisi perenne di “funding”, di reperire liquidità sul mercato, le banche non riescono ad attuare l’unica politica che potrebbe risollevarne le sorti, il cosiddetto “deleveraging”. Con le borse in continuo affanno, Piazza Affari è costantemente sotto i 15.000 punti, ha cioè un livello di transazioni e contrattazioni troppo scarso, e le vendite sui titoli bancari sono la regola quotidiana, facendo perdere terreno al valore delle azioni della banche stesse. Quando il valore di una azione ai approssima allo zero o ci si ricapitalizza, o si dichiara bancarotta. Aggiungiamo che entro il 2012 tutte le banche dell’eurozona dovranno rientrare nei ratio di Basilea 3, raggiungere cioè un CoreTier One del 9%, un traguardo impossibile anche per la più virtuosa delle banche europee. L’Euro e l’Unione europea cominciano ad essere vissuti come una inutile e dannosa camicia di forza, impediscono ai singoli di paesi, con esigenze e bisogni diversi, di adottare le politiche monetarie ad essi più convenienti.

L’ESITO PROBABILE: IL BREAK UP DELL’EURO
Se si considera il suicida immobilismo tedesco, che vorrebbe che nulla cambiasse in un mondo in cui tutto muta continuamente, le prospettive non sono rosee. Quella cominciata cinque anni fa non è una crisi economica: si tratta di una contrazione economica, un evento rarissimo che coinvolge tutto il mondo e necessita di diversi decenni per risolversi, e, in ogni caso, alla sua risoluzione nulla è più come prima.  L’Euro si è rivelato, dopo dieci anni, un fallimento sotto ogni aspetto, soprattutto per l’Italia, entratavi nel modo più sfavorevole. Una Banca Centrale Europea priva di poteri, un Euro Parlamento incapace di legiferare, quindi un organo puramente simbolico , un carrozzone costoso zeppo di imboscati di lusso, una Commissione europea anch’essa sostanzialmente priva di poteri, insomma una accozzaglia di istituzioni pletoriche ed inutili, spesso doppioni di se stesse (eurogruppo, ecofin ecc.) continuano a sottrarre inutilmente risorse che potrebbero essere meglio indirizzate. Ad ogni summit, ad ogni vertice che si tiene a Bruxelles o altrove segue il solito monotono comunicato privo di novità tangibili a zeppo solo di vaghe dichiarazioni di intenti. La Germania, che ha già provocato e perduto due guerre mondiali, ha provocato  e si appresta a perdere anche la terza. I conflitti fra stati si sono spostati dalla guerra guerreggiata alla guerra economico finanziaria. L’ossessione tedesca per il rigore e l’austerità ci porterà diritti verso il precipizio. Occorre mettere in campo strumenti come gli eurobond, i project bond, modificare lo statuto della BCE per farla diventare una vera Banca Centrale, dare vita ad una unione fiscale, bancaria e, soprattutto politica. L’Italia stessa, se no si perviene ad una condivisione , la mutualizzazione del debito, si sta già avvitando sulle manovre e finirà certamente strangolata. Ha un bel da fare il premier Monti a definire una banale manovra finanziaria fatta di tagli alla spesa pubblica, segnatamente quella sanitaria, “spending review”, solo un idiota si fa incantare dalle parole freddamente inglesi. Una manovra è una manovra:  si tagliano ulteriori posti di lavoro, non se ne creano. La disoccupazione si incrementa sempre più, le manovre deprimono i consumi interni fino ad arrestarli quasi completamente. E’ lo spettro della deflazione. I produttori non vendono più nulla, siamo alla paralisi, per non chiudere bottega applicano prezzi sottocosto nella speranza che il vento cambi rotta. I prezzi al consumo diminuiscono, ma nel consumatore si ingenera una aspettativa di ulteriori ribassi: si continua a non consumare. La deflazione si impenna. Il fenomeno contrario all’inflazione è l’anticamera della depressione economica (una recessione senza limiti, indefinita nel tempo)che termina nel default. Il fuoco degli speculatori si concentra sulla Spagna, al Consiglio di Europa dello scorso 28 giugno non si è deciso come al solito un bel nulla, Olanda e Finlandia si sono defilate, minacciano l’uscita dall’Euro. Siamo affetti dalla sindrome di Nimby (not in my back yard, non nel mio giardino), e ognuno pensa o si illude di salvare solo se stesso non capendo che in Europa o ci si salva tutti o si sprofonda insieme nel Medioevo. 

EPILOGO
Possiamo galleggiare senza prendere altre decisioni fondamentali per qualche mese, un anno al massimo, poi le tensioni sull’ Euro si faranno così forti da risultare insopportabili. Non dimentichiamo che la BCE non ha poteri di banca centrale e quindi non può correre in soccorso della moneta unica. L’euro continuerà ad indebolirsi rispetto al dollaro, sino ad arrivare alla parità. Dopo il fallimento della Spagna (che è già tecnicamente fallita) toccherà all’Italia, e poi alla Francia, poi al Belgio, poi all’Austria e via dicendo. Si cadrà come tanti birilli, prigionieri, ingessati nella gabbia dell’Euro che essendo una moneta rigida senza una banca centrale alle spalle non va bene più per nessuno. Tranne che per i tedeschi. Le borse continueranno a crollare, giorno dopo giorno, mese dopo mese, bruciando ogni giorno milioni di euro, gli speculatori continueranno a lanciare i loro hedge funds contro questo o quello stato causandone prima o poi la rovina. Dobbiamo comprendere che se le banche di uno stato falliscono anche lo stato che le ospita non può che fare la stessa fine. L’unica cosa da fare, una volta constatato che i tedeschi non intendono cambiare rotta, sarebbe una uscita ordinata e pilotata dall’euro da parte di tutti i paesi dell’eurozona, ma siamo abbastanza certi che non ci intenderemo neppure su di una cosa così elementare. Anche un bambino capirebbe che sarebbe meglio  fare estinguere l’euro  ed uscirne ordinatamente tornando gradualmente alle proprie valute nazionali. Ma questo, sempre grazie ai tedeschi, non si farà, percorreremo la strada fino in fondo, fino alla distruzione. L’euro esploderà, buttando brutalmente fuori tutti i paesi che ne facevano parte. In modo traumatico, senza il tempo per organizzarsi. E’ l’amaro finale di un continente ormai vecchio e stanco, egoista, miope, autolesionista, incapace di adeguarsi al nuovo che arriva, incapace di reagire alla fine del capitalismo, incapace di dar delle regole elementari alla finanza, lasciata ancora oggi libera di fare le proprie scorribande banditesche. La vecchia Europa del valzer è destinata a morire perché incapace di accogliere il nuovo che emerge e adeguarsi ai nuovi asset mondiali. Ma proprio perché incapace di capire e di adeguarsi è probabile che sia la fine che merita, senza attenuanti, senza alibi, con l’aggravante di essersi suicidata con le proprie mani. Una legge dell’economia dettata da J.M. Keynes è che le politiche di rigore di di austerità, le manovre di tagli e imposizioni fiscali vanno attuate nei periodi floridi, intanto perchè fanno mano male e in secondo luogo perché se attuati nei periodi di recessione finiscono con uccidere il malato che si vuole curare.

In che cosa consiste il break up dell’euro? Nella sua deflagrazione, nella sua fine cruenta. La Spagna, un paese già praticamente fallito, con uno spread che arriverà presto a 600 punti (un limite totalmente insopportabile per qualsiasi nazione) continuerà a chiede aiuti ai fondi di stabilità Efsf e ESM. Una volta che sarà terminata la sistematica rovina della Spagna toccherà (e molto presto) all’Italia. Solo che non ci sono soldi per salvare una economia complessa ed articolata come la nostra. Semplicemente questi denari (potrebbero essere 1000, 1500 miliardi i euro) non si trovano da nessuna parte. Spagna e Italia, al pari della Grecia non avrebbero altra strada che uscire dall’euro. Ma un euro senza questi due paesi non può, per ovvie ragioni, continuare ad esistere. Ecco l’esplosione cruenta della moneta unica. Se non fossimo così imbecilli e sprovveduti, ci fermeremmo un momento prima che tutto ciò si possa verificare, e faremmo in modo che l’euro si estinguesse naturalmente, per l’uscita contemporanea di tutti i paesi membri. Invece, mentre la Merkel continua a fare professione di accanito europeismo sostenendo che dobbiamo essere tutti uniti, il suo paese fa esattamente il contrario, in modo di accelerare il processo di esplosione della moneta unica. La previsione, dunque, non è molto difficile. Non appena toccherà a noi (tra qualche mese), sarà la volta anche dell’euro. In quell’occasione tutti i paesi saranno buttati fuori come in una esplosione, ecco perché si parla di break up (collasso) dell’euro. Tutto questo entro il 2012, è questa  la nostra previsione.